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mercoledì 27 ottobre 2021

Lavoro.




































Grazie alla legge Biagi, il lavoro divenne un'utopia, una chimera che favoriva solo i datori di lavoro. Lo sapevano quelli che l'hanno proposta, quelli che l'hanno approvata, quelli che l'hanno varata.
Presidente del consiglio dei ministri dell'epoca, anno 2003, era niente poco dimeno che: Berlusconi!
Con Renzi, suo accanito ammiratore, il concetto di lavoro venne ulteriormente massacrato, imbastardito, anche se la legge Biagi fu abrogata.
Eppure la Costituzione spiega, senza possibilità di fraintendimenti o diverse interpretazioni, che la nostra è una Repubblica fondata sul lavoro.

L'articolo 1 recita:
"L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione."

Quali punti di questo articolo è stato rispettato dai nostri amministratori?
Lo dico io: NESSUNO!
Ed è per questi motivi che dovremmo scendere in piazza a manifestare, non contro l'obbligo di mostrare i green pass o per esercitare un diritto male interpretato di sottoporsi o meno alla somministrazione di vaccini, peraltro sacrosanta!
Ci hanno turlupinato, ci hanno traditi, ci prendono continuamente per i fondelli, ci hanno privato di ogni diritto, e noi glielo abbiamo permesso.
La colpa di ciò che gli permettiamo di fare è nostra, noi siamo il popolo, noi siamo i sovrani della nostra nazione, noi ne reggiamo le sorti, l'economia... ma sono solo loro a goderne dei frutti!

cetta


 

mercoledì 29 settembre 2021

Abracartabia. - Marco Travaglio

 

In attesa del prossimo film di Woody Allen, chi vuol farsi qualche sana risata può vedersi le audizioni alla Camera sul dlgs Cartabia per “rafforzare la presunzione di innocenza”. Cioè per abolire la cronaca giudiziaria. Ormai, fra depenalizzazioni, prescrizioni, improcedibilità, cambi di giurisprudenza à la carte, minacce ai giudici e altre porcherie, il rischio che un potente sia condannato è inferiore a quello che Italia Viva superi il 3%. Infatti ciò che spaventa lor signori non è più di finire in galera, ma sui giornali: cioè che si sappia quel che fanno. Quindi i pm e le forze dell’ordine potranno parlare delle loro inchieste “solo quando è strettamente necessario per la prosecuzione delle indagini o ricorrono altre rilevanti ragioni di interesse pubblico”. Cioè: meglio per loro se si stanno zitti, così i media non scrivono più nulla e la gente non sa più una mazza. Ogni tanto – abracadabra! – sparirà qualcuno da casa, parenti e amici penseranno al peggio e chiameranno Chi l’ha visto?, i giornali segnaleranno il curioso fenomeno dei desaparecidos come nell’Argentina anni 70: anni dopo si scoprirà che era stato arrestato, ma non era strettamente necessario dirlo.

Nel caso in cui un pm o un agente temerario si ostinino a informare di un’indagine, dovranno astenersi dall’“indicare pubblicamente come colpevole” l’indagato o l’imputato. Uno spasso: per legge il pm che chiede al gip di arrestare tizio deve indicare i “gravi indizi di colpevolezza” a suo carico: ora dovrà aggiungere che sembra colpevole, ma è sicuramente innocente. Anche se l’ha colto in flagrante o filmato o intercettato mentre accoltellava la moglie, o spacciava droga, o frugava negli slip di un bambino. E persino se ha confessato. Formula consigliata: “È innocente, arrestiamolo”. Severamente vietato poi “assegnare ai procedimenti denominazioni lesive della presunzione di innocenza”. Retata di narcotrafficanti, mafiosi, terroristi, scafisti, papponi, pedofili, tangentisti? Operazione “Giglio di Campo” o “Tutta Brava Gente”. Anche fra i reati da contestare, evitare quelli che fanno pensar male: non più “associazione per delinquere”, ma “sodalizio conviviale”. La stampa dovrà cospargere le pagine di vaselina, evitando termini colpevolisti quali “criminalità organizzata” (tutt’al più disorganizzata, ecco). Ma questo già avviene su larga scala, infatti ieri l’Ordine dei giornalisti e la Fnsi han dato buca alla Camera. Se già i media chiamano statisti i pregiudicati, esuli i latitanti e perseguitati i colpevoli prescritti, il dlgs Cartabia è pleonastico. Anche grazie ai giudici che si portano avanti col lavoro e cancellano brutture come la trattativa Stato-mafia, condannando solo i mafiosi. Che trattavano sì, ma da soli. Infatti ora si chiama “trattativa mafia-mafia”.

ILFQ

domenica 15 agosto 2021

Uomini e no. - Marco Travaglio



La cosa peggiore della morte di Gino Strada è il pensiero che non ci metterà più in crisi con le sue invettive intransigenti e spiazzanti. Ora tutti, i pro e gli anti, lo dipingono come un santino del buonismo: chi l’ha conosciuto sa che era un uomo buono, ma quanto di più lontano dal buonismo. Personaggio difficile, ruvido, spigoloso, capace di grandi slanci e altrettanto grandi sfuriate. Come tutte le persone di carattere, ne aveva uno pessimo. Parlando chiaro e rifiutando i compromessi si era fatto molti più nemici che amici. A destra, ma anche a sinistra. In un Paese che etichetta tutti con le bandierine dei partiti, pochi capivano che era anzitutto un chirurgo. Quando gli portavano un corpo squartato da una bomba, una scheggia, una mina, una pallottola vagante, non pensava a nazionalità, bandiera, fede politica o religiosa, né riusciva a derubricarlo a “effetto collaterale” di missioni o strategie superiori: lo curava e basta. Perciò era contro tutte le guerre e i traffici di armi: perché ne vedeva gli effetti sulla carne viva degli uomini. Non era un politico, anche se faceva politica da cittadino. Non avrebbe potuto fare il ministro degli Esteri, perché se ne fregava delle alleanze e delle convenienze. Ma sarebbe stato un ottimo ministro della Salute, perché avrebbe levato fino all’ultimo centesimo pubblico alla sanità privata. Gli insulti da ogni parte politica (gli ultimi quando Conte lo chiamò a dare una mano in Calabria) erano per lui il migliore complimento. Non era temuto tanto per quel che diceva, quanto per la credibilità con cui lo diceva: la gente vedeva in lui un uomo vero e lo stava a sentire. Perciò non apparteneva a nessuno: perché era di tutti.

