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martedì 12 dicembre 2017

Hacking team, i pm di Milano trovano chi finanziò i ladri del software spia: ma Usa non collaborano. Chiesta l’archiviazione.

Hacking team, i pm di Milano trovano chi finanziò i ladri del software spia: ma Usa non collaborano. Chiesta l’archiviazione

I pm lombardi hanno dovuto dunque chiedere l'archiviazione dell'inchiesta sul cittadino americano che finanziò in Bitcoin l’intrusione informatica del 2015 nella società milanese ideatrice di un virus spia venduto alle polizie di mezzo mondo. Il motivo? Il Dipartimento di Stato non intende consegnare all'Italia i computer sequestrati dall'Fbi su rogatoria italiana.

Sanno chi è. Sanno dove si trova. Ma non possono arrestarlo. Il motivo? Gli Stati Uniti non intendono consegnare all’Italia i computer sequestrati dall’Fbi su rogatoria italiana. E la procura di Milano ha dovuto dunque chiedere l’archiviazione dell’inchiesta sul cittadino americano accusato di aver finanziato in Bitcoin  l’intrusione informatica del 2015 nella società milanese Hacking team, ideatrice di un virus spia venduto alle polizie di mezzo mondo. Lo scrive Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera spiegando che l’uomo è stato individuato in un 30enne concessionario d’auto del Tennessee.
È lui il mandante del furto del segretissimo codice sorgente del programma di intercettazione telematica Galileo, venduto alle polizie di mezzo mondo e quindi diffuso su Internet dagli hacker: un’operazione che provocò per giorni il prudenziale blocco in Italia delle intercettazioni autorizzate dai magistrati. 
E dire che per il cittadino americano i pm milanesi avevano ottenuto nei mesi scorsi, in gran segreto, addirittura un mandato d’arresto. Ordine che hanno dovuto revocare dopo il rifiuto di collaborazione del Dipartimento di Stato. Una scelta poco comprensibile – annota il Corsera – salvo non si immagini che l’hacker sia un collaboratore di una agenzia di sicurezza Usa.

I segreti rubati ad Hacking Team compaiono online la notte del 6 luglio 2015 su un server tedesco su cui si mescolano 530 indirizzi Ip tra utenti veri o inventati:  i poliziotti del Compartimento postale lombardo si concentrano su uno dei 530, che aveva raggiunto anche un server in Olanda dal quale risultava sferrata l’intrusione informatica all’archivio milanese di HT. A sua volta il server della società olandese era stato noleggiato: da chi? Da una connessione anonima che aveva pagato l’affitto in Bitcoin.
Le indagini conducono direttamente a un tale Fariborz Davachi, 30 anni, cittadino statunitense di origine iraniana, residente a Nashville dove vende automobili. Tra la fine del 2014 e l’inizio 2015 era stato prima a Teheran e poi a Roma. Il gip Alessandra Del Corvo emette la misura cautelare richiesta dal pm Alessandro Gobbis, che ha già chiesto agli Usa chiede di sequestrare i computer del sospettato. 
Gli agenti Fbi eseguono, interrogano l’uomo che ammette di aver comprato le scratch card con i Bitcoin. Dice, però, di non essere stato lui a usarle: le ha cedute a persone che però non sa indicare. Il motivo? È legato ai suoi problemi di droga. Una giustificazione surreale. Eppure gli Stati Uniti decidono di non consegnare a Milano i computer di Devachi: per il  Dipartimento di Stato, infatti,  non esistono ragioni per pensare che quei pc contengano notizie utili.

L’inchiesta di fatto muore qui. Per contestare all’americano il concorso in accesso abusivo a sistema informatico, occorre il dolo. Manca la prova della consapevolezza che i mezzi da lui pagati sarebbero poi stati usati da terzi per commettere quel reato. Ipotesi impossibile da dimostrare senza i suoi computer. Tutto finisce dunque con la richiesta d’archiviazione. Come archiviati sono anche gli indagati originari dell’inchiesta, cioè Mostapha Maanna, Guido Landi e Alberto Pelliccione, ex collaboratori del titolare di Ht David Vincenzetti.

sabato 28 ottobre 2017

Il computer che 'si finge umano' e fa l'hacker.

Rappresentazione della lettera A (fonte: Vicarious AI) © Ansa
Rappresentazione della lettera A (fonte: Vicarious AI)

Inganna i test di sicurezza anti-spam e intrusioni.


Nuova falla nei sistemi di protezione informatica contro spamintrusioni digitali e furti di password: è stato infatti sviluppato un computer che sa fingersi un essere umano riuscendo a ingannare alcuni dei test di sicurezza più diffusi nei siti Internet, ovvero i captcha, quei codici alfanumerici un po' contorti che servono a distinguere gli utenti in carne ed ossa dai programmi automatici chiamati 'bot'. Il risultato è pubblicato sulla rivista Science dai ricercatori della company californiana Vicarious AI, specializzata nel settore dell'intelligenza artificiale.

