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mercoledì 1 luglio 2020

Il virus-Bibbiano: “Prove solide, la luce non si spegnerà”. - Selvaggia Lucarelli

Il virus-Bibbiano: “Prove solide, la luce non si spegnerà”

Il Coronavirus ha smesso di occupare ogni piega della cronaca e si torna a parlare di Bibbiano. E succede una cosa strana, ovvero che chi conosce la vicenda, il luogo e il tempo da cui parte, le ramificazioni e gli intrecci di quegli psicologi con i tribunali d’Italia, trova la parola “contagio” aderente anche a questa storia. Perché anche Bibbiano, in fondo, è una malattia che parte da lontano, che si è propagata, che ha scelto il suo paziente zero, il territorio in cui propagarsi silenziosamente, le sue vittime. La Procura di Reggio Emilia ha chiesto il rinvio a giudizio per ben 24 imputati a seguito dell’indagine "Angeli e demoni". Tra questi, ci sono Claudio Foti, il fondatore della onlus Hansel e Gretel, sua moglie Nadia Bolognini, l’ex responsabile dei servizi sociali dell’Unione comunale Federica Anghinolfi (con un numero di capi di imputazione che fa paura) e anche il sindaco di Bibbiano Andrea Carletti, quello a cui secondo Nicola Zingaretti avremmo dovuto chiedere preventivamente scusa, chissà perché. Convocati anche 155 testimoni e tra questi il nome di una persona che è ben più che testimone dei fatti: il giornalista Pablo Trincia. Perché senza il suo lavoro di indagine su “Veleno” e quel che accadde di così simile a Bibbiano nella Bassa Modenese, oggi forse Bibbiano sarebbe solo quell’anonimo comune a sud di Reggio Emilia, in cui nessuno si accorge di quello che accade.
Pablo, sarai nella lista testimoni. Cosa vuol dire?
In un convegno a Mirandola si parlava di Veleno, sul palco qualcuno di noi relatori accennò al fatto che nella Val d’Enza stavano succedendo cose analoghe. Non sapevo delle indagini in corso su Bibbiano. Il giorno dopo la Procura di Reggio mi chiamò per sapere cosa sapessi e perché.
Cosa sapevi?
Ero stato contattato da alcuni genitori coinvolti nei fatti dei Bibbiano. Mi aveva impressionato la somiglianza delle due storie, nonostante i 20 anni tra l’una e l’altra. Bibbiano è un’estensione di Veleno: il mondo dei bambini visto attraverso il filtro del complotto, del satanismo, degli abusi, dei poteri forti.
Lo schema è lo stesso.
Sì, tornano perfino le storie sulle sette sataniche usate per suggestionare, oltre che le pressioni psicologiche sui bambini. Solo che mentre in Veleno c’era pochissimo materiale video e audio per provare le accuse, qui abbiamo letto le intercettazioni, sentito i discorsi di psicologi e assistenti sociali grazie alle cimici, visto le chat in cui dicevano che avevano paura, in cui parlavano di “sistema”.
Sono passati 23 anni dalla prima accusa di un bambino a un genitore nella Bassa Modenese. Qualche bambino di quelli che oggi negano quegli abusi è più entrato in contatto con gli psicologi di Hansel e Gretel?
Uno di loro ha scritto un post su Facebook raccontando che Claudio Foti tempo fa, prima della conclusione delle indagini, lo aveva contattato cercando ancora di convincerlo di aver subito abusi, dicendo che io sono un negazionista.
Perché ci sono voluti 23 anni per smascherare questo sistema?
Tra le altre cose perché è un po’ la giustizia che giudica se stessa. Sono decenni che le procure si avvalgono della consulenza di questi psicologi.
Avresti ritenuto possibile di aprire il giornale una mattina e di scoprire che Foti era finito agli arresti?
Mai. Non ho mai pensato che una procura si sarebbe potuta interessare di abusi non dal lato degli “abusati”, ma da quello di chi raccoglieva le loro testimonianze, degli psicologi, degli operatori, delle suggestioni. Questo processo non ha precedenti nel mondo, è storico.
È il processo a cosa, in sintesi?
A un modo di intendere la psicologia, a un sistema di affidi, alla sottrazione illecita di minori, ai pregiudizi e a un mondo che ha sempre avuto l’appoggio, la fiducia di buona parte della magistratura.
Di tutto quello che hai letto negli atti cosa ti ha colpito di più nell’indagine “Angeli e demoni”?
Un’intercettazione in cui un bambino parla normalmente di un genitore e la psicologa sposta sempre il discorso sul sesso. È un caso da manuale: il bambino non viene ascoltato, ma viene trasformato in arma da utilizzare contro i propri familiari.
Sui social hai accusato il Pd di non essersi occupato abbastanza di Bibbiano.
Il Pd non ha fatto altro che difendersi da attacchi che erano sì strumentali, ma non ha aggiunto altro. Mi sarebbe piaciuto sentire il Pd dire: ce ne occuperemo perché questo progetto di Bibbiano è stato sostenuto da noi e saremo i primi a cercare la verità.
Quando sei stato convocato nella commissione su Bibbiano in Emilia Romagna cosa è successo?
Ho visto una sinistra ostile nei miei confronti, che prendeva le difese di quel mondo. Ebbi uno scambio acceso con Silvia Prodi, la nipote di Prodi, che criticò il mio lavoro su Veleno e parlando con lei lì scoprii che non sapeva quasi nulla degli atti e della vicenda. Era una difesa d’ufficio, con tanto di famiglie affidatarie che furono convocate dal Pd. Le stesse che offendono sui social le famiglie naturali.
Qualcuno dice che il processo finirà in una bolla di sapone.
Attenzione. Un’assistente sociale ha già patteggiato a 1 anno e 8 mesi per aver redatto in modo distorto dei verbali su minori. E non era una delle figure di spicco. Non pensò finirà con condanne lievi, ho letto tutto e il quadro probatorio è corposo, con prove solide. Gli stessi video che Foti ha prodotto per discolparsi, lo hanno messo nei guai. Al di là delle sentenze, comunque, questo processo ha acceso la luce su un tema sempre ignorato. Quando lavoravo su “Veleno” nessuno mi ascoltava, dicevo a tutte le persone coinvolte: ‘Non aspettatevi nulla perché qui non succede mai nulla’. E invece.

