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martedì 8 giugno 2021

L’inesorabile declino di Alitalia tra ritardi e mancanza di liquidità. - Gianni Dragoni

 

La compagnia non ha i soldi per saldare gli stipendi di maggio e per pagare la quattordicesima di giugno. Il negoziato del governo con la Ue per il decollo di Ita non è concluso. Guadagnano terreno i vettori stranieri.

I dipendenti di Alitalia hanno ricevuto solo metà dello stipendio di maggio e i commissari dell’azienda non sanno quando avranno i soldi per saldare l’altra metà. I commissari avvertono che non ci sono i soldi per pagare la quattordicesima insieme allo stipendio di giugno, servono “22-23 milioni di euro”, secondo il commissario Giuseppe Fava. Gli aerei, pochi, continuano a volare. Il decollo di Ita, la nuova società pubblica che dovrebbe prendere il posto di Alitalia, è rimandato a dopo l’estate. In realtà nessuno sa quando potrà partire e con quale flotta, manca l’autorizzazione della Commissione europea sugli aiuti di Stato.


Parziale ripresa del trasporto aereo.

Mentre il trasporto aereo si sta lentamente riprendendo dopo la mazzata del Covid, la Iata stima che i passeggeri globali nel mondo quest’anno saranno il 52% rispetto all’anno precedente la pandemia, il 2019. Per la compagnia italiana invece la situazione è sempre più critica. Gli aerei sarebbero stati messi a terra alla fine di aprile, se non fosse arrivato un nuovo salvagente del governo, con il decreto legge “Riaperture” che consente l’anticipazione dei 53 milioni residui di indennizzi Covid, stanziati per il 2020. Di questi fondi solo 12,83 milioni sono stati quindi versati alla compagnia, che in totale finora ha ricevuto 310 milioni, sui 350 milioni stanziati per il 2020. Con il decreto “Sostegni bis” di fine maggio il governo ha concesso altri 100 milioni alla compagnia, formalmente un prestito oneroso per non interrompere l’attività, ma questi soldi non sono arrivati sul conto corrente di Alitalia presso Intesa Sanpaolo.


Senza soldi.

Senza nuovi finanziamenti pubblici i tre commissari di Alitalia non saranno in grado di pagare né il saldo del 50% degli stipendi di maggio né di versare le buste paga di giugno, che comprendono la quattordicesima, hanno detto in audizione il 3 giugno alla commissione Bilancio della Camera. «È vitale per noi avere un'iniezione di liquidità. Non solo per garantire gli stipendi ma anche tutti gli altri servizi collaterali al mantenimento in servizio dell'attività di Alitalia», ha detto Fava.


La mazzata del Covid.

Ai guai cronici si è aggiunta la mazzata del Covid. «Nel 2020 i ricavi da passeggeri sono crollati da 2.673 milioni a 590 milioni. Abbiamo avuto un sostegno di 272 milioni, che di fronte a uno choc sui ricavi di circa due miliardi non è una cifra congrua, se si considera anche l’intervento, per multipli di miliardi, fatto da altri Stati europei per le loro compagnie», ha spiegato il commissario Giuseppe Leogrande. Con erogazioni successive quest'anno Alitalia ha ricevuto ulteriori 37,5 milioni. Pertanto ad oggi ha ottenuto 310 milioni, sui 350 stanziati dal governo precedente per il Covid. «Abbiamo ancora una dotazione di circa 40 milioni nel fondo stanziato per il 2020 per l'indennizzo Covid. Abbiamo già presentato le relative richieste, ma l'erogazione dipende da Bruxelles», ha detto Leogrande. Il Covid ha messo ko una compagnia che non era virtuosa, già perdeva 600 milioni all’anno.


L’annuncio di Conte a maggio 2020.

Per quale motivo non si fa il passaggio da Alitalia alla nuova società? Ita è stata costituita il 10 novembre 2020, ma è una scatola vuota, una società di carta, con 39 dipendenti, nove consiglieri di amministrazione e molti consulenti. Nel maggio 2020 il governo Conte ha annunciato la nascita di Ita con uno stanziamento di 3 miliardi, per dotarla del capitale necessario a operare e rinnovare la flotta. Finora sono stati versati 20 milioni. I successivi versamenti potranno avvenire per tranche, solo dopo che la Commissione Ue avrà approvato il piano industriale di Ita. Dopo il primo annuncio, il governo Pd-M5S ha perso 5 mesi a litigare sui nomi dei vertici di Ita, nominati solo il 20 ottobre. Il piano industriale è stato approvato dal consiglio di Ita il 18 dicembre. Ma l’8 gennaio scorso il piano è stato bocciato dalla Ue.