Ps. A proposito di credibilità. Sallusti, noto giurista di scuola Palamara, ci insulta (“chihuahua di Conte e Grillo”) perché il Csm ha trasferito una dei pm che indagava sul presunto stupro (che lui, garantista alle vongole, dà già per certo) di Grillo jr &C., per insabbiare il caso a fini politici. Non sa, il poveretto, che i magistrati sono inamovibili e trasferibili solo se lo chiedono (è il caso della pm Bassani) o se vengono puniti (non è il caso della pm Bassani); l’inchiesta è chiusa da tempo e l’udienza preliminare si terrà nella data fissata del 5 novembre col procuratore capo nei panni dell’accusa; se la legge Cartabia fosse passata nella prima versione cara a Sallusti, il processo sarebbe morto in appello dopo 2 anni, mentre le modifiche seguite alla campagna del Fatto e la blocca-prescrizione Bonafede lo rendono inestinguibile; un solo governo tentò di trasferire un giudice per insabbiare un processo: il governo B. nel 2002 col giudice Brambilla nel processo Sme-Ariosto. Queste cose le sanno persino i chihuahua. I somari no.

ILFQ

giovedì 27 maggio 2021

Processo a punti. - Marco Travaglio

 

Abbiamo sempre sostenuto che questo governo non dovrebbe neppure sfiorare la Giustizia, visti i guai con la medesima dei leader di tre partiti che lo sostengono: il pregiudicato e plurimputato B., l’imputato Salvini e l’indagato Innominabile, senza contare il resto della truppa. Ma ora, lette le proposte sul processo penale della commissione Lattanzi voluta dalla cosiddetta ministra Cartabia, un’altra formidabile ragione sconsiglia a lorsignori qualunque iniziativa: il pericolo che, quando le autorità europee le leggeranno, muoiano dal ridere. Già il fatto che l’Europa possa darci lezioni sui processi brevi è esilarante: la Corte europea dei diritti dell’uomo ha impiegato otto anni per esaminare il ricorso di B. contro la sua condanna definitiva del 2013 e non l’ha né accolto né respinto, ma due settimane fa ha chiesto al governo italiano di spiegare se il processo a B., iniziato nel lontano 2004, fosse giusto o no. Una barzelletta. È noto però che l’Ue ha più volte minacciato di sanzionare l’Italia per la sua prescrizione, fatta apposta per garantire l’impunità, per esempio agli evasori e frodatori fiscali. Quindi, se c’è una riforma che non va toccata è quella di Bonafede che blocca la prescrizione dopo la sentenza di primo grado. Infatti la commissione Lattanzi precisa, bontà sua, che non è urgente. Poi però, siccome non è urgente, fa due proposte per cancellarla. Geniale.

Per sveltire i processi, altra ideona: si stabilisce per legge che le indagini devono durare da 6 mesi per i reati minori a 1 anno e 6 mesi per i più gravi, con una sola proroga semestrale; e i processi 3 anni in primo grado, 2 in appello e 1 in Cassazione. E se sforano? In caso di condanna, l’imputato ha uno sconto di pena proporzionato al ritardo. Cioè ha tutto l’interesse a scatenare i suoi avvocati per farli durare di più, sempreché possa permettersi di pagarli in eterno. Così una norma concepita per abbreviare i tempi finirà per allungarli: più sono lunghi, più ci guadagni. Una specie di patente a punti all’incontrario. Notevole anche la norma, copiata dal piano di Rinascita democratica di Gelli, del Parlamento che detta alle Procure le “priorità nell’esercizio dell’azione penale”, cioè quali reati perseguire e quali no, “tenuto conto della realtà criminale territoriale”. Così la Lega escluderà il sequestro di migranti e il razzismo, FI la corruzione e la frode fiscale, Iv i finanziamenti illeciti alla fondazione Open e gli appalti truccati di Consip e così via. La comica finale è l’“archiviazione meritata” targata Pd: l’indagato può evitare il processo se chiede scusa alla parte lesa e risarcisce il danno o effettua lavori di pubblica utilità. Quindi: se non lo beccano, non rischia nulla; se lo beccano, neppure.

IlFQ

martedì 11 maggio 2021

Appello a metà e priorità reati La Cartabia copia le leggi di B. - Antonella Mascali

 

Ancien Régime - Il ministero rispolvera due vecchie proposte di Silvio: niente ricorsi per i pm e gerarchia delle indagini stabilita dal Parlamento.

Tutti in attesa della proposta della commissione ministeriale della Guardasigilli Marta Cartabia sulla prescrizione, croce di tutti i governi, ma ci sono altre due proposte ben più dirompenti, che faranno scontrare ancora di più i partiti di maggioranza: il Parlamento potrebbe indicare ogni anno le priorità su cui devono lavorare i pm, cioè sarebbe la politica a dettare la linea ai magistrati, il sogno di Silvio Berlusconi; potrebbe cambiare anche la natura dei processi d’appello con una rivisitazione, più articolata, della legge Pecorella, che fu bocciata dalla Corte costituzionale nel 2006.

La riforma Bonafede viene così smontata dalla proposte della commissione istituita dalla ministra Marta Cartabia in via Arenula e presieduta da un ex presidente della Corte costituzionale, come lei, Giorgio Lattanzi.

“Ci sono più opzioni – ha detto più volte ieri, la ministra al vertice con i capigruppo in commissione Giustizia della Camera – voglio poi sapere da voi cosa ne pensate”. La sintesi del governo dovrebbe arrivare settimana prossima. Ma la ministra, che non vuole la palude parlamentare per via della maggioranza fatta da separati in casa, ieri ha lanciato più avvertimenti, brandendo il rischio che l’Italia perda tutti i soldi del Recovery, “non solo i 2,7 miliardi del Pnrr destinati alla giustizia, ma i 191 miliardi destinati a tutta la rinascita economica e sociale italiana”.

Per l’Europa è prioritaria la riforma della giustizia civile, ma anche la lotta alla corruzione con una legge, la Bonafede, apprezzata da Bruxelles. La Commissione Ue, però, chiede anche tempi più rapidi dei processi penali, previsti già dalla riforma Bonafede, ora messa all’angolo su punti cruciali come prescrizione e Appello.

“In cinque anni dobbiamo ridurre del 40% i tempi dei giudizi civili – ha detto Cartabia – e del 25% dei giudizi penali”, poi intima: “Chi si sottrae al cambiamento si dovrà assumere la responsabilità di mancare una occasione così decisiva per tutti”. Ed eccole le proposte della commissione Lattanzi.

