Visualizzazione post con etichetta dati. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta dati. Mostra tutti i post

giovedì 15 aprile 2021

“Hanno falsificato dati sul Morandi”. Lo choc del neo-Ad. - Marco Grasso

 

La rivelazione è così sconvolgente da lasciare sbigottito persino il nuovo Ad di Autostrade per l’Italia, Roberto Tomasi, l’uomo chiamato per salvare una nave in mezzo alla tempesta: “Quindi lui avrebbe forzato anche i voti sul Polcevera? Ma davvero? Non ci posso credere…”.

È il 12 dicembre 2019. È passato un anno e mezzo dal crollo del ponte Morandi, e tre mesi dalle prime misure cautelari che hanno svelato il sistema di falsi report con cui veniva sottostimato il degrado dei viadotti di mezza Italia, per posticipare le spese in manutenzione. Eppure, fino a questo momento, nemmeno i vertici della società sospettavano che la situazione fosse così grave. Ovvero che i falsi avessero riguardato anche il viadotto caduto, e quindi potessero essere messe in relazione con la morte di 43 persone. Il “lui” a cui si riferisce Tomasi è Michele Donferri Mitelli, ex capo delle manutenzioni di Aspi, fedelissimo dell’ex Ad, Giovanni Castellucci. “Certo che è molto interessante – commenta Tomasi, al telefono con il capo dell’ufficio legale di Aspi Amedeo Gagliardi – Per gli inquirenti, intendo”. Gagliardi è stato incaricato di leggere le carte depositate. Tra di esse ci sono le registrazioni effettuate nel 2017 (un anno prima del crollo) da alcuni dirigenti Spea, società incaricata del monitoraggio delle infrastrutture, come forma di autotutela: “Ce n’è una molto dura – dice Gagliardi – una conversazione tra lui e il progettista De Angelis… tu devi fa’ così… se il numero non te torna devi… perché nel 2002 la Pila 11… l’ammaloramento non dev’esse troppo forte… Insomma, fanno tutto un ragionamento sul Polcevera”. Emanuele De Angelis era il responsabile del progetto di retrofitting del Morandi che per i pm Aspi presentò al Mit con dati edulcorati.

Ieri il gip Angela Nutini ha accolto nel processo oltre 400 intercettazioni , escludendo quelle che coinvolgono i difensori della società.

IlFattoQuotidiano

martedì 23 marzo 2021

Astrazeneca, gli Usa contestano gli ultimi dati sui test: «Non aggiornati» - Agnese Codignola



A sole 24 ore dall'annuncio dei dati più che positivi su 32.000 persone reclutate tra Stati Uniti, Cile e Perù, è dagli stessi Stati Uniti che arriva la doccia gelata: i numeri presentati da AstraZeneca, secondo quanto comunicato dal Data and Safety Monitoring Board, organismo indipendente di controllo, al Barda, ai National Institutes of Allergy and Infectious Diseases e alla stessa azienda, potrebbero essere non aggiornati, e per questo saranno necessari ulteriori approfondimenti.

Slitta così a data da destinarsi la prevista approvazione del quarto vaccino sul suolo americano, nonostante l'esito dello studio. Due giorni fa l'azienda aveva emesso un comunicato nel quale affermava che il vaccino protegge tutti (il 100% dei vaccinati) dal decesso e dal rischio di forme gravi di malattia, il 79% dal rischio di sintomi, e che è efficace anche negli over 65 che, in questo caso, a differenza degli studi precedenti, rappresentavano il 20% del campione.

Inoltre – e su questo è stato molto chiaro lo stesso Anthony Fauci – un'analisi approfondita e specifica non avrebbe finora fatto emergere dubbi in merito alla sicurezza e, in particolar modo, ai rischi trombo-embolici, mentre avrebbe confermato l'efficacia sulle varianti in circolazione nei tre paesi.

Però, finora, i dati non sono stati pubblicati su riviste scientifiche, e non sono quindi a disposizione della comunità scientifica per valutazioni indipendenti. Visti anche i numeri ottenuti nelle vaccinazioni in Gran Bretagna ed Europa, è improbabile che i dati più aggiornati che richiedono le autorità statunitensi si discostino molto da quelli annunciati, ma tant'è.