mercoledì 19 giugno 2019

La giustizia non è uguale per tutti. - Anna Lombroso



C’è stato un tempo cui oggi guardiamo come a una età di Pericle nel quale in molti illuminati pensarono che la democrazia conquistata con il riscatto di un popolo dovesse essere sottoposta a una continua e pervicace manutenzione, perché non era bastata una lotta di liberazione dallo “straniero” per stabilire e consolidare condizioni di uguaglianze, giustizia e libertà. E che la Costituzione non doveva restare una pagina di straordinario valore morale e perfino letterario, ma un elenco di propositi e responsabilità alla cui realizzazione  tutti dovevano concorrere.
Nascevano allora delle organizzazioni che volevano affrancarsi da principi e legami di carattere corporativo per impregnare dello spirito democratico istituzioni, corpi e strutture dello stato e professioni che erano incaricate di svolgere funzioni di servizio. Accadeva una cinquantina di anni fa, quando  Giulio A. Maccacaro fondò “Medicina Democratica” che nel rifarsi a valori universali della scienza ne indicava i limiti quando si mettevano al servizio del mercato,  se avevano il sopravvento ” quelle statiche e sonnolenti interpretazioni dell’articolo 32, 1° comma della Costituzione”, se non diventava patrimonio sociale e culturale comune il diritto alla salute, oggetto di una lotta collettiva capace “di contestare alla radice non solo come produrre ma anche cosa, per chi e dove produrre”.
E in quegli stessi anni nasceva Magistratura Democratica (era il 1964) che si caratterizzava per un’ispirazione ideologica  improntata alla difesa dell’autonomia ed indipendenza del potere giudiziario rispetto agli altri poteri dello Stato,   impegnata nello “sviluppo di una cultura giurisdizionale europea fondata sul rispetto, in ogni circostanza, dei principi dello Stato di diritto democratico, tra i quali spiccano in primo luogo il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.”
Ci vuol poco a capire quanto servirebbe oggi la lezione di Maccacaro applicata, tanto per dire, alla città di Taranto dove si è saputo di controllori comprati e venduti, dove star bene è incompatibile col salario, dove la bandiera italiana si alza a mezz’asta per ricordare il +21% di mortalità infantile rispetto alla media regionale ,il +54% di tumori in bambini da 0 a 14 anni, il +20% di eccesso di mortalità nel primo anno di vita e il +45% di malattie iniziate già durante la gestazione.  E quanto sarebbe utile quella di Marco Ramat, uno dei padri di Magistratura Democratica, per rivedere quelle radici fondanti alla luce del tramonto europeo e della dispersione di quella radiosa visione convertita in fortezza dalla quale partono gli imperativi della cancellazione di democrazie, diritti, indipendenza e autodeterminazione e  quando l’auspicata autonomia dai poteri dello stato non sembra annoverare  quella dal potere economico, dalla ingerenza partitica e dalla subalternità ai  vari “comitati di affari della borghesia” come li chiamava Lenin.
Secondo gli archivi dell’associazione stessa aderiscono a Magistratura democratica circa 900 degli 8.886 magistrati italiani in servizio, ovvero circa un magistrato su dieci. Non sono molti ma con quelle premesse sarebbe lecito  aspettarsi che da loro venisse qualcosa di più ragionato e incisivo delle letterine a babbo natale impregnate di un vago umanitarismo prodotte in occasione dei congressi e che sembrano adattarsi alla falsariga delle mozioni elettorali del Pd, o del blando comunicato emesso mentre fuori divampa la fiamma dello scandalo: … ribadiamo che Magistratura democratica – neppure presente in CSM come sigla autonoma – è del tutto estranea a tali vicende.
Come denunciava il Simplicissimus,  (qui: https://ilsimplicissimus2.com/2019/06/16/la-giustizia-e-cosa-troppo-seria-per-lasciarla-ai-magistrati/) la giustizia avrebbe bisogno di essere officiata da ben altri sacerdoti.
