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venerdì 11 dicembre 2020

L’Italia spende 35,7 miliardi l’anno in sussidi alle fossili o che danneggiano l’ambiente.

 

Il nuovo rapporto di Legambiente sui sussidi ambientalmente dannosi.

Anche il 2020 si chiude senza tagli ai sussidi alle fonti fossili; nella legge di bilancio presentata dal governo il tema non è previsto, nonostante sia stata istituita quest’anno una “Commissione interministeriale per lo studio e l’elaborazione di proposte per la transizione ecologica e per la riduzione dei sussidi ambientalmente dannosi”.

Sussidi stimabili, complessivamente, in 35,7 miliardi di euro, di cui oltre 21,8 miliardi sotto forma diretta e circa 13,8 miliardi in forma indiretta.

Parliamo di tutte le misure incentivanti, che intervengono su beni o lavorazioni, per ridurre il costo di utilizzo di fonti fossili o di sfruttamento delle risorse naturali. Il quadro completo delle voci e delle cifre è ricostruito nel nuovo rapporto presentato oggi da Legambiente (allegato in basso), per far capire la dimensione e l’importanza delle decisioni da prendere.

Larga parte va alle imprese, oltre 23 miliardi, e 12,5 miliardi alle famiglie. La quota più rilevante dei sussidi diretti riguarda il settore dei trasporti, per 11 miliardi; seguono l’energia con 10,6 e l’agricoltura con 0,1.

Il rapporto (che unisce fonti diverse tra cui il Catalogo SAF e SAD, il bilancio dello Stato, dati Terna, Arera, GSE e MISE) riporta voci molto differenti – da incentivi diretti e indiretti a sconti sulle tasse, a finanziamenti dati da imprese e società dello Stato – ognuna nata con l’obiettivo, condivisibile, di ridurre i costi a vantaggio di imprese e famiglie, ma è il mezzo che oggi non funziona più: bisogna guardare alle ragioni per cui si confermano sussidi che producono un impatto negativo su ambiente e clima quando esistono alternative competitive.

“Alcuni di questi sussidi sono stati addirittura introdotti nel 2020, come il capacity market, che prevede 20 anni di generosissimi incentivi per nuove centrali a gas, giustificati da ragioni di sicurezza del sistema – spiega Legambiente quando per la flessibilità e la sicurezza del sistema esistono alternative più economiche, efficienti e con ridotte o zero emissioni di gas serra”.

Il paradosso dei sussidi alle fonti fossili, come sottolineato da Fatih Birol, capo economista dell’International Energy Agency, è che sono oggi il principale ostacolo allo sviluppo delle rinnovabili e di interventi di efficienza energetica che sarebbero competitivi in ogni parte del mondo, ma che invece vedono privilegiare con carbone, gas e petrolio, resi artificialmente economici dagli aiuti pubblici.

Non esiste scusa legata al Covid che tenga – dichiara Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente – perché l’emergenza climatica sta diventando sempre più grave e perché ogni euro non più regalato a chi inquina può liberare investimenti in innovazione ambientale ma anche per far uscire il Paese dalla crisi economica e sociale. Nelle proposte che presentiamo oggi dimostriamo come sia possibile intervenire subito sui sussidi alle fonti fossili e all’estrazione di materiali naturali, mentre il Recovery Plan italiano dovrà fissare le riforme e la tempistica per cancellare tutti i sussidi entro il 2030”.

Nel 2017 il ministero dell’Ambiente ha presentato il primo “Catalogo dei Sussidi ambientalmente dannosi e favorevoli”, aggiornato nel 2019; il tema è finalmente nel dibattito politico, ma i risultati finora sono deludenti, con un intervento limitato di adeguamento dei canoni per le estrazioni di fonti fossili e di eliminazione del rimborso accise gasolio per i camion con standard di emissioni euro 3 ed euro 4.

I sussidi ambientalmente dannosi sono finanziamenti diretti a centrali che utilizzano derivati del petrolio, gas e carbone, che inquinano e producono emissioni di gas serra, come le centrali di Brindisi Sud e Fiumesanto o di San Filippo Mela, che rimangono accese solo perché ricevono generosi sussidi, altrimenti in larga parte sarebbero fuori mercato. Oppure centrali diesel nelle isole minori italiane che potrebbero essere sostituite da ben più economici ed efficienti impianti solari ed eolici, denuncia lo studio.

Sono sconti su tasse (accisa, iva e credito d’imposta) per una serie enorme di utilizzi di benzina, gasolio, gas, ecc. nei trasporti, nel riscaldamento, nelle industrie.

