L'iniziativa è promossa dall'associazione Coscioni. C’è tempo fino al 30 settembre per raccoglierne 500mila firme: i primi tavoli a Milano (angolo tra Corso Garibaldi e via Statuto) e Roma (Largo Argentina), mentre entro il 30 giugno saranno allestiti in tutta Italia.
Sono passati due anni da quando il Parlamento lasciò scadere il tempo concesso dalla Corte costituzionale per riempire il vuoto normativo sul suicidio assistito, prima di pronunciarsi sul caso di Marco Cappato, finito a processo per aver aiutato a morire l’ex dj Fabo accompagnandolo in Svizzera. Ma se allora la Lega si mise di traverso, facendo arenare la discussione sulla proposta di legge sull’Eutanasia legale (cinque, in realtà, i testi presentati alla Camera), oggi parte la raccolta di firme per un referendum promosso dall’associazione Luca Coscioni di cui Cappato è tesoriere. Il testo, depositato il 20 aprile scorso in Corte di Cassazione, prevede una parziale abrogazione dell’articolo 579 del codice penale (omicidio del consenziente), che impedisce la realizzazione di della cosiddetta “eutanasia attiva”. “In caso di approvazione – spiega l’associazione – si passerebbe dal modello della ‘indisponibilità della vita’, sancito dal codice penale del fascismo nel 1930, al principio della ‘disponibilità della vita’ e dell’autodeterminazione individuale, già introdotto dalla Costituzione repubblicana, ma che ora deve essere tradotto in pratica. Il referendum, come aveva spiegato a ilfattoquotidiano.it Marco Cappato, punta a tutelare “anche i pazienti che non siano dipendenti da trattamenti di sostegno vitale, come i malati di cancro, per i quali è comunque già intervenuta la Consulta”. C’è tempo fino al 30 settembre per raccoglierne 500mila firme: i primi tavoli a Milano (angolo tra Corso Garibaldi e via Statuto) e Roma (Largo Argentina), mentre entro il 30 giugno saranno allestiti in tutta Italia.
IL MESSAGGIO DI DANIELA – Nel corso della conferenza stampa che si è tenuta presso la sala stampa della Camera dei Deputati, è stato trasmesso il video messaggio di Daniela. Trentasette anni, pugliese, affetta da una grave forma di tumore al pancreas, avrebbe voluto poter scegliere di porre fine alle sue sofferenze: “Ho vissuto una vita da persona libera. Vorrei essere libera di morire nel migliore dei modi”. Non ha fatto in tempo ad andare in Svizzera per ricorrere al suicidio assistito. Aveva contattato l’Associazione Luca Coscioni e a febbraio aveva chiesto alla Asl di Roma, dove viveva, e al relativo Comitato Etico, la verifica e l’attestazione delle condizioni necessarie per poter ricorrere al suicidio assistito, in applicazione della storica sentenza 242/2019 emessa dalla Corte Costituzionale, proprio nell’ambito del processo a Cappato. Una sentenza secondo cui non è punibile “chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”. Daniela, però, aveva dovuto impugnare una risposta negativa. Alla fine, era ricorsa d’urgenza al Tribunale di Roma per ottenere le verifiche previste, ma l’udienza era stata fissata al 22 giugno. Considerata la situazione, è stato chiesto di anticipare la decisione, ma nessuno ha mai risposto. Daniela è morta il 5 giugno.
