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venerdì 22 giugno 2018

Caso Maugeri, Corte dei Conti sequestra 5 milioni a Roberto Formigoni: “Deviò la sua funzione pubblica per fini privati”.

Caso Maugeri, Corte dei Conti sequestra 5 milioni a Roberto Formigoni: “Deviò la sua funzione pubblica per fini privati”

Coinvolti anche l’ex faccendiere Pierangelo Daccò e l’ex assessore Antonio Simone: in totale la cifra sequestrata è di 30 milioni di euro. Proprio per i casi San Raffaele e Maugeri, l'ex governatore della Lombardia condannato in primo grado a 6 anni con l'accusa di corruzione. Tra cinque giorni la sentenza d'appello.


A cinque giorni dalla sentenza d’appello nel processo penale la Procura della Corte dei Conti della Lombardia ha disposto il sequestro di 5 milioni di euro a carico dell’ex governatore della Regione Roberto Formigoni per la vicenda Maugeri. I pm contabili hanno ordinati sequestri “conservativi” anche a carico degli altri imputati nel processo penale tra cui l’ex faccendiere Pierangelo Daccò e l’ex assessore Antonio SimoneQuesti ultimi due hanno scelto di concordare la pena, mentre per l’ex senatore di Ap l’accusa ha chiesto una pena di 7 anni e mezzo, più alta di quanto inflitto dal Tribunale di Milano in primo grado: sei anni per corruzione. In totale la cifra sequetrata supera i 30 milioni di euro. Secondo la difesa, invece, la teoria dell’accusa “prima ancora di essere provata non tiene sotto il profilo della logica. Qui i giudizi, le impressioni si sostituiscono ai fatti. E sostenere che a monte c’è un sistematico asservimento” di Roberto Formigoni “e a valle le pressioni che egli fa, è una invenzione”, ha dichiarato uno degli avvocati dell’ex governatore, Luigi Stortoni.
Le indagini della magistratura contabile: “Sistema illecito”.
Ma anche la magistratura contabile condivide le conclusioni della Procura. Inoltre c’è stata “una complessa ed articolata attività istruttoria”, diretta da Salvatore Pilato, “perché fondata sugli analitici e puntuali riscontri di contabilità finanziaria, integrati dalle fonti probatorie provenienti dai giudizi penali, con la fondamentale collaborazione della Guardia di Finanza di Milano”, delegata ad eseguire i sequestri, i magistrati hanno definito “gli accertamenti relativi al finanziamento da parte della Regione Lombardia della Fondazione Salvatore Maugeri, ente ospedaliero accreditato con il sistema sanitario regionale”. Per i pm contabili, anche sulla base degli atti penali, è “emersa la distrazione dal finanziamento delle cosiddette funzioni non tariffabili, dei contributi regionali a finalità vincolata per l’importo stimato nell’invito a dedurre nella misura di euro 59.383.107″. Contestato un danno erariale, dunque, di quasi 60 milioni nei confronti della Regione Lombardia. Ed è emersa l’esistenza di “un sistema illecito composto da soggetti interni all’amministrazione regionale”, tra cui proprio l’ex governatore, “e da soggetti esterni, che hanno cooperato in consapevole concorso per la distrazione delle risorse economiche dalle finalità pubbliche”. 

