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giovedì 21 marzo 2019

"Scoperta loggia segreta": maxi blitz nel Trapanese. -

Scoperta loggia segreta: maxi blitz nel Trapanese

Una "loggia segreta capace di condizionare la politica e la burocrazia". E' quanto fanno sapere gli inquirenti sulla vasta operazione dei carabinieri nel trapanese nella quale sono state arrestate 27 persone tra cui l'ex presidente dell'Assemblea regionale siciliana Francesco Cascio. Della loggia avrebbero fatto parte, oltre ai politici, massoni e alcuni professionisti di Castelvetrano.

In carcere anche l'ex deputato regionale di Forza Italia Giovanni Lo Sciuto, ritenuto a capo della loggia segreta. Avrebbero tutti fatto parte, secondo l'accusa, di una "associazione a delinquere segreta". L’inchiesta è coordinata dal procuratore Alfredo Morvillo, dall’aggiunto Maurizio Agnello e dai sostituti Sara Morri, Andrea Tarondo e Francesca Urbani. E ci sono anche tre poliziotti tra gli arrestati nell'ambito dell'inchiesta denominata 'Artemisia': uno presta servizio alla questura di Palermo, uno a Castelvetrano e uno alla Dia di Trapani.

LE ACCUSE -
 Tutte le 27 persone finite in manette sono accusate, a vario titolo, di corruzione, concussione, traffico di influenze illecite, peculato, truffa aggravata, falsità materiale, falsità ideologica, rivelazione e utilizzazione del segreto d'ufficio, favoreggiamento personale, abuso d'ufficio ed associazione a delinquere secreta finalizzata ad interferire con la pubblica amministrazione (violazione della c.d. legge Anselmi).
Per gli stessi reati sono stati notificati anche 5 obblighi di dimora e una misura interdittiva della sospensione dall'esercizio del pubblico ufficio, nonché notificate altre 4 informazioni di garanzia ad altrettanti indagati: sono quindi 10 le persone indagate a piede libero. "Scoperto un vasto sistema corruttivo negli enti locali - dicono gli inquirenti -, quali il comune di Castelvetrano e l’Inps di Trapani". L'indagine ha inoltre portato "alla luce diversi episodi di violazione del segreto istruttorio e favoreggiamento nei confronti di Lo Sciuto" da parte "di appartenenti alle Forze dell'Ordine e di esponenti politici regionali, quali l'ex deputato regionale Francesco Cascio, tratto anch'egli in arresto".

LE INDAGINI - Le indagini dei carabinieri del Nucleo investigativo di Trapani, coordinati dalla Procura trapanese, sono iniziate nel 2015 e "hanno avuto come fulcro l'ex deputato regionale Giovanni Lo Sciuto", in carica fino al 2017, "a carico del quale sono emersi gravi indizi di reità in ordine alla commissione di numerosi reati contro la Pubblica amministrazione al cui fine ultimo era costantemente quello di ampliare la sua base elettorale in vista delle varie elezioni e di conseguenza il proprio potere politico".
Le indagini hanno permesso "di accertare che Lo Sciuto creava uno stabile accordo corruttivo con Rosario Orlando, ex responsabile del Centro Medico Legale dell'Inps, fino al maggio 2016, poi collaboratore esterno dello steso ente quale ''medico rappresentante di categoria in seno alle commissioni invalidità civili'', che riusciva a corrompere, attraverso regalie ed altre utilità, nonché la sua intercessione con l'ex Rettore Roberto Lagalla, oggi assessore regionale all'Istruzione e destinatario di informazione di garanzia, per l'aggiudicazione di una borsa di studio a favore della figlia presso l'università di Palermo". Lagalla è indagato per corruzione.

GLI INQUIRENTI - Da Orlando l'ex deputato regionale "otteneva la concessione di numerose pensioni di invalidità, anche in assenza dei presupposti previsti dalla legge". E "ogni pensione di invalidità fatta concedere, in forza del consolidato accordo corruttivo - dicono gli inquirenti -, rappresentava per l'ex onorevole regionale un cospicuo pacchetto di voti certi".
Lo Sciuto, 56 anni, nella scorsa legislatura faceva parte della Commissione regionale antimafia. L'ex assessore e consigliere provinciale di Trapani, eletto deputato alle regionali del 2012 nella lista Mpa-Partito dei Siciliani, aveva così spiegato la scelta di far parte della Commissione antimafia: "Cercherò di essere la sentinella alla Regione per l'intera provincia di Trapani e per Castelvetrano in particolare''. In passato, Lo Sciuto era finito più volte nei rapporti antimafia della provincia di Trapani e anche sotto processo per un giro nel campo del cablaggio e poi assolto.