Intesa di massima.

Con Bruxelles è stata raggiunta solo un’intesa di massima, annunciata il 26 maggio dalla Ue e dal governo dopo quattro mesi di scontri tra Roma e la Commissione. Ma c’è tutto un negoziato a livello tecnico da completare e i dettagli sono fondamentali. Insomma, non si sa quando si concluderà «questa benedetta negoziazione con Bruxelles», parole di Leogrande. Poi Ita dovrà ridefinire il piano industriale e l’offerta da presentare ai commissari per l’acquisto del ramo d’azienda di volo di Alitalia, che potrà avvenire con un passaggio diretto, senza una gara. Secondo l’ultima versione del piano, Ita partirà con 47 aerei passeggeri e fra 3.000 e 3.500 dipendenti, rispetto a un totale di Alitalia di 10.106 dipendenti, questa la cifra aggiornata comunicata dall’avvocato Fava. Ita sarebbe una microcompagnia, avrebbe la metà della flotta di Alitalia, che è “più di 95 aerei” secondo un comunicato della Ue di un mese fa.


I bandi di gara e lo spezzatino.

L’accordo di massima tra i ministri Giorgetti e Franco e l’eurocommissaria Vestager prevede che le altre attività di Alitalia saranno messe in vendita con bandi di gara “aperti e trasparenti”. Ita potrà partecipare alle gare per il marchio e il logo. Ci sarà lo spezzatino delle attività di manutenzione e dei servizi aeroportuali, il cosiddetto handling: verranno create due nuove società. Ita potrà avere la maggioranza dei servizi aeroportuali, ma nella manutenzione potrà avere solo una partecipazione di minoranza. Il potenziale candidato alla maggioranza della manutenzione è la società Atitech di Napoli.


Incertezza sui tempi.

Ma in quali tempi si realizzerà questo programma? Nessuno lo sa. Dipende quando si chiuderà l’accordo con la Ue. Il negoziato potrebbe richiedere ancora diverse settimane. E, quando ci sarà l’autorizzazione di Bruxelles, occorreranno «da 60 a 90 giorni per dare il via operativo a Ita», ha detto l’amministratore delegato di Ita, Fabio Lazzerini. Pertanto Ita non potrà decollare prima della fine di settembre. Ma si potrebbe anche andare oltre.


Nuovo volo per Tokyo.

Il problema è che intanto Alitalia non ha le risorse per poter programmare i voli per l’estate. La compagnia ha annunciato un aumento dei voli per le mete delle vacanze, anche un secondo collegamento intercontinentale, da Roma per Tokyo, da luglio; adesso vola solo da Roma a New York. Ma le altre compagnie che volano in Italia fanno molti più voli. E sono pochi i clienti che comprano i biglietti di Alitalia. Se la compagnia dovesse arrivare al collasso e mettere gli aerei a terra, i biglietti sarebbero carta straccia. Non potrebbero neppure essere usati per la nuova società Ita, la Ue non vuole perché ci deve essere discontinuità economica.


In maggio venduti biglietti per 29,7 milioni.

In maggio Alitalia ha trasportato 483.616 passeggeri, sono quasi sei volte quelli del maggio 2020 (erano 86.295), ma sono solo circa un quarto rispetto al livello pre-Covid, nel maggio 2019 erano stati 1,83 milioni. I ricavi dalla vendita di biglietti in maggio sono stati 29,7 milioni, il triplo dell’anno scorso (9,38 milioni), ma una frazione del livello pre-Covid, erano 223,8 milioni nel maggio 2019, dunque -87 per cento.


Ita partirà “a ottembre”.