Per ora, le autorità americane richiedono con urgenza una stretta collaborazione con AstraZeneca, per chiarire ogni dubbio, prima di procedere nell'iter di approvazione.


IlSole24Ore

domenica 24 gennaio 2021

La cronologia dell’errore sulla zona rossa della Lombardia: i 9mila casi riclassificati, l’Rt che schizza, la ‘rettifica’ e le polemiche di Fontana. - Andrea Tundo

 

LA RICOSTRUZIONE - Ecco cosa è accaduto tra il 13 e il 23 gennaio, nei dieci giorni che hanno costretto 10 milioni di cittadini lombardi a restrizioni che, sulla base dei dati, avrebbero dovuto essere meno pesanti. Tutto ruota attorno a una riclassificazione dei casi, ma i vertici del Pirellone ora attaccano l'intero sistema dell'Iss: "Malfunzionamento dell'algoritmo, non c'è trasparenza". La risposta dell'Istituto: "Più volte segnalate anomalie nei loro dati". Brusaferro: "Polemiche non accettabili, siamo al servizio del Paese".

La storia della zona rossa che non lo era inizia il 13 gennaio. Ma a leggere tra le righe della polemica, il destino era già scritto da tempo: l’incidente costato una settimana di serrata generale per 10 milioni di lombardi, prima o poi sarebbe arrivato. Il 13 gennaio è un mercoledì, nelle ore successive dall’Istituto Superiore di Sanità inviano i dati del monitoraggio alle Regioni per ottenere il ‘check’ sui dati che determineranno la zona in cui finiranno i territori. Di fronte all’indice Rt a 1,4 i funzionari del Pirellone rispondono con un silenzio-assenso. Nessuna contestazione. Solo dopo, chiarisce il presidente dell’Iss Silvio Brusaferro, la “Lombardia ha richiesto un ricalcolo dei dati”. Così due giorni dopo, venerdì 15, il ministro della Salute Roberto Speranza firma l’ordinanza che sposta in in zona rossa per due settimane la regione più popolosa d’Italia, quella che secondo la neo-assessora al Welfare e vice-presidente Letizia Moratti deve avere un “occhio di riguardo” perché spinge il Pil italiano.

Il database inviato dalla Lombardia il 13 gennaio
La decisione viene presa sulla base dei numeri che da Palazzo Lombardia sono stati inviati a Roma: nel database caricato figurano 501.902 casi, di cui 419.362 hanno una data di inizio sintomi. Tra questi, scrive l’Istituto superiore di sanità, 185.292 hanno anche “segnalato uno stato sintomatico (qualunque gravità)” o questa informazione è “assente”. Negli altri 234.070 casi è stato dichiarato uno stato “asintomatico” o c’è una notifica di “guarigione-decesso senza indicazione di stato sintomatico” precedente. I primi (185.292) rispondono ai criteri per essere inclusi nel calcolo dell’Rt, i secondi (234.070) no. Tra i 185.292, al 13 gennaio, ci sono 14.180 casi con data inizio sintomi nel periodo 15-30 dicembre, quindi gli unici da considerare per il calcolo dell’Rt nel periodo di riferimento del monitoraggio. È sulla base di questi che l’indice risulta di 1,4 e la Lombardia finisce in zona rossa.

La reazione di Fontana e Moratti, dalla ‘punizione’ al Tar
La Regione si agita. Attilio Fontana dice subito che si tratta di una “punizione che non meritiamo” e che “c’è qualcosa che non funziona nei conti”. Appena quattro giorni prima, l’11 gennaio, il governatore aveva detto: “Ci stiamo sicuramente avvicinando alla zona rossa, peggiorano tutti i parametri”. Viene chiesta una sospensione della zona rossa per riesaminare i dati e annunciato un ricorso al Tar del Laziopoi presentato il 19 gennaio. “Mi auguro davvero – dice Fontana – che presto possa riunirsi di nuovo il tavolo di confronto con le regioni per rivedere, con il ministro Speranza, i parametri di riferimento”. Parametri che la Lombardia, come tutte le altre Regioni, ha avallato negli scorsi mesi. Quella del Pirellone è un’escalation di attacchi: “La Lombardia non merita la zona rossa. Indubbiamente il rischio per la regione è di fermarsi, di fermare il lavoro, le attività e la vita sociale. Per questo con il presidente Fontana abbiamo ritenuto di voler presentare un ricorso, per uscire dalla zona rossa”, dice Moratti nelle ore in cui vengono chiamati in causa i giudici amministrativi.