CASTELVETRANO - La "complessiva attività di indagine" ha inoltre "dimostrato ancora l'esistenza di una associazione a delinquere promossa ed capeggiata dall'ex deputato regionale Giovanni Lo Sciuto con la collaborazione, nel settore organizzativo, del massone Giuseppe Berlino, associazione che, con certezza indiziaria, vede tra i suoi membri ad esempio l'ex sindaco di Castelvetrano Felice Errante Jr., l'ex vice sindaco di Castelvetrano Vincenzo Chiofalo e il commercialista massone Gaspare Magro".
E c'è anche il candidato sindaco di Castelvetrano, Luciano Perricone, tra i 27 arrestati nell'inchiesta 'Artemisia'. Castelvetrano andrà al voto dopo due anni di commissariamento in seguito allo scioglimento per mafia. Secondo il gip, Perricone, "si è reso disponibile all'esecuzione delle direttive impartitegli da Giovanni Lo Sciuto nella consapevolezza dell'esistenza dell'associazione segreta e di agire in favore di questa, in particolare e tra l'altro rendendosi disponibile, in qualità di candidato Sindaco alle elezioni per il Comune di Castelvetrano, a rappresentare e garantire le esigenze del gruppo rappresentato da Lo Sciuto a fronte per dell'appoggio elettorale da parte di quest'ultimo".

IL PERIODO 2012-2017 - "Lo Sciuto e i suoi sodali, dopo aver 'governato' tramite il sindaco Felice Errante e il vice sindaco Chiofalo dal 2012 al 2017, raggiungevano un accordo con l'ex rivale politico Luciano Perricone, finalizzato - dice il gip - alla elezione del predetto alla carica di Sindaco in occasione delle elezioni del 2017".
Per quanto riguarda l'esistenza di questa associazione a delinquere, gli investigatori sottolineano come "non viene contestata, dal Giudice delle indagini preliminari, l'appartenenza alla massoneria in quanto tale. Non viene addebitata infatti alcuna responsabilità al maestro venerabile della Loggia al cui interno si annidava l'associazione segreta, in quanto è emerso chiaramente come il 'gruppo occulto', facente capo a Lo Sciuto, prendesse le decisioni a prescindere dalle direttive della loggia palese e si avvalesse degli aiuti degli appartenenti occulti più che di quelli palesi in caso di bisogno".

L'ASSOCIAZIONE - "Caratteristica precipua di tale associazione è che gli scopi della stessa non si limitavano alla esecuzione di una serie indeterminata di delitti ispirati da un medesimo disegno criminoso, ma ha avuto ad oggetto anche il condizionamento e l'asservimento dell'attività di organi costituzionali e di articolazioni territoriali della pubblica amministrazione alle finalità segrete del consesso criminoso", dicono gli inquirenti. Le finalità venivano, in particolare, "perseguite con modalità che garantivano la segretezza degli scopi associativi e della reale composizione del sodalizio, anche e soprattutto grazie al ruolo di appartenenti alle istituzioni".
E ancora: l'ex deputato regionale siciliano Lo Sciuto "godeva del rapporto privilegiato con il presidente dell'ente di formazione professionale Anfe (Associazione Nazionale Famiglie Emigrati), Paolo Genco, anch'egli tratto in arresto, con il quale creava uno stabile accordo corruttivo. Genco infatti gli garantiva sostegno economico e raccolta di voti per le sue candidature, così da rafforzare la sua posizione politica, nonché il suo consenso popolare, strettamente connesso alle assunzioni presso l'Anfe", dicono gli inquirenti.

I LEGAMI - Lo Sciuto "riusciva infatti ad ottenere assunzioni per persone da lui segnalate oltre che appoggio elettorale, anche finanziario - aggiungono gli investigatori -. In cambio intercedeva al fine di agevolare la concessione dei finanziamenti a favore dell'ente. Inoltre in qualità di deputato regionale e membro della commissione cultura, lavoro e formazione si prodigava per l'approvazione di delibere e progetti di leggi regionali a favore dell'Anfe".

venerdì 22 febbraio 2019

Trapani, “finanziava famiglia di Messina Denaro”: arrestato re delle scommesse online. Indagato deputato regionale di Fi. - Marco Bova

Trapani, “finanziava famiglia di Messina Denaro”:  arrestato re delle scommesse online. Indagato deputato regionale di Fi

Mafia ed estorsione: arrestati il re delle scommesse online Luppino e altri due imprenditori. Hanno anche sostenuto la candidatura all'Ars di Stefano Pellegrino, sotto inchiesta per corruzione elettorale.

