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domenica 18 ottobre 2020

Covid, verso il nuovo dpcm. Le Regioni: "No a riduzioni di orari per i locali, sì alla Dad". Azzolina e Manfredi: "Scuole e università restino aperte".

 

Da sciogliere alcuni nodi, si tratta dai bar alle palestre. Il ministero dello Sport: "Nessuna decisione presa".

Riunione tra governo e Regioni in vista del nuovo dpcm sulle misure anticontagio da Covid.

"Abbiamo chiesto di non intervenire penalizzando ulteriormente i locali pubblici con altre riduzioni di orario". E' quanto riferisce il governatore della Liguria, Giovanni Toti e vice Presidente della Conferenza delle Regioni, che in loro rappresentanza chiede al governo "più di didattica a distanza a rotazione per i ragazzi degli ultimi anni. La Liguria già usa i bus turistici dove si può e dove è utile, ma per alleggerire i mezzi serve anche scaglionare ingressi nelle scuole e nei luoghi di lavoro".

"All'incontro di oggi abbiamo voluto che ci fossero tutti gli attori in campo, dai ministri alle Regioni, agli enti locali, per uscirne più uniti e più forti. Siamo in una fase nuova dell'emergenza sanitaria, con reti sanitarie più forti ma con tanti contagi in più e molti tamponi in più. Solo con la flessibilità e la responsabilità di tutti riusciamo a trovare soluzioni condivise. Su scuola, università e trasporti le proposte di Regioni ed enti locali sono di buon senso e vanno nella direzione auspicata da tutti noi per tutelare al massimo salute, attività scolastiche e universitarie e funzionamento delle nostre città. Chi vive le complessità quotidiane dei territori merita il massimo dell'ascolto". Lo ha detto - a quanto si apprende - il ministro per le Autonomie, Francesco Boccia durante il vertice Governo-Regioni.

"La scuola in presenza è fondamentale per tutti, dai più piccoli all'ultimo anno del secondo grado". Questa, a quanto si apprende, la posizione ribadita dalla Ministra Lucia Azzolina nel corso dell'incontro. Per le superiori una parte di didattica digitale "è già presente", ha ricordato la ministra. Sulla differenziazione degli orari le Regioni chiedono al Governo di organizzare eventuali adattamenti per le scuole di secondo grado. Passa dunque - a quanto si apprende - la linea del Ministero dell'Istruzione: nessuna misura generalizzata, ma interventi mirati, territorio per territorio, e d'intesa con dirigenti scolastici e famiglie. La Ministra ha poi chiesto che per risolvere le criticità dei trasporti "non si guardi solo a Scuola e Università. La scuola ha "già contribuito a decongestionare i trasporti. Ora si agisca anche su altri settori", dice la ministra.

Le università sono luoghi sicuri, la didattica è già al 50% a distanza, le lezioni sono controllate, con uso della mascherina e distanziamento, tutto è stato programmato con protocolli specifici e la massima attenzione, è impossibile fare di più all'università. E' quanto avrebbe detto, secondo quanto si apprende, nel corso della riunione con le Regioni, gli Enti locali e i colleghi di governo, il ministro dell'Università Gaetano Manfredi. Il ministro avrebbe fatto notare che è più sicuro fare stare in facoltà gli studenti che fuori, dove non c'è controllo nelle distanze e a volte non c'è uso di mascherine. Il ministro avrebbe fatto un appello a rafforzare al meglio la collaborazione tra le istituzioni nazionali e locali e ha chiesto risposte flessibili che consentano di contemperare le giuste richieste di sicurezza con le necessità di studio degli studenti.

"Nessuna decisione è stata presa ancora in merito alla chiusura di palestre e piscine". Fonti del ministero dello sport intervengono, sottolineando all'ANSA, "come il settore abbia affrontato ingenti spese per adeguare i propri spazi ai protocolli di sicurezza, e che nessuna evidenza scientifica denuncia focolai in relazione all'allenamento individuale nei luoghi controllati".

Il vertice notturno non scioglie i nodi, si tratta dai bar alle palestre
Orari scaglionati per la scuola; palestre chiuse; stop a bar e pub dalle 21, ai ristoranti dalle 23 o 24. Non basta un confronto lungo oltre tre ore del premier Giuseppe Conte con i capi delegazione di maggioranza e i ministri Roberto Gualtieri e Francesco Boccia, per definire le misure anti contagio da Covid che entreranno nel nuovo dpcm. Serviranno un altro confronto con le Regioni e i Comuni e una discussione finale nel governo, prima che Conte - probabilmente nella serata di oggi - annunci al Paese la nuova stretta.

Al termine di una discussione che fonti di maggioranza definiscono "assai tesa", manca una sintesi ancora su diversi aspetti, per i quali decisivo sarà il confronto con gli enti locali: dallo stop a fiere e congressi, all'ipotesi di vietare di consumare alcolici in piedi fuori dai locali dalle 18. La nuova stretta dovrebbe puntare, come suggerito anche dal Cts, sullo smart working e sullo scaglionamento degli orari delle scuole superiori, con l'ipotesi di ingresso alle 11 e una quota di didattica a distanza per alleggerire i trasporti (ma non si esclude neanche una riduzione della capienza massima degli autobus).

Dovrebbe esserci anche lo stop agli sport di contatto dilettantistici e - ma ancora non c'è certezza - la chiusura di palestre e piscine. Si punta inoltre su una spinta al tracciamento dei contagi, sollecitata dagli esperti. Continua a dividere il pacchetto delle misure anti movida e una possibile forma di "coprifuoco".