Non tutti devono essere Falcone e Borsellino, per carità, vorremmo non aver bisogno di martiri, ma non bastano di certo le mozioni congressuali intrise di buoni sentimenti e spirito umanitario e compassionevole  per rassicurarci sulla separazione oltre che dai poteri interni da quelli europei e sovranazionali con i quali partecipiamo a imprese belliche e coloniali, non è sufficiente un comunicato sul caso Diciotti per confortarci che nei tribunali non si assecondi la volontà del legislatore che per legge ha stabilito che lo straniero non possa difendersi come il cittadino italiano in tutti i gradi di giudizio, così come non tranquillizza che in nome della rivendicata autonomia insieme a Montesquieu nella relazione di apertura dell’ultimo congresso sia citato Ezio Mauro in veste di politologo e costituzionalista a conferma  dell’allarme per il radicalismo del nuovo sovranismo alla pari con  il radicalismo egualitario e camaleontico dell’antipolitica, colpevoli di aver  sancito la sconfitta della sinistra rappresentata dal Pd, o che si metta in guardia dalla fascistizzazione della nuova destra (che per la verità tanto nuova non è se è stata la governo vent’anni producendo per esempio la Bossi Fini, la legge Maroni e quelle ad personam), dando credito che il problema cruciale del  paese sia la percezione indotta  dell’invasione straniera, in linea con il negazionismo che bollando la marmaglia posseduta da rigurgiti reazionari,  nazionalistici,  protezionistici, smentendo l’ovvio: le disuguaglianze crescenti, la falcidia di posti di lavoro e la dequalificazione dell’occupazione che ancora c’è, la riduzione dei redditi e del potere d’acquisto prodotta dai processi di globalizzazione e finanziarizzazione.
E se i magistrati democratici proprio volessero riguadagnare la buona reputazione nel contesto geografico europeo meglio sarebbe che ricercassero l’approvazione della Corte di Strasburgo, impegnandosi in prima persona per reclamare e garantire l’attuazione dei principi che condannano il reato di tortura, quelli commessi da industrie criminali contro la sicurezza sul lavoro e l’ambiente.
Loro e gli altri quasi 9000 li vorremmo vedere esprimersi e applicare le leggi (che ci sono e sono anche troppe) sugli stati di necessità, per reprimere quelli fasulli di chi commette abusi e fare giustizia per quelli che riguardano i senza tetto che occupano gli alloggi   vuoti frutto di speculazioni immobiliari colpiti dalla sospensione dei servizi, distinguendo tra chi reclama il diritto primario alla casa da Casa Pound, tanto per fare un nome a caso. E quello stesso nome insieme ad altri della stessa fatta viene alla mente, quando vorremmo vedere che un magistrato applicasse con la doverosa severità le leggi che proibiscono l’apologia di reato, senza bisogno di farne di nuove, che basterebbe prendere alla lettera quella che già ci sono mai eseguite a memoria d’uomo post-resistenziale.
Perché il fascismo quello di ieri e quello di oggi si combatte così,  non applicando le leggi come se fossero teoremi aritmetici o peggio algoritmi, si tratti di uso privato delle armi, di decoro urbano compromesso dai poveracci di qualsiasi etnia la cui visione turba e va limitata, colpendo gli ultimi per rassicurare i primi e pure i penultimi. Perché di quello parliamo quando i grandi truffatori, i grandi corruttori, i grandi speculatori, le grandi multinazionali sfuggono alle maglia della giustizia a differenza del ladruncolo della proverbiali due mele,  perché le regole e i principi di legalità vengono confezionati dalla lobby dei grandi studi legali internazionali, e poi eseguite sciorinando il repertorio di scappatoie offerte generosamente dai “tempi dell’amministrazione della giustizia”, anche quelli discrezionale e arbitrari, veloci coi deboli, lenti coi forti che così possono entrare e uscire dalle porte girevoli di tribunali e patrie galere.
Si la giustizia è una cosa seria ma complicata. E per quello se la comprano quelli che se la possono permettere, quelli che possono farsela da soli, quelli che la aggiungono al tanto che hanno già togliendola a quelli che ne avrebbero più bisogno.