Per chiarezza – si precisa –  di questi sconti beneficiano famiglie e imprese, per cui un semplice taglio avrebbe effetti negativi da un punto di vista economico e sociale, per le famiglie più povere e le imprese più in difficoltà. Ma invece si può e si deve far diventare questi sconti sui consumi, incentivi verso investimenti in efficienza e nell’autoproduzione da rinnovabili, con risultati strutturali in termini di risparmio oltre che vantaggi ambientali. Sono canoni bassi per l’estrazione di materie prime, per l’imbottigliamento di acqua, sono tasse limitate per chi butta i rifiuti riciclabili in discarica. Sono anche finanziamenti ad autostrade, a componentistica, impianti per la fertilizzazione e fondi per la ricerca su carbone, gas e petrolio. In Italia e all’estero.

“Con questo lavoro vogliamo dare il nostro contributo nel dimostrare quanto sia urgente cambiare il sistema di sussidi di cui beneficiano tante attività inquinanti nel nostro Paese – dichiara Katiuscia Eroe, responsabile energia di Legambiente – Non tutto è cancellabile dall’oggi al domani ma è certo che serve intervenire, partendo dai finanziamenti più assurdi, inquinanti, a premio di rendite contro l’ambiente. I sussidi dannosi sono un macigno sulla possibilità di spingere una innovazione diffusa, nell’interesse del Paese; sono risorse sottratte a investimenti di cui c’è enorme bisogno per uscire dalla crisi: potrebbero andare a ospedali, scuole, ricerca, investimenti nella green economy e nella riduzione delle diseguaglianze. Esistono oggi alternative da fonti rinnovabili meno costose in tanti campi, mentre in altri si dovrebbe promuovere l’efficienza nell’uso dei combustibili invece di fare sconti”.

Settore energia.

Sono 15 i miliardi di euro destinati, nel 2019, a sussidiare il settore energetico fossile del nostro Paese; che diventano 15,8 miliardi per il 2020. Ventisei sussidi diversi, di cui almeno 14- secondo Legambiente –  potrebbero essere eliminati subito, per un valore pari a 8,6 miliardi di euro.

Sono invece 6,3 i miliardi euro di sussidi che andrebbero rimodulati, in quanto strettamente connessi con settori strategici produttivi o di consumo, come quelli delle isole minori o delle aree geograficamente svantaggiate o ancora la riduzione dell’iva per imprese e utenti domestici.

In particolare, le trivellazioni ricevono sussidi indiretti per 576,54 milioni di euro, dovuti all’inadeguatezza di royalties e canoni.

I contributi a centrali fossili e impianti sono costati, nel 2019, ai contribuenti italiani, 1.316,4 milioni di euro; di cui 412,4 milioni di euro sono andati ai cosiddetti “impianti essenziali” su terra ferma e nelle isole minori; 500 milioni di euro di indennizzo sono andati invece agli interconnector, linee elettriche finanziate da soggetti privati.

Al Capacity Market nel 2020 vanno 180 milioni di euro di sussidi diretti, mentre il CIP6 continua a ricevere sussidi per 682 milioni all’anno.

I prestiti e le garanzie pubbliche (CDP e SACE) per operazioni a sostegno di investimenti nell’Oil&Gas ammontano a 3.756 milioni di euro. Senza dimenticare gli assurdi sussidi che riceve la ricerca su carbone, gas e petrolio.

Settore trasporto.

Il settore è sussidiato complessivamente per 16,2 miliardi di euro. Di cui 5.154 milioni di euro per il differente trattamento fiscale tra benzina e gasolio e 3.757 milioni di euro per quello tra metano, gpl e benzina; l’esenzione dell’accisa sui carburanti per la navigazione aerea ammonta a 1.807,3 milioni di euro; 1.587,5 milioni vanno al rimborso delle accise sul gasolio per trasporti, 400 milioni sussidiano l’olio di palme nei biocarburanti.

Settore agricoltura.

Alla PAC vanno sussidi per 2.117,47 milioni di euro. Le esenzioni e riduzioni ai prodotti energetici ammontano a 939,2 milioni. Tra i sussidi indiretti, la SACE eroga prestiti e garanzie per 155,6 milioni per un impianto di fertilizzanti in Russia.

Settore edilizia.

Il credito d’imposta per l’acquisto di beni strumentali, secondo Legambiente generalmente associati a elevati consumi energetici ed emissioni, vale 617 milioni di euro. L’esenzione dell’IMU per nuovi fabbricati ammonta a 38,3 milioni di euro, sussidiando il consumo di suolo anziché incentivare le ristrutturazioni.

