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lunedì 20 febbraio 2017

Roma Metropolitane, pignorati 10 milioni di euro: azienda sull’orlo del baratro. A rischio Metro C e conti del Comune. - Vincenzo Bisbiglia

Roma Metropolitane, pignorati 10 milioni di euro: azienda sull’orlo del baratro. A rischio Metro C e conti del Comune

Giovedì la Salini-Impregilo ha ottenuto dal giudice il blocco dei conti della municipalizzata, che da tempo in perdita costante, non ha mai approvato il bilancio 2015 e non ha proceduto alla ricapitalizzazione da 11 milioni di euro fondamentale per mantenerla in vita. Il fallimento dell'azienda, che ha contenziosi per 1 miliardo di euro, comporterebbe un effetto domino sulle casse del Campidoglio.

Un pignoramento da 10 milioni di euro rischia di far fallire la società del Comune di Roma che realizza le opere di trasporto pubblico (metro, tram, filobus, funivie, ecc). Conti correnti bloccati, azienda sull’orlo del baratro e l’amministratore unico – nominato appena 2 mesi fa da Virginia Raggi – che attacca la giunta grillina e minaccia le dimissioni. Roma Metropolitane è una polveriera e, se non accadrà qualcosa nei prossimi giorni, rischierà seriamente di essere al centro del prossimo ciclone di questa tempesta infinita che sta mettendo a dura prova l’amministrazione pentastellata. Anche perché in gioco c’e’, ancora una volta, la grande opera per eccellenza della Capitale: la metro C.
I CONTI IN ROSSO – Partiamo dalla fine. Giovedì scorso la Salini-Impregilo, nota società di costruttori romani, ha ottenuto dal giudice il pignoramento dei conti della municipalizzata, in virtù di un credito vantato di “appena” 10 milioni di euro, relativo alla costruzione (ultimata nel 2015) della linea B1 del metrò. 
Nonostante Roma Metropolitane abbia contenziosi aperti per quasi 1 miliardo di euro con varie aziende del settore, la visita pomeridiana dell’ufficiale giudiziario è bastata a bloccare definitivamente i flussi di cassa, già da tempo sono pressoché nulli.
Da dove nascono le difficoltà? L’azienda, da tempo in perdita costante, non ha mai approvato il bilancio 2015 e, seguendo l’indirizzo di una mozione presentata dalla maggioranza M5S e approvata a novembre in Assemblea Capitolina, non ha proceduto alla ricapitalizzazione da 11 milioni di euro fondamentale per mantenerla in vita. Tuttavia, a causa delle forti diversità di vedute fra l’assessore ai Trasporti, Linda Meleo, e quello alle Partecipate, Massimo Colomban, la sindaca Raggi ha comunque deciso di nominare un nuovo amministratore unico, Pasquale Cialdini, in attesa di varare un piano complessivo di riordino delle società capitoline, che però tarda ad arrivare.
TENSIONE AI VERTICI – La tensione si taglia a fette. E’ probabile che questo mese i circa 200 dipendenti fra ingegneri e impiegati non prenderanno lo stipendio, motivo per il quale da giorni sono in assemblea permanente. Durante un incontro con i sindacati, l’amministratore Cialdini – già dirigente del Mit – ha avuto parole durissime nei confronti della giunta, minacciando di dare dimissioni e di portare i libri contabili in tribunale se entro la fine di febbraio non arriveranno direttive sul futuro della società. I lavoratori venerdì pomeriggio hanno occupato simbolicamente il cantiere della metro C a San Giovanni, ma finora nessuno della maggioranza M5S si è espresso sul tema.
RISCHIO EFFETTO DOMINO – Ma cosa accadrebbe con il (possibile) fallimento di Roma Metropolitane? Il rischio è una specie di effetto domino che andrebbe a pesare direttamente sulle casse del Campidoglio, con ripercussioni economiche ben superiori all’effettivo valore della municipalizzata stessa. Come detto, Roma Metropolitane funziona da “stazione appaltante” per le grandi opere; questo significa che la società si accolla per conto del Comune tutti i rapporti finanziari con le aziende private che svolgono materialmente i lavori legati ai trasporti della Capitale.
Solo con il consorzio di imprese che sta costruendo la metro C – Vianini Caltagirone, Ansaldo Sts, Astaldi, Ccc e Cmb – la municipalizzata oggi diretta da Cialdini ha un debito certificato di quasi 200 milioni e un contenzioso aperto in tribunale civile per almeno altri 300 milioni. L’ex amministratore unico, Paolo Omodeo Salè, stimava in 1 miliardo di euro l’importo totale di questi contenziosi, che in caso di fallimento andrebbero a pesare tutti sul Campidoglio, mandandone in tilt i flussi di cassa.
GLI EFFETTI SULLA LINEA C – Come noto, la metro C di Roma ad oggi è in funzione in un tratto ancora piuttosto decentrato, ovvero dall’estrema periferia est di Pantano fino a piazza Lodi (appena dentro le mura Aureliane). Dopo molti tentennamenti, pare che Virginia Raggi e i suoi si siano convinti di portare avanti l’opera lungo il tracciato previsto, nonostante gli sprechi (extracosti per quasi 1 miliardo), i ritardi (ben 6 anni sulla tabella di marcia) e le inchieste aperte da Procura di Roma e Corte dei Conti.
In questo momento, il Campidoglio punta tutto sull’apertura della stazione di San Giovanni, ipotizzata per fine 2017, che permetterebbe alla linea C di incrociare la linea A. Un risultato che potrebbe essere messo in dubbio proprio dall’eventuale fallimento di Roma Metropolitane, punto di riferimento per il contraente generale e parafulmine economico per il Comune.