Il “provvedimento cautelare” disposto dai magistrati “è stato limitato alle quote di profitto realizzate da ciascuno dei presunti responsabili”: 5 milioni a Formigoni, 4 milioni all’ex presidente della Fondazione Umberto Maugeri, 4 milioni all’ex direttore amministrativo Costantino Passerino e 10 milioni a testa a Daccò e Simone. I sequestri conservativi riguardano “beni immobili, crediti anche a titolo di vitalizio, conti correnti bancari” nei limiti “delle quote di arricchimento personale”. Per l’11 luglio è fissata l’udienza di convalida dei sequestri conservativi.
Formigoni “si adoperò per deviare la funzione pubblica a fini privati”
L’ex Governatore lombardo Roberto Formigoni “si è adoperato per ‘deviare’ la funzione pubblica a fini privati, avvalendosi dei ‘mediatori/agevolatorì Pierangelo Daccò e Antonio Simone, con interventi e pressioni sugli uffici regionali, mirati alla precisa finalità di drenare illecitamente una ingentissima quantità di risorse pubbliche, assegnate a copertura dei fondi destinati alle cosiddette funzioni non tariffabili”. La misura cautelare, spiegano i pm contabili, “è stata eseguita a garanzia del credito risarcitorio dell’Amministrazione regionale, a fronte della commissione di illeciti dolosi motivati da ragioni economiche“.
Allo “stato degli atti non risultano corrisposte le provvisionali” di risarcimento stabilite dal Tribunale di Milano con la sentenza del dicembre 2016 che ha condannato Formigoni anche a versare 3 milioni di euro, in solido con l’uomo d’affari Pierangelo Daccò e con l’ex assessore lombardo Antonio Simone, alla Regione Lombardia. Nel disporre ed eseguire i sequestri i pm contabili chiariscono anche che non hanno riconosciuto alcuna “rilevanza” alle confische disposte nel processo penale (oltre 6,6 milioni a carico di Formigoni) perché quelle confische penali “hanno una rilevanza esclusivamente sanzionatoria e non risarcitoria del danno pubblico“.
I magistrati: “Danno erariale di oltre 73 milioni di euro”
La Procura contabile spiega, inoltre, di aver eseguito i sequestri perché “l’ingente danno contestato rende assai probabile l’esecuzione di atti in grado di diminuire la garanzia patrimoniale del credito erariale” vantato dalla Regione Lombardia “da parte dei membri del sodalizio criminoso”. I magistrati, in particolare, hanno calcolato il danno erariale in relazione alle somme “retrocesse” a favore dei “partecipanti al sistema illecito”, tra cui Formigoni, e su un “complessivo finanziamento regionale” alla Maugeri, tra il ’98 e il 2010, di oltre 73 milioni di euro. Da questa cifra, però, è stato detratto il risarcimento di 14 milioni già corrisposto dalla Fondazione Maugeri alla Regione e, dunque, il danno finale è di circa 60 milioni. I presunti intermediari della corruzione, Daccò e Simone, tra l’altro, avrebbero girato “parte delle somme ricevute” dalla Maugeri “al Presidente Formigoni sia in contanti, sia sotto forma di utilità patrimoniali di vario genere e natura“, tra cui l’ormai famoso uso di yacht per le vacanze. Alla Maugeri, nel frattempo, “in violazione degli obblighi di imparzialità ed esclusivo perseguimento dell’interesse pubblico, sono state assegnate ingenti somme del fondo sanitario regionale”. Il “complesso sistema illecito”, infine, come emerso anche dall’inchiesta della Procura di Milano, era basato anche su una “rete di società italiane ed estere (anche in centri offshore)”.

giovedì 22 dicembre 2016

Roberto Formigoni condannato a sei anni per corruzione nella sanità lombarda. “Vacanze di lusso in cambio di fondi”. - Giovanna Trinchella




L'ex governatore della Regione Lombardia, attuale senatore Ncd e presidente della Commissione agricoltura, riconosciuto colpevole in primo grado per i casi San Raffaele e Maugeri, due fra i maggiori scandali della sanità regionale. Caduta l'associazione a delinquere. Disposti anche sei anni di interdizione dai pubblici uffici e il pagamento di tre milioni al Pirellone, in solido con i coimputati Daccò (nove anni e due mesi) e Simone (otto anni e otto mesi). Sette anni a Passerino, ex direttore della clinica pavese. Le "utilità" ricevute dal "Celeste" in cambio di finanziamenti pubblici per 200 milioni alle strutture private stimate dai pm Pedio e Pastore in 8 milioni, tra vacanze e contanti. Il legale: "Cortesie, non tangenti". Cinque assolti, tra loro Perego e Lucchina. Confische complessive per 53,8 milioni.