"Lo studio rivela con metodo scientifico una vulnerabilità che interessa anche colossi come Google, PayPal e Yahoo", spiega Giovanni Ziccardi, docente di informatica giuridica all'Università di Milano. "Il pericolo è che i captcha attuali non riescano più a proteggere efficacemente i form di iscrizione ai servizi online, come la posta elettronica, e che non blocchino più i programmi automatici che fanno spam inondando blog e forum di messaggi pubblicitari inopportuni".

Nati vent'anni fa per difendere i primi motori di ricerca sul web, i captcha si sono evoluti continuamente. "All'inizio - ricorda Ziccardi - chiedevano all'utente di decifrare solo lettere e numeri scritti in maniera poco leggibile in un box: poi sono diventati sempre più complessi, arrivando a usare immagini del mondo reale dove bisogna individuare oggetti o scritte. Facili da risolvere per le persone, sembravano dei rompicapo impossibili per gli algoritmi automatici. Almeno fino ad oggi". Il nuovo computer 'hacker', ispirato ai meccanismi di funzionamento del cervello umano, è infatti riuscito a violare i captcha più comuni con una percentuale di successo che arriva fino al 70%.
Lo ha fatto con un addestramento minimo, partendo da un numero di esempi molto più ridotto rispetto agli algoritmi di apprendimento profondo (deep learning) usati nell'intelligenza artificiale, che richiedevano milioni di immagini esemplificative o regole codificate su come craccare ogni tipo di immagine. "Questi sistemi cambiano continuamente, come in un gioco a guardie e ladri", commenta Ziccardi. "Dopo la pubblicazione di questo studio le aziende correranno sicuramente ai ripari, ma già adesso stanno lavorando a nuovi captcha sempre più sofisticati, capaci per esempio di riconoscere l'utente umano senza porgli domande, ma valutando il suo comportamento online, come i movimenti del mouse o i tempi di permanenza sulla pagina".

martedì 26 settembre 2017

Trovato in Turchia l’equivalente di un “computer tablet” di 1200 anni fa.



Gli archeologi impegnati nello scavo dell'antico sito di Yenikapı, Turchia, hanno portato alla luce quello che hanno definito l'equivalente di un “computer tablet” moderno. L'oggetto, una tavoletta di legno probabilmente del 9° secolo, è stato rinvenuto nei resti di una nave affondata nell'antico Porto di Teodosio, nell'antica Costantinopoli, e probabilmente apparteneva al comandante della nave.

Gli scavi di Yenikapı sono iniziati quasi 10 anni fa, permettendo di portare alla luce un patrimonio storico che copre circa 8500 anni della storia di Instanbul.
Nel corso degli scavi, i ricercatori hanno appreso informazioni sorprendenti sulla cultura e gli usi alimentari dell’antico popolo turco.
La scoperta di resti biologici sopravvissuti al passare dei secoli ha notevolmente impressionato il mondo scientifico. Quello di Yenikapı è davvero uno dei progetti archeologici più importanti del nostro tempo.
Recentemente, gli archeologi hanno trovato una nave affondata, in quello che una volta era conosciuto come il porto bizantino di Teodosio, nell’antica Costantinopoli. Secondo il professor Ufuk Kocabas dell’Università di Instanbul si tratta di una scoperta molto rara: il 60 per cento della nave è praticamente rimasta intatta nonostante il passare dei secoli. Questa è solo una delle 37 navi affondate ritrovate a Yenikapı.

Tenendo presenti le anfore in essa contenute, la nave era probabilmente diretta verso il Mar Nero. I ricercatori stimano che l’imbarcazione risalga al 9° secolo d.C. Al suo interno sono stati trovati alcuni oggetti molto interessanti, tra cui un oggetto in legno che i ricercatori hanno paragonato ai nostri tablet computer.
“In una delle navi abbiamo trovato qualcosa di simile ad un notebook di oggi”, spiega Kocabas sull’Herriyet Daily News. “È fatto di legno e può essere aperto come un notebook. Ha poche pagine e serviva per prendere appunti sulla cera”. L’oggetto era in grado di offrire altre funzioni che al momento non si è in grado di svelare. “Lo abbiamo chiamato ‘Il Miracolo di Yenikapı’”, rivela Kocabas.


Lo scavo di Yenikapı, più in generale, ha permesso di aggiungere preziose informazioni sul tempo in cui i primi insediamenti umani a Instanbul. Fino a pochi anni fa, infatti, si pensava che i primi gruppi umani si fossero stabiliti intorno a 2700 anni fa, quando i coloni greci provenienti da Megara si insediarono a Calcedoni (oggi Kadikoy), intorno al 675 a.C.
Tuttavia, grazie ai lavori per la realizzazione della metropolitana di Yenikapi, sono stati scoperti diversi insediamenti neolitici che mostrano che gli insediamenti più antichi nei pressi di Instanbul risalgono al 6700 a.C., molto prima di quanto si pensasse. Il valore della scoperta è da considerasi soprattutto per aver contribuito a riscrivere la storia antica della capitale turca.