COSA CAMBIEREBBE – Con l’intervento referendario l’eutanasia attiva sarebbe consentita nelle forme previste dalla legge sul consenso informato e il testamento biologico e in presenza dei requisiti introdotti dalla sentenza della Consulta, mentre rimarrebbe punita se il fatto è commesso contro una persona incapace o contro una persona il cui consenso sia stato estorto con violenza, minaccia o contro un minorenne. Ad oggi, invece, in Italia l’eutanasia attiva è vietata sia nella versione diretta (se il medico somministra il farmaco alla persona che ne faccia richiesta, violando l’articolo 579 del codice penale), sia nella versione indiretta (se qualcuno prepara il farmaco che viene poi assunto in modo autonomo dalla persona) e, in questo caso, si incorre nel reato di istigazione e aiuto al suicidio (articolo 580 del codice penale), fatte salve le cause di esclusione introdotte nel 2019 dalla Consulta. Forme di eutanasia passiva, ovvero praticata astenendosi dall’intervenire per tenere in vita il paziente in preda alle sofferenze sono già considerate penalmente lecite, soprattutto quando l’interruzione delle cure ha lo scopo di evitare l’accanimento terapeutico. “Ma molti casi ambigui creano condotte ‘complesse’ o ‘miste’, che non consentono spesso di distinguere con facilità se si tratti di eutanasia mediante azione od omissione e, soprattutto – spiega l’associazione – pongono il problema di una possibile disparità di trattamento ai danni di pazienti gravi e sofferenti affetti però da patologie che non conducono di per sé alla morte per effetto della semplice interruzione delle cure. Da qui l’esigenza di ammettere l’eutanasia a prescindere dalle modalità della sua esecuzione concreta (attiva e omissiva)”.
UNA BATTAGLIA FATTA DI STORIE – Dopo la conferenza, l’appuntamento è proseguito in Largo Argentina per l’avvio della raccolta nella Capitale. C’era anche Mina Welby, ma moglie di Piergiorgio Welby, attivista e co-presidente dell’Associazione Luca Coscioni affetto da distrofia muscolare, per il quale non solo fu negata la richiesta dei legali di porre fine all’accanimento terapeutico (a staccare il respiratore fu il medico, poi assolto dall’accusa di omicidio del consenziente), ma gli furono anche negati i funerali con rito religioso. La funzione non religiosa, è bene ricordarlo, fu celebrata davanti alle porte chiuse della parrocchia che, anni dopo, avrebbe invece accolto quelli trionfali del boss dei Casamonica. Tra le altre persone malate assistite dall’associazione c’è anche Mario (nome di fantasia). Ha 43 anni, abita in un paesino delle Marche e a causa di un grave incidente stradale che gli ha provocato la frattura della colonna vertebrale con la conseguente lesione del midollo spinale, è tetraplegico con altre gravi patologie da 10 anni. Le sue condizioni sono irreversibili. Si era visto negare da ASL e tribunale la possibilità di accedere all’iter previsto dalla sentenza 242, ma proprio in questi giorni, con una nuova ordinanza storica (la prima del genere in Italia) il Tribunale di Ancona ha ribaltato la decisione del giudice precedente, imponendo alla ASL di verificare le condizioni del paziente per accedere al suicidio assistito, attuando di fatto la sentenza della Consulta.
IL SOSTEGNO – “Mario ci ha messo 10 mesi passando per 2 udienze 2 sentenze, per vedere rispettato un suo diritto, nelle sue condizioni” commenta l’avvocato Filomena Gallo, segretario dell’associazione, secondo cui “non è possibile costringere gli italiani a una simile doppia agonia. Occorre una legge. Per questo – aggiunge – a fronte di un Parlamento paralizzato e sordo persino ai richiami della Corte costituzionale è necessario un referendum”. Da qui alle prossime settimane sarà possibile aderire alla campagna anche presso avvocati e notai registrati. “Il loro ruolo – spiega Cappato – è fondamentale nell’ambito della raccolta firme, perché hanno la facoltà di autenticarle, insieme a cancellieri, parlamentari, sindaci, assessori, consiglieri comunali, consiglieri regionali e dipendenti comunali”. Fanno già parte del comitato promotore del referendum Radicali Italiani, Partito Socialista Italiano, Eumans, Volt, Più Europa, Possibile, Sinistra italiana e Federazione dei Verdi. Il Comitato è aperto all’adesione di associazioni, partiti, movimenti sindacati e altre organizzazioni e, tra primi sostenitori, ci sono l’ARCI nazionale e la CGIL nuovi diritti.
ILFQ