Settore canoni e concessioni.

L’inadeguatezza di concessioni e canoni equivale a un sussidio di 509 milioni, tra acque minerali (262), demanio marittimo (150) e cave (97).

Le richieste di Legambiente al governo.

La situazione deve cambiare ora; Legambiente chiede al governo di smettere di fare rinvii su questo tema fondamentale per far uscire l’Italia dalle crisi economica, sociale e ambientale. Il consumo di fonti fossili è non solo la causa dei cambiamenti climatici ma anche dell’inquinamento delle città, con drammatiche conseguenze sulla salute, per l’esposizione al PM2,5, ozono, diossido di azoto che vengono stimate in 60 mila morti all’anno in Italia dall’Agenzia europea dell’ambiente.

Sono tre le scelte da prendere nei prossimi mesi: inserire nel Recovery plan le scelte di cancellazione di tutti i sussidi alle fossili entro il 2030, eliminare subito i sussidi diretti alle fossili e per lo sfruttamento dei beni ambientali e aggiornare il Catalogo dei sussidi, rivedere subito la tassazione sui combustibili fossili per portare trasparenza e legare la fiscalità alle emissioni di gas serra.

1. Inserire nel Recovery plan le scelte di cancellazione di tutti i sussidi alle fossili entro il 2030. Il primo intervento da realizzare dovrebbe essere di chiarire la tassazione sui diversi tipi di combustibili fossili e di cancellare tutte le esclusioni dalle accise esistenti, secondo il principio “chi inquina paga” legando la fiscalità alle emissioni di gas serra. Il secondo intervento deve essere di trasformare gli esoneri dalle accise per i consumi di benzina e gasolio nei trasporti, per l’accisa e l’Iva dei consumi di gas nel riscaldamento civile e nell’industria in incentivi a interventi di efficienza energetica per produrre una riduzione dei consumi e autoprodursi l’energia da rinnovabili.

2. Eliminare subito i sussidi diretti alle fossili e per lo sfruttamento dei beni ambientali e aggiornare il Catalogo dei sussidi. Il governo deve accelerare i lavori della Commissione del ministero dell’Ambiente istituita lo scorso anno e allargare il campo dei sussidi da tagliare subito, perché non ha senso considerare solo quelli che riguardano i combustibili. Sono ampi quelli di cui beneficia il settore dell’oil&gas, come quelli per i canoni per l’estrazione di materiali, tutti i finanziamenti pubblici attraverso il gruppo SACE, gli essenziali, i fondi per la ricerca su gas, carbone e petrolio. Fuori dal settore energetico, ci sono il trattamento fiscale differente tra benzina e gasolio o le agevolazioni IVA per i prodotti fitosanitari o tutti i canoni agevolati nelle attività di estrazione. Nel nostro dossier individuiamo 13,8 miliardi su cui si può intervenire da qui al 2025. Senza dimenticare di aggiornare il Catalogo dei sussidi inserendo le 13 voci mancanti per un totale di 11,7 miliardi euro

3. Rivedere subito la tassazione sui combustibili fossili per portare trasparenza e legare la fiscalità alle emissioni di gas serra. In Italia la tassazione di combustibili e carburanti non è legata alle emissioni di gas serra. L’obiettivo delle politiche energetiche e dei trasporti deve essere di ridurre le emissioni di CO2 prodotte. Per questo la tassazione deve essere legata alle emissioni di carbonio fossile in ogni passaggio fiscale (dalla tassa di proprietà per gli autoveicoli, all’acquisto di combustibili per il trasporto e di fonti per il riscaldamento, ecc.).

(tabelle e rapporto nel link qui sotto)

https://www.qualenergia.it/articoli/litalia-spende-357-miliardi-lanno-in-sussidi-alle-fossili-o-che-danneggiano-lambiente/?fbclid=IwAR0esVqH4tdgpdjFnOL8nOHDdT95EX9l0fgYKG0AR4r5Gmp2ioDZIn11raQ

martedì 15 agosto 2017

La denuncia di Goletta verde: "I nostri mari sono malati cronici". - Cristina Nadotti

La denuncia di Goletta verde: "I nostri mari  sono malati cronici"

Il rapporto presentato oggi da Legambiente. La situazione peggiore alle foci dei fiumi e torrenti, dove si concentrano scarichi e versamenti tossici. Il 40% delle acque italiane è "fortemente inquinato". Maglia nera per Lazio, Calabria, Campania e Sicilia.