Il nuovo invio di dati: così crolla l’indice Rt
Il 20 gennaio la Regione Lombardia invia l’aggiornamento del suo database. Un’operazione di routine, che avviene tutte le settimane. Però, mette nero su bianco l’Iss, nel nuovo set di dati “si constata anche una rettifica dei dati relativi anche alla settimana 4-10 gennaio 2021″. Tra i casi presenti sia nel database inviato il 13 gennaio che nell’aggiornamento sono cambiate alcune cose. Innanzitutto: “I numero di casi in cui è indicata una data inizio sintomi è diminuita (da 419.362 a 414.487)”. Quindi: “Il numero di casi con una data inizio sintomi e in cui sia segnalato uno stato sintomatico (qualunque gravità) o sia assente questa informazione (inclusi dal calcolo Rt) è diminuito (da 185.292 a 167.638)”. Ancora: “Il numero di casi con una data inizio sintomi e in cui sia dichiarato uno stato asintomatico o vi sia notifica di guarigione-decesso senza indicazione di stato sintomatico precedente (esclusi dal calcolo Rt) è aumentato (da 234.070 a 246.849)”. Non si tratta di scostamenti di poco conto, perché scrivono dall’Istituto superiore di sanità “questi cambiamenti riducono in modo significativo il numero di casi che hanno i criteri per essere confermati come sintomatici e pertanto inclusi nel calcolo dell’Rt basato sulla data inizio sintomi dei soli casi sintomatici”. I 14.180 casi sintomatici con data inizio sintomi nel periodo 15-30 dicembre 2020 che erano presenti nel database inviato 13 gennaio – e quindi una settimana prima determinanti per definire un Rt di 1,4 – sono diventati 4.918 nell’aggiornamento del 20 gennaio. Con 9.262 casi in meno da conteggiare, l’indice ‘crolla’ a 0,88.

Lo spettro evocato dal Pirellone: “L’algoritmo non funziona”.
Si arriva così a venerdì, il giorno spartiacque. Il Tar fa slittare a lunedì 25 la pronuncia sulla sospensiva chiesta dalla Lombardia. Nel frattempo però la cabina di regia, riunita per riassegnare i colori alle Regioni, prende in esame anche il caso Lombardia. In teoria la regione dovrebbe rimanere nella stessa fascia per un’altra settimana, visto che il periodo di assegnazione dura 14 giorni. Ma alla luce del ricalcolo, il nodo deve essere sciolto. E arriva la decisione: l’indice Rt giusto è 0,88 e quindi torna in arancione. A riunione in corso, Fontana già attacca: “La Lombardia deve essere collocata in zona arancione – scrive su Twitter – Lo evidenziano i dati all’esame della Cabina di regia, ancora riunita. Abbiamo sempre fornito informazioni corrette. A Roma devono smetterla di calunniare la Lombardia per coprire le proprie mancanze”. L’accusa è gravissima, ma è solo l’inizio. Tra venerdì sera e sabato, i vertici del Pirellone alzano i toni. Moratti: “Nessuna rettifica, a seguito di un approfondimento relativo all’algoritmo dell’Iss, abbiamo inviato la rivalorizzazione dei dati”. Ancora Fontana: “Malfunzionamento dell’algoritmo”Sempre Fontana: “Problema con algoritmo che calcola Rt anche per altre regioni? Probabile ma non mi interessa”. La Lombardia avanza quindi l’ipotesi che l’intero sistema sul quale si basano le restrizioni sia ‘falsato’. Il direttore generale dell’assessorato al Welfare, Marco Trivelli, afferma: “Il meccanismo di calcolo complessivo delle Rt non è noto, non è trasparente”. Sostiene che l’inserimento di un valore nel campo ‘stato clinico’ (quello che ha contribuito a ridurre di 9.262 i casi da considerare ai fini del calcolo dell’indice Rt, ndr) sia “facoltativo” e che l’Iss abbia chiesto di “inserire un valore convenzionale di stato sintomatico”. E ancora: “Abbiamo trasmetto dati identici a quelli della settimana precedente con la sola integrazione di questo valore convenzionale indicato dall’Iss e abbiamo manifestato la nostra perplessità tecnica”.