Prescrizione. Via la legge Bonafede che blocca la prescrizione dopo la sentenza di primo grado. Via anche la proposta approvata dal governo Conte, ora in Parlamento, il cosiddetto lodo Conte-2, di Federico Conte di Leu, che prevede il doppio binario, ovvero prescrizione bloccata in primo grado solo se l’imputato è condannato. Invece, secondo la prima proposta della commissione ministeriale, il blocco della prescrizione si lega ai tempi processuali prestabiliti, sulla scia della passata legge Orlando: prescrizione sospesa per 2 anni in primo grado, per un anno in Appello e in Cassazione. Se i tempi non vengono rispettati la prescrizione riprende dall’inizio. La seconda opzione incide sui tempi del processo, che se sforati lo fanno andare al macero: se il processo dura più di 4 anni in primo grado, 3 in Appello e 2 in Cassazione c’è l’improcedibilità. Si ipotizza, inoltre, lo sconto della pena per irragionevole durata del processo o l’ineseguibilità della pena se i tempi sono particolarmente lunghi.

Pecorella allargata. Il pm non potrà appellare né le sentenze di assoluzione, come stabiliva la legge dell’ex avvocato di Berlusconi, Gaetano Pecorella, ma neppure quelle di condanna. Ci sono dei limiti anche per gli avvocati: l’imputato condannato potrà fare appello, ma solo per motivi “stringenti”, che rientrano nell’elenco previsto dal codice e che ieri non sono stati indicati. Il pm può, comunque, fare ricorso in Cassazione, giudice di legittimità, e se il ricorso viene accolto si torna all’Appello. In sostanza, è stato spiegato ieri, l’Appello diventerebbe “non un nuovo giudizio”, ma “una revisione critica della sentenza”, come chiesto nel 2016 dalla Sezioni Unite della Cassazione, di cui Lattanzi ha fatto parte.

Le reazioni. La proposta piace molto a FI, che parla di norma “assolutamente ragionevole” con Pierantonio Zanettin, e anche a Enrico Costa di Azione, ma non al M5S che, per esempio, per disincentivare gli Appelli pensa di prevedere quanto ora è vietato: il possibile aumento della pena per l’imputato ricorrente. Delle proposte della commissione è contento pure il Pd, con il capogruppo Alfredo Bazoli: “Condividiamo anzitutto la convinzione che la riforma vada fatta ora e nelle proposte illustrate troviamo il respiro di una riforma equilibrata”. Se si aggiunge la mossa di Matteo Salvini di voler fare un referendum sui magistrati, il M5S può ritrovarsi cacciato in un angolo da solo.

IlFQ

venerdì 9 ottobre 2020

LE LEGGI DEGLI ALTRI. - Rino Ingarozza



Come ho sempre detto e come è palesemente evidente, tutte le leggi fatte dai 5 stelle, per l'opposizione e per la carovana dei suoi servili giornali, sono sbagliate, non vanno bene. A prescindere.

Bene, vogliamo analizzare le leggi fatte da loro? Vogliamo vedere le perle partorite dal trio Salvini, Meloni, Berlusconi? Almeno alcune. Per tutte ci vorrebbe un libro, ci vorrebbe la rivisitazione de "Il libro della giungla".
Partiamo con il lodo Alfano e il legittimo impedimento.
Il centro destra s'inventa queste leggi per parare il culo al cavaliere della tavola quadrata, dai processi. Secondo queste leggi la giustizia non dovrebbe toccare le alte cariche dello Stato e, comunque, avrebbe dovuto aspettare i comodi del loro capo per convocarlo ai vari processi e quindi, dato che giornalmente impegnato, in quanto Presidente del consiglio, mai, finché restava in carica. Non sono riusciti a mettere la clausola "valevole anche per gli ex Premier". Così non potevano convocarlo nemmeno quando non era più Presidente del consiglio.
Abolizione per tutti del pagamento ICI sulla prima casa.
Perfetto! Una legge meravigliosa. Tolgono introiti alle casse dello Stato per favorire chi ha una casa di quattrocento metri quadri al centro di Roma o Firenze e che dichiara 2 o 3 milioni all'anno. Tolgono una tassa a delle persone che, probabilmente, neanche si erano mai accorti di pagarla.
Aumento del finanziamento pubblico ai partiti.
Un referendum (e quindi la voce del popolo, la famosa democrazia diretta) dirà in seguito che il finanziamento pubblico dovrà essere abolito. E loro? Cosa fanno? Si adeguano? No, trovano il modo (affiancati dalla sinistra) di prenderlo lo stesso. Gli cambiano soltanto il nome.
Legge Gasparri.
Approvano questa legge per un duplice scopo: far mantenere a Berlusconi le tre reti televisive e permettere a Rete 4 di continuare a mantenere le frequenze, in barba ad una sentenza che affidava le stesse a Italia 7.
Abolizione della tassa di successione per importi sopra i 350 mila euro.
Cioè, capite bene, non l' aboliscono per importi di qualche migliaio di euro (50, 70, 100) ma lo fanno per quelli più ricchi. Per carità, pensando sempre al popolo, mica al loro capo e a quelli come lui.
Lo scudo fiscale.
Chi ha capitali all'estero può farli rientrare, pagando una miseria di multa. Sempre leggi per il popolo, quale operaio o impiegato non aveva capitali all'estero? Quasi tutti.
Spostano (notte tempo) circa sette miliardi di lire, stanziati da Prodi per l'ammodernamento della S.S. 106 jonica (detta "strada della morte) per pagare le multe sulle quote latte, per gli amici della Lega nord.
Depenalizzazione del falso in bilancio.
Cancellarono la legge che prevedeva il carcere per il falso in bilancio delle società quotate in borsa. Ovviamente anche questa legge è stata fatta per il popolo. Chi non ha una società quotata in borsa?
Hanno abolito una legge fatta da Prodi (del quale non me ne può fregare di meno) contro "le dimissioni in bianco" che alcuni imprenditori praticavano per ricattare i dipendenti. Lo hanno fatto per tutelare i lavoratori, ovviamente. Fanno una legge che limita le intercettazioni.
Scrivono nero su bianco che puoi intercettare solo i mafiosi e i delinquenti. Ma se le intercettazioni servono apposta per scoprire i mafiosi e i delinquenti.... In pratica la giustizia dovrebbe prima scovarli, magari arrestarli e poi intercettarli.
Legge detta anche "ammazza mafia", anzi, no, scusate, detta anche "ammazza .....che mafia".
Per non parlare, poi dei tagli che hanno fatto alla scuola e alla santità.
E delle leggi che hanno votato, tipo la legge Fornero, che adesso fingono di combattere, come se ce l'avesse mandata un demone, passato di qui per caso. Il famoso demone Ber.Mel.Ini.
Credo che possa bastare, ne cito solo altre due, per par condicio, fatta dalla sinistra e precisamente dall'ex Ministra della salute Lorenzin, del governo Renzi. Ha fatto un decreto sulle prescrizioni dei farmaci e delle prestazioni, da parte dei medici di famiglia (questa è una cosa che ho toccato con mano).
Secondo questo decreto, l'esame del "'colesterolo" puoi farlo ogni 5 anni, a meno che non tu non abbia una patologia importante (ma non si dice sempre che le malattie bisogna prevenirle?) Lungimirante. In pratica per sapere se hai il colesterolo alto, ti deve prima venire un infarto o un ictus e poi lo puoi controllare. Una scienziata. Sembra sia discendente da Ippocrate. Il famoso medico del "giuramento di Ippocrate" che tutti i medici devono fare prima di iniziare la professione. Si narra che è apparso in sonno, una mattina, alla Ministra, mentre stava tranquillamente dormendo sugli scranni del parlamento, e le abbia suggerito questa cosa e quella che vi descrivo adesso.
L'altra cosa cosa meravigliosa riguarda i farmaci, specialmente per quanto riguarda il "Pantaprazolo" o "l'omeprazolo" (ma non solo).
Non posso essere prescritti due volte nello stesso mese. Giusto, si dirà, c'è un piccolo particolare, però, le scatole di questi farmaci sono composte da 28 pillole o 14 (per 2). Mi dice, la Lorenzin, come si fa a prenderle per 30/31 giorni se le pillole sono 28, per chi, come me, deve prenderne una al giorno? Mistero. C'è da pensare che la signora ha pensato questa ordinanza nel mese di Febbraio, in un anno non bisestile. O, che Ippocrate stesso, gliel'abbia suggerita in questo mese, mentre discuteva di scienze con Pitagora.
L'altro capolavoro l'ha fatto Renzi in persona, cancellando l'articolo 18 dal contratto dei lavoratori, che era l'unica tutela per gli operai. Uno di sinistra (diceva lui di esserlo) che fa una legge in favore degli imprenditori e contro gli operai. Il famoso movimento renziano, falce, martello e paglia nel cervello.
Queste sono solo alcune perle dei governi precedenti. La gente ha memoria corta oppure, mi viene da pensare, approvi queste schifezze. Non si spiega altrimenti, perché continuano a votarli.
Forse erano abituati a queste "regole" ed ora che è arrivato un movimento che mette al centro delle sue idee, il popolo, sembra talmente un'eccezione che sembra un errore, un'anomalia. È come quando sei talmente abituato a spingere l'auto per farla partire, che il giorno che parte al primo colpo, quasi ti arrabbi, talmente eri abituato alla spinta.
Questi grillini che pensano sempre al popolo. Ma come si permettono?
Aridatece Berlusconi.