L’ex presidente della Lombardia, e senatore di Ncd, Roberto Formigoni è stato condannato a 6 anni di carcere per corruzione, mentre è caduta – “per non aver commesso il fatto” – l’accusa di associazione a delinquere. Lo ha deciso la decima sezione penale del Tribunale di Milano nel processo sul caso Maugeri e San Raffaele per il quale l’ex numero uno del Pirellone era imputato con altre nove persone. La sentenza, letta nella maxi aula della Prima Corte d’Assise d’Appello, la stessa dei processi a carico di Silvio Berlusconi, arriva otto mesi dalla richiesta di pena, quantificata dai pm in nove anni. E innesca subito la polemica politica, non solo regionale, mentre il governatore leghista Roberto Maroni sceglie di “prendere atto” senza ulteriori commenti.
Le condanne per Daccò e gli altri
Per il “Celeste”, alla guida della Regione ininterrottamente dal 1995 al 2013, già democristiano ed esponente di Forza Italia di osservanza ciellina, poi approdato fra gli alfaniani, i giudici hanno disposto anche sei anni di interdizione dai pubblici uffici. Il tribunale ha condannato Formigoni in solido con Pierangelo Daccò e l’ex assessore Antonio Simone – coimputati al processo, entrambi ciellini – a versare una provvisionale complessiva alla Regione Lombardia di 3 milioni di euro. Daccò è stato condannato a 9 anni e 2 mesi (l’accusa aveva chiesto 8 anni e 8 mesi) e Simone a 8 anni e 8 mesi come chiesto dalla pm Laura Pedio e Antonio Pastore. Condannati anche l’ex direttore amministrativo della Maugeri, Costantino Passerino, a 7 anni, e l’imprenditore Carlo Farina a 3 anni e 4 mesi.
Confiscato il tesoretto del Celeste
Il tribunale ha disposto la confisca di circa 6,626 milioni di euro, in beni tra i quali quadri, quote di proprietà di sette ‘abitazioni’ (da Sanremo a Lecco ad Arzachena), di due box, di un terreno, di un ufficio e di un negozio a Lecco, oltre a tre auto e conti correnti. Per quanto riguarda la quota del 50% di proprietà della villa in Sardegna il cui acquisto era stato uno dei punti al centro dell’inchiesta, i giudici hanno deciso il trasferimento di quelle quote in capo allo storico amico di Formigoni, Alberto Perego, assolto oggi insieme ad altri quattro imputati: l’ex moglie di Daccò Carla Vites, l’ex dg della sanità regionale Carlo Lucchina, l’ex segretario generale del Pirellone Nicola Maria Sanese e l’ex dirigente regionale Alessandra Massei. I pm avevano chiesto le loro condanne. In particolare avevano chiesto 5 anni e 6 mesi di carcere per Lucchina e Sanese e 5 anni per Perego. Le confische disposte dal tribunale a carico dei cinque condannati ammontano a oltre 53,8 milioni di euro: 15,9 milioni a Simone, 23,353 a Daccò, 8 a Passerino.
La difesa: “Presenteremo appello, erano cortesie”
La difesa di Formigoni attende di leggere le motivazioni e poi presenterà ricorso in appello, ha spiegato l’avvocato Mario Brusa, uno dei legali del senatore. “Un’ottima cosa”, ha aggiunto, l’assoluzione dell’ex Governatore dall’associazione per delinquere. Un altro difensore del politico Ncd, Luigi Stortoni, aggiunge all’Ansa che non di corruzione ma di “cortesie” nei confronti del Celeste si è trattato: “L’assoluzione dei funzionari della Regione dimostra che le attività erano svolte in maniera legale e che la sanità lombarda era gestita correttamente. Questo conferma che i cosiddetti benefit non erano corruzione ma ‘cortesie‘”. “Questo risultato oltremodo ci sorprende”, hanno commentato invece gli avvocati Gabriele Vitiello e Matteo De Luca, legali di Daccò. “È una sentenza che di certo stravolge la verità – hanno aggiunto -. Attendiamo ovviamente di leggerne le motivazioni per predisporci a un doveroso atto di appello”.
L’accusa: “Corrotto con viaggi e vacanze”, la difesa: “Un teorema”