La replica dell’Istituto: “Tutti sanno come si calcola l’Rt”
Speranza tiene il punto ribadendo che la Regione Lombardia ha “trasmesso dati errati” propedeutici al calcolo del Rt e li ha “successivamente rettificati”. Il riferimento è a quei 9.262 casi che per come erano stati classificati il 13 gennaio dai funzionari del Pirellone dovevano rientrare nel calcolo facendo schizzare l’indice Rt, mentre con la “rettifica” di una settimana erano da escludere dal conteggio. Ma il livello della polemica si è ormai alzato. Adombrare un “malfunzionamento” dell’algoritmo, una mancanza di trasparenza, spinge l’Istituto superiore di sanità a prendere posizione: “L’algoritmo è corretto, da aprile non è mai cambiato ed è uguale per tutte le Regioni che lo hanno utilizzato finora senza alcun problema – scrive l’Iss – Questo algoritmo e le modalità di calcolo dell’Rt sono state spiegate in dettaglio a tutti i referenti regionali perché lo potessero calcolare e potessero verificare da soli le stime che noi produciamo, ed è perciò accessibile a tutti”. Tradotto: la Regione è a conoscenza del meccanismo di calcolo, nessuna ombra. Quindi si torna al 13 gennaio, quando l’indice era risultato 1,44 sulla base dei dati forniti dalla Lombardia. Si tratta di un dato che, prima della firma delle ordinanze, viene inviato alle Regioni, chiarisce l’Istituto: “Lo ricevono con richiesta di verifica e validazione con un criterio esplicito di silenzio assenso”. E sottolinea: “La Regione Lombardia non ha finora mai contestato questa stima”.

E l’attacco: “Anomalie nei dati lombardi, segnalate più volte”
Quindi si entra nello specifico: “La Lombardia ha segnalato dall’inizio dell’epidemia nell’ultimo periodo una grande quantità di casi, significativamente maggiore di quella osservata in altre regioni, con una data di inizio sintomi a cui non ha associato uno stato clinico e che pertanto si è continuato a considerare inizialmente sintomatici”. Una “anomalia”, attacca l’Iss, “segnalata più volte” alla Regione. Quindi conclude: “Solo a seguito della rettifica del dato relativo alla data inizio sintomi e dello stato clinico dei casi già segnalati, avvenuta con il caricamento dati del 20 gennaio, con una corretta identificazione dei casi asintomatici da parte della Regione Lombardia, su loro richiesta, sono state ricalcolate le stime di Rt realizzate la settimana precedente”. In un’intervista a Repubblica, il presidente dell’Istituto, Silvio Brusaferro, è costretto a ribadire: “Sono stati loro a contattarci per chiedere di fare approfondimenti su alcuni indicatori. Gli abbiamo dato alcune informazioni assieme alla Fondazione Kessler”. Venerdì mattina, insiste Brusaferro, “hanno scritto una mail al ministero e all’Istituto per chiedere di ricalcolare l’Rt della settimana precedente. Ripeto: il ricalcolo ce lo ha chiesto la Regione Lombardia”. Le polemiche “non sono accettabili e non mi sono proprie – conclude il numero uno dell’Iss – L’Istituto è l’organo tecnico scientifico a servizio del servizio sanitario e dell’intero Paese”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/01/24/la-cronologia-dellerrore-sulla-zona-rossa-della-lombardia-i-9mila-casi-riclassificati-lrt-che-schizza-la-rettifica-e-le-polemiche-di-fontana/6076424/

venerdì 29 maggio 2020

Opacità, imperizia, propaganda: tutti i dati allegri della Lombardia. - Marco Palombi