«Il problema è che tutto è stato posticipato. Doveva partire a ottobre 2020, poi a gennaio, ad aprile, a luglio, ma non so più se questa data sia valida...», ha detto Leogrande riferito a Ita. Leogrande ha detto che c'è totale incertezza «sulle date, sul perimetro e sulle modalità» dell'accordo tra governo e Ue per il trasferimento delle attività a Ita. Tra alcuni osservatori del dossier circola una battuta, “Ita partirà a ottembre”. Di quale anno, non si sa...

IlSole24Ore

venerdì 11 ottobre 2019

Il declino di Salvini. - Tommaso Merlo



Da quando Salvini si è castrato da solo, è finita la cagnara. Con lui al governo, l’intero dibattito pubblico gravitava intorno al suo insaziabile ego. Gli altri a lavorare, lui in giro a sparar minchiate mentre i barchini dei trafficanti gliela facevano sotto il naso e dei rimpatri neanche l’ombra. Nemmeno alle riunioni internazionali si presentava. Il peggiore ministro dell’interno mai visto. Una gran fumo e dell’arrosto neanche l’ombra. Al punto che viene il sospetto fosse tutto premeditato. E cioè che Salvini abbia accettato di fare il governo col Movimento 5 Stelle avendo già in mente di farlo saltare appena gli conveniva. Ha usato cioè il governo al solo scopo di farsi un anno di campagna elettorale da ministro a spese del contribuente per poi andare all’incasso dei pieni poteri. Tutto premeditato. Salvini sapeva in partenza che avrebbe dominato mediaticamente il Movimento e gli avrebbe succhiato consensi. Perché con alle spalle decenni di esperienza, perché con una macchina rodata a disposizione. Salvini sapeva che da Ministro dell’Interno si sarebbe poi rifatto una verginità davanti al grande pubblico e avrebbe potuto sfruttare al meglio l’emergenza migratoria a fini personali. E così è stato. Salvini ha avuto in mano per un anno il pallino della politica italiana e gli occhi addosso di un intero continente. Una strategia pubblicitaria davvero vincente. Piantando solo cagnara, Salvini ha raddoppiato i suoi consensi e stravinto tutte le elezioni che ha affrontato. A Bruxelles gli è andata male, ma Roma l’aveva in pugno. Poi quel maledetto audio del Metropol. Poi il rischio di perdere tutto. Coi suoi beach party tutti esauriti e con erezioni sondaggistiche da paura. Poi il rischio di perdere l’occasione di coronare il suo sogno di diventare il Putin italiano ad un passo dalla meta. Ora o mai più e tra un mojito e l’altro ha trovato il coraggio di scatenare la crisi. Sembrano passati secoli e in attesa che i magistrati trovino le risposte che Salvini non ha voluto dare sui traffici moscoviti, il leader leghista gira privo di genitali sperando che gli ricrescano presto. Lo si vede di rado. Sempre più gonfio e paonazzo. Chissà, forse la passione per i mojiti o forse quella per la coda alla vaccinara che s’ingurgita in grandi quantità per colmare i vuoti esistenziali e gli incoffesabili rimorsi che lo affliggono. L’effetto è quello di uno spot venuto a noia. Quella voce, quel tono, quelle frasi che ripete da anni. Solo fumo. Tossico. I sondaggi reggono a fatica ma i tempi della corsa verso il 40% sembrano tramontati, al punto che Salvini è stato costretto a tornare da Berlusconi. Già, era una minchiata elettorale pure quella del populismo oltre che quella del cambiamento. E peggio ancora, il suo destino politico è nelle mani dei suoi nemici. Se davvero l’Europa darà una mano sui migranti dimostrando che le ricette sovraniste ed isolazioniste sono suicide per paesi come l’Italia. Se davvero il Pd e tutto il renzume la smetteranno di dar spettacolo mettendosi a lavorare al servizio dei cittadini. Se il nuovo governo durerà a sufficienza per permettere al Movimento di realizzare altre bandiere che per colpa del tradimento di Salvini rischiavano di finire nel nulla come il taglio dei parlamentari. Allora per Salvini potrebbe iniziare un inarrestabile declino. Questo perché i milioni di cittadini che si son messi a tifare Lega negli ultimi tempi capirebbero il bluff di cui sono stati vittime e che per risolvere i problemi che li affliggono non c’è bisogno di nessun ducetto e tantomeno di piantar cagnara.

