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giovedì 11 febbraio 2021

‘Ndrangheta, confiscato un tesoro da 212 milioni al “re del bitume”. Per l’imprenditore 5 anni di sorveglianza speciale. - Lucio Musolino

 

Per gli inquirenti della Dda di Catanzaro Domenico Gallo è qualcosa di più di un semplice imprenditore condannato per truffa e turbativa d’asta. Per gli inquirenti era riuscito a creare, nel giro di qualche decade, quella amalgama con esponenti delle cosche, uomini della pubblica amministrazione e faccendieri che gli ha consentito di accaparrarsi l’esecuzione di grandi opere pubbliche.

Un collaboratore di giustizia lo aveva definito il “miliardario del bitume”. In realtà, per i pm della Procura di Reggio Calabria, Domenico Gallo è qualcosa di più di un semplice imprenditore che già nel 2005 era stato condannato in via definitiva per 27 delitti di truffa e due turbative d’asta commessi tra il 1985 e il 1991. Secondo la Dda, infatti, era riuscito a creare, nel giro di qualche decade, quella amalgama con esponenti della ‘ndrangheta, uomini della pubblica amministrazione e faccendieri che gli ha consentito di accaparrarsi l’esecuzione di grandi opere pubbliche.

Ed è proprio perché indiziato di contiguità con le cosche Piromalli e Zagari-Fazzalari che, oltre a svariate disponibilità economiche, Domenico Gallo si è visto confiscare dalla Guardia di finanza un impero del valore di 212 milioni di euro: 13 società di capitali e relativo patrimonio aziendale, le quote di un’altra società, 11 beni immobili, tra terreni e fabbricati e una villa di pregio, un autoveicolo e 12 orologi tra cui tre Rolex, un Franck Muller, un A. Lange & Sohne e sette Patek Philippe. Su richiesta del procuratore Giovanni Bombardieri, dell’aggiunto Gaetano Paci e del pm Gianluca Gelso, il provvedimento è stato adottato dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria che ha confermato il sequestro del 2018 e ha disposto nei confronti di Gallo anche la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale per 5 anni.

Sin dall’1985 le informative della polizia lo indicavano emergente elemento di spicco della nuova alleanza tra imprenditoria mafiosa e mondo politico-amministrativo a livello locale e nazionale. Per i magistrati, Gallo non ha smesso “di gestire le proprie società con modalità spregiudicate ed illecite ma anzi sia riuscito ad incrementare in modo esponenziale i propri affari non solo commettendo reati ma anche sfruttando in un rapporto sinallagmatico i propri rapporti con la ‘ndrangheta”. La figura di Gallo compare, infatti, in numerose inchieste antimafia condotte dai finanzieri del Gico e dello Scico e coordinate dalla Dda di Reggio Calabria: da “Cumbertazione” a “Martingala” passando per “Waterfront”.

Stando alle indagini che hanno portato alla confisca c’era una sproporzione tra il profilo reddituale e quello patrimoniale del nucleo familiare di Domenico Gallo. Per i pm, grazie a una serie di società a lui riconducibili o, comunque, nella sua disponibilità, il “miliardario del bitume” ha illecitamente operato in diversi contesti territoriali sia provinciali, sia nazionali. Il coinvolgimento dell’imprenditore, infine, era emerso nelle inchieste “Chaos”, “Amalgama”, “Arka di Noè” e “Red Line”, in contesti di criminalità organizzata per la commissione di reati di natura economico finanziaria, nonché contro la pubblica amministrazione.

“Le società riferibili al Gallo – aveva scritto il Tribunale nel sequestro – sono state portate avanti sin dalla metà degli anni ottanta conquistando fette di mercato con modalità essenzialmente illecite. È emerso dagli atti, infatti, che le commesse sono state ottenute solo grazie ad una stabile e continua attività di corruzione. Le società del gruppo Gallo non solo si sono costituite con risorse di cui l’effettivo titolare non poteva disporre ma hanno operato e prodotto ricchezza con modalità illecite”.