Opacità, imperizia, propaganda: tutti i dati allegri della Lombardia

Verso la fase 3 - Numeri ballerini - I dimessi chiamati guariti, il caso “defunti 0” e altre meraviglie. Astuti (Pd): “Zero trasparenza e database malcostruiti”.
Il “ragionevole sospetto” è un’accusa sanguinosa per la Lombardia, tanto più che la fonte è autorevole: Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, che ha prodotto in questi mesi ottime letture dei dati sull’epidemia di coronavirus. Il “ragionevole sospetto” di Cartabellotta riguarda il fatto che, così ha detto ieri a Mattino 24 su Radio24, la Regione guidata da Attilio Fontana abbia “aggiustato” i suoi dati per evitare di rimanere ancora chiusa dopo mercoledì, quando scadrà il divieto alla mobilità extra-regionale.
Il catalogo è ben noto ai lettori del Fatto: “In Lombardia si sono verificate troppe stranezze sui dati nel corso di questi tre mesi: soggetti ‘dimessi’ dagli ospedali che venivano comunicati come ‘guariti’; alternanze e ritardi nella comunicazione dei dati, cosa che poteva essere giustificata nella fase dell’emergenza, quando c’erano moltissimi casi, ma molto meno ora, eppure i riconteggi sono molto più frequenti in questa fase 2. È come se ci fosse una sorta di necessità di mantenere sotto un certo livello quello che è il numero dei casi diagnosticati”.
Accuse che la Regione definisce “gravissime, offensive e soprattutto non corrispondenti al vero”, chiamando a testimone l’Istituto superiore di sanità, che quei dati ha validato, e annunciando querela. Chi ha ragione? Quanto al retropensiero (tengono giù i contagi per poter riaprire) non si sa, sulle stranezze non c’è da discutere: a stare solo agli ultimi giorni abbiamo avuto i “decessi zero” di domenica che non erano zero (seguiti nei quattro giorni successivi da 134 morti da/con Covid-19) e soprattutto l’asterisco nella slide di mercoledì in cui – scritto piccolissimo – si diceva che ai 216 contagi dichiarati ne andavano aggiunti 168 dovuti a “tamponi effettuati a seguito di test sierologici fatti su iniziativa dei singoli cittadini processati dall’Ats di Bergamo negli ultimi 7 giorni”.
Può sembrare sorprendente che a 90 giorni dall’esplosione dell’epidemia la Lombardia non disponga o non comunichi dati certi e/o razionali sull’epidemia, ma non lo è affatto per chi si occupa di questa vicenda tutti i giorni. Il consigliere regionale del Pd Samuele Astuti è membro della commissione Sanità e ogni giorno produce sul suo sito decine di slide sul Covid-19 in Regione: “La scarsa trasparenza è un fatto incontrovertibile: noi non abbiamo quasi avuto risposte sui nostri accessi agli atti e in questi giorni dobbiamo mendicare i dati sui test sierologici. I database poi sono costruiti male, basti dire che gli esiti dei (pochi) tamponi sono ‘pubblicati’ senza dire a che giorno risale il prelievo. Non solo: manca anche la capacità di leggerli i dati. E dire che in Lombardia abbiamo accademici bravissimi nel settore. Senza buoni database e senza capacità di leggere i numeri semplicemente non si può sapere cosa è giusto fare”.
La voglia di fare “bella figura”, per così dire, esiste. Prendiamo il caso della percentuale di positivi sul totale dei tamponi. Quel dato – grazie al lockdown – è in netto miglioramento tanto che da domenica, il giorno dei “decessi zero”, la Giunta Fontana ha deciso di includerlo nelle sue slide giornaliere: dal 5% di qualche tempo fa, la percentuale è passata al 2,5% del 24 maggio per scendere all’1,7% di martedì e mercoledì, giorno in cui questo lusinghiero risultato si ottiene però solo escludendo dal conto i reprobi bergamaschi dell’asterisco.
Ieri, senza asterischi, i 382 nuovi positivi erano il 2,5% dei 15.507 tamponi fatti: nel resto del Paese lo 0,3%. A pensar male si fa peccato, si sa, ma va se non altro citata la denuncia dei 5 Stelle in Regione: “Ci scrivono in moltissimi per denunciare che le Ats stanno fermando i privati che – di tasca propria – hanno prenotato i test sierologici. Motivo: ci sarebbero problemi a fare tamponi, se il test rivelasse la presenza degli anticorpi che segnalano la malattia”. Così, senza asterischi.