venerdì 3 novembre 2017

Intercettazioni, via libera del Cdm alla riforma. Gentiloni: 'E' per limitare abuso'


Il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e il ministro della Giustizia Andrea Orlando durante la conferenza stampa al termine del Consiglio dei ministri.

Limiti a trascrizioni e a uso trojan, arriva archivio riservato.


Il Consiglio dei ministri ha approvato, su proposta del ministro della Giustizia Andrea Orlando, il decreto legislativo che riforma la disciplina delle intercettazioni. Il testo dovrà ora passare all'esame delle commissioni Giustizia per i pareri e poi tornare in Cdm.
"Noi non limitiamo l'uso delle intercettazioni ma contrastiamo l'abuso, sappiamo che questo strumento è fondamentale per le indagini e in nessuno modo vogliamo limitare la possibilità di disporre di uno strumento per la magistratura fondamentale per contrastare i reati più gravi ma è evidente che in questi anni ci sono stati frequenti abusi", Così il premier Paolo Gentiloni sulla legge delega. La riforma - ha detto il premier - delle intercettazioni, su cui vari governi si sono applicati senza però riuscire a portarla a termine, "disciplina un uso più stingente (degli ascolti, ndr) senza ledere il diritto di cronaca". 
"Il provvedimento sulle intercettazioni - ha detto il ministro Andrea Orlando - affronta un tema annoso, non restringe la facoltà dei magistrati di utilizzare le intercettazioni", "abbiamo messo una serie di vincoli che non restringono la capacità di indagine ma riducono il rischio della fuga di notizie se non sono legate a fatti penalmente rilevanti". "Le intercettazioni non sono disposte per far luce sulla sfera personale dei singoli ma per perseguire reati". 
Il provvedimento mira a regolamentare in maniera più stringente l'utilizzo di questo indispensabile strumento investigativo, per evitare che conversazioni non rilevanti ai fini delle indagini e attinenti la vita privata, possano finire negli atti processuali e da qui sui giornali. Si tenta così di dare una risposta al problema della cosiddetta "gogna mediatica" che ciclicamente alimenta polemiche.
Il testo inserisce dei vincoli alla trascrizione delle conversazioni nelle richieste dei pm e nelle ordinanze dei giudici: "Quando è necessario, sono riprodotti soltanto i brani essenziali", dispone infatti il provvedimento. Non vengono però compromessi i virgolettati dei colloqui captati, che in una bozza preparatoria del decreto erano stati vietati e sostituiti da sunti delle conversazioni: dopo il confronto con avvocati e magistrati, questa previsione è stata cassata.
Viene poi istituito presso l'ufficio del pm un archivio riservato delle intercettazioni la cui "direzione" e "sorveglianza" sono affidate al procuratore della Repubblica e il cui accesso - registrato con data e ora - sarà consentito solo a giudici, difensori e ausiliari autorizzati dal pm.
Quanto ai mezzi per intercettare, si delimita l'uso dei "trojan", ossia i captatori informatici, in pc o smartphone, che "pur ampiamente praticato nella realtà investigativa, non è stato in precedenza oggetto di alcuna regolamentazione a livello normativo", riporta la relazione illustrativa che accompagna il decreto. Ora l'obiettivo è quello di consentirne sempre l'impiego, senza particolari vincoli, per i reati più gravi, in primis terrorismo e mafia, prevedendo invece che per gli altri reati debbano essere esplicitamente motivate, nei decreti di autorizzazione, ragioni e modalità.
La riforma semplifica, inoltre, l'impiego delle intercettazioni nei reati più gravi contro la pubblica amministrazione commessi da pubblici ufficiali, uno strumento per rendere più efficace il contrasto alla corruzione. Fatto salvo il diritto di cronaca, è previsto il carcere fino a 4 anni per chi diffonde riprese audiovisive e registrazioni di comunicazioni effettuate in maniera fraudolenta per danneggiare "la reputazione o l'immagine altrui".
Gira e rigira le leggi le fanno sempre e solo per salvarsi le terga.
L'intercettazione è uno strumento fondamentale per scoprire determinati reati, limitarne l'uso con la scusa dell'abuso è esso stesso un abuso.

