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martedì 21 maggio 2019

Francia: giudici, riprendere le cure di Lambert.

 © EPA

La decisione dopo un ennesimo ricorso dei familiari contrari alla sospensione dei trattamenti.


La Corte d'appello di Parigi ha ordinato la ripresa delle cure per Vincent Lambert, il tetraplegico in stato vegetativo al centro di una decennale battaglia legale. I trattamenti che tenevano in vita Lambert erano stati interrotti solo stamattina. La decisione è stata assunta dopo un ennesimo ricorso dei familiari contrari alla sospensione dei trattamenti.

Si tratta di un incredibile colpo di scena nel caso che da dieci anni è divenuto un simbolo del dibattito sul fine vita in Francia. Per la Corte d'appello di Parigi, a cui erano ricorsi in mattinata i genitori contrari alla sospensione dei trattamenti che mantenevano in vita Vincent Lambert, bisogna riattaccare la spina. Nel pomeriggio, la Corte europea dei diritti umani aveva invece respinto il ricorso dei genitori, in assenza di "nuovi elementi". Mentre il presidente, Emmanuel Macron, aveva detto che la decisione non spettava a lui. La Corte d'appello di Parigi ha invece accolto a sorpresa il ricorso dei genitori, ferventi cattolici, che hanno invocato le raccomandazioni del Comitato dei Diritti dei disabili delle Nazioni Unite.



Io spero, se mi dovesse succedere qualcosa del genere, che i miei parenti preferiscano rispettare la mia volontà e non la loro. E' triste pensare e constatare che, per mero egoismo, si possa costringere una persona a giacere inanimata in un letto. 
E non credo che si possa ricondurre tale costrizione a credenze religiose, perché Dio, è stato lapalissianamente chiaro: lo voleva morto; o attribuirla all'affetto verso il congiunto perché vederlo immobile, inanimato, inerte, è doloroso.
Oltretutto, a me non piacerebbe affatto dover dipendere da altri.
Cetta.

venerdì 8 febbraio 2019

Beppino Englaro: la mia battaglia per Eluana, anche grazie a lei lʼItalia ha una legge sul "fine vita".

Beppino Englaro: la mia battaglia per Eluana, anche grazie a lei l'Italia ha una legge sul "fine vita"

Il padre di Eluana ricorda le battaglie giudiziarie: "Lei è stata una vittima sacrificale perché allora la medicina lʼha condannata a vivere in una condizione alla quale ha sempre detto ʼnoʼ".


E' stata una battaglia lunga e difficile, si è pagato un "prezzo altissimo" ma per il "sorriso radioso" della figlia EluanaBeppino Englaro rifarebbe tutto quello che ha fatto. Nel decimo anniversario della morte, il suo è stato "un grande caso costituzionale", dice Beppino, che ha diviso il Paese costringendolo a fare una riflessione. Allora "gli italiani non erano pronti ad accettare la sua scelta - prosegue - ora c'è una legge che è ben fatta, merita un plauso", nonostante alcuni nodi burocratici.

I ricordi della figlia e della sua dolorosa vicenda sono indelebili: una carrellata di immagini nitide gli ritornano in mente, soprattutto non dimenticherà quel 9 febbraio 2009 quando, dopo la sospensione dell'alimentazione e dell'idratazione artificiale autorizzata dalla magistratura, Eluana morì in una clinica di Udine. Era in uno stato vegetativo permanente, conseguenza di un terribile incidente d'auto che nel gennaio del 1992 la fece finire in coma irreversibile.

"E' stata una vittima sacrificale - spiega all'agenzia di stampa Ansa - perché allora la medicina l'ha condannata a vivere in una condizione alla quale ha sempre detto 'no grazie'".

Undici anni di processi, 15 sentenze - "Non aveva il tabù della morte - racconta Beppino - e noi genitori sapevano che "la strada imboccata era fin da subito quella giusta. Eluana aveva idee ben chiare riguardo alla sua vita, e non potevamo fare altro". Non la dolce morte in qualche clinica svizzera, ma uno stop a una "vita-non vita" entro il recinto della "legalità", un lungo e tortuoso percorso: undici anni di processi, quindici sentenze dei giudici italiani e una della Corte Europea dei diritti dell'uomo, l'opposizione del governo di centrodestra in carica ai tempi e le proteste, i sit-in, le manifestazioni e gli appelli di numerose associazioni 'pro vita'. Con l'allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in silenzio forzato, ufficialmente obbligato ad essere spettatore fino a quando, qualche giorno prima della morte di Eluana, il suo rifiuto di firmare il decreto legge con cui il Consiglio dei Ministri avrebbe voluto bloccare l'interruzione della nutrizione forzata perché incostituzionale.

"Come genitori, abbiamo fatto tutto quello che potevamo e nel migliore dei modi, credo, ma il prezzo pagato è stato altissimo. Sua madre, mia moglie, che non riusciva a staccarsi da lei, si è consumata come una candela", si è ammalata e qualche anno dopo se n'è andata.

"Ho sempre avuto tutti contro - ammette -. Ma se non fossi andato avanti per quella strada avrei avuto contro Beppino Englaro e questa sarebbe stata la mia fine. Invece sono sempre stato e sono tuttora in pace con me stesso: ho liberato mia figlia".