venerdì 10 aprile 2020

Coronavirus, primi dati positivi dai test preclinici dei vaccini italiani.


Particelle di coronavirus (fonte: NIAID)

Aurisicchio (Takis), forte produzione di anticorpi.

Sono positivi e incoraggianti i primi risultati dei test preclinici dei cinque candidati vaccini contro il coronavirus SarsCoV2 condotti in Italia dall’azienda Takis e inducono una forte produzione di anticorpi. Lo ha detto all’ANSA l’amministratore delegato dell’azienda, Luigi Aurisicchio. “Dopo il primo esperimento e con una singola somministrazione abbiamo riscontrato un forte titolo anticorpale. I primi risultati nei modelli preclinici – ha aggiunto -dimostrano la forte immunogenicità dei cinque candidati vaccini”. 
Tutti e cinque i candidati vaccini sono stati progettati per contrastare la principale arma che il virus utilizza per invadere le cellule, la proteina Spike. Si basano infatti sui frammenti del materiale genetico del coronavirus che corrispondono a diverse regioni della proteina e tutti sono somministrati con la tecnica chiamata elettroporazione, che consiste in un'iniezione nel muscolo seguita un brevissimo impulso elettrico che facilita l'ingresso del vaccino nelle cellule e attiva il sistema immunitario. Dei cinque vaccini in sperimentazione sono al momento due quelli che sembrano più promettenti, ha detto ancora Aurisicchio.

venerdì 21 settembre 2018

"Il governo Renzi promise a Ibm i dati sanitari di tutti gli italiani": ecco i contenuti dell'accordo segreto con la multinazionale. - Antonella Loi

Renzi al Watson Health di Boston firma l'accordo
Renzi al Watson Health di Boston firma l'accordo con Ibm

16 febbraio 2017

La multinazionale Usa in cambio investirebbe 150 milioni di dollari e 400 posti di lavoro nelle aree ex Expo. Tutti i dubbi dell'operazione.


"Siamo orgogliosi del nostro grande passato ma l’unico modo per salvarlo è creare una visione del futuro", proclamava Matteo Renzi nel corso del suo viaggio statunitense del marzo scorso. Quello che secondo l'ex premier era un "grande messaggio" da parte di Ibm consisteva nella promessa di insediare un centro di elaborazione dati europeo in campo sanitario, nelle disgraziate aree di Rho (Milano) che nel 2015 ospitarono Expo. Proprio lì è in programma la realizzazione dello Human Technopole, affidato all’Istituto italiano di tecnologia e ad altri centri d’eccellenza italiani. A latere potrebbe sorgere un progetto ambizioso che comprende - almeno nelle intenzioni - un investimento di 150 milioni di dollari e "l'assunzione" di 400 giovani. Ma, come spesso accade, le cose sono un po' più complesse di come appaiono. 