Centri scommesse per finanziare la latitanza di Matteo Messina Denaro, il capomafia originario di Castelvetrano(Trapani) ricercato dal 1993. Tre arresti e una decina di indagati tra cui un deputato regionale che siede nella Commissione antimafia regionale. Il meccanismo emerso nell’indagine dei carabinieri condotta dalla Dda di Palermo, dall’aggiunto Paolo Guido e dai sostituti Gianluca De Leo e Francesca Dessì è rodato e sorge sulle ceneri dei business già consolidati. Dai rapporti con la politica fino alla gestione dei centri d’accoglienza per migranti. A partire dal principale arrestato, Calogero John Luppino, imprenditore di 39 anni divenuto bancomat della famiglia mafiosa di Castelvetrano dopo aver ricevuto il benestare per l’apertura dei centri di scommesse. Fondatore del movimento politico “Io Amo Campobello”, gestito assieme allo zio Mario Giorgi, anche lui arrestato dai carabinieri. In manette anche Francesco Catalanotto, di 47 anni originario di Castelvetrano cugino di Lorenzo Catalanotto e sodale di Luppino.

Il deputato regionale indagato è Stefano Pellegrino, politico originario di Marsala (Trapani) di 61 anni accusato di corruzione elettorale senza l’aggravante dell’agevolazione mafiosa. Pellegrino è un avvocato penalista e dal dicembre 2017 è stato eletto deputato dell’Assemblea Regionale Siciliana con oltre 7mila preferenze e adesso siede nella Commissione regionale antimafia. Pellegrino secondo la Dda di Palermo avrebbe ricevuto il sostegno elettorale di Salvatore Giorgi, detto Mario, e Calogero John Luppino animatori del movimento politico “Io Amo Campobello” che alle ultime elezioni hanno sostenuto l’elezione dell’attuale sindaco Giuseppe Castiglione e quella del deputato regionale Stefano Pellegrino, originario di Marsala (Trapani). A Pellegrino, che ora sarà interrogato dai pm, viene proprio contestata l’elezione all’Ars, avvenuta – stando all’accusa – anche grazie ai voti di Luppino e Giorgi che a loro volta regalavano pacchi della spesa in cambio della preferenza elettorale.

“Nella compravendita dei voti commessa dal Giorgi era direttamente coinvolto il politico Pellegrino in prima persona”, così scrive il gip che aggiunge come in prossimità delle elezioni regionali Pellegrino incontrò Giorgi e Luppino. Dopo l’elezione i due erano “quelli di Campobello, che mi hanno aiutato” e che potranno avere una serie di incarichi in “tre, quattro enti”. “Tutti Pellegrino hanno votato”, diceva Luppino consapevole che anche Dario Messina (finito in galera l’anno scorso nell’operazione Anno Zero) aveva sostenuto Pellegrino. Ordine che, non escludono i carabinieri del Ros, potrebbe essere arrivato perfino da Franco Luppino, capo della mafia di Campobello di Mazara, che da anni si trova recluso in carcere.
Calogero “John” Luppino dal 2006 al 2011 invece è stato consigliere comunale con l’Udeur. Proprietario di alcune società nel settore delle scommesse online tra cui la “Non solo Vip”. Nel 2014 ottenne una concessione per un centro d’accoglienza e con l’associazione Menzil Salah ne aprì uno a Salaparuta (Trapani) per cinquanta persone in un immobile di proprietà del comune. Sequestrate anche società per il valore di 5 milioni, compresa una di trasporti che gestiva un pullman per far spostare i migranti ospitati in un centro d’accoglienza. Per il collaboratore di giustizia LorenzoCimarosa (morto nel gennaio 2018 per morte naturale) Luppino era “quello delle macchinette”, vicino a Raffaele Urso, adesso in carcere. “Rosario Allegra (cognato del boss, anche lui in galera ndr) li aveva autorizzati ad aprire”, disse Cimarosa. Luppino secondo i pm ha avuto “un’ascesa favorita dagli affiliati ai mandamenti mafiosi di Castelvetrano e Mazara del Vallo, che obbligavano i vari esercizi commerciali ad istallare le apparecchiature delle società di Luppino e Giorgi, a fronte di pesanti ritorsioni”. Rosario Allegra è stato intercettato parlava con Catalanotto di 5000 euro che gli dovevano essere consegnati da Luppino aggiungendo che “la posizione che ha lui però la deve capire…”.