In sostanza, in seguito agli accertamenti della guardia di finanza, per i magistrati non ci sono dubbi sull’esistenza di “decine di operazioni sospette e movimentazioni di giro fra le varie società del gruppo per importi elevati che hanno comportato una totale commistione di risorse lecite ed illecite all’interno di tutte le società coinvolte”. Questo ha comportato che tutti gli investimenti fatti da Gallo e dal suo nucleo familiare “nel corso del tempo in beni immobili e mobili, poiché costituenti il reimpiego di denaro di provenienza illecita devono essere considerati essi stessi illeciti”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/02/11/ndrangheta-confiscato-un-tesoro-da-212-milioni-al-re-del-bitume-per-limprenditore-5-anni-di-sorveglianza-speciale/6097604/

giovedì 26 novembre 2020

Surbo, reddito da povero ma con Porsche e locali: sequestrati beni a pregiudicato.

 

L'uomo coinvolto era già stato condannato, con sentenza passata in giudicato, per associazione a delinquere finalizzata al traffico degli stupefacenti.

Questa mattina i militari del G.I.C.O. del Nucleo di Polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza del Comando Provinciale di Lecce, coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia del capoluogo salentino, stanno dando esecuzione ad un provvedimento di sequestro di prevenzione nei confronti di una persona appartenente ad una famiglia mafiosa egemone in alcuni comuni salentini. I controlli si sono concentrati su un gruppo familiare di Surbo (Le), per verificare se gli investimenti ed il tenore di vita, compresa la gestione di un bar, di un circolo ricreativo, nonché le autovetture (tra cui una fiammante Porsche Macan), l’abitazione ed i conti correnti personali, fossero coerenti con il reddito mensile di poche centinaia di euro dichiarato. All’esito dell’attività dei finanzieri è stata applicata la misura della sorveglianza speciale con l’obbligo di soggiorno nel comune di residenza e il sequestro finalizzato alla confisca di tutti i beni mobili ed immobili il cui valore non ha trovato giustificazione nei redditi dichiarati dall'uomo e dai familiari conviventi. Il coinvolto era già stato condannato, con sentenza passata in giudicato, per associazione a delinquere finalizzata al traffico degli stupefacenti, e recentemente denunciato. Sequestrata anche un'abitazione a Surbo. 

https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/lecce/1263259/gestisce-locali-e-ha-anche-una-porsche-ma-il-reddito-dichiarato-e-di-poche-centinaia-di-euro-sequestro-nel-leccese.html

venerdì 20 novembre 2020

Mondo di Mezzo: confisca beni a Carminati e Buzzi per 27 milioni.

 

Confisca definitiva dei beni riconducibili, tra gli altri, a Massimo Carminati e Salvatore Buzzi imputati principali nel maxiprocesso al Mondo di Mezzo. Il provvedimento è stato eseguito dai militari del Comando provinciale della Guardia di Finanza.

Il valore complessivo della confisca è di circa 27 milioni di euro. Tra i beni 13 unità immobiliari e un terreno a Roma e in provincia; 13 automezzi e 69 opere d'arte di importanti esponenti della scena artistica della seconda metà del XX secolo (Pop Art, Nouveau Réalisme, Futurismo e Surrealismo).

Il provvedimento ha riguardato anche i beni nella disponibilità di Riccardo Brugia, secondo gli inquirenti braccio destro di Carminati, Roberto Lacopo, Agostino Gaglianone, Fabio Gaudenzi, Cristiano Guarnera e Giovanni De Carlo, tutti arrestati nel dicembre del 2014 nell'ambito della prima operazione dell'inchiesta della Procura di Roma."La confisca - è detto in una nota della Gdf - rappresenta l'epilogo delle indagini patrimoniali svolte nei confronti degli indagati e dei loro "prestanome", delegate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma al Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria ai sensi del "Codice antimafia" (D.Lgs. 159/2011), in una cornice di coordinamento investigativo con l'Arma dei Carabinieri. Gli specialisti del Gico "hanno ricostruito il "curriculum criminale" dei proposti, accertando la sussistenza dei requisiti di "pericolosità sociale" e della rilevante sproporzione tra i redditi dichiarati e i patrimoni accumulati nel tempo, necessari affinché il Tribunale capitolino emettesse vari decreti di sequestro, su richiesta della Procura della Repubblica, eseguiti a partire dalla fine del 2014". A Carminati sono state confiscate, tra l'altro, la villa di Sacrofano e opere d'arte per un valore stimato di oltre 10 milioni di euro. Un'altra villa, nella stessa località, è stata affidata in comodato d'uso gratuito, per vent'anni, all'A.S.L. Roma 4 per la realizzazione di una importante struttura sociosanitaria per aiutare le famiglie di pazienti con autismo. Nei confronti di Buzzi la misura patrimoniale ha ad oggetto due immobili a Roma nonché le quote e il patrimonio di due società, per un valore stimato di oltre 2,6 milioni di euro. (ANSA).