sabato 9 luglio 2016

IL 2 OTTOBRE MORIRA' L'UNIONE EUROPEA. - Rosanna Spadini


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Le magnifiche sorti e progressivi dell'Ue sono ormai segnate, «il 2 ottobre morirà l'Unione Europea », dice Enrico Mentana, e stavolta, una delle rare volte … credo che abbia ragione. Perché proprio il 2 ottobre? Beh, per quel giorno è stato indetto il referendum ungherese sul ricollocamento obbligatorio degli stranieri, un quesito che chiamerà i cittadini ungheresi ad esprimersi pro o contro l'Unione: «Volete o no che l’Ue possa obbligarci ad accogliere in Ungheria, senza l’autorizzazione del Parlamento ungherese, il ricollocamento forzato di cittadini non ungheresi?». È il quesito del referendum proposto dal governo di Viktor Orbán, ed approvata dal Parlamento il 10 maggio. Che dire … secondo Orbán, si tratta di decidere sulla sovranità del Paese, e di far valere il diritto di scegliere con chi convivere, ma il voto rischia di essere l'armagheddon dell'Unione dopo l'avvenuto Brexit.

Poco prima il governo Orbán aveva votato contro il piano europeo del settembre scorso, sia l'Ungheria che la Slovacchia avevano preannunciato un ricorso legale e Budapest una consultazione referendaria. Il piano violerebbe la sovranità nazionale e rischierebbe di facilitare l'ingresso nel Paese di «terroristi», Bruxelles «non ha il diritto di ridisegnare l'identità culturale e religiosa dell'Europa». Ma dato che circa 400mila migranti e rifugiati sono passati per l'Ungheria nel 2015, prima della costruzione del muro che ha sigillato i confini meridionali, gli esiti del refendum appaiono già scontati.
Poi nello stesso giorno l'Austria ripeterà il ballottaggio presidenziale … e forse stavolta il vecchio "Ulrich", per ironia della storia, dopo aver trascorso tutto il secolo breve "senza qualità", annichilito da una sorta di spleen esistenziale postmoderno, potrà finalmente riscattarsi e decidere di far implodere l'Europa, ferendola nel ventre molle della Mitteleuropa, con una salvifica manovra di karakiri (Robert Musil, L'uomo senza qualità). Infatti "Dopo il Brexit - dice ancora Mentana - se passa il no a Budapest, se vince Hofer a Vienna, l'Unione davvero rischia di crollare. E la causa è sempre la stessa: la paura degli immigrati."

Il sistema sta squassando l'Europa dalle fondamenta, perché l'Ue appare ormai come l'aborto mostruoso di un progetto fallito … occorre una virata risoluta per affrontare le turbolenze populistiche, quindi è necessario eliminare i protagonisti dell'ultima fase storica, quegli uomini "senza qualità" che non sarebbero più credibili per il nuovo frankestein geopolitico in via di riassemblaggio.

Cadono come mosche … prima David Cameron, travolto dal Brexit, che lui aveva fermamente combattuto, ma il medium è il messaggio, diceva un certo Marshall McLuhan, dunque la stessa proposta del referendum celava trame finanziarie gentryste, ed indicava una via tutta in salita, conclusasi poi con la catastrofe annunciata … sputtanato in anteprima dai Panama Papers e poi definitivamente eliminato.
Poi arriva il turno di Boris Johnson, che dopo aver tenuto un discorso colto, moderato e sapiente, si dichiara inadeguato a guidare la compagine dei Tory … «Alla conferenza del partito Tory dell’anno scorso ho attirato l’attenzione su di una statistica preoccupante sul modo in cui sta cambiando la nostra società. È la proporzione tra lo stipendio medio dei top manager del Ftse100 e quello del suo dipendente medio – ribadisco, medio – in azienda. Questa sproporzione sembra in fase di esplosione a un ritmo straordinario, inspiegabile e francamente sospetto. … oggi c’è un signore là fuori che guadagna 810 volte la media dei suoi dipendenti. Cosa sta succedendo?»