Per l’accusa il faccendiere Pierangelo Daccogià condannato nel processo San Raffaele, e l’ex assessore lombardo Antonio Simone sarebbero stati “il borsellino” attraverso cui l’allora governatore avrebbe goduto di una serie di benefit di lusso, tra cui “viaggi ai Cairabi e barche con tanto di champagne a bordo”. In questo modo il Celeste, per i pm di Milano Laura Pedio e Antonio Pastore, era “capo” di un “gruppo criminale” che avrebbe “sperperato 70 milioni di euro di denaro pubblico con un grave danno al sistema sanitario”. Soldi tolti ai malati per i suoi sollazzi, grazie a “corruzione sistemica durata 10 anni”. Soldi “rubati, rubati ai malati della Regione Lombardia, soldi pubblici che erano destinati a curare malattie, ad accorciare liste di attesa, ad aumentare posti letto, a comprare farmaci… – aveva detto il pm -. E anche i soldi con cui è stato costruito un ospedale in Cile per i bambini cerebrolesi sono stati rubati ad altri malati”.
Formigoni né da indagato né da imputato, come era suo diritto, si è fatto interrogare, ma per gli inquirenti durante le dichiarazioni spontaneein cui affermava che i suoi atti erano legittimi e incontestabili bollando come un teorema le ricostruzione della Procura di Milano, ha “mentito”. Ed è venuto a farlo, aveva aggiunto il pm Pedio, “qua in aula da senatore della Repubblica e da presidente della Commissione Agricoltura”. Secondo l’accusa, dalle casse della Fondazione Maugeri – il cui ex presidente Umberto Maugeri – ha patteggiato una pena a sarebbero usciti circa 61 milioni di euro tra il ’97 e il 2011 e dalle casse del San Raffaele, tra il 2005 e il 2006, altri nove milioni di euro. Tutti soldi che sarebbero confluiti sui conti e sulle società di Daccò e Simone, considerati i collettori di quelle tangenti fatte di giornate in barche e flûte, di cene e vacanze, quantificate in circa otto milioni di euro. E lui in cambio, sempre secondo l’accusa, avrebbe favorito la Maugeri e il San Raffaele con atti di Giunta garantendogli rimborsi per 200 milioni di euro.
Formigoni, l’amico Perego e la villa in Sardegna
Formigoni, assieme all’amico di una vita e anche lui tra i ‘memores domini’, Alberto Perego, avrebbe avuto “i poteri di armatore” su tre yacht che, uno dietro l’altro, Dacco’ gli avrebbe messo a disposizione per il suo “uso esclusivo”, con tanto di “cabine riservate” e “marinai” a disposizione per un totale di circa 4,7 milioni di euro. Oltre, poi, a cinque viaggi ai Caraibi interamente pagati, a un finanziamento da 600mila euro per una campagna elettorale nel 2010, alle cene per la quali Formigoni “non sborsava come al solito neanche un centesimo”. Dacco’ avrebbe garantito, a detta dei pm, a Formigoni e al suo “prestanome” Perego un maxisconto da 1,5 milioni di euro sull’acquisto di una villa in Sardegna non potendo Perego pagare “il mutuo da oltre 6mila euro”, l’ex numero uno del Pirellone nel dicembre del 2010 lo nominò, hanno ricostruito i pm, come membro del cda dell’Istituto nazionale di genetica molecolare garantendogli cosi’ “uno stipendio superiore ai 100mila euro all’anno”.
Pm: “I conti correnti silenti di Formigoni che non si comprava neanche un vestito”
Durante la requisitoria il pm aveva descritto anche una scena definita “agghiacciante”. Quella di un Presidente che consegna buste di contanti a un direttore di banca nel Palazzo della Regione e si raccomanda di non versarli sul suo conto ma su un conto di ‘transito'”. Formigoni, infatti, sempre secondo i pm, avrebbe goduto anche di “parte di quegli milioni di euro in contanti”‘ di Dacco’. Tra il 2002 e il 2012, invece, “i conti del Presidente sono rimasti silenti” perché, aveva detto il pm Pedio, “lui non si comprava neanche un vestito, non si pagava neanche un aereo per andare in Sardegna a godersi la sua bella barca”.