venerdì 29 luglio 2016

IL DRAMMA DELLE SPOSE BAMBINE SENZA DIRITTI. - Dominella Trunfio

spose bambine

Non hanno nessun potere di scelta, sono isolate dalla società e private di un’infanzia normale. Spesso sono vittime di abusi e violenze, tagliate fuori dalla famiglia, dagli amici e dalla scuola.
Il dramma delle spose bambine è una piaga mondiale che tocca diversi paesi del mondo. In Turchia per esempio, tra il 2010 e il 2015, secondo il ministro della Famiglia di Ankara Sema Ramazanoglu sono state oltre 230 mila le unioni tra bambini e adulti.
Ma il numero potrebbe essere più elevato visto che molte delle nozze con minori vengono celebrate solo con rito religioso (non riconosciuto dalla legge turca) e quindi non registrate ufficialmente.
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sposa bambina ok
A decidere il destino dei bambini sono le famiglie stesse, a volte addirittura sin dalla nascita. Famiglie povere che vedono in queste unioni un possibile cambiamento di vita, perché l’importante è riuscire a stipulare un accordo con gli uomini più ricchi e importanti.
Nulla a che vedere con i sentimenti, la libertà, l’amore. Per questo, sono tante le associazioni e le donne che si battono per impedire i matrimoni di spose bambine. In Africa, in India, in Turchia tanto per citarne alcuni: cambiano i luoghi ma non le dinamiche.
Si inizia con l’abbandono scolastico, una volta sposate le bambine sono costrette a rimanere a casa per accudire marito, figli e fare le faccende domestiche, non vi è alcuna possibilità che esse possano continuare a frequentare la scuola.
Spesso poi si arriva all’altare dopo anni di violenza fisica e psicologica da parte della propria famiglia e di abusi da parte del futuro marito. Ragazzine che diventano madri a 12 anni, che a volte muoiono di parto tra l’indifferenza di tutti.
Matrimoni precoci, combinati che possono sfociare nei casi più estremi in delitti d’onore. Nessuna possibilità di lasciare quell’uomo che non si è scelto e che le ha condannate per sempre all’infelicità.
Il governo turco è stato più volte accusato di non fare abbastanza per disincentivare queste pratiche assurde e di chiudere gli occhi davanti alla condizione di netta inferiorità delle donne che chiedono di non essere private della loro infanzia.
Cosa puoi fare tu
Tutti possono fare qualcosa per dare voce a queste spose bambine: raccontando ad esempio le loro storie sui social media, sensibilizzando l'opinione pubblica a intraprendere azioni di difesa dei diritti umani. Amnesty International ha lanciato la campagna #maipiùsposebambine e una petizione per chiedere al governo del Burkina Faso di far rispettare le leggi che vietano i matrimoni forzati e precoci.
"Il matrimonio precoce e forzato è una violazione dei diritti umani. È illegale secondo il diritto internazionale ed è vietato in molti dei paesi in cui è presente, ma le leggi esistenti spesso non vengono applicate oppure forniscono eccezioni per ottenere il consenso dei genitori o per le pratiche tradizionali.
In Burkina Faso, i matrimoni forzati sono un fenomeno estremamente diffuso, soprattutto nelle aree rurali. Nonostante siano vietati dalla legge, le autorità non fanno abbastanza per fermarli", dice la petizione.
Firma qui la petizione