(foto: http://www.libertaegiustizia.it/wp-
content/uploads/2010/12/02stern_berlusconi-300x216.jpg)

mercoledì 31 luglio 2019

Preferisco di No. - di Marco Travaglio - l Fatto Quotidiano del 31 Luglio 2019

L'immagine può contenere: una o più persone

Soltanto in un Paese smemorato come il nostro poteva avere successo lo slogan di Salvini, che l’ha copiato da Renzi, che l’ha copiato da Berlusconi, sull’ “Italia dei Sì” (bella) contro l’ “Italia dei No” (brutta).
Chi scrive si è sempre identificato nel motto di Longanesi “Sono un conservatore in un Paese in cui non c’è nulla da conservare”. E da almeno trent’anni constata che - salvo rare eccezioni, da contare sulla dita delle mani di un monco - le cosiddette “riforme” di una classe politica perlopiù indecente hanno regolarmente peggiorato le cose. Eppure tutti quelli che, a ogni “riforma” strillavano come ossessi il loro “sì”, dovrebbero chiedere scusa e possibilmente pagare i danni a chi, inascoltato, diceva “no”.
Anche nella forma più educata e un po’ surreale di Bartleby lo scrivano del famoso racconto di Herman Melville: “Preferirei di no”.
L’ultima volta che un bel No ci salvò da guai incalcolabili fu al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, quando respingemmo la schiforma Renzi-Boschi-Verdini e preservammo la nostra Carta fondamentale. 

Ma lo stesso era accaduto nel 2006, con la vittoria del No referendario alla deforma di B. E tutte le volte in cui, non potendo farlo noi cittadini, presidenti della Repubblica degni di questo nome (Scalfaro e Ciampi) e la Consulta respinsero a suon di No un bel po’ di leggi incostituzionali del centrosinistra (il decreto salvaladri Amato-Conso) e di B. (la Gasparri, l’ordinamento giudiziario Castelli, la Pecorella che aboliva l’appello solo per i pm, la Cirami, il lodo Schifani, il lodo Alfano ecc.). 
Se Napolitano avesse proseguito quella meravigliosa tendenza al No, ci avrebbe risparmiato le ultime vergogne del berlusconismo e tutte quelle del renzismo.
Anche perché ogni No (al peggio) sottintende sempre un Sì (al meglio).
Pensiamo al valore morale del No al Tav, cioè alla devastazione di una valle, quella di Susa, già martoriata da scempi di ogni genere, e delle casse dello Stato, già grassate e spolpate da decenni di bande e scorribande del partito trasversale degli affari. Dire No al Tav significa dire Sì all'ambiente e alla ricerca tecnologica su nuovi modelli di mobilità che tutto il mondo studia e realizza, tranne noi. Quando i 5Stelle, in questa strana stagione giallo-verde, hanno detto No alla Lega sul mega-condono fiscale, sulle trivelle, sugli inceneritori, sull'emendamento per l’eolico pro Arata&Nicastri, sulla nomina di Arata a capo dell’Autorità per l’Energia, sulla secessione della scuola spacciata per autonomia, sulla legge Pillon contro il diritto di famiglia, i loro elettori e non solo gliene sono stati grati.

Così come per i No alle depenalizzazioni del peculato per salvare quelli di Rimborsopoli e dell’abuso d’ufficio per salvare Fontana&C.. Il guaio è che ne avrebbero dovuti dire di più, di No. Per esempio: sul salvataggio di Salvini dal processo per sequestro di persona sulla nave Diciotti, hanno pronunciato un Sì che tradiva dieci anni di battaglie per la legge uguale per tutti. E i tradimenti si pagano, mentre le sconfitte politiche anche cocenti – come quella, ormai probabile, sul Tav Torino-Lione e quelle certe sul Tap e sull’Ilva - si possono alla lunga perdonare. Intendiamoci: non tutti i No sono popolari solo perché sacrosanti, anzi molti No sacrosanti fanno perdere un sacco di voti.

Soprattutto in un Paese senza memoria che non pensa mai a come starebbe meglio se qualcuno, a suo tempo, avesse detto No alla privatizzazione delle autostrade, al Mose, ai mondiali di calcio di Italia 90, alle Olimpiadi invernali di Torino 2006, ai Mondiali di Nuoto di Roma 2009, all’Expo di Milano 2015 e a decine di grandi opere e grandi eventi inutili e costosi che hanno svuotato l’erario e indebitato le metropoli senza produrre un euro di valore aggiunto. 