Era Catalanotto a mediare i rapporti con Rosario Allegra, cognato del boss e tra i colonnelli della famiglia di Castelvetrano, arrestato nell’operazione Anno Zero e da allora in carcere . Di recente Catalanotto è stato arrestato dai carabinieri per aver messo su una piccola piantagione di marijuana e da allora viveva con il braccialetto elettronico. Di lui parlò Lorenzo Cimarosadescrivendolo come “uno che lavora nel settore delle slot machine”. Almeno dal 2013 è uno dei collaboratori più fidati di Luppino. In alcune intercettazioni Catalanotto viene indicato come il “picciotto” di Rosario Allegra e secondo l’accusa era lui a portargli somme di denaro che sarebbero finite direttamente nelle casse della latitanza del ricercato Matteo Messina Denaro.
La politica, con i privilegi che rappresenta, è un piatto troppo gustoso e ghiotto da tralasciare. E, naturalmente, diviene la meta ambita da chi ha posto il denaro in cima alla lista delle sue aspettative di vita.
La mafia è ovunque sussistano potere e denaro, pertanto, poiché gioco d'azzardo e politica li rappresentano entrambi, li ha attaccati e conquistati utilizzando personaggi di dubbio spessore morale, e dotati di intelletto inesistente, per poter espandere i suoi lunghi tentacoli.
Cetta

mercoledì 9 gennaio 2019

Terrorismo e immigrazione clandestina, 15 fermi in Sicilia. Il pentito: “Parlo per evitare esercito di kamikaze in Italia”

Terrorismo e immigrazione clandestina, 15 fermi in Sicilia. Il pentito: “Parlo per evitare esercito di kamikaze in Italia”

Indagine della Dda di Palermo, che ha disposto 15 provvedimenti di fermo per terrorismo, associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e ingresso illegale di migranti nel territorio nazionale. L'inchiesta partita dalle parole di un uomo in carcere a Genova. Il cassiere dell'organizzazione, che gestiva sbarchi su gommoni veloci in provincia di Trapani, incitava al jihad su Facebook.


“Vi sto raccontando quello che so perché voglio evitare che vi troviate un esercito di kamikaze in Italia”. È iniziata con queste parole di un pentito del Jihad, l’indagine della Dda di Palermo che ha portato al fermo di 14 persone nelle province di PalermoTrapaniCaltanissetta e una a Ome, nel Bresciano. Le accuse sono di istigazione a commettere delitti in materia di terrorismo, associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e al contrabbando di tabacchi lavorati esteri, ingresso illegale di migranti nel territorio nazionale ed esercizio abusivo di attività di intermediazione finanziaria.
“Minaccia concreta alla sicurezza nazionale” – Al centro dell’inchiesta, condotta dal Ros dei carabinieri coordinati dal procuratore aggiunto Marzia Sabella e dai sostituti Gery Ferrara e Claudia Ferrari, c’è la tratta di migranti dalla Tunisia a bordo di scafi veloci. Gli appartenenti all’organizzazione criminale avrebbero rappresentato “una attuale e concreta minaccia alla sicurezza nazionale“, secondo quanto scrivono gli stessi magistrati della Direzione distrettuale antimafia, guidati da Francesco Lo Voi, nel provvedimento di fermo.