giovedì 15 ottobre 2015

"Anziani legati alle sedie e altri abusi", sequestrate due case di riposo in centro a Palermo. - Ignazio Marchese

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PALERMO. La polizia ha sequestrato due case di riposo per anziani, nel centro di Palermo, dove sarebbero stati commessi abusi e malversazioni nei confronti di degenti e dipendenti. Due donne, madre e figlia, rispettivamente, nella qualità di gestore e titolare delle due strutture, dovranno rispondere dei reati di estorsione aggravata ed in concorso, maltrattamenti ed abbandono di persona incapace per malattia e per vecchiaia. Le strutture sequestrate dalla polizia sono la "Anni d'oro" di via Marchese di Villabianca 163, e la "Arcobaleno" di via Libertà 103.

Le indagini sulle case di riposo sono state condotte dalla Sezione Investigativa del Commissariato Libertà. È stata una dipendente a fare scattare le indagini. Ha presentato una denuncia dopo avere subito numerose vessazioni: mancate ferie, riposi e contributi previdenziali. La dipendente non accettava i sistemi utilizzati dalla madre e dalla figlia per accudire gli anziani. I poliziotti hanno così installato le telecamere all'interno delle strutture e ripreso tutto quello che subivano i pazienti che si trovavano all'interno.
Denutrizioni e malnutrizioni, somministrazioni mediche inappropriate e senza indicazione terapeutica, punizioni nei confronti dei degenti sospettati di aver denunciato le vessazioni alla polizia, mancato ricorso a cure mediche ospedaliere, sarebbero solo alcuni dei comportamenti che avrebbero segnato profondamente la vita degli anziani ospiti delle due strutture.
Tra le punizioni ci sarebbe stata la sveglia anticipata ed imposta alle 4 di mattina a tutti i degenti. La chiusura, sottochiave, di chi avesse voluto ribellarsi. Gli anziani sarebbero stati legati a sedie e letti, con lacci e stringhe. Sovente, sarebbe accaduto che l'anziano saltasse per giorni i pasti e, spesso, il latte della colazione sarebbe stato “allungato”, su disposizione della titolare, con acqua di rubinetto.
ALTRE DENUNCE. Altri dipendenti delle case di riposo nel centro di Palermo si sarebbero presentati alla polizia per denunciare quello che accadeva nelle strutture. Se gli anziano non si piegavano alle percosse e privazioni che subivano nelle case di riposo venivano spostati di volta in volta tra le due strutture in modo tale da non incontrare gli agenti di polizia giudiziaria che venivano a fare ispezioni nella struttura. Nelle immagini sono stati ripresi pianti ed urla di dolore degli anziani, a qualsiasi ora del giorno e della notte. Su indicazione del gestore e della titolare, anziché stimolare una appropriata indagine medica, o sollecitare l'intervento di personale sanitario specializzato, gli anziani sarebbero stati sedati con tranquillanti o psicofarmaci. Solo quando venivano i parenti le dosi dei tranquillanti venivano ridotte per evitare che qualcuno potesse insospettirsi dello stato di torpore.

http://palermo.gds.it/2015/10/14/anziani-legati-alle-sedie-e-altri-abusi-sequestrate-due-case-di-riposo-in-centro-a-palermo-video_422430/

martedì 10 settembre 2013

G8 Genova, Cassazione: “A Bolzaneto accantonato lo Stato di diritto”.