E da allora, riconosce Beppino, "l'opinione pubblica è andata avanti e ha una maggior sensibilità" verso certi temi e adesso c'è anche "la legge sul fine vita". Questa legge, ammette Englaro, è nata anche grazie al "gran contributo" dato dal caso di sua figlia: "Ha una impostazione nella sostanza giusta. Certo ci sono questioni burocratiche da superare, ma consente finalmente di esercitare la libertà di autodeterminazione".

venerdì 10 marzo 2017

Mario Sabatelli: "Io, medico e cattolico spengo le macchine ai malati che lo chiedono". - Caterina Pasolini


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Mario Sabatelli - primario Gemelli - Roma

Fine vita. Per il primario del "Gemelli" il rifiuto delle cure per chi soffre di Sla non è eutanasia: "C'è un diritto a morire in tutta serenità, lo dicono la legge e la Chiesa".

ROMA. "Piergiorgio Welby e Walter Piludu? Fossero stati miei pazienti, avrei seguito le loro decisioni senza bisogno di tribunali. Perché il rifiuto delle cure non è eutanasia ma una questione di buona prassi medica. Già oggi la legge, la Costituzione e il codice deontologico lo consentono. Anche il Magistero della Chiesa è chiaro: non c'è un diritto di morire ma sicuramente un "diritto a morire in tutta serenità, con dignità umana e cristiana". Dopo la sentenza di Cagliari che autorizzava Piludu, malato di Sla, a vedersi togliere il respiratore sedato, andandosene senza soffrire, parla Mario Sabatelli, primario al Gemelli di Roma, un ospedale di forti tradizioni cattoliche. Guida "Nemo", il reparto all'avanguardia per i malati di sclerosi laterale amiotrofica: 10 letti,140 nuovi pazienti ogni anno, 250 in cura.

Scegliere allunga la vita?
"Sì. Lo vedo nella mia esperienza. I malati da noi sanno che potranno rinunciare al respiratore, quando per loro dovesse diventare intollerabile. Solo con questa sicurezza il 30 per cento accetta oggi la tracheotomia".

Chi deve decidere?
"Solo il malato può valutare se la ventilazione meccanica è trattamento proporzionato alla propria condizione e quindi non lesivo della propria dignità di vita. Chi accetta ha diritto ad essere assistito a casa, aiutato dalle istituzioni. Chi rifiuta ha diritto a morire con dignità".

Parla di abusi negli ospedali.
"Conosco il calvario di chi vive con la Sla, per questo trovo scandaloso che in molti pronto soccorso i medici si arroghino il diritto di intubare malati che hanno detto di no, o minaccino di mandarli a casa se non accettano la ventilazione forzata. Una follia. Il compito del medico è seguire le scelte del paziente, alleviare le sofferenze. Troppi non lo fanno per paura, ignoranza della Costituzione e dei documenti della Chiesa".

Qual è l'opzione?
"Tra morire senza dolore con una sedazione o accettare l'ausilio delle macchine. Con l'arrivo dei ventilatori portatili la scelta è tra una maschera collegata al macchinario, oppure la tracheotomia".

Scelta etica o medica?
"Sicuramente etica, dipende dalla visione esistenziale che ha il paziente, dalle sue idee, dalla sua persona. A noi medici spetta il compito di informarlo in modo approfondito. Al "Gemelli" studiamo un piano di cura coi malati, ascoltiamo i voleri di chi vive con un tubo in gola, un sondino per nutrirsi. Li seguiamo nel cammino, sino all'ultimo. Perché io non li lascio andare, non li lascio morire. Li accompagno sino alla fine. Mi assicuro che venga seguite la loro volontà e non soffrano".

Li addormenta e toglie il respiratore?
"Sì l'abbiamo fatto a pazienti che, stanchi di vivere immobili, attaccati alle macchine, hanno detto basta. Sono stati sedati profondamente e solo a quel punto spenta la macchina che soffiava aria nei polmoni. Sono morti senza dolore, dormendo".

C'è chi dice: è eutanasia.
"C'è una differenza abissale con l'eutanasia, sia negli obiettivi che nelle procedure. Qui parliamo di scelte terapeutiche, lo dice la legge, la Costituzione nell'articolo 32 sottolinea che nessuno può essere obbligato a subire cure. Sceglie il paziente e il rifiuto della respirazione forzata rientra nel consenso informato. Certo, il risultato finale è la morte, ma è cosa diversa dal dare un farmaco che provoca la fine. Sceglie la persona e il principio che ci guida è la proporzionalità".

Cosa dice la Chiesa?
"In un documento del 1980 c'è scritto: "È lecito interrompere l'applicazione di tali mezzi, quando i risultati deludono le speranze riposte in essi". Il medico deve assistere chi soffre, eliminare il dolore. Io, medico, riconosco il diritto a rifiutare la cura e assisto il sintomo, il senso di soffocamento, con la sedazione".

C'è chi parla di omicidio.
"Negli anni '50 Pio XII disse: "Compito del medico è lenire le sofferenze e se anche il farmaco dovesse accelerare la fine, il nostro obiettivo è togliere la sofferenza". Quindi la sedazione profonda è eticamente accettabile".

I malati decidono di morire?
"Le persone che rinunciano alle cure non decidono di morire, decidono come vivere. La vita è un valore inestimabile, ma bisogna farsene carico, aiutare le famiglie. Invece vedo malati di Sla, dalle cure costose e complesse, lasciati soli. Ci sono differenze enormi nella qualità dell'assistenza a seconda della città".

Manca una legge su fine vita?
"I cinque a cui abbiamo staccato i respiratori lo avevano chiesto a voce. Il problema è che aggravandosi molti, l'8 per cento, restano lucidi ma non possono comunicare. L'Aisla, l'associazione dei pazienti, sta lavorando a disposizioni anticipate di trattamento che consentano il rispetto della volontà quando non potranno dirla". Perché la legge è ancora un'utopia.


http://www.repubblica.it/cronaca/2016/12/08/news/mario_sabatelli_io_medico_e_cattolico_spengo_le_macchine_ai_malati_che_lo_chiedono_-153716849/