mercoledì 13 luglio 2016

Metro C: 47 varianti e conto extra di 700 milioni. E quattro anni fa la Corte dei Conti disse: “Moralmente inaccettabile” - Marco Pasciuti

Metro C: 47 varianti e conto extra di 700 milioni. E quattro anni fa la Corte dei Conti disse: “Moralmente inaccettabile”

L'inchiesta della Procura di Roma, con 13 indagati arriva dopo una serie di denunce sulla lievitazione del budget, passato da 2,2 a 3,7 miliardi senza che l'opera fosse consegnata. L'Autorità anticorruzione: "Carenza nei rilievi archeologici preventivi, così lievitavano i costi". Nel 2013 l'esposto dei radicali in Comune. Già l'anno prima la magistratura contabile aveva definito la spesa "insopportabile per la finanza pubblica"


Ignazio Marino li aveva cacciati tutti il 17 luglio 2014 “per giusta causa”. E perché nell’operato della società era stato “rilevato un livello di criticità tale da far dubitare dell’affidabilità dell’attuale gestione aziendale, in particolar modo rispetto alle scadenze dei tempi di realizzazione della linea C della metropolitana”. Quel giorno, dopo un anno di braccio di ferro e reciproci scambi di accuse sui continui rinvii dei lavori, il sindaco “marziano” firmava un’ordinanza con cui revocava il cda di Roma Metropolitane: il presidente Massimo Palombi, i consiglieri Andrea Laudato e Massimo Nardi e il dg Luigi Napoli. Oggi tutti indagati nell’inchiesta della Procura di Roma che vuole fare luce sugli aumenti dei costi della Metro C.
Perché l’indagine di piazzale Clodio parte da lontano, affonda le proprie radici nei gangli più reconditi del fangoso potere capitolino in maniera inversamente proporzionale alla difficoltà e alle lentezze con cui binari e gallerie sono stati scavati nel ventre di Roma. Numerose sono state negli anni le mani levate a segnalare ambiguità, opacità e lungaggini, molteplici i dubbi avanzati sull’esecuzione e la regolarità dei lavori da attori della società civile ai partiti politici. A partire dall’associazione Italia Nostra, firmataria di un esposto già nel 2013, fino al Partito Radicale. “Due anni fa presentavamo il primo dei nostri esposti sugli abusi, le illegalità e gli sprechi negli appalti della Metro C di Roma, le cui ragioni sarebbero poi state pienamente accolte da Corte dei Conti e Autorità Anticorruzione”, commenta Riccardo Magi, segretario del partito, che ricorda anche la richiesta di dimissioni dell’assessore Improta, finito poi nel registro degli indagati insieme ad altre 12 persone. “Solo lo scorso giugno abbiamo diffidato il governo dall’assumere ogni iniziativa amministrativa, economica, politica a favore della prosecuzione della Metro C, chiedendo la rescissione in danno del contratto”.
Nel 2012 era stata la Corte dei Conti a scoperchiare il vaso di Pandora. “Per l’incidenza perniciosa della corruzione  – scandiva il 22 febbraio 2012 nella sua relazione il procuratore regionale della sezione giurisdizionale del Lazio, Angelo Raffaele De Dominicis, nel corso della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario – si son riversati sulla finanza pubblica costi veramente insopportabili e moralmente inaccettabili come ad esempio i problemi emersi nella prima fase di realizzazione della linea C della Metropolitana di Roma”.