L'accordo "confidenziale" con Ibm

Osservando un po' meglio i termini dell'accordo sottoscritto a Boston da Renzi e Watson Healt - un sistema di "cognitive computing" fondato da Ibm -, si scopre infatti che la verità è ben più complessa. Secondo quanto scrive Il fatto quotidiano dietro l'incrocio di autografi adeguatamente documentato dai media ci sarebbe un "accordo confidenziale" - o sarebbe meglio dire "segreto"? -, per il quale lo Stato italiano si impegna a cedere i dati sanitari dell'intera Lombardia, la regione più ricca d'Italia e, con i suoi quasi 10 milioni di abitanti, la più popolosa. Di cosa si tratta?
I dati sono contenuti nella cosiddetta Protected Health Information (Informazioni personali sanitarie protette) che abbraccia tutto quanto concerne le vicende sanitarie del cittadino: dall'assistenza sanitaria alle "cartelle cliniche personali" fino alle "informazioni fiscali nominative o anonimizzate". L'accordo segreto prevede la cessione alla multinazionale americana "i diritti all'uso per la memorizzazione ed elaborazoine di tali dati a fini progettuali, nonché per l'utilizzo dei dati anonimizzati anche per finalità ulteriori a quelle progettuali, nonché per l'utilizzo dei dati anonimizzati anche per finalità ulteriori rispetto a quelle progettuali". Tutti elementi saldamente nelle mani delle amministrazioni pubbliche che li hanno raccolti. 

Materia per il Garante.

La domanda che rimane ancora inevasa (il Garante della privacy contattato da tiscali.it per ora non risponde ndr) è se il governo sia titolato a cedere attraverso un'accordo con una società privata il database dei pazienti italiani. E se la stessa Regione Lombardia, competente per materia ma che ancora non si è espressa, possa privarsi senza ostacoli di questo patrimonio. Tanto più che passaggio regionale, nel disegno renziano di allora, immaginiamo, sarebbe potuto essere più semplice, vista la riforma costituzionale "accentratrice" voluta dall'ex premier ma bocciata al referendum. Il tutto per di più messo nero su bianco nella massima segretezza, a insaputa dei diretti interessati.

I dati di tutti gli italiani nel mirino di Ibm.

Nel mirino di Ibm, secondo quanto risulta, non ci sarebbero solo i lombardi ma anche gli altri abitanti della Penisola Isole comprese: i "segreti" di 61 milioni di individui. Nel documento in possesso del giornale di Travaglio è scritto che l'obiettivo sarebbe proprio questo. Ibm, infatti, "ritiene cruciale avere accesso a dati dei pazienti e farmacologici, ai dati del registro tumori, ai dati genomici, ai dati delle cure, dati regionali o Agenas, dati Aifa sui farmaci, sugli studi clinici, dati di iscrizione e demografici, diagnosi mediche storiche, rimborsi e costi di utilizzo, condizioni e procedure mediche, prescrizioni ambulatoriali, trattamenti farmacologici con relativi costi, visite di pronto soccorso schede di dimissioni ospedaliere (sdo), informazioni sugli appuntamenti, orari e presenze e altri dati sanitari". Tutto lo scibile sanitario insomma.
Una mole incredibile di informazioni che Ibm potrà elaborare e trattare "in forma anonima e identificata per specifici ambiti progettuali" ma anche per finalità che esulano dalle attività primarie. In altre parole tutto ciò che verrà prodotto potrà essere sottoposto a un "utilizzo secondario". Quindi anche venduto ad altre società e, niente lo vieta, a compagnie di assicurazione come noto piuttosto fameliche di ogni informazione personale legata alla salute. 

Il "bluff" dei posti di lavoro.

Ancora una volta insomma lo Stato cede parti del suo patrimonio più intimo e prezioso, com'è quello derivante dalla salute dei suoi cittadini, a una multinazionale privata in cambio della promessa di una manciata di posti di lavoro. Attività che, viene logico pensare, lo Stato potrebbe svolgere da sé attraverso i suoi centri di ricerca. Tanto più che già all'epoca della stipula dell'accordo fra Renzi e l'Ibm, all'esultanza dell'ex premier Renzi per l'accordo portato a casa, i sindacati saltarono sul piede di guerra perché il colosso statunitense stava mandando a casa i suoi dipendenti italiani, francesi e tedeschi. Proprio nei giorni della firma, la Fiom in una nota scriveva che "Ibm in Italia sta licenziando 300 lavoratori, rifiutando di confrontarsi – in sede ministeriale – con il sindacato sul piano industriale e occupazionale, nonostante le continue ristrutturazioni che in questi anni hanno colpito il nostro paese". Era solo un anno fa.
Ecco il “Memorandum of understanding” firmato il il 31 marzo 2017:
IBMWatson1b