Per i pm c’erano legami con jihadisti – Gli investigatori parlano di “rischio terrorismo di matrice jihadista” e a loro avviso “sussistono significativi ed univoci elementi” per ritenere che l’organizzazione sia attualmente pericolosa perché fornisce “a diversi clandestini un passaggio marittimo occulto, sicuro e celere che, proprio per queste caratteristiche, risulta particolarmente appetibile anche per quei soggetti ricercati dalle forze di sicurezza tunisine, in quanto gravati da precedenti penali o di polizia ovvero sospettati di connessioni con formazioni terroristiche di matrice confessionale”, dicono i magistrati.
La propaganda islamista di un fermato – Uno degli indagati, in particolare, risulta essere contiguo “ad ambienti terroristici a sfondo jihadista pro Isis in favore di cui, attraverso la sua pagina Facebook, ha posto in essere una significativa azione di propaganda jihadista con incitamento alla violenza ed all’odio razziale”. E un “ulteriore segno di radicalizzazione a sfondo religioso” è rappresentata, secondo gli inquirenti, dall’iscrizione dell’indagato al gruppo Facebook “Quelli al quale manca il paradiso”.
“Martirio unica via per il paradiso” – Sul profilo Facebook dell’indagato, sottolineano ancora i magistrati della Dda palermitana, sono state trovati video e foto che inneggiavano all’Isis e con immagini di decapitazioni e sui social scriveva: “Il martirio e la jihad la sola via per aspirare al paradiso”. L’uomo è ritenuto uno dei cassieri dell’organizzazione e i pm sospettano che abbia usato il denaro guadagnato coi viaggi nel Canale di Sicilia anche per finanziare attività terroristiche.
Le risorse investite in immobili e banche – Le risorse economiche, stando all’indagine, “venivano infatti in parte occultate in proprietà immobiliari e in altra parte depositate in banche tunisine su conti fittiziamente intestati a soggetti residenti in Tunisia, circostanza questa che, per quanto emerso grazie alle intercettazioni svolte, avrebbe suscitato l’attenzione del Battaglione Anti-Terrorismo Tunisino il quale starebbe svolgendo delle investigazioni volte ad accertare la finalità di sospette operazioni finanziarie” che vedrebbero coinvolto uno fermati.
Come nasce l’inchiesta – Tutto è iniziato grazie alla collaborazione di un detenuto nel carcere di Genova che ha raccontato agli inquirenti di essere a conoscenza dell’esistenza di una organizzazione criminale che gestiva un traffico di esseri umani, contrabbandava tabacchi e aiutava ad espatriare soggetti ricercati in Tunisia per reati legati al terrorismo. “Vi sto raccontando quello che so perché voglio evitare che vi troviate un esercito di kamikaze in Italia”, ha riferito. E a quel punto è scattata l’indagine conclusa con l’operazione di oggi.
Le intercettazioni – “…Sedici volte sono andato in Tunisia, sedici volte vado in Tunisia e torno…”. Così, senza sapere di essere intercettato, parlava uno degli indagati. Secondo quanto ricostruito dalla procura, il gruppo criminale organizzava traversate veloci dal Paese nord-africano in cambio di 2.500 euro a migrante. In un’intercettazione, l’indagato Aymen Fathali telefonava a Mohamed alias Hamma “con il quale affrontava, sin da subito, rilevanti questioni inerenti la possibilità di poter attivare una direttrice di transito Tunisia/San Vito lo Capo, evidenziando di essere solito ad effettuare simili traversate”, si legge nel provvedimento di fermo.
“Ieri c’è stato uno sbarco” – Il dialogo, scrivono i magistrati, “poneva altresì in evidenza che Mohamed alias Hamma voleva fare arrivare in Italia il fratello, circostanza questa che faceva rammaricare Aymen Fathali il quale evidenziava che avrebbe dovuto saperlo prima, atteso che proprio il giorno precedente c’era stato uno sbarco“. Nel dialogo, evidenziano gli inquirenti, “dopo che Aymen Fathali faceva cenno a dei soggetti che avrebbe potuto interessare per la specifica vicenda (definiti, con termine affaristico, broker), si registrava quindi la rassicurazione del fatto che il fratello di Mohamed, grazie a Aymen Fathali ed al suo circuito di riferimento, sarebbe giunto illegalmente in Italia”.

venerdì 3 agosto 2018

Mafia, “è il tesoriere di Messina Denaro”. Sequestrati 60 milioni a imprenditore. “Finanziamenti anche da Banca Etruria”.

Mafia, “è il tesoriere di Messina Denaro”. Sequestrati 60 milioni a imprenditore. “Finanziamenti anche da Banca Etruria”

Giovanni Savalle non era mai stato coinvolto in inchiesta su Cosa Nostra. Oggi sono scattati i sigilli su 22 complessi aziendali, 12 pacchetti di azioni, 28 rapporti bancari, 47 fabbricati, 8 auto e la struttura dell'ex resort Kempisnsky di Mazzara del Vallo. Per i finanzieri, grazie ai rapporti con Alberto Rigotti, membro del Cda fino al 2010, ottenne soldi da Banca Etruria mentre le sue aziende erano prossime al fallimento.