mercoledì 21 settembre 2016

Processo Maugeri, “70 milioni di euro tolti ai malati per i sollazzi di Formigoni”.

Processo Maugeri, “70 milioni di euro tolti ai malati per i sollazzi di Formigoni”

Secondo il pm di Milano Laura Pedio dalle casse della Maugeri sarebbero usciti circa 61 milioni di euro tra il '97 e il 2011 e dalle casse del San Raffaele tra il 2005 e il 2006 altri nove milioni di euro. Tutti soldi che sarebbero confluiti sui conti e sulle società di Daccò e Simone, presunti collettori delle tangenti, i quali poi avrebbero garantito circa otto milioni di euro in benefit di lusso, tra cui vacanze, l’uso di yacht e finanziamenti per la campagna elettorale all’allora governatore lombardo Formigoni, l'acquisito di una villa in Sardegna.

Per il Celeste il pm di Milano Laura Pedio ha già chiesto nove anni il 15 aprile 2016, al termine di una lunga e dettagliata requisitoria in cui la pubblica accusa ha contestato a Roberto Formigoni il ruolo di “corrotto” e a Pierangelo Daccò quello di “collettore delle tangenti”
L’ex presidente della Regione Lombardia ha sempre respinto le accuse e dopo l’arringa difensiva la parole è passata di nuovo, per le controrepliche al pubblico ministero. Che in un’ora ha fissato un punto fondamentale nel chiarire quali possono essere le conseguenze della corruzione. Perché quel sistema messo insieme dal “gruppo criminale” al centro del caso Maugeri ha portato a sottrarre “oltre 70 milioni di euro alle cure dei malati lombardi. Milioni di euro pubblici finiti in una percentuale del 25 per cento nelle tasche di Daccò e Simone per finanziare i sollazzi di Formigoni, dei suoi familiari e dei suoi amici” ha sottolineato il pm nell’udienza del processo con al centro la vicenda della Fondazione di Pavia nel quale tra i 10 imputati figurano oltre all’attuale senatore di Ncd Formigoni, l’ex assessore Antonio Simone e l’ex dg della sanità lombarda Carlo Lucchina.
Il pm Pedio ha replicato ai difensori degli imputati che hanno bollato la ricostruzione della Procura “illogica” e hanno parlato di “buio della prova” sottolineando come l’accusa “ha avuto argomenti insuperabili” e come nessuno dei legali è riuscito a smontare il quadro accusatorio. Durante l’intervento l’accusa ha paragonato Formigoni all’ex senatore statunitense Duke Cunningham. Nel sostenere che le utilità ricevute dall’ex governatore lombardo da parte di Daccò non sono, come ha affermato la sua difesa, “cortesie tra amici” ma semmai “pagamenti corruttivi”, ha ricordato il caso dell’ex senatore americano Cunningham condannato nel 2005 a 8 anni e 4 mesi per corruzione. “Tra i pagamenti corruttivi – ha elencato il pm – c’erano un’imbarcazione per uso e divertimento del membro del Congresso, viaggi aerei, vacanze e anche oggetti di antiquariato”. Oltre a questo il rappresentante dell’accusa ha citato una sentenza della Cassazione dell’agosto 2009. La Suprema corte aveva condannato “per molto meno” l’ex direttore generale della sanità del Piemonte per “una crociera con la moglie, una piccola imbarcazione, pernottamenti a San Remo e qualche fiches del Casinò”.
Secondo l’accusa, infatti, dalle casse della Maugeri sarebbero usciti circa 61 milioni di euro tra il ’97 e il 2011 e dalle casse del San Raffaele tra il 2005 e il 2006 altri nove milioni di euro. Tutti soldi che sarebbero confluiti sui conti e sulle società di Daccò e Simone, presunti collettori delle tangenti, i quali poi avrebbero garantito circa otto milioni di euro in benefit di lusso, tra cui vacanzel’uso di yacht e finanziamenti per la campagna elettorale all’allora governatore lombardo Formigoni, l’acquisito di una villa in Sardegna. E lui in cambio, sempre secondo l’accusa, avrebbe favorito la Maugeri e il San Raffaele con atti di giunta garantendogli rimborsi indebiti (circa 200 milioni di euro per la Maugeri). Dopo l’intervento del pm, durato circa un’ora, il Tribunale ha rinviato per le controrepliche delle difese al 15 e al 22 dicembre prossimi, giorno, quest’ultimo in cui dovrebbe arrivare la sentenza.

domenica 7 ottobre 2012

Formigoni, urlare per non dire. - Peter Gomez



Fino a tre mesi fa Roberto Formigoni si ispirava a un celebre aforisma del poeta Paul Valéry: “Quando non si può attaccare il ragionamento si attacca il ragionatore”.
Non appena c’erano domande sulle sue vacanze dal valore di molte centinaia di migliaia di euro, pagate da Pierangelo Daccò, il governatore accusava la stampa di aver falsificato i verbali. Poi è arrivato l’invito a comparire per corruzione. E Formigoni dai poeti è passato ai filosofi.
Per distogliere l’attenzione dal nocciolo della questione – a Daccò sono stati versati 70 milioni di euro da un ospedale privato come compenso per i 200 milioni di fondi regionali concessi a quella struttura – il Celeste si è aggrappato all’Arte di ottener ragione, il trattato di Shopenhauer pubblicato postumo perché il grande pensatore si vergognava di avervi minuziosamente elencato “le vie traverse e i trucchi di cui si serve la natura umana per celare i suoi difetti”.
Stratagemmi del tipo: se si è di fronte a un’argomentazione che ci batterà “non dobbiamo consentire che sia portata a termine, ma dobbiamo interrompere e sviare”. Regola applicata mercoledì sera anche a Porta a Porta quando chi scrive ha tentato di farlo parlare degli scandali della sanità lombarda. Con due particolarità però. Formigoni alza sempre di più toni, arrivando ormai a urlare. E, per anestetizzare i cittadini, occupa costantemente il piccolo schermo.
Perché come spiega questa volta uno storico, Tacito: “Il crimine, quando scoperto, non ha altro rifugio che la sfrontatezza”. E noi, che siamo semplici cronisti, la sfrontatezza la vediamo tutta. Il resto, invece, è solo materia da tribunali.