«Il mercato unico è un microcosmo di bassa crescita. E’ cronicamente affetto da un elevato tasso di disoccupazione. I paesi dell'Ue sono gli ultimi della fila in quanto a crescita tra i paesi dell’Ocse; ed è incredibile che ci siano 27 paesi extracomunitari che hanno goduto di una crescita più veloce nelle esportazioni della Gran Bretagna, a partire dall’avvio del mercato unico nel 1992, mentre 20 Paesi hanno fatto meglio di noi nell’esportazione di servizi. Far parte dell'Ue non è poi così conveniente per le aziende britanniche. Perciò che cosa piace dell'Ue a questi pezzi grossi? Sostanzialmente due cose. A loro piace l’immigrazione incontrollata, perché aiuta a mantenere bassi i salari dei lavori meno qualificati, e quindi aiuta a controllare i costi, e di conseguenza ad assicurarsi che vi sia ancora più grasso da spartirsi per quelli che comandano. Un rifornimento costante di solerti lavoratori immigrati significa non doversi preoccupare più di tanto delle competenze o delle aspirazioni o della fiducia in se stessi dei giovani che crescono nel loro paese.»
Poi gagliardo si fa avanti Nigel Farage con il suo "Mission accomplished!" … e chi se lo aspettava ??
Proprio lui che è stato il paladino degli euroscettici, che aveva infiammato il parlamento europeo con le sue invettive anti Europa, e che aveva denunciato con particolare competenza tutte le distorsioni del cambio fisso. Infine arriva la dichiarazione di John Chilcot, presidente della commissione d'inchiesta britannica sul conflitto iracheno, che presenta un rapporto durato sette anni, secondo il quale "l'UK non esaurì tutte le possibili opzioni pacifiche prima di dichiarare la guerra all'Iraq di Saddam Hussein". Per di più Tony Blair (criminale di guerra) era stato avvertito sul fatto che una guerra in Iraq avrebbe favorito i gruppi terroristici per il rifornimento di materiale bellico, prima Al Qaeda e poi Isis.


Ora è chiaro che il Brexit non è stato un semplice segnale di allarme della crisi europea, ma un evento maturato nel tempo, cresciuto come un bubbone purulento sul tessuto epidermico sociale, malato terminale che sposta i rapporti di forza, sullo scacchiere geopolitico mondiale. L'intera architettura del mondo sta cambiando, perché l'UK è uno dei poli della civiltà occidentale, e se l'Inghilterra si dice fuori dall'Europa, ciò significa che muta il giudizio di valore sull'Ue e sui rapporti di potere degli stati. Infatti il polo catalizzatore dell'occidente, rappresentato dagli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale, sta declinando sotto i colpi delle migrazioni di massa, che stanno disgregando l'Unione, per essere sostituito da un mondo multipolare, dove altre potenze reclamano la loro centralità. Il processo di unificazione europea, un prodotto neoliberista della civiltà atlantica, viene interrotto dalle élite avverse che hanno reso possibile il Brexit, e ciò potrebbe avere un effetto domino su tutto il continente.

Non credo che si consentirà all'Europa di tornare agli stati nazione e alle condizioni preesistenti all'attuale processo di integrazione … e comunque le tensioni si faranno assolutamente insostenibili, mentre alle nuove forze politiche antisistema, cresciute in modo travolgente sotto i colpi della crisi, non sarà concesso troppo spazio per l'acquisizione del potere. 
Stiamo assistendo alla fine di un'Europa, intesa non solo come aggregazione pacifica ed equilibrata di stati, ma anche come possibile istituzione consapevole della propria identità, cultura, civiltà, artefice del proprio destino e orgogliosa dei propri valori etici. L'Europa non ha valori etici, non li ha mai avuti, l'unico valore che dirige le sue scelte è un sistema ultraliberista compulsivo, al servizio degli interessi oligarchici, che stanno privatizzando tutto il possibile all'interno dei singoli stati.
Probabilmente siamo entrati in una nuova fase della crisi europea e di quella globale, una crisi che si rivela solo ora nella sua drammatica e molteplice natura: economica e finanziaria, ma anche istituzionale e geopolitica. Le strutture stesse della società ne saranno sconvolte dalle fondamenta. Nuove turbolenze si affacciano all'orizzonte e ne offuscano la visibilità, segnate da instabilità sociale crescente e da un progressivo disordine economico e finanziario, mentre le oligarchie dominanti tenteranno con ogni mezzo di sopravvivere, senza cedere minimamente nulla del loro potere agli odiati populismi anti-sistema, che cercano di accreditarsi con forza presso la massa dei consensi elettorali.
In ambito globale questa nuova civiltà multipolare si sta materializzando in fieri, giorno dopo giorno, mentre l'Ue in una prospettiva di ricomposizione dovrà confrontarsi con altri poli di aggregazione economica molto incisivi, come l'Organizzazione di Shanghai per la cooperazione (Shanghai Cooperation Organisation, SCO), un organismo intergovernativo fondato nel 2001, che oggi comprende numerosi stati: Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan, Afghanista, India, Iran, Mongolia, Pakistan. Un'Organizzazione che agisce da sempre come giusto e necessario contrappeso verso gli Usa, difendendosi da eventuali sue aggressioni.