Infatti, se si facesse un sondaggio sugli illuminati No di Monti e della Raggi alle Olimpiadi di Roma 2020 e 2024, la maggioranza sarebbe contraria: la maggioranza, non da oggi, vuole panem et circenses, salvo poi strillare quando arriva il conto delle tasse per ripagarli.

Ora Salvini, forte dei voti incassati il 26 maggio, continua a menarla col Partito dei Sì (la Lega) contro il Partito dei No (il M5S). E molti si bevono questa favoletta per gonzi secondo cui dire Sì beatamente e beotamente a tutto sarebbe un vantaggio per i cittadini. Senza mai domandarsi a che cosa si debba dire Sì. Sì all’autonomia differenziata in versione secessione? Per carità. Sì a una flat tax che taglia le tasse ai ricchi, da sempre mantenuti dai lavoratori dipendenti e pensionati del fu ceto medio? Dio ce ne scampi.

A ben vedere, qualche Sì conveniente per la collettività ci sarebbe: 

- il Sì definitivo alla legge costituzionale che riduce di un terzo i parlamentari (si spera accompagnata da un ritocco dei collegi del Rosatellum, per evitare gli effetti ipermaggioritari del combinato disposto), 
- il Sì alla norma che taglia gli stipendi degli eletti più pagati d’Europa, 
- il Sì alla legge contro la privatizzazione dei servizi idrici e degli altri beni comuni, 
- il Sì al salario minimo (su cui ci scavalca persino da frau Von der Leyen), 
- il Sì a una riforma della Rai che elimini non il canone ma i partiti, 
- il Sì a una riforma che cacci la politica dalle Asl e dagli ospedali. E – aggiungiamo noi - 
- il Sì al carcere per gli evasori con l’aumento delle pene e la sparizione delle vergognose soglie di non punibilità per chi deruba il fisco.

Sono tutte norme previste dal Contratto di governo, a cui il sedicente Partito del Sì ha finora detto No o Ni. Ma sono anche norme di puro buonsenso ed equità che dovrebbero campeggiare nei programmi di un centrosinistra degno di questo nome. Che, se nei suoi 11 anni di governo sugli ultimi 20, avesse pronunciato i Sì e i No giusti, non sarebbe scomparso dai radar.


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mercoledì 19 giugno 2019

La giustizia non è uguale per tutti. - Anna Lombroso



C’è stato un tempo cui oggi guardiamo come a una età di Pericle nel quale in molti illuminati pensarono che la democrazia conquistata con il riscatto di un popolo dovesse essere sottoposta a una continua e pervicace manutenzione, perché non era bastata una lotta di liberazione dallo “straniero” per stabilire e consolidare condizioni di uguaglianze, giustizia e libertà. E che la Costituzione non doveva restare una pagina di straordinario valore morale e perfino letterario, ma un elenco di propositi e responsabilità alla cui realizzazione  tutti dovevano concorrere.
Nascevano allora delle organizzazioni che volevano affrancarsi da principi e legami di carattere corporativo per impregnare dello spirito democratico istituzioni, corpi e strutture dello stato e professioni che erano incaricate di svolgere funzioni di servizio. Accadeva una cinquantina di anni fa, quando  Giulio A. Maccacaro fondò “Medicina Democratica” che nel rifarsi a valori universali della scienza ne indicava i limiti quando si mettevano al servizio del mercato,  se avevano il sopravvento ” quelle statiche e sonnolenti interpretazioni dell’articolo 32, 1° comma della Costituzione”, se non diventava patrimonio sociale e culturale comune il diritto alla salute, oggetto di una lotta collettiva capace “di contestare alla radice non solo come produrre ma anche cosa, per chi e dove produrre”.
E in quegli stessi anni nasceva Magistratura Democratica (era il 1964) che si caratterizzava per un’ispirazione ideologica  improntata alla difesa dell’autonomia ed indipendenza del potere giudiziario rispetto agli altri poteri dello Stato,   impegnata nello “sviluppo di una cultura giurisdizionale europea fondata sul rispetto, in ogni circostanza, dei principi dello Stato di diritto democratico, tra i quali spiccano in primo luogo il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.”
Ci vuol poco a capire quanto servirebbe oggi la lezione di Maccacaro applicata, tanto per dire, alla città di Taranto dove si è saputo di controllori comprati e venduti, dove star bene è incompatibile col salario, dove la bandiera italiana si alza a mezz’asta per ricordare il +21% di mortalità infantile rispetto alla media regionale ,il +54% di tumori in bambini da 0 a 14 anni, il +20% di eccesso di mortalità nel primo anno di vita e il +45% di malattie iniziate già durante la gestazione.  E quanto sarebbe utile quella di Marco Ramat, uno dei padri di Magistratura Democratica, per rivedere quelle radici fondanti alla luce del tramonto europeo e della dispersione di quella radiosa visione convertita in fortezza dalla quale partono gli imperativi della cancellazione di democrazie, diritti, indipendenza e autodeterminazione e  quando l’auspicata autonomia dai poteri dello stato non sembra annoverare  quella dal potere economico, dalla ingerenza partitica e dalla subalternità ai  vari “comitati di affari della borghesia” come li chiamava Lenin.
Secondo gli archivi dell’associazione stessa aderiscono a Magistratura democratica circa 900 degli 8.886 magistrati italiani in servizio, ovvero circa un magistrato su dieci. Non sono molti ma con quelle premesse sarebbe lecito  aspettarsi che da loro venisse qualcosa di più ragionato e incisivo delle letterine a babbo natale impregnate di un vago umanitarismo prodotte in occasione dei congressi e che sembrano adattarsi alla falsariga delle mozioni elettorali del Pd, o del blando comunicato emesso mentre fuori divampa la fiamma dello scandalo: … ribadiamo che Magistratura democratica – neppure presente in CSM come sigla autonoma – è del tutto estranea a tali vicende.
Come denunciava il Simplicissimus,  (qui: https://ilsimplicissimus2.com/2019/06/16/la-giustizia-e-cosa-troppo-seria-per-lasciarla-ai-magistrati/) la giustizia avrebbe bisogno di essere officiata da ben altri sacerdoti.
Non tutti devono essere Falcone e Borsellino, per carità, vorremmo non aver bisogno di martiri, ma non bastano di certo le mozioni congressuali intrise di buoni sentimenti e spirito umanitario e compassionevole  per rassicurarci sulla separazione oltre che dai poteri interni da quelli europei e sovranazionali con i quali partecipiamo a imprese belliche e coloniali, non è sufficiente un comunicato sul caso Diciotti per confortarci che nei tribunali non si assecondi la volontà del legislatore che per legge ha stabilito che lo straniero non possa difendersi come il cittadino italiano in tutti i gradi di giudizio, così come non tranquillizza che in nome della rivendicata autonomia insieme a Montesquieu nella relazione di apertura dell’ultimo congresso sia citato Ezio Mauro in veste di politologo e costituzionalista a conferma  dell’allarme per il radicalismo del nuovo sovranismo alla pari con  il radicalismo egualitario e camaleontico dell’antipolitica, colpevoli di aver  sancito la sconfitta della sinistra rappresentata dal Pd, o che si metta in guardia dalla fascistizzazione della nuova destra (che per la verità tanto nuova non è se è stata la governo vent’anni producendo per esempio la Bossi Fini, la legge Maroni e quelle ad personam), dando credito che il problema cruciale del  paese sia la percezione indotta  dell’invasione straniera, in linea con il negazionismo che bollando la marmaglia posseduta da rigurgiti reazionari,  nazionalistici,  protezionistici, smentendo l’ovvio: le disuguaglianze crescenti, la falcidia di posti di lavoro e la dequalificazione dell’occupazione che ancora c’è, la riduzione dei redditi e del potere d’acquisto prodotta dai processi di globalizzazione e finanziarizzazione.
E se i magistrati democratici proprio volessero riguadagnare la buona reputazione nel contesto geografico europeo meglio sarebbe che ricercassero l’approvazione della Corte di Strasburgo, impegnandosi in prima persona per reclamare e garantire l’attuazione dei principi che condannano il reato di tortura, quelli commessi da industrie criminali contro la sicurezza sul lavoro e l’ambiente.
Loro e gli altri quasi 9000 li vorremmo vedere esprimersi e applicare le leggi (che ci sono e sono anche troppe) sugli stati di necessità, per reprimere quelli fasulli di chi commette abusi e fare giustizia per quelli che riguardano i senza tetto che occupano gli alloggi   vuoti frutto di speculazioni immobiliari colpiti dalla sospensione dei servizi, distinguendo tra chi reclama il diritto primario alla casa da Casa Pound, tanto per fare un nome a caso. E quello stesso nome insieme ad altri della stessa fatta viene alla mente, quando vorremmo vedere che un magistrato applicasse con la doverosa severità le leggi che proibiscono l’apologia di reato, senza bisogno di farne di nuove, che basterebbe prendere alla lettera quella che già ci sono mai eseguite a memoria d’uomo post-resistenziale.
Perché il fascismo quello di ieri e quello di oggi si combatte così,  non applicando le leggi come se fossero teoremi aritmetici o peggio algoritmi, si tratti di uso privato delle armi, di decoro urbano compromesso dai poveracci di qualsiasi etnia la cui visione turba e va limitata, colpendo gli ultimi per rassicurare i primi e pure i penultimi. Perché di quello parliamo quando i grandi truffatori, i grandi corruttori, i grandi speculatori, le grandi multinazionali sfuggono alle maglia della giustizia a differenza del ladruncolo della proverbiali due mele,  perché le regole e i principi di legalità vengono confezionati dalla lobby dei grandi studi legali internazionali, e poi eseguite sciorinando il repertorio di scappatoie offerte generosamente dai “tempi dell’amministrazione della giustizia”, anche quelli discrezionale e arbitrari, veloci coi deboli, lenti coi forti che così possono entrare e uscire dalle porte girevoli di tribunali e patrie galere.
Si la giustizia è una cosa seria ma complicata. E per quello se la comprano quelli che se la possono permettere, quelli che possono farsela da soli, quelli che la aggiungono al tanto che hanno già togliendola a quelli che ne avrebbero più bisogno.