https://draft.blogger.com/blog/post/edit/2372701819119034825/4675278344296714532

sabato 24 novembre 2018

Carmelo Patti in affari con la mafia Sequestro e confisca da 1,5 miliardi. - Riccardo Lo Verso

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La Dia e la scalata del cavaliere, deceduto, al Gruppo Valtur. La replica della difesa.

PALERMO - Un patrimonio che vale un miliardo e mezzo di euro. Il decreto di sequestro e confisca che colpisce l'impero economico di Carmelo Patti entra nella storia giudiziaria italiana come uno dei più pesanti di sempre.

È stato emesso dalla Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Trapani, presieduta da Piero Grillo, su proposta del direttore nazionale della Direzione investigativa antimafia, Giuseppe Governale. Il provvedimento colpisce gli eredi di Patti, deceduto nel 2016, quando la parabola della sua fortunata carriera era ormai in declino. Una carriera marchiata, secondo l'accusa, dal patto con la mafia. In particolare, con la famiglia mafiosa di Castelvetrano, guidata dall'eterno latitante Matteo Messina Denaro.

I BENI OGGETTO DEL PROVVEDIMENTO/1

I BENI OGGETTO DEL PROVVEDIMENTO/2

Nel paese in provincia di Trapani Carmelo Patti era nato in una famiglia povera. Faceva il venditore ambulante di vestiti assieme al padre. Nel lontano 1962 furono dichiarati falliti. Poi, passo dopo passo, un'ascesa vertiginosa. Fondò innanzitutto la Cablelettra, a Robbio (Pavia) che si alimentava con le commesse della Fiat. Quindi la scalata al gruppo Valtur, acquisito per 300 miliardi di lire, e la realizzazione di una ventina di villaggi turistici e golf resort in giro per la Sicilia e l'Italia.

Il maxi provvedimento riguarda partecipazioni societarie in campo industriale, ma anche uno sterminato elenco di immobili in Italia, Marocco, Costa d’Avorio e Tunisia. I villaggi Punta Fanfalo a Favignana, Isola Capo Rizzuto a Crotone, Kamarina a Ragusa, il Golf Club Castelgandolfo. C'è pure una barca da crociera, la Valtur Bahia, registrata a Londra e ormeggiata a Mazara.

Tra i primi a parlare dei rapporti di Patti con la mafia è stato il pentito Angelo Siino. Uno che di affari se intendeva tanto da meritarsi l'appellativo di “ministro dei lavori pubblici di Cosa nostra”. Dell'ex patron Valtur Siino raccontò la vicinanza al cassiere della mafia mazarese Francesco Messina. “Mastro Ciccio - spiegava il collaboratore di giustizia - aveva tra le mani Patti, tanto che Bernardo Provenzano ci scherzava su, dicendogli che lui non aveva problemi a passare le vacanze alla Valtur”. Sempre Siino disse di avere assistito ad un incontro fra il cavaliere Patti e Francesco Messina Denaro, il padre del latitante.

Quando nel 1998 andò all'asta la vendita del villaggio turistico di Punta Fanfalo, a Favignana, arrivarono due offerte. Una era di Emma Marcegaglia, che qualche anno dopo sarebbe diventata leader di Confindustria, e l'altra di una ragazza sconosciuta di soli 21 anni. Fu quest'ultima ad aggiudicarsela. Sarebbe rimasta proprietaria per poco tempo della struttura. A lei subentrò Carmelo Patti.