Un signor Nessuno. Mai un’indagine, nemmeno un collegamento, seppur lontano, con gli ambienti mafiosi. Giovanni Savalle era un perfetto sconosciuto agli uomini dell’Antimafia siciliana. Qualche precedente per reati economici e finanziari, niente di più. Adesso il ragionere 53enne, imprenditore alberghiero originario di Castelvetrano come il superboss latitante di Cosa Nostra, viene visto sotto un’altra luce dai finanzieri del Gico di Palermo e dai carabinieri del Ros, che gli hanno sequestrato un patrimonio di oltre 60 milioni di euro.
Quasi 63 milioni sequestrati.
Aziende, conti, case, auto e villaggi non suoi. “È lui il tesoriere del boss Matteo Messina Denaro“, sostengono il procuratore aggiunto Marzia Sabella e il pm della Dda di Palermo, Piero Padova, che hanno coordinato l’inchiesta sfociata nei sigilli apposti, su ordine del Tribunale di Trapani, a 22 complessi aziendali, 12 pacchetti di partecipazione al capitale di altrettante società, 28 rapporti bancari, 47 fabbricati, 8 autoveicoli e la struttura dell’ex resort Kempisnsky di Mazzara del Vallo, oggi “Giardini di Costanza”, per un valore complessivo di 62.922.867 euro. Savalli, secondo gli investigatori, “risponde all’identikit dell’imprenditore che per anni ha sfruttato le conoscenze con esponenti mafiosi di rilievo (tra cui Filippo Guttadauro, che ha sposato la sorella di Messina Denaro) – ha spiegato Fabio Bottino, comandante del nucleo dei Ros – Questi rapporti hanno consentito di qualificarne la pericolosità sociale e l’ipotesi che i beni sequestrati siano frutto di attività delittuose dell’organizzazione criminale”.
Il finanziamento da Banca Etruria.
La vicinanza al capomafia di Castelvetrano avrebbe consentito a Savalle, trovato mentre rientrava dalla Svizzera, di accumulare una fortuna e assumere rilevanti dimensioni nel tessuto economico della provincia di Trapani. Altre amicizie e rapporti, sostiene la procura, gli avrebbero fruttato un finanziamento da Banca Etruria in un periodo in cui le aziende del suo gruppo Sicily House erano prossime al fallimento: i soldi sarebbero arrivati grazie ai suoi rapporti privilegiati con un membro del Consiglio di amministrazione dell’istituto di credito, Alberto Rigotti., in passato editore di EPolis e per le vicende legate a quell’azienda arrestato per bancarotta. Savalle “ha ottenuto il finanziamento da Banca Etruria di 1,5 milioni di euro attraverso Alberto Rigotti che, per questa vicenda, verrà incriminato per bancarotta dalla procura di Arezzo”, hanno spiegato gli investigatori della Finanza che hanno effettuato il sequestro”. In sostanza, Rigotti “avrebbe indotto il cda e il collegio sindacale a concedere il prestito nonostante lo stato di decozione della società. Savalle portò in Banca due scatole vuote e ottenne lo stesso il mutuo”.
Il racconto del medico affiliato alla ‘ndrangheta.
A parlare dei rapporti di Savalle col capomafia di Castelvetrano è stato il medico affiliato alla ‘ndrangheta Marcello Fondacaro, uomo della cosca Piromalli, che ha reso dichiarazioni anche su un altro imprenditore del settore finito sotto inchiesta, l’ex patron del Valtur, Carmelo Patti, poi deceduto. Per gli inquirenti, nel tempo Savalle avrebbe goduto dell’appoggio di influenti esponenti dell’associazione mafiosa come Filippo Guttadauro, cognato di Messina Denaro, Rosario Cascio, Giovanni Becchina, Girolamo Bellomo e Giuseppe Grigoli. Fondacaro ha raccontato che Savalle aveva rapporti col latitante di Castelvetrano attraverso il fratello della donna con cui Messina Denaro ha avuto una figlia. L’ex cognato del boss e l’imprenditore dovevano partecipare alla realizzazione di un villaggio a Isola Capo Rizzuto che prevedeva la partecipazione al 33% di Cosa nostra e ‘ndrangheta.
Le altre grane giudiziarie.
Recentemente Savalle è stato rinviato a giudizio per falso in bilancio in concorso con il titolare di un grosso laboratorio di analisi e ambulatorio palermitano, mentre nel 2014 venne coinvolto in un’inchiesta della procura di Torre Annunziata su appalti affidati per il recupero e il restauro dell’area archeologica di Pompei, “pilotati” in direzione sempre delle stesse imprese, tra le quali la Società Mediterranea spa aggiudicataria dei servizi di ristorazione, riconducibile al trapanese.