La SCO sta diventando una forza importante e riproduce lo spostamento del baricentro dell'ordine mondiale, che sta virando verso oriente … un trasferimento dalla cultura occidentale al mondo eurasiatico. Il Brexit è visto in oriente come il crollo del west, il tramonto dell'occidente e della sua cultura, protesa per secoli alla "civilizzazione" del globo. La fine dell'Ue, così come l'abbiamo pensata per decenni, sembra essere prossima, e la sua metamorfosi appare irreversibile.

Nasceva infatti da un patto scellerato tra "unificazione tedesca vs euro" … e mentre Andreotti diceva "Amo talmente tanto la Germania che ne preferirei due", Churchill forse ne avrebbe volute addirittura molte di più. C'era però una motivazione urgente, quella di scongiurare l'espandersi dell'Urss, che aveva già unificato tutta la parte orientale dell'Europa. La piantina politica dell'Eurasia dal '45 agli anni ottanta ci mostrava un'immensa e compatta massa rossa ad est, con una sottilissima striscia blu ad ovest.
In altri termini, l'unificazione dell'Europa occidentale era l'altra faccia dello sviluppo economico, che il capitale produttivo aveva progettato per arginare l'avanzata del comunismo e per rispondere alle esigenze fisiologiche della necessità di fare crescita. Il tutto garantito da una relativa pace sociale, con benefici generalizzati prodotti dal fordismo, da politiche economiche keynesiane e welfare generalizzato, che hanno distinto il periodo di massimo e apparentemente inarrestabile sviluppo della storia dell'umanità. 

Ma la storia dell'Europa non è stata semplice: avversione continua da parte dell'impero, per impedire che potesse divenire troppo potente … appartenenza alla Nato, che ha consolidato il potere americano e impedito la nascita di un'autonomia difensiva europea e di conseguenza di una concreta e comune politica estera … una permeabilità scandalosa all'azione devastante delle lobby economico finanziarie.
E' il ritorno dell'Heartland, il Cuore della Terra, la zona centrale dell'Eurasia, denominata così da Sir Halford Mackinder, il geografo inglese autore di "Democratic Ideals and Reality" 1919. L'Heartland era descritto da Mackinder come il territorio delimitato ad ovest dal Volga, ad est dal Fiume Azzurro, a nord dall'Artico e a sud dalle cime più occidentali dell'Himalaya. All'epoca, tale zona era quasi interamente controllata dall'Impero Russo. Per Mackinder, che basava la sua teoria geopolitica sulla contrapposizione tra mare e terra, Heartland era il "cuore" pulsante di tutte le civiltà di terra, in quanto logisticamente inavvicinabile da qualunque talassocrazia … « Chi controlla l’Est Europa comanda l’Heartland: chi controlla l’Heartland comanda l’Isola-Mondo: chi controlla l’Isola-Mondo comanda il mondo »
Worlds war has begun …

Rosanna Spadini
Fonte: www.comedonchisciotte.org
8.07.2016

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=16643

giovedì 4 febbraio 2016

Il pericoloso declino del ceto medio. - Carlo Carboni




Nella letteratura socioeconomica internazionale si è ormai diffuso lo scenario di declino/crisi dei ceti medi nel Primo Mondo: un bel guaio dato che, da Aristotele in poi, si è condivisa l’idea che «la comunità politica migliore è formata dai cittadini delle classi medie. Il declino e poi l’aperta crisi hanno conosciuto tempi diversi tra i paesi. 
Negli Usa i mr. Smith sono già sottopressione dagli anni Novanta, tanto che Krugman, nel 2003, scrisse “Requiem per la gloriosa classe media”. 

