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martedì 13 ottobre 2020

La Raggi e l’alleanza col Pd. - Tommaso Merlo

 

Dopo Mafia Capitale il Pd avrebbe dovuto azzerare il partito laziale e non solo, cospargersi il capo di cenere davanti al Campidoglio e chiedere scusa all’Italia intera per la vergogna con cui ha ricoperto non solo la capitale ma l’intero paese. Ed invece il Pd ha fatto spallucce in attesa che passasse la tempesta e nel frattempo si è messo a far sgambetti alla Raggi nella speranza di riprendersi le poltrone perdute. Zingaretti è stato tra i primi a tuonare contro la ricandidatura di Virginia Raggi e allo stesso tempo a lagnarsi che il Movimento non si alleava alle regionali con statisti alla De Luca. Da allora il Pd sta cercando un malcapitato che rischi l’osso del collo sfidando la sindaca di Roma. Nonostante tutto il fango con cui l’hanno ricoperta, la Raggi è infatti politicamente molto più solida di quello che han sempre blaterato e fa paura a molti. Virginia Raggi è un simbolo del Movimento perché ne incarna la storia e la cultura più genuina. Anni di persecuzione, l’impegno e il coraggio quotidiano senza mai scimmiottare atteggiamenti e vizietti dei vecchi politicanti. La Raggi ha poi tracciato una linea politica nuova. Dopo i sindaci fanfaroni del passato che han sommerso la capitale di chiacchiere e di debiti facendogli perdere decenni. La Raggi ha intrapreso la strada più complessa della legalità, della sobrietà e della concretezza con gli scarsi mezzi a disposizione. Da un comune infiltrato dai mafiosi ad una sindaca antimafia. Se non si fossero fottuti tutti i soldi la Raggi avrebbe potuto fare di più, ma a livello politico ha comunque drasticamente voltato pagina dopo anni di malapolitica e può vantare una serie di risultati che spetterà ai romani valutare a fine mandato. Ma Virginia Raggi ha tracciato una nuova linea politica anche nel rapporto tra Movimento e Pd. Ha detto cioè “no” ad un partito che prima ha ridotto Roma in macerie e poi si è messo a far la guerra a chi come la Raggi sta cercando di ricostruirla. La linea è chiara. Ci si allea col Pd solo se quel vecchio partito di marpioni poltronistici si dimostra degno, altrimenti ciao. Una linea sacrosanta. È il Pd col suo curriculum da film horror che si deve dimostrare all’altezza di cooperare col Movimento. Non viceversa. È il Pd col suo curriculum da film horror che deve dimostrarsi all’altezza del nuovo corso politico aperto dal Movimento. Non viceversa. A Roma come in tutta Italia. Altrimenti torniamo indietro invece di andare avanti. Il Pd è il passato e il Movimento nasce anche dalle sue ceneri. Se si vuole alleare è il Pd che deve aggiornarsi ai tempi. È il Pd che deve darsi una ripulita, una svecchiata e già che c’è tirar fuori uno straccio d’idea se ne è capace. È questo il nodo politico fondamentale. Non se fare l’alleanza o meno, ma a quali condizioni farla. Il quadro politico nazionale non offre molte alternative al Movimento. Le porte a destra sono chiuse e i numeri scarsi. Se vuole governare e incidere sulla realtà il Movimento deve allearsi con la fu sinistra. Ma “alleanza organica” sono quelle parolacce politichesi che fan venire l’orticaria e scatenano rissosi malintesi. Proseguire a braccetto del Pd ad ogni costo giusto per raccattar poltrone significherebbe non solo la fine del Movimento ma anche la fine della fase politica che ha aperto nel paese. Un danno enorme. Diversa è la linea tracciata dalla Raggi. Se il Pd si dimostra all’altezza bene, altrimenti ognuno per la sua strada. Punto. E non contano solo i programmi e le cose da fare con cui un accordo alla fine si trova sempre. Conta anche quello che c’è dietro ai finti sorrisi e alle cravatte di sartoria. E cioè la volontà del Pd di mettersi alle spalle una volta per tutte facce e logiche e pagine buie del suo passato che han devastato Roma come l’Italia intera. Solo così il Movimento manterrà la sua integrità e quindi la sua forza politica e quindi il suo ruolo storico di motore del cambiamento della vecchia politica come del paese.