Si riferiva, il magistrato, al report stilato dalla sezione centrale di controllo della Corte, che aveva prodotto un documento pubblicato agli inizi dello stesso mese di febbraio ”sui costi quasi triplicati per l’esecuzione di questa importante arteria sotterranea”. I numeri:  ”Aggiornato a 3.379.686.560 euro” senza le opere complementari, ”con la progettazione definitiva della tratta più complessa” (del centro storico), per la Corte dei Conti, il costo era destinato ad aumentare ancora. E ”notevolmente”.
Gli anni passavano veloci, i lavori procedevano con lentezza esasperante, mentre la parcella dei costruttori lievitava di conseguenza. La fotografia definitiva sul continuo aumento dei costi la scattava quattro anni più tardi l’Autorità nazionale anticorruzione. Nel rapporto pubblicato il 2 luglio 2015, l’ente presieduto da Raffaele Cantone certificava che al progetto iniziale – dal 2007 a quella data – erano state apportate 47 varianti e che dopo 7 anni il preventivo iniziale era aumentato di 700 milioni.
La delibera, trasmessa alla Corte dei Conti, riportava tutti i passaggi della gara e del contratto per la nuova linea metropolitana a partire dal 2005, quando a gennaio una delibera Cipe individuava il tracciato fondamentale, base d’asta: 2,5 miliardi di euro. Stazione appaltante la società del Comune capitolino Roma Metropolitane. Il 28 febbraio 2006 la gara veniva aggiudicata per circa 2,2 miliardi all’associazione temporanea di imprese costituita da Astaldi, Vianini Lavori, Consorzio Cooperative Costruzioni e Ansaldo Trasporti Sistemi Ferroviari che costituiscono la società “Metro C”, contraente generale.
Questo, il background. Da lì aveva inizio una storia costellata di decine di varianti e contenziosi. Di varianti, l’Anac ne contava 47: 7 a parità di importo, 5 in diminuzione e 33 in aumento, per un incremento dell’importo contrattuale di circa 316 milioni. Sta di fatto che il documento che l’Authority ha trasmesso alla Procura della Corte dei conti, annotava come “il costo dell’investimento per il cosiddetto ‘Tracciato fondamentale’ della linea C fosse aumentato nel tempo passando dal valore iniziale di 3.047 milioni a 3.739 milioni di euro“.
Ed è proprio l’Anac a illuminare la causa di quegli aumenti di costo. Ovvero le varianti, capitolo indissolubilmente intrecciato con quello dei rilievi archeologici. L’operato di Roma Metropolitane nell’appaltare l’opera “appare non coerente con i principi di trasparenza e di efficienza per aver messo a gara un progetto di tale rilevanza in carenza di adeguate indagini preventive, per una parte molto estesa del tracciato, senza tenere in debito conto i pareri espressi dalla Soprintendenza archeologica”, mette nero su bianco l’Authority.
E questo “ha determinato una notevole aleatorietà delle soluzioni progettuali da adottare nella fase di esecuzione e, ad appalto già in corso, rilevanti modifiche rispetto alle previsioni contrattuali, imputabili in parte anche al contraente generale”. In pratica nel progettare il percorso si faceva in modo di non tenere conto della possibilità di imbattersi nei resti di una villa romana, di una esedra o di un acquedotto. Quando accadeva, si faceva una variante al progetto. Ogni volta. Così il costo dell’opera non ha fatto che aumentare.