Al termine del vertice serale a Palazzo Chigi il punto di caduta sembra essere la chiusura di bar e pub alle 21, ristoranti alle 24, per non pesare su un settore già in grande sofferenza. Ma dal governo invitano alla cautela nelle indiscrezioni: c'è chi continua a spingere per misure ancora più dure, soprattutto nel weekend. E chi, come Italia viva, è contro le nuove chiusure e tiene alta la guardia: nonostante la smentita di diverse fonti di governo, i renziani non escludono che fino all'ultimo possa tornare sul tavolo l'ipotesi - da loro osteggiata - di uno stop a parrucchieri e centri estetici.

(foto:ANSA)

https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2020/10/18/misure-contro-il-covid-nel-nuovo-dpcm-riunione-governo-regioni-_22f704d1-3918-4a7c-86b6-fccbf337300c.html

giovedì 25 agosto 2016

Quei 100mila codici sono una delle emergenze nazionali. - Michele Ainis

Risultati immagini per confusione in testa

Come si misura la forza di un governo
Dov’è situato l’indice che ne stabilisce l’efficacia? 
Ovvio: nell’archivio delle Gazzette ufficiali. 
Perché un governo è forte quando produce decisioni, e le decisioni politiche indossano la forma della legge. 
Dunque ogni legge costituisce un trofeo, un vessillo, una medaglia al valore.
Errore: sarà così per gli altri popoli, non alle nostre latitudini. Non quando ogni italiano è alle prese con 40 mila leggi statali e regionali, nonché – secondo le stime più prudenti – 60 mila regolamenti governativi. Non se questa pioggia di regole viene scritta in ostrogoto, nell’«antilingua» di cui parlò Calvino. Non quando le norme si contraddicono a vicenda, oppure nuotano in una rete d’allusioni e di rimandi dove annegherebbe anche Licurgo, il gran legislatore. Non se ciascun codicillo brucia per il tempo d’un fiammifero, sicché appena l’hai imparato devi già dimenticarlo, perché incalza la riforma della legge di riforma.
Più che un problema, una maledizione. Dovrebbe essere ascritta fra le più gravi emergenze nazionali; non è così. Della questione non parla più nessuno. O almeno non ne parlano i politici nostrani, giacché all’estero se ne parla pure troppo. In luglio l’Economist ci ha costruito la sua copertina, descrivendo l’economia italiana agonizzante per gli eccessi normativi. D’altronde basta chiedere alle imprese straniere, quelle poche che ancora investono quaggiù: le scoraggia l’incertezza del diritto, la lotteria dei tribunali. 


Oppure possiamo domandarlo agli italiani, costretti ad uno slalom fra 106 scadenze fiscali concentrate in un’unica giornata (il 22 agosto).

E a proposito d’affari. In aprile è entrato in vigore il nuovo codice degli appalti, illuminato dall’idea di sbloccare i lavori pubblici. Risultato: nei mesi successivi blocco delle gare (75% in meno a maggio, 60% in meno a giugno). Tanto che Lorenzo Codogno, ex capo economista del Tesoro, pronostica un impatto negativo sul Pil. Per forza, con 220 articoli e 25 allegati che nessuno sa ancora come interpretare. Anche se per la verità non lo sapevamo neppure prima, arrancando dalla Merloni bis, ter, quater, fino al codice dei contratti pubblici del 2006, o fino alle 6 leggi di semplificazione in materia d’appalti intervenute fra il 2008 e il 2012.


Semplificare la semplificazione, ecco la sfida. 

O almeno provarci, chiudendo innanzitutto il rubinetto delle leggi. Invece gira la favola contraria: il procedimento legislativo è troppo complicato, bisogna accelerarlo togliendo di mezzo l’ingombro del Senato. Eppure nella legislatura scorsa le Camere hanno licenziato 391 leggi, che si sommano alle 241 fin qui approvate durante la legislatura in corso.
Non che la Costituzione sia impotente a risolvere questo grattacapo. Potrebbe farlo, per esempio, ospitando una norma come quella dettata nel 1997 dalla Bicamerale presieduta da D’Alema, e riproposta tale e quale nel 2013 dal comitato dei 35 “saggi” insediato dall’esecutivo Letta: una norma che garantisca la codificazione del diritto, per dirla con parole semplici. Invece niente, zero, pagina bianca. La riforma corregge 47 articoli della nostra vecchia Carta, si vede che i riformatori non avevano più inchiostro.
Questo calo di tensione deriva da un vuoto d’attenzione. Imperdonabile, dato che il troppo diritto è l’alimento della corruzione che ci intossica. 


Come scriveva Tacito? Corruptissima re pubblica plurimae leges.

Eppure non molti anni addietro la questione era al centro della nostra vita pubblica. Di più: fu oggetto di un’iniziativa bipartisan, benché allora imperversasse un bipolarismo muscolare. Accadde nel 2005, con la “taglialeggi”: tenuta a battesimo dal secondo governoBerlusconi, attuata durante il secondo governo Prodi, completata nel 2009 dal terzo governo Berlusconi.


Con non pochi pasticci, certo, come la ripetuta abrogazione di norme già abrogate. Con inutili colpi di teatro, come il lanciafiamme acceso dal ministro Calderoli per bruciare qualche scatolone vuoto. Ma quantomeno in quell’epoca destra e sinistra erano coscienti del problema. Ora non più, sulla vicenda torreggia il muro del silenzio. Sicché non ci resta che imbastire una seduta spiritica, chiamando in soccorso l’anima di Giustiniano, che “d’entro le leggi trasse il troppo e ‘l vano”.


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