https://repubblicaeuropea.com/2020/10/12/la-raggi-e-lalleanza-col-pd/

giovedì 29 agosto 2019

12 ANNI DOPO. - Marco Travaglio (Il Fatto Quotidiano) 29.8.2019


C’è un fatto, di questa pazza crisi, che non era scontato: la standing ovation con cui la Direzione del Pd ha approvato per acclamazione il via libera di Zingaretti al Conte-2 con i 5Stelle. Una scena inimmaginabile non solo negli ultimi 10 anni, ma anche 20 giorni fa. Può darsi che, a spiegarla, basti la paura del voto e della vittoria di Salvini. Ma al voto, fino a 20 giorni fa, Zinga ci voleva andare proprio come Salvini.
Poi la mossa di Renzi ha cambiato le cose. Ma se è stato così facile convincerli tutti, vuol dire che gli argomenti dei cacadubbi che ci hanno sempre risposto “è impossibile, non accadrà mai” quando auspicavamo un contratto fra un centrosinistra rinnovato e un M5S maturo erano solidi come un sacco vuoto. Pretesti, scuse puerili, robetta. Che ha fatto perdere all’Italia un sacco di tempo e di occasioni, infliggendole esperienze agghiaccianti come i governi Pd-Berlusconi&Verdini&Alfano e regalando a Salvini 14 mesi di resistibile ascesa.
In fondo, quello fra M5S e Pd era un appuntamento fatale: tutti sapevano che prima o poi si sarebbe concretizzato, ma nessuno lo diceva. Eppure i 5Stelle, checché ne dicano i teorici delle “due destre populiste e sovraniste”, nascono da una costola del centrosinistra. Anche se poi la costola è diventata più grande del corpo, fino a inglobare elettori in fuga dal centrodestra. Lo ricorda Beppe Grillo in questi giorni a chi gli chiede il perché della sua attiva benedizione al governo giallo-rosa. Lui all’inizio, a fondare un movimento, non ci pensava proprio.
Nel 2005 aveva aperto il blog su istigazione di Gianroberto Casaleggio per portare dal palco dei suoi show a quello del web le sue battaglie ambientaliste. Aveva raccolto proposte dalla società civile (le “primarie del web”) e nel 2006 le aveva portate al premier Prodi. Ma quel governo era paralizzato dai veti incrociati e indebolito dal neonato Pd veltroniano a “vocazione maggioritaria” (ciao core), infatti di lì a poco cadde.
A cavallo di quella visita a Palazzo Chigi, Grillo aveva scoperto di avere un popolo in cerca di autore, nelle piazze dei due V-Day: il primo contro i condannati e i nominati in Parlamento, il secondo contro i fondi pubblici alla stampa.
E il 13 luglio 2009 Grillo si iscrisse al Pd nella sezione di Arzachena per candidarsi a segretario. Senz’alcuna intenzione né chance di diventarlo. “Io chiedevo solo di parlare al loro congresso per esporre le proposte del blog: gliele regalavo! Gratis! Mi dissero che non potevo neppure prendere la tessera perché ero ‘ostile’. Risposi: ostile non al Pd, ma alla sua classe dirigente, infatti voglio cambiarla”. Fu allora che Fassino lanciò il fatidico anatema, una summa di tutta la chiusura, la miopia, la protervia della sinistra all’italiana: “Se Grillo vuol fare politica, fondi un partito, si presenti alle elezioni e vediamo quanti voti prende”. Il più clamoroso boomerang della storia politica moderna, subito colto al balzo da Grillo: “Belìn, è stato lui a darmi l’idea del movimento! Io non ci avevo neanche pensato”.
Il MoVimento 5 Stelle nacque nel giorno di San Francesco d’Assisi, il 4 ottobre 2009. E irruppe in Parlamento nel 2013 col 25,5%. Bersani, rara avis, intuì che l’evento interpellava la sinistra e l’appuntamento incombeva. Ci provò proponendo al M5S l’appoggio esterno al suo governo, che i nuovi arrivati non potevano che respingere, anche se ci misero un surplus di inutile supponenza in streaming. Ma già due mesi dopo, con l’elezione del capo dello Stato, l’incontro era a un passo. Grillo lanciò la sfida al Pd: “Votiamo insieme Rodotà e poi facciamo il governo insieme”. Lì si vide che Bersani era solo: Napolitano, Letta jr. e il grosso del Pd avevano già in tasca l’inciucio con B.