sabato 6 aprile 2019

Il Codice Normale - Marco Travaglio

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L’altro giorno abbiamo provato a immaginare quanti voti guadagnano i “populisti” fra quanti leggono di Gueladje Koulibaly, immigrato clandestino dalla Guinea, con precedenti per violenza, resistenza e una molotov, che dovrebbe già essere stato rimpatriato o almeno ristretto in un Cara in attesa dell’espulsione decretata da mesi dal questore; invece nessuno lo cerca, lui resta a piede libero e tenta di stuprare una diciottenne a Torino, nel parco del Valentino. 
Oggi ci poniamo la stessa domanda per un’altra notizia, ancor più grave, sempre da Torino: quella di Said Mechaquat, marocchino con cittadinanza italiana, che il 23 febbraio ha sgozzato il giovane Stefano Leo scambiandolo per un ex rivale in amore, ma quel giorno avrebbe dovuto essere in carcere o ai domiciliari o ai servizi sociali (dal 9 maggio 2018, e per una condanna del 2016!) a scontare una condanna di 1 anno e 8 mesi senza condizionale per maltrattamenti alla consorte, invece era libero per i soliti ritardi nell’esecuzione della pena. 
Ieri il procuratore generale Edoardo Barelli s’è scusato (per quel che può valere) con i familiari della vittima e ha spiegato che il caso di Said è tutt’altro che isolato: soltanto nella civilissima Torino, ci sono circa 15 mila sentenze definitive emesse dal 2016 a oggi su almeno altrettanti criminali che attendono di essere eseguite per la cronica assenza di personale (giudici, cancellieri, segretari, agenti). Figurarsi quanti sono in tutto il resto d’Italia. Non tutti i condannati, al momento dell’esecuzione, finiscono in cella, anzi solo una minima parte.
In Italia, grazie alla legge Gozzini e alla stratificazione di infinite norme svuotacarceri (l’ultima, del ministro Orlando, l’ha fortunatamente cancellata Bonafede), chi deve scontare una pena complessiva o residua fino a 3 anni (in certi casi 4), la galera non la vede neppure in cartolina. 
Dunque anche Said probabilmente sarebbe finito in qualche ospizio o ente benefico, tipo B. a Cesano Boscone. Ma ci sono pure i condannati “over 3” (o 4) che un po’ di carcere devono farselo per forza. Bene, anzi male: quando finalmente lo Stato, zigzagando fra gradi e fasi di giudizio, prescrizioni, amnistie, condoni, indulti, scappatoie e cavilli vari, dopo anni e anni, con enorme dispendio di soldi, uomini, strutture ed energie, riesce finalmente ad assicurare alla giustizia un colpevole, manca il personale per l’ultimo tratto di strada da casa alle patrie galere. Decine di migliaia di potenziali galeotti, molto pericolosi visto che le loro condanne superano i 4 anni, circolano indisturbati fra noi, pronti a riprendere l’attività criminale.
Il che rende tragicamente ridicoli gli alti lai che a cadenza regolare si levano dai pulpiti “garantisti” sul “sovraffollamento carcerario” per i “troppi detenuti” e le “poche pene alternative”. Panzana che fa il paio con un’altra, già smentita dagli studi criminologici più seri: che il tasso di recidiva aumenti per chi sconta la condanna in carcere e diminuisca per chi resta a piede libero (con tanti saluti a Cesare Beccaria, gran sostenitore della certezza della pena). La verità è che l’Italia ha meno detenuti in rapporto alla media europea e soprattutto in rapporto al numero di criminali in circolazione (essendo l’unico Paese d’Europa con tre regioni controllate militarmente dalle mafie e col record di corruzione ed evasione fiscale). Chi pensa che gli attuali 60 mila detenuti siano troppi finge di ignorare che, alla luce delle sentenze ineseguite, dovrebbero essere il doppio. E, se non lo sono, è solo perché il sistema non funziona. 
Il che rende paradossale la solita ricetta di aprire le galere per far uscire un po’ di delinquenti, con l’ennesimo indulto, amnistia, svuotacarceri per mandare lorsignori a scontare la pena a casa propria o in qualche istituto, dove poi manca il personale per controllare che rispettino gli obblighi e non tornino a delinquere.

