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domenica 15 agosto 2021

Cartabia sul Ponte: piovono balle, promesse e omissioni. - Marco Grasso

 

Genova - L’azzardo: “Nessuna prescrizione per il maxi-processo”.

“Lo voglio dire qui, davanti a voi, senza possibilità di equivoci: non c’è mai stato rischio per il processo sul Ponte Morandi”. Lo ha detto ieri il ministro Marta Cartabia: nessuna prescrizione per il maxi-processo di Genova. Il palco è quello dove si commemora il terzo anniversario della strage del viadotto Polcevera. A questo passaggio il pubblico applaude. In platea ci sono molti familiari delle vittime del crollo. È a loro che si rivolge la Guardasigilli, con un argomento quantomeno singolare: la sua riforma, sembra quasi volerli rassicurare, non si applicherà al loro processo. E accusa chi dice il contrario di “disonestà intellettuale” e di “allarmismo infondato” che “aggiungono ulteriore dolore”.

Ma ecco le parole esatte usate nel suo intervento: “Nelle ultime settimane so che è stata per voi e per tutta la città fonte di preoccupazione l’opinione, del tutto destituita di fondamento, per cui la riforma del processo penale potrebbe frustrare la vostra bruciante domanda di verità e giustizia. Lo voglio ripetere qui davanti a voi, senza possibilità di equivoci: non c’è mai, mai stato alcun rischio per il processo sul Ponte Morandi. Anzi, avendo ascoltato le vostre parole questa mattina, c’è un pensiero che non posso tacere. Bisognerebbe riflettere più di una volta prima di diffondere opinioni che generano allarme e gravano di ulteriore peso chi già porta un così grande dolore. Basterebbe leggere il testo della riforma, e non serve un giurista per verificare che si applica a reati successivi al 1 gennaio 2020. Ma questo sarebbe poco. Non solo il processo per il Morandi, ma tutti i processi che riguardano altri gravi disastri, o qualunque altra vicenda umana, debbono essere portati a termine. Il governo ha lavorato a questa riforma per assicurare un accertamento tempestivo di tutte le responsabilità, non per stroncare il lavoro dei giudici”.

Il discorso ufficiale è stato affiancato da un incontro con i familiari delle vittime. Un colloquio in cui la ministra ha esposto sostanzialmente quattro concetti. Il primo è lo stesso ribadito davanti ai microfoni: l’irretroattività della norma. Il secondo: i processi particolarmente complessi avranno strade preferenziali. Terzo: la giustizia viaggerà più rapida grazie alle 8 mila figure che verranno inserite (a tempo determinato) nell’ufficio del processo. Quarto: Cartabia ha spiegato di avere in mente la creazione di una “task force” di 200 magistrati “mobili”, che andranno a coprire le emergenze di volta in volta. In altre parole: “Nessuna tagliola, vogliamo che tutti i processi arrivino in fondo”. Ma è davvero così?

Partiamo dalla questione principale: la riforma non riguarderà il processo sul Ponte Morandi. Sul Fatto è stato scritto più volte il motivo per cui questa affermazione potrebbe essere smentita: una norma che interviene su una questione “sostanziale” come la pena, può essere impugnata davanti alla Corte Costituzionale, per chiedere che abbia efficacia retroattiva (secondo il principio del favor rei: un imputato ha diritto a essere giudicato secondo la legge a lui più favorevole). In altri termini, se l’appello durasse più di due anni o il processo in Cassazione più di uno, qualunque avvocato potrebbe presentare a nome di un cliente condannato un’eccezione di costituzionalità. E sarebbe tutt’altro che infondata. Un’opinione condivisa da molti giuristi, magistrati e avvocati. È a questa platea che si rivolge la ministra quando parla di “opinioni che generano allarme e gravano di ulteriore peso chi già porta un cosi grande dolore” o solo a quei giornalisti che mettono una cosa in connessione con l’altra? Secondo argomento: le corsie preferenziali per processi di “particolare complessità”. Qui sono i costituzionalisti che hanno già lanciato avvertimenti: ogni volta che si creano binari speciali, l’incostituzionalità è dietro l’angolo. Perché reati puniti con la stessa pena, rischiano di essere giudicati con regole diverse (un esito illogico). E sui reati comunitari potrebbe essere l’Ue a censurare l’Italia per bloccarne l’improcedibilità.