Cosa era successo? Fondamentalmente che le nuove tecnologie labour saving della new economy avevano iniziato a erodere non solo i posti e le retribuzioni dei blue collar workers, ma anche quelli dei white collars durante il take off della nuova economia. 

Si trattava di classe medie inferiori, ma sempre ceto medio era. 

Al contrario di mr. Smith, il sig. Rossi d'Europa ha conosciuto un processo che è andato più a rilento e ha iniziato a barcollare seriamente (dopo più di un decennio rispetto agli Usa) con la crisi economico finanziaria, con la riduzione dei privilegi per chi dispone di una solida attività lavorativa Gli arretramenti dei welfare e le politiche austere di bilancio, più che la computerizzazione traversale dei settori occupazionali, sono cause delle penalizzazioni subite dai ceti medi europei e, in particolare, dallo strato inferiore di lavoro dipendente e indipendente. 
A esempio, in Italia il Sig Rossi ha visto diminuire l'occupazione dipendente, perdere e poi stagnare le retribuzioni e, infine, la pesante revisione delle pensioni. Anche il sig. Rossi microimprenditore (l'Italia ha un vasto ceto medio produttivo autonomo) è stato fortemente colpito dalla crisi dei consumi e del credito. A conti fatti, i ceti medi europei per ora hanno perso meno di quelli statunitensi, ma il futuro è più impervio visto il vantaggio tecnologico indiscusso degli Usa (occupazione in nuovi settori).

Il declino/crisi dei ceti medi procede pari passo non solo con l'automazione, con l'intelligenza artificiale o con la globalizzazione dei mercati del lavoro, ma anche con l'aumento delle disuguaglianze: più forte è la disuguaglianza, maggiore è la distanza tra upper middle class e la lower middle. Questo si è verificato negli States ben prima della crisi, a causa di un'intensa innovazione tecnologica (connessione e automazione) e un mercato del lavoro che risentiva del clima globale. In Europa la disuguaglianza ha invece conosciuto un aumento solo dal 2008: non ha solo ridotto di un 4-10% l'incidenza delle famiglie di ceto medio negli anni di crisi, ma ha rispecchiato dinamiche retributive stagnanti. In questo scenario, il crollo della percezione delle famiglie di appartenere ai ceti medi (meno 20-30%) dipinge uno stato d'animo peggiore di quel dovrebbe essere.

A dare pensiero, non c'è, dunque, solo la faglia della disuguaglianza socio-economica che spacca a metà i ceti medi, ma c'è anche una percezione di appartenenza - termometro dell'emotività sociale - che indica delusione. Ingannati nelle tradizionali speranze, i ceti medi di oggi hanno più difficoltà forse a sbarazzarsi del proprio glorioso fantasma che a risolvere il loro status di reale deprivazione. Quello che prima andava bene per quel lavoro routinario nella società tecnologica non va più bene: un guaio quasi esistenziale, irreversibile, che non puoi certo tamponare con gli 80 euro o con l'abolizione dell'IMU. Anche perché si aggiunge ad altri guai che il Sig. Rossi ha attraversato con il sistema creditizio prima nella veste di microimprenditore in sofferenza e, poi, come piccolo risparmiatore punito dalla privatizzazione del rischio bancario. Delusi dalla scuola e dall'università che a stento “fanno la differenza” sul mercato del lavoro per i propri figli, i ceti medi, soprattutto nell'Europa meridionale, si sono spinti fino a scaricare i loro umori in piccoli terremoti elettorali, dando nuova linfa all'astensione e all'indignazione, a un certo orientamento ambivalente che premia il radicalismo sia di esperienze come Podemos in Spagna e il M5S in Italia sia di partiti nazionalpopulisti.

Non c'è dubbio che, con la crisi, sia andata peggio agli strati già in precedenza a disagio o ai nuovi esclusi, i giovani. Sta di fatto che i ceti medi hanno le loro melanconiche sofferenze e le loro delusioni da deprivazione. Continuare a ingoiarle produrrebbe risentimento e comportamenti cinici. Sarebbe un guaio per tutti.

http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2016-02-02/il-pericoloso-declino-ceto-medio-081908.shtml?uuid=AC5uytLC