Poi arrivarono gli scandali, le inchieste e la crisi. La Valtur passò in amministrazione straordinaria per far fronte a un indebitamento enorme e furono vendute alcune strutture turistiche.

La Dia ormai da sei anni indagava sugli affari dell'imprenditore. Indagini che oggi sfociano nel sequestro e nella confisca agli eredi.

AGGIORNAMENTO ore 16.41L'amministratore delegato del 'Kamarina Resort', Den Dekker Dionysius "esclude il coinvolgimento della struttura alberghiera nel Ragusano quale presunto oggetto di sequestro penale eseguito, su ordine della Dia di Palermo, in danno di soggetti diversi che nulla hanno a che vedere con la società che rappresento, né oggi né in passato". La srl Kamarina Resort è una società detenuta per la maggioranza dalla famiglia olandese Den Dekker che ha il 78% del capitale, mentre, il 22 per cento è detenuto dall'imprenditrice siciliana Valentina La Vecchia. In una nota l'amministratore delegato Den Dekker Dionysius "diffida a pubblicare e diffondere notizie ed immagini che riguarda la propria struttura alberghiera che non ha nulla a che spartire col sequestro operato nei confronti della famiglia dell'imprenditore Carmelo Patti".

I difensori degli eredi di Carmelo Patti - Francesco Bertorotta, Angelo Mangione e Luciano Infelisi - in una nota annunciano che ricorreranno "subito in appello, ed in ogni altra sede, compresa la Corte europea dei diritti dell'uomo, per chiedere l'annullamento del decreto del Tribunale di Trapani. Secondo i legali il provvedimento "rappresenta un vero e proprio cortocircuito della giustizia, in quanto emesso in violazione di tutti i principi che regolano le misure di prevenzione", Clicca qui per leggere il comunicato del collegio difensivo


Fonte: livesicilia del 24 nov. 2018

giovedì 21 dicembre 2017

Antimafia dispone confisca beni Matacena per 10 mln. -

L'ex parlamentare di Forza Italia è stato condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa e attualmente latitante a Dubai.

La Direzione Investigativa Antimafia di Reggio Calabria ha eseguito un provvedimento di sequestro e confisca di beni, emesso dalla Corte di Assise d'Appello di Reggio Calabria, nei confronti dell' armatore ed ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Matacena, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa e attualmente latitante a Dubai. La confisca riguarda 12 società in Italia e all'estero, conti bancari, immobili e un traghetto in servizio nello Stretto di Messina, per un valore complessivo di oltre 10 milioni di euro.
Matacena, già condannato definitivamente, nel 2014, a tre anni di reclusione dalla Corte di Cassazione per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, è stato riconosciuto quale uomo politico di riferimento delle cosche reggine a salvaguardia dei loro interessi.
Successivamente, è rimasto coinvolto nelle indagini svolte dalla Dia di Reggio Calabria che hanno portato all'emissione di diverse ordinanze di custodia cautelare in carcere, oltre che nei suoi riguardi, anche a carico di sua moglie Chiara Rizzo, per intestazione fittizia di beni, e dell'ex Ministro dell'Interno Claudio Scajola, per averlo aiutato a sottrarsi alla cattura.
Nel giugno 2017, la Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria, su proposta della Procura Distrettuale, aveva confermato la "pericolosità sociale" di Matacena, disponendo nei suoi confronti il sequestro di alcune disponibilità finanziarie e di un immobile all'estero.
Con il nuovo provvedimento, la locale Corte di Assise di Appello, evidenziando che la maggior "parte dei beni che costituiscono il patrimonio del Matacena sono frutto di attività illecite e/o di reimpiego dei loro proventi", e ravvisando "una oggettiva quanto marcata sproporzione" tra gli investimenti effettuati e i suoi redditi dichiarati, ha disposto il sequestro e la confisca di 12 sue società (per l'intero capitale sociale o in quota parte), di cui 4 con sede nel territorio nazionale (Villa San Giovanni, Reggio Calabria e Roma) e 8 all'estero (Isole Nevis, Portogallo, Panama, Liberia e Florida), nonché di disponibilità finanziarie collocate in conti esteri.
Le società sono attive prevalentemente nel settore armatoriale, immobiliare e di edilizia. Oggetto di sequestro e confisca sono anche 25 immobili aziendali, oltre ad una grossa motonave di oltre 8.100 tonnellate di stazza, utilizzata per attività di traghettamento veicoli e passeggeri nello Stretto di Messina.
Il valore complessivo del patrimonio oggetto del provvedimento odierno supera i 10 milioni di euro. Le aziende sequestrate proseguiranno la loro attività con amministratori giudiziari designati dalla locale Autorità Giudiziaria.