G8 Genova, Cassazione: “A Bolzaneto accantonato lo Stato di diritto”


La Suprema corte rende note le motivazioni della sentenza dello scorso 14 giugno. "Contro i manifestanti portati in caserma violenze messe in atto per dare sfogo all'impulso criminale". "Inaccoglibile", secondo la Quinta sezione penale, "la linea difensiva basata sulla pretesa inconsapevolezza di quanto si perpetrava all’interno delle celle".

Un “clima di completo accantonamento dei principi-cardine dello Stato di diritto”. La Cassazione mette nero su bianco quello che accadde nella caserma di Bolzaneto dove furono portati i manifestanti no global arrestati e percossi durante il G8 di Genova nel luglio del 2001: “Violenze senza soluzione di continuità” in condizioni di “assoluta percettibilità visiva e auditiva da parte di chiunque non fosse sordo e cieco”. Nelle 110 pagine depositate oggi dalla Suprema corte si spiega perché, lo scorso 14 giugno, sono state rese definitive sette condanne e accordate quattro assoluzioni per gli abusi alla caserma contro i manifestanti fermati.
La Cassazione ha così chiuso l’ultimo dei grandi processi sui fatti del luglio 2001. Nel precedente verdetto d’appello, i giudici avevano dichiarato prescritti i reati contestati a 37 dei 45 imputati originari tra poliziotti, carabinieri, agenti penitenziari e medici – riconoscendoli comunque responsabili sul fronte dei risarcimenti. Risarcimenti che però la sentenza definitiva ha ridotto. I giudici puntano il dito contro chi era preposto al comando: “Non è da dubitarsi che ciascuno dei comandanti dei sottogruppi, avendo preso conoscenza di quanto accadeva, fosse soggetto all’obbligo di impedire l’ulteriore protrarsi delle consumazioni dei reati”.
Oltretutto, scrive la Cassazione “non risulta dalla motivazione della sentenza che vi fossero singole celle da riguardare come oasi felici nelle quali non si imponesse ai reclusi di mantenere la posizione vessatoria, non volassero calci, pugni o schiaffi al minimo tentativo di cambiare posizione, non si adottassero le modalità di accompagnamento nel corridoio (verso il bagno o gli uffici) con le modalità vessatorie e violente riferite” dai testimoni ascoltati nel processo.
I giudici di piazza Cavour denunciano come il “compimento dei gravi abusi in danno dei detenuti si fosse reso evidente per tutto il tempo, data l’imponenza delle risonanze vocali, sonore, olfattive e delle tracce visibili sul corpo e sul vestiario delle vittime”. Ecco perché, osserva la Quinta sezione penale, è “inaccoglibile la linea difensiva basata sulla pretesa inconsapevolezza di quanto si perpetrava all’interno delle celle, e anche nel corridoio durante gli spostamenti, ai danni di quei detenuti sui quali i sottogruppi avrebbero dovuto esercitare la vigilanza, anche in termini di protezione della loro incolumità”.
La Cassazione descrive inoltre i comportamenti inaccettabili di chi aveva il comando e non ha mosso un dito per fermare le violenze sui no global: “E’ fin troppo evidente che la condotta richiesta dei comandanti dei sottogruppi consisteva nel vietare al personale dipendente il compimento di atti la cui illiceità era manifesta: ciò non significa attribuire agli imputati una responsabilità oggettiva, ma soltanto dare applicazione” alla norma che regola “la posizione di garanzia da essi rivestita in virtù della supremazia gerarchica sugli agenti al loro comando”.
Erano poi “ingiustificate” le vessazioni ai danni dei fermati “non necessitate dai comportamenti di costoro e riferibili piuttosto alle condizioni e alle caratteristiche delle persone arrestate, tutte appartenenti all’area dei no global”, si legge nelle motivazioni. Insomma, conclude la Suprema corte, le violenze commesse alla caserma di Bolzaneto sono state un “mero pretesto, un’occasione per dare sfogo all’impulso criminale