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giovedì 3 marzo 2022

Ora cerchiamo di non imitare Putin il censore. - Antonio Padellaro

 

Come tanti, quando sono in auto, tengo sempre la radio accesa per ascoltare le dirette sulla guerra e anche le opinioni degli ascoltatori che spesso fanno le domande più sensate, magari le stesse che avrei fatto io. Per esempio, ieri mattina, a Tutta la città ne parla.

(Radio3) si parlava del carico di armi pesanti che l’Italia si accinge a inviare a Kiev e qualcuno, assai pessimista sulla durata della resistenza ucraina, ha chiesto: e se poi questo gigantesco arsenale di missili, bombe, mitragliatrici dovesse finire nelle mani dei russi? Non corriamo il rischio di armare gli aggressori? Poi si è passati a considerare l’ipotesi di una possibile sollevazione popolare contro Vladimir Putin, alla luce delle proteste di piazza mostrate in tv. È stato risposto, attenzione a non confondere Mosca e San Pietroburgo – grandi metropoli europeizzate dove soprattutto i giovani sono molto simili ai loro coetanei di Berlino, Parigi o Londra – con la Russia profonda nella quale l’uomo del Cremlino gode ancora di vasta popolarità (cerco di riassumere le valutazioni del corrispondente Rai, Alessandro Cassieri). A proposito di questa idea di un Putin in difficoltà mi è venuto in mente che molto si è parlato di quella riunione del Consiglio di sicurezza russo nella quale Putin ha gelato il capo dei servizi segreti che chiedeva più tempo per i negoziati. È la prova, hanno commentato gli “esperti”, che il dissenso si allarga e che lo Zar Vlad potrebbe presto saltare. Ho pensato io (più terra terra): se qualcuno dovrà saltare sarà, se non sta attento, quel burocrate avventato. Quindi su Radio 24 sono trasecolato alla notizia che l’Università Bicocca di Milano aveva rinviato il corso dello scrittore e traduttore Paolo Nori su Dostoevskij (“evitiamo polemiche in un momento di forte tensione”). Poi, fortunatamente, la rettrice ha fatto marcia indietro, anche se questo episodio si somma alla richiesta di abiura fatta del sindaco di Milano e che ha portato Valerij Gergiev (solida fama di putiniano) a dare le dimissioni della direzione del Teatro alla Scala. Così come il soprano russo, Anna Netrebko (assai apprezzata da Putin) anche lei attesa alla Scala, ha preferito rinunciare dicendo che “non è giusto costringere gli artisti a denunciare la patria”. Chiedo sommessamente: non ci hanno insegnato che la superiorità della democrazia consiste nel non abbassarsi a discriminare chi la pensa diversamente? Come invece fanno le dittature?

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/03/03/ora-cerchiamo-di-non-imitare-putin-il-censore/6513673/?utm_content=marcotravaglio&utm_medium=social&utm_campaign=Echobox2021&utm_source=Facebook&fbclid=IwAR2tKwta3u41i3CH3ilHH1h3hNkeJ6m8KIP5kFlidLoNzXPAl7xe42pe5ac#