L’anno scorso, dopo la vittoria, Di Maio propose un contratto di governo anzitutto al Pd: pareva tutto pronto, poi Renzi lo fece saltare con l’intervista a Fazio e i pop corn. E nacque il Salvimaio. Ora il momento è arrivato, tra le mille diffidenze e gelosie che però, viste le tossine e gli insulti accumulati in questi anni, potevano essere molto più pesanti. Il Pd ha cambiato idea e forse è anche un po’ cambiato.
Il M5S è maturato e, anche se nessuno glielo riconosce, un bel po’ del merito va a Di Maio. Che ha rotto il tabù delle alleanze (o dei contratti), ha portato i 5Stelle oltre il 33%, ha pescato il jolly di Conte e ora, insieme al redivivo Grillo, ha compattato il M5S in rotta su una sfida complicata ma ineludibile, che gli è costata la seconda rinuncia a Palazzo Chigi.
Una sfida che potrebbe rivelarsi un disastro, ma potrebbe pure aiutare i due contraenti giallo-rosa a contaminarsi per cambiare in meglio: il M5S ad accumulare esperienza e autorevolezza, il Pd a guadagnare in freschezza, energia e un po’ di sano populismo. Perciò Grillo se la ride: “Lo sapevo che prima o poi sarebbero arrivati”. Con appena 12 anni di ritardo, ma sono arrivati.
Ps. In questi giorni, improbabili esegeti-medium credono di sapere cosa direbbe Gianroberto Casaleggio. Noi lo ignoriamo, ma sappiamo cosa ci disse nell’ultima intervista del 21 maggio 2014: “Prodi fu molto gentile, ricevette Grillo a Palazzo Chigi, disse che avrebbe distribuito la cartellina con le nostre proposte ai vari ministri e sottosegretari, poi però la cosa finì lì.
Era un tentativo di vedere le loro carte: se il centrosinistra faceva proprie le nostre idee, a noi andava bene così, non ci interessava chi le portava avanti. Ma la risposta fu il muro. Al primo V-Day raccogliemmo 350 mila firme per tre proposte di legge popolare: se Prodi e Veltroni le avessero accolte, avrebbero dato la svolta al Pd e al sistema politico. Ma i giornali, soprattutto di sinistra, ci trattarono come una via di mezzo fra dei mangiatori di bambini e una setta satanica”. Secondo voi che direbbe oggi?

venerdì 27 aprile 2018

Riflettiamo.

Risultati immagini per il pensatore

Leggo i commenti e mi domando: è più intelligente perseverare nelle proprie idee oppure ragionare e cambiare opinione in virtù del cambiamento dei tempi e delle circostanze?
Del resto la "sinistra" è scivolata a destra, ha governato con la destra, ha privato i lavoratori dei diritti acquisiti in anni di lotte sindacali, li ha privati del lavoro, unica fonte di sostentamento, come sancito dalla Costituzione; 
li ha privati anche della democrazia tanto decantata ma mai rispettata....;
perchè meravigliarsi, allora, se, per colpa di una legge elettorale malconcepita, chi ha vinto le elezioni deve necessariamente allearsi con chi ha affossato economicamente la nazione per poter organizzare un governo?
Aspettiamo di vedere all'opera chi ha vinto le elezioni con il consenso del 32% degli aventi diritto al voto, poi, casomai, potremo avanzare le nostre lamentele.
E non venitemi a dire che è oro ciò che è piombo, perchè i partiti preesistenti sono gli unici colpevoli del disastro economico del nostro paese!
Oltre ad essi nessun altro ci ha messo le mani!