“Vincenzo m’è pate a me”. Sono tanti i Peppiniello di Totò, i figli d’arte destinati alla politica. Preferiti ed eletti a furor di popolo. È questo un bell’esempio, per chi dovrà occuparsi della nuova legge elettorale, di capire a fondo ciò che significa il voto di preferenza. Se esso sia il miglior modo di dare valore alla rappresentanza, o piuttosto titolo dinastico, potere delegato e rendita parassitaria. Dalla Campania di De Luca padre (da qui la trasposizione dal teatro del Totò di Miseria e nobiltà alla realtà fattuale del “Vincenzo m’è pate a me”) che giustamente ha preteso per i suoi due figlioli un accesso immediato e riservato all’impegno pubblico, destinando un maschio, Piero, a Montecitorio, e un altro maschio, Roberto, al Comune di Salerno, le ultime elezioni restituiscono il valore assoluto del pater familias.
Cosicché con 11.147 voti la giovanissima Vittoria Lettieri, 21 anni spesi nella spensieratezza del mondo karaoke, si ritrova votatissima e al primo posto degli eletti della sua lista. In un memorabile video avverte che confida nella “speranza”. Conduce questa prova per realizzare un piano di resistenza contro i cattivi, coloro che hanno sgovernato e tolgono speranza. Sarà consigliere regionale. Per un caso provvidenziale Vittoria è figlia di Raffaele, sindaco di Acerra e trascinatore di passioni nell’urna. Solo il papà, per dire, è riuscito a consegnarle nel suo comune 7.152 voti di preferenza conducendo la lista della speranzosa e giovanissima Vittoria (De Luca Presidente) al primo podio assoluto e a stracciare il Pd. Trentasei per cento dei voti totali contro un misero 12 per cento dell’intero apparato di Zingaretti.
Favole? Fantasie? Lettieri, al tempo nell’Udc di Pier Ferdinando Casini, quindi convintamente nel centrodestra, era legatissimo a Stefano Caldoro, al tempo in cui quest’ultimo guidava la Regione, e a un assessore della sua giunta, anzi al vero uomo forte: Pasquale Sommese.
Mutatis mutandis. E così anche Sommese ha cambiato cavallo e anche a Sommese, ora con De Luca, è venuta voglia – visto che improvvisi guai giudiziari gli consigliavano di stare fermo almeno questo giro – di capire quanto valesse il suo giovane erede Giuseppe. Prova magnifica. Il Peppiniello di Sommese ha sbaragliato, in una lista fabbricata ad hoc (Liberaldemocratici-Moderati) i concorrenti ottenendo ben 5.554 voti di preferenza. Eletto e urrà! E Gianpiero Zinzi, figlio di Domenico, ex presidente della Provincia di Caserta, ex assessore regionale, ex eurodeputato, noto esaminatore democristiano di schede elettorali, è ora un cavallo vincente della Lega, salviniano di grande appeal. E Bruna Fiola, figlia di Ciro, presidente della Camera di Commercio? Eletta! E Mario Casillo, figlio di Franco, un potente di ieri e di oggi? Eletto! E Andrea Volpe, figlio di Mimmo, acchiappavoti di Bellizzi, nella cintura salernitana, di cui è sindaco da anni? Eletto!
Non c’è trucco e non c’è inganno. I “figli di” oltre a essere piezz ’e core risultano anche cavalli vincenti. Sorrisi smaglianti e un abbraccio virtuale. “Una campagna bellissima!” dice su facebook Andrea Volpe. “Ma quanto vi voglio bene?”, domanda ai suoi elettori Bruna?
Quanto ci vuole bene, e quanto vuole bene alla realtà, che si dimostra anche generosa, Giovanni Mensorio, diecimila voti nel nome del defunto papà Carmine, deputato di fattura democristiana e poi di grandissima stagionatura mastelliana, caduto nel vortice di Tangentopoli e morto suicida pur di protestare la sua innocenza (si lanciò dal traghetto Patrasso-Ancona il 16 agosto 1996).
E cosa vogliamo dire di Annarita Patriarca, undicimila voti raccolti nel mare magnum del mondo di mezzo dell’area stabiese, da Gragnano fino a Castellammare, in cui per buoni vent’anni ha regnato suo papà Francesco, prima deputato, poi senatore, devoto di Antonio Gava, il grande possidente dello scudocrociato napoletano? Papà Francesco fu condannato in via definitiva a nove anni di reclusione per concorso esterno in associazione di stampo mafioso. Ma Annarita, senza perdersi d’animo, volle testimoniare il valore e la figliolanza. Si fece eleggere al municipio di Gragnano, il feudo paterno, ne fu sindaco, ufficio che purtroppo dovette abbandonare nel marzo 2012, giacché il ministero dell’Interno stava valutando lo scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose, e suo marito, Enrico Martinelli, a sua volta sindaco di San Cipriano d’Aversa, fu arrestato nel corso di un’indagine su Antonio Iovine, il boss dei Casalesi.
Oggi Annarita è più forte di prima, più preferita che mai. È l’anima e il vessillo del centrodestra. Stupirsene? Così è se vi pare.
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