Quanto alle risorse aggiuntive (i cui meriti invero andrebbero riconosciuti a Bonafede), qui la questione discutibile è accostare le 8 mila assunzioni di assistenti giudiziari alla promessa di concludere tutti i processi d’appello entro due anni, e in Cassazione entro uno: si può davvero fare senza assumere nuovi magistrati? Quanto all’idea della “task-force”, assomiglia a un rafforzamento di figure già esistenti, i magistrati in applicazione extra-distrettuale: spesso usati come “jolly”, e per questo poco specializzati, sono figure raramente risolutive, se i problemi sono strutturali (uffici che accumulano costantemente più fascicoli di quanti ne possono smaltire). La rassicurazione finale: un cuscinetto di 4 anni, dice la ministra, permetterà di valutare l’efficacia della norma e valutare eventuali modifiche. Peccato che non sia farina del suo sacco, ma il compromesso uscito dalla trattativa con Giuseppe Conte.

ILFQ


lunedì 3 agosto 2020

Un Ponte a 5 stelle. - Tommaso Merlo



La corsa per accaparrarsi i meriti del Ponte è iniziata da mo’. Ma se era per i vecchi partiti il Ponte di Genova lo avrebbero ricostruito i Benetton che all’inaugurazione si sarebbero seduti in prima fila col doppiopetto di sartoria e un ghigno in faccia. Pregustando i mega profitti e il pugno di mosche dei processi a loro carico. Andazzo italiano. Inconcludenti calvari giudiziari coi parenti delle vittime fuori dal tribunale con dei cartelli in mano e gli automobilisti a farsi spennare su una rete fatiscente. Come nulla fosse. In attesa del crollo successivo. Il solito andazzo. Delle stragi impunite. Della legge del più forte che coincide col più ricco. Ed invece questa volta è andata diversamente. Eccome se lo è. Il Ponte di Genova crollò a pochi mesi dal 4 marzo, una tornata elettorale anomala che portò alla nascita di un governo che Conte definì “populista” ma in senso buono e cioè al servizio del popolo dopo decenni in cui la politica s’inginocchiava davanti a potentati di ogni risma. Sembrava l’inizio di un nuovo paradigma. Un entusiasmo e una voglia di cambiamento che crollato il Ponte determinò un fatto storico. Il governo si schierò subito e con forza dalla parte dei cittadini. Ma non a chiacchiere. A fatti. Invece di nascondersi dietro al peloso garantismo, la politica si assunse le sue responsabilità. Escludendo i Benetton dalla ricostruzione e avviando la procedura per la revoca delle concessioni. Fu la determinazione del Movimento a portare al Modello Genova nonostante resistenze e allarmismi dei soliti uccellacci del malaugurio. Che perfino la Lega fosse dalla parte dei Benetton lo si è scoperto solo dopo. Non hanno mai avuto il coraggio di ammetterlo apertamente per paura di perdere voti. I cittadini avevano del resto innalzato il Ponte a simbolo del nuovo corso politico ignorando le ambizioni dell’ego selvatico di Salvini che un anno dopo mandò tutto all’aria. Un voltafaccia che riapriva le porte ai Benetton. Ma Salvini è solo un membro della foltissima tribù dei voltagabbana che scorrazzano per il Belpaese. E così quello che rimane della fu sinistra si decise a sporcarsi le mani con quegli impestati del Movimento facendo nascere un nuovo governo. Una fu sinistra che nel sottobosco lobbistico ci ha sguazzato per decenni collezionando perle preziose proprio come quella di regale le autostrade ai Benetton. Cambia comunque trama. Il coriaceo ministro Toninelli viene messo alla porta ed iniziano mesi di silenzi tombali e ritardi giurassici intorno alla bega autostradale. I corvacci del malaugurio gracchiano di goduria prefigurando l’ennesima sconfitta degli impestati a 5 stelle. Una seconda TAV e un pronto ritorno agli splendori del vecchio regime partitocratico. Melina, veti incrociati, perverso retroscemismo. Ma la fu sinistra è troppo molle. Col 4 marzo ha rischiato l’estinzione e non può permettersi di buttar via un’insperata opportunità di riscatto. A mettere fine al calvario ci pensa Giuseppe Conte salendo in cattedra e siglando un clamoroso e storico accordo. Le autostrade ritornano ai loro legittimi proprietari e cioè ai cittadini italiani in attesa che i responsabili del crollo paghino fino all’ultimo centesimo di responsabilità. Una vittoria dei cittadini, una vittoria della politica, una vittoria dello Stato e dell’interesse pubblico su quello privato, ma anche una innegabile vittoria degli impestati del Movimento. Una vittoria da ricordare. Con tutti i media e i soldi dalla sua parte, il vecchio regime partitocratico potrebbe riuscire a tornare in sella prima o poi. Ma comunque vada a finire, il Ponte a 5 stelle di Genova rimarrà lì, in piedi. A ricordare a tutti quanto sia dura la battaglia per il cambiamento, ma quanto alla fine valga la pena combatterla anche in un paese martoriato come il nostro.

https://repubblicaeuropea.com/2020/08/03/un-ponte-a-5-stelle/