venerdì 16 ottobre 2015

Cena a casa Saguto Con il tonno "sequestrato" alla mafia. - Riccardo Lo Verso

Cena a casa Saguto Con il tonno "sequestrato" alla mafia

C'è anche questo nelle intercettazioni dell'inchiesta della Procura di Caltanissetta che coinvolge l'ex presidente della Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo. Ed ancora: le conversazioni con altri magistrati, siciliani e non, quelle con il padre e con l'avvocato Cappellano Seminara.

PALERMO - Silvana Saguto aspettava un ospite illustre a cena. Un alto rappresentante delle istituzioni. E così a casa sua sarebbero stati recapitati sei chili di tonno. Provenivano da un'attività commerciale in amministrazione giudiziaria. "Un regalo" per l'ex presidente della sezione Misure di prevenzione. C'è anche questo nelle intercettazioni dell'inchiesta della Procura di Caltanissetta sulla gestione dei beni sequestrati e confiscati alla mafia.

In una delle conversazioni registrate è rimasta impressa la voce del magistrato che chiedeva al suo interlocutore il pesce per la cena. All'indomani ecco i complimenti: era tutto buonissimo e gli ospiti erano rimasti molto soddisfatti. La conversazione si sarebbe poi spostata sull'incarico che stava per scadere visto che il procedimento era ormai giunto in Cassazione. Stava per arrivare il bollo definitivo o l'annullamento del provvedimento adottato dal Tribunale presieduto dalla Saguto. In ogni caso, sia che il bene fosse passato sotto il controllo dell'Agenzia nazionale per i beni confiscati sia che fosse stato restituito al proprietario, l'incarico dell'amministrazione giudiziaria sarebbe venuto meno. E i due affrontavano la questione, discutendo anche di eventuali nuove nomine per il futuro.

Di telefonate ce ne sono parecchie. Tutte intercettate nei quattro mesi, da maggio ad agosto, in cui i finanzieri del Nucleo di polizia tributaria hanno ascoltato le conversazioni della Saguto e degli altri protagonisti dell'inchiesta. Tra questi il padre del magistrato, Vittorio Saguto, pure lui indagato per concorso in autoriciclaggio. Padre e figlia parlavano di qualcosa che non si trovava, ma che andava cercato e preso. Non è escluso che anche sulla base di questi passaggi sia stato necessario l'intervento urgente dei finanzieri nei giorni in cui facevano irruzione in Tribunale e a casa degli indagati per le perquisizioni e i sequestri.

C'era qualcosa che andava trasportato o trasferito in fretta dall'abitazione del genitore del magistrato a Piana degli Albanesi? Soldi o tracce di passaggi di denaro tali da fare scattare l'ipotesi del riciclaggio? Così come si indaga su alcuni spostamenti dell'avvocato Cappellano Seminara, il più noto fra gli amministratori giudiziari. In altre conversazioni emergerebbe il presunto utilizzo disinvolto della macchina blindata per recuperare oggetti dimenticati a casa o accompagnare alla fermata dell'autobus persone che non avrebbero avuto alcun diritto di salire a bordo.

Dal più assoluto riserbo investigativo trapelano pochissimi particolari che qualcuno bene informato definisce "poca roba" rispetto a quanto resta confinato nel recinto del segreto investigativo. Lo testimoniano i tanti, tantissimi omissis che coprono gli atti dell'indagine. Compresi quelli che riempiono le trascrizioni delle conversazioni fra il magistrato e altri colleghi, della stessa sezione per le Misure di prevenzione e non, siciliani ma anche romani.


http://livesicilia.it/2015/10/16/silvana-saguto-palermo-mafia-inchiesta-intercettazioni_674567/