Le anime belle hanno criticato uno dei punti più sacrosanti del programma giallo-verde: quello di costruire nuove carceri. Queste consentirebbero ai detenuti di vivere in spazi più civili e allo Stato di adeguare i posti-cella a un fabbisogno destinato a crescere nel caso di anche minimi recuperi di efficienza della macchina giudiziaria. Carceri che si potrebbero ricavare non solo edificando nuove strutture, ma anche riadattando (per i detenuti meno pericolosi) le caserme in disuso. Ma non basta: oltre ai passi già compiuti da Bonafede (blocca-prescrizione, Anticorruzione, esclusione dei reati da ergastolo dal rito abbreviato e dai relativi sconti di pena), è in cantiere la riforma del Codice di procedura penale. L’occasione giusta per sfrondarlo da assurde scappatoie fatte apposta per regalare l’impunità ai colpevoli. L’altro giorno Giulia Ligresti ha ottenuto dalla Corte d’appello di Milano la revisione della pena di 2 anni e 8 mesi, più sequestro di azioni e immobili per circa 15 milioni, da lei stessa patteggiata a Torino per aggiotaggio e falso in bilancio. Avete mai visto un innocente che patteggia 32 mesi di galera e il sequestro di 15 milioni? Evidentemente era innocente a sua insaputa. Eppure in Italia è possibile anche questo: concordi una pena, non la impugni (perché si può pure patteggiare e poi ricorrere in appello e in Cassazione), la rendi definitiva; poi si scopre che il Tribunale dove hai patteggiato non era competente e i processi a te e agli altri ripartono altrove da zero con risultati opposti; il tuo patteggiamento diventa carta straccia; e ti ritrovi pure beatificato dai giornali come un martire sul calvario e la vittima di un errore giudiziario cui hai concorso anche tu. È populismo indignarsi per le baggianate che rendono ridicola la Giustizia? Se lo è, ci iscriviamo subito. Ma preferiamo chiamarlo buonsenso.

martedì 2 aprile 2019

Questo è quello che è stato fatto fin’ora dal M5S in 9 mesi di governo. - Viviana Vivarelli

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– Legge spazza corrotti
– Legge Reddito di cittadinanza
– Taglio delle pensioni d’oro
– Taglio dei vitalizi
– Aumento pensioni minime
– Pensioni di cittadinanza
– Decreto Sblocca-cantieri
– Decreto emergenze territorio
– Riduzione delle tariffe di gas e luce dal prossimo trimestre
– Rimborso ai cittadini truffati dalle banche
– Progetto Salario minimo orario garantito ai lavoratori
– Decreto Dignità del lavoro
– Fondo milionario per le start-up
– Taglio del 30% delle tariffe INAIL alle imprese
– Riduzione IVA per medie e piccole imprese
– Blocco aumento IVA per i consumatori
– Progetto di taglio del 100% IMU su capannoni per le           imprese
– Blocco trivellazioni
– Sblocco assunzioni Sanità
– Progetto Acqua pubblica
– Incentivi per i veicoli eco-sostenibile
– vietati i pignoramenti della prima casa….
– corrotti immediatamente cacciati dal Movimento
– candidati scelti dalla base
- parte degli emolumenti dei parlamentari dati a un fondo che fa da garanzia alle medie e piccole imprese
Voi che odiate tanto il M5S, cos’è che non vi piace?

lunedì 4 febbraio 2019

Leggi incostituzionali.

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Questa legge è incostituzionale, perche disattende quanto sancito nella Costituzione all'art. 3 che recita: "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese." ed è stata scritta, votata e varata da chi avrebbe dovuto eliminare e non creare gli ostacoli di ordine economico e sociale tra noi e loro; è oltremodo raccapricciante constatare che non venga presa in esame e messa in discussione dalla Corte Costituzionale perchè anche i componenti della medesima godono degli stessi diritti di chi ha creato la legge iniqua. Poi ci vengono a parlare di diritti acquisiti che non possono essere cancellati, eliminati in quanto tali... quando a noi ne hanno cancellati ed eliminati tantissimi, compreso quello di vivere dignitosamente... Hanno creato un divario abissale tra loro, i baciati dalla fortuna, e noi, i disadattati, i disagiati, sottomessi a chi dovrebbe lavorare per noi e per il nostro bene... E' per questo motivo che, quando andiamo a compiere il nostro dovere nelle urne, abbiamo l'obbligo morale di ponderare bene le nostre scelte, perchè da quel nostro gesto dipenderà il nostro futuro e quello dei nostri figli. Il loro grande inganno è farci credere che noi abbiamo solo doveri e nessun diritto, e che ciò che loro (scelti da noi per lavorare per noi, pagati da noi) decidono è l'assioma indiscutibile.... Cetta.

martedì 5 settembre 2017

Democrazia.

