Il suo destino era forse già stato scritto da Bonaventura Tecchi che l'aveva denominata la "Città che muore", una sorte che oggi sembra più realistica che mai, perché Civita di Bagnoregio, un bellissimo e suggestivo borgo della provincia viterbese, rischia davvero di scomparire.
Questo piccolo gioiellino raggiungibile solo a piedi è, infatti, incastonato in un colle tufaceo minato alla base sia dalla continua erosione di due torrentelli che scorrono nelle valli sottostanti che, dalle piogge e dal vento.
Un territorio, insomma, che non può farcela da solo, che ha bisogno di manutenzione per difendersi dalle calamità naturali. Le continue frane rischiano,infatti, di cancellare in un attimo storia, arte, cultura e tradizioni. Scenari fatti da case medievali abitate dalle poche famiglie rimaste e dal paesaggio quasi surreale dei calanchi argillosi, formatisi spontaneamente.
La sua sopravvivenza è oggi in mano a un appello rivolto all’Unesco e fatto dal Presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti affinché, Civita e la Valle dei calanchi diventino Patrimonio dell’umanità.
Considerato uno dei borghi più belli d’Italia, il piccolo centro raggiungibile solo a piedi attraverso un ponte, è stato fondato 2500 anni fa dagli Etruschi e sorge su una delle più antiche vie, quella che inizia dal Tevere e finisce nel lago di Bolsena.
Tutto il borgo ha, quindi, un’impronta medievale e un’atmosfera familiare ferma nel passato: fiori alle finestre, frantoi rinascimentali, strette viuzze. Lo scenario è arricchito dalla Chiesa di San Donato, che si affaccia sulla piazza principale e custodisce al suo interno il Crocifisso ligneo quattrocentesco, ritenuto miracoloso, cui è legata la processione del Cristo morto.
La sera del venerdì santo la scultura viene portata in processione a Bagnoregio ma la tradizione vuole che essa ritorni assolutamente entro mezzanotte a Civita, pena la sua acquisizione della stessa dai bagnoresi.
Vi è poi la Porta di Santa Maria attribuita al Vignola composta da due bassorilievi che raffigurano un leone che tiene un uomo con gli artigli, metafora della cacciata dei Monaldeschi. E ancora, il Palazzo vescovile, un antico mulino del XVI secolo e la casa natale di San Bonaventura. Insomma un territorio che non può e non deve scomparire.