ROMA. Anno dopo anno cambia poco nei mari italiani, che in alcuni punti restano "malati cronici", come li definisce Legambiente. Oggi sono stati diffusi i risultati della campagna di Goletta Verde, l'imbarcazione dell'associazione ambientalista che raccoglie e analizza campioni delle acque del nostro mare. Su 260 campioni di acqua analizzati in tutta Italia, in più di un terzo, cioè nel 40 per cento, sono state riscontrate cariche batteriche elevate. Molte tra le nostre regioni hanno problemi nella depurazione delle acque, tanto che l'Italia è agli ultimi posti per la presenza di impianti per filtrare gli scarichi a mare. I litorali di Lazio, Calabria, Campania e Sicilia, inoltre, dopo 5 anni di segnalazioni non hanno migliorato la loro situazione. (Qui la mappa interattiva)

Altre problema su cui Goletta Verde pone l'accento sono i rifiuti in mare, per il 96 per cento costituito da plastiche e perciò destinato a rimanere a lungo anche in forma di microresidui. Il viaggio di Goletta Verde ha coperto 7.412 chilometri di costa, alla fine del quale sono stati presentati alle Capitanerie di Porto 11 esposti e segnalati 38 punti critici, per chiedere approfondimenti e interventi sugli scarichi inquinanti che ancora oggi si riversano in mare.

 Preoccupa poi che le situazioni più critiche perdurino in alcune località, a riprova che nonostante le campagne e le denunce nulla viene fatto: "Si tratta di punti - sottolinea Legambiente - che sono risultati inquinati mediamente negli ultimi 5 anni e che si concentrano soprattutto nel Lazio (8), in Calabria (7), in Campania e Sicilia (5)".

I parametri indagati dalla Goletta sono microbiologici (enterococchi intestinali, Escherichia coli) e i tecnici hanno considerato come inquinati i risultati che superano i valori limite previsti dalla normativa sulle acque di balneazione vigente in Italia (Dlgs 116/2008 e decreto attuativo del 30 marzo 2010) e fortemente inquinati quelli che superano di più del doppio tali valori. Dei 105 campioni di acqua risultati con cariche batteriche elevate, ben 86 (ovvero l'82 per cento) registrano un giudizio di "fortemente inquinato".

L'87 per cento dei punti inquinati e fortemente inquinati sono stati prelevati alle foci di fiumi, torrenti, canali, fiumare, fossi o nei pressi di scarichi che si confermano i nemici numero uno del nostro mare. Mentre il 13 per cento sono stati prelevati presso spiagge affollate di turisti. La situazione migliore anche quest'anno in Sardegna, che si distingue con sole 5 situazioni critiche rilevate in corrispondenza di foci di fiumi, fossi e canali.

A seguire anche la Puglia registra un buon risultato, confermando la performance dello scorso anno. In alto Adriatico, complice anche la forte siccità che ha colpito queste regioni, riducendo molto le portate di fiumi, fossi e canali che si riversano in mare, le situazioni migliori si riscontrano in Emilia Romagna e Veneto.

Legambiente denuncia infine che spesso le autorità preposte segnalano i divieti di balneazione, ma in proposito pochi conoscono regole e rischi.  "I cittadini - spiega Serena Carpentieri, responsabile campagne di Legambiente - continuano a navigare in un mare di disinformazione. Così come in buona parte d'Italia, stenta ancora a decollare un sistema davvero integrato tra i vari enti preposti per fornire informazioni chiare. I tecnici di Goletta Verde hanno avvistato solo 16 di questi cartelli informativi, presenti solo nel 9 per cento dei punti. Per quel che riguarda invece i cartelli di divieto di balneazione, dei 91 punti vietati alla balneazione dalle autorità competenti, solo 23 presentano un cartello di divieto di balneazione. Nel 10 per cento dei casi dove i cartelli di divieto sono assenti, troviamo una presenza media o alta di persone che, ignare, fanno il bagno".


http://www.repubblica.it/cronaca/2017/08/11/news/la_denuncia_di_goletta_verde_i_nostri_mari_sono_malati_cronici_-172831589/

lunedì 1 ottobre 2012

Corruzione: “Costa 10 miliardi l’anno, chieste tangenti al 12% degli italiani”.




I dati contenuti nel dossier sulla "tassa occulta che impoverisce ed inquina il paese” presentato da Libera, Legambiente e Avviso Pubblico. Don Ciotti: "Il disegno di legge in discussione è già mortificato da chi ha altri giochi e altri interessi”.

La corruzione nel nostro paese è a livelli mastodontici e può crescere ancora, se non si contrasta in modo netto, senza mediazioni, con volontà politica concreta, che vada al di là delle parole. Ci costa 10 miliardi di euro ogni anno e il 12 per cento degli italiani si è vista chiedere una tangente negli ultimi 12 mesi. Lo affermano i dati, i fatti, le storie del dossier “Corruzione, le cifre della tassa occulta che impoverisce ed inquina il paese” presentato a Roma stamattina da LiberaLegambiente e Avviso Pubblico presso la sede della Fnsi. Numeri drammatici e inquietanti. Un dossier che arricchito di casistica, di storie e di fatti avvenuti negli ultimi vent’anni diventa un libro dal titolo “Atlante della Corruzione” a cura di Alberto Vannucci di Edizione Gruppo Abele. 
Durissime le parole di don Luigi Ciotti, presidente di Libera, sui ritardi della politica su questo tema: ”Vi prego, sul problema corruzione servono scelte chiare, nette, concrete. Categoriche. Non sono possibili deviazioni, ma purtroppo questo sta avvenendo”. Don Ciotti chiede di approvare velocemente il ddl anticorruzione, introducendo il reato di autoriciclaggio, l’incandidabilità di chi è condannato per corruzione e la definitiva applicazione della norma sulla confisca dei beni dei corrotti già prevista dalla Finanziaria del 2007. “Il disegno di legge è un passo in avanti, ma è giàmortificato, frenato da chi ha altri giochi e altri interessi”. Il ddl “perde pezzi per strada”, conclude  don Ciotti , è il momento “che scatti qualcosa nella coscienza. Non possiamo più essere cittadini ad intermittenza”. 
Secondo la World Bank, nel mondo si pagano ogni anno più di 1.000 miliardi di dollari di tangenti e va sprecato, a causa della corruzione, circa il 3 per cento del pil mondiale. Applicando questa percentuale all’Italia, annualmente l’onere sui bilanci pubblici è nella misura di 50-60 miliardi di euro l’anno, una tassa immorale e occulta pagata con i soldi prelevati dalle tasche dei cittadini. Ma si può andare oltre: il peggioramento di un punto dell’indice di percezione della corruzione (cpi) in un campione di Paesi determina una riduzione annua del prodotto interno lordo pari allo 0,39 per cento e del reddito pro capite pari allo 0,41 per cento e riduce la produttività del 4 per cento rispetto al prodotto interno lordo. Visto che l’Italia nel decennio 2001-2011 ha visto un crollo del proprio punteggio nel cpi da 5,5 a 3,9, si stima una perdita di ricchezza causata dalla corruzione pari a circa 10 miliardi di euro annui in termini di prodotto interno lordo, circa 170 euro annui di reddito pro capite ed oltre il 6 per cento in termini di produttività.
Ancora più allarmanti sono i danni politici, sociali e ambientali: la delegittimazione delle istituzioni e della classe politica, il segnale di degrado del tessuto morale della classe dirigente, l’affermarsi di meccanismi di selezione che premiano corrotti e corruttori nelle carriere economiche, politiche, burocratiche, il dilagare dell’ecomafia, attraverso fenomeni come i traffici di rifiuti e il ciclo illegale del cemento, che si alimentano quasi sempre anche grazie alla connivenza della cosiddetta “zona grigia”, fatta di colletti bianchi, tecnici compiacenti, politici corrotti. Il dossier approfondisce l’aspetto della corruzione in materie ambientali, oggetto di 78 inchieste penali negli ultimi due anni, che rappresenta un ulteriore danno per il paese in termini di inquinamento e salute
È particolarmente significativo il dato relativo alle esperienze personali di tangenti, ossia alla corruzione vissuta sulla propria pelle dai cittadini dei 27 Paesi dell’Unione Europea. Nell’ultima rivelazione di Eurobarometer 2011, il 12 per cento dei cittadini italiani si è visto chiedere una tangente nei 12 mesi precedenti, contro una media europea dell’8 per cento. In termini assoluti, questo significa il coinvolgimento personale, nel corso di quell’anno, di circa 4 milioni e mezzo di cittadini italiani in almeno una richiesta, più o meno velata, di tangenti. Particolarmente allarmante quella che Libera, Legambiente e Avviso Pubblico chiamano “corruzione ambientale”. Sempre più spesso, infatti, attività illegali come il traffico illecito di rifiuti o l’abusivismo edilizio, magari “rivestito” con il rilascio di concessioni illegittime, sono accompagnate da un sistematico ricorso alla corruzione di amministratori pubblici e rappresentanti politici, funzionari incaricati di rilasciare autorizzazioni o di effettuare controlli.