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Una democrazia prevede che a governare sia il popolo attraverso i suoi rappresentanti eletti in piena libertà.
I rappresentanti eletti dal popolo dovrebbero, pertanto, garantire ai cittadini che li hanno scelti, benessere e tranquillità.
Il popolo dovrebbe essere, quindi, garantito, supportato, coccolato e soddisfatto.
Ogni cittadino dovrebbe avere un lavoro decente che gli dia la possibilità di guadagnare quel tanto che gli garantisca una sopravvivenza dignitosa e avere tempo libero da dedicare ad un giusto riposo, sia mentale che fisico, alla socializzazione ed alla famiglia.
Dovrebbe anche avere uno spazio di tempo da dedicare allo svago ed alla cura del fisico, un detto latino recita: "mens sana in corpore sano".
Quando le basi del vivere consono e civile vengono a mancare, viene a mancare anche la sruttura stessa di democrazia ed il cittadino vive male, è scontento, insoddisfatto.
Noi stiamo vivendo un periodo in cui le basi del vivere consono e civile sono deficitarie, navighiamo in acque torbide in cui nulla è normale, nulla ha una connotazione, tutto è aleatorio.
Ci siamo affidati, purtroppo, - un po' per stanchezza, un po' per colpa di leggi raffazzonate, pensate e scritte senza criterio o logica, - ad arroganti, presuntuosi ed irresponsabili incompetenti che ci hanno trascinato in un circolo vizioso per cui, per sopperire alle lacune create, vengono fatti rispettare coercitivamente i doveri, ma non vengono riconosciuti i diritti.
E tutto ciò perchè i nostri eletti non riescono a studiare e varare leggi che tendano a creare una continuità, una scorrevolezza, un'adeguatezza, una logicità, allo scorrere della vita del paese intero.
A cominciare da una legge elettorale che sia l'espressione della volontà dei cittadini.
Con la scusa della governabilità, ci stanno togliendo anche la libertà di scegliere da chi farci governare e studiano paradossi per cui l'illogico diventa, come per incanto, lecito e accettabile.
E' inimmaginabile, infatti, che partiti di fazioni ed ideologie opposte si alleino in prossimità delle elezioni per vincere ed accaparrarsi il premio di maggioranza e poi, una volta occupati i seggi in parlamento, riprendere a farsi opposizione ed accapigliarsi l'uno contro l'altro armati in balia di chi li "mazzetta meglio", perchè è bene che si sappia, il 90% dei parlamentari si buttano in politica per assaporare il potere di decidere e per arricchirsi alla faccia di chi li ha votati.
E poi, come mai sentiamo ancora parlare di mafia, 'ndrangheta, camorra, sacra corona unita, quando dovrebbero essere state sgominate e sepolte già da tempo immemorabile?
Non riesco a credere che non riescano ad arrestare un Matteo Messina Denaro latitante da sempre.
No, non credo che la nostra sia una democrazia: la democrazia è quella di Pericle:

PERICLE, DISCORSO AGLI ATENIESI, 431 A.C.

Qui ad Atene noi facciamo così.
Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza. Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.
Qui ad Atene noi facciamo così.
La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo. Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo. Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa. E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benchè in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla. Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia. Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore. Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versalità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.
Qui ad Atene noi facciamo così.

giovedì 25 agosto 2016

Quei 100mila codici sono una delle emergenze nazionali. - Michele Ainis

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Come si misura la forza di un governo
Dov’è situato l’indice che ne stabilisce l’efficacia? 
Ovvio: nell’archivio delle Gazzette ufficiali. 
Perché un governo è forte quando produce decisioni, e le decisioni politiche indossano la forma della legge. 
Dunque ogni legge costituisce un trofeo, un vessillo, una medaglia al valore.
Errore: sarà così per gli altri popoli, non alle nostre latitudini. Non quando ogni italiano è alle prese con 40 mila leggi statali e regionali, nonché – secondo le stime più prudenti – 60 mila regolamenti governativi. Non se questa pioggia di regole viene scritta in ostrogoto, nell’«antilingua» di cui parlò Calvino. Non quando le norme si contraddicono a vicenda, oppure nuotano in una rete d’allusioni e di rimandi dove annegherebbe anche Licurgo, il gran legislatore. Non se ciascun codicillo brucia per il tempo d’un fiammifero, sicché appena l’hai imparato devi già dimenticarlo, perché incalza la riforma della legge di riforma.
Più che un problema, una maledizione. Dovrebbe essere ascritta fra le più gravi emergenze nazionali; non è così. Della questione non parla più nessuno. O almeno non ne parlano i politici nostrani, giacché all’estero se ne parla pure troppo. In luglio l’Economist ci ha costruito la sua copertina, descrivendo l’economia italiana agonizzante per gli eccessi normativi. D’altronde basta chiedere alle imprese straniere, quelle poche che ancora investono quaggiù: le scoraggia l’incertezza del diritto, la lotteria dei tribunali. 


Oppure possiamo domandarlo agli italiani, costretti ad uno slalom fra 106 scadenze fiscali concentrate in un’unica giornata (il 22 agosto).

E a proposito d’affari. In aprile è entrato in vigore il nuovo codice degli appalti, illuminato dall’idea di sbloccare i lavori pubblici. Risultato: nei mesi successivi blocco delle gare (75% in meno a maggio, 60% in meno a giugno). Tanto che Lorenzo Codogno, ex capo economista del Tesoro, pronostica un impatto negativo sul Pil. Per forza, con 220 articoli e 25 allegati che nessuno sa ancora come interpretare. Anche se per la verità non lo sapevamo neppure prima, arrancando dalla Merloni bis, ter, quater, fino al codice dei contratti pubblici del 2006, o fino alle 6 leggi di semplificazione in materia d’appalti intervenute fra il 2008 e il 2012.


Semplificare la semplificazione, ecco la sfida. 

O almeno provarci, chiudendo innanzitutto il rubinetto delle leggi. Invece gira la favola contraria: il procedimento legislativo è troppo complicato, bisogna accelerarlo togliendo di mezzo l’ingombro del Senato. Eppure nella legislatura scorsa le Camere hanno licenziato 391 leggi, che si sommano alle 241 fin qui approvate durante la legislatura in corso.
Non che la Costituzione sia impotente a risolvere questo grattacapo. Potrebbe farlo, per esempio, ospitando una norma come quella dettata nel 1997 dalla Bicamerale presieduta da D’Alema, e riproposta tale e quale nel 2013 dal comitato dei 35 “saggi” insediato dall’esecutivo Letta: una norma che garantisca la codificazione del diritto, per dirla con parole semplici. Invece niente, zero, pagina bianca. La riforma corregge 47 articoli della nostra vecchia Carta, si vede che i riformatori non avevano più inchiostro.
Questo calo di tensione deriva da un vuoto d’attenzione. Imperdonabile, dato che il troppo diritto è l’alimento della corruzione che ci intossica. 


Come scriveva Tacito? Corruptissima re pubblica plurimae leges.

Eppure non molti anni addietro la questione era al centro della nostra vita pubblica. Di più: fu oggetto di un’iniziativa bipartisan, benché allora imperversasse un bipolarismo muscolare. Accadde nel 2005, con la “taglialeggi”: tenuta a battesimo dal secondo governoBerlusconi, attuata durante il secondo governo Prodi, completata nel 2009 dal terzo governo Berlusconi.


Con non pochi pasticci, certo, come la ripetuta abrogazione di norme già abrogate. Con inutili colpi di teatro, come il lanciafiamme acceso dal ministro Calderoli per bruciare qualche scatolone vuoto. Ma quantomeno in quell’epoca destra e sinistra erano coscienti del problema. Ora non più, sulla vicenda torreggia il muro del silenzio. Sicché non ci resta che imbastire una seduta spiritica, chiamando in soccorso l’anima di Giustiniano, che “d’entro le leggi trasse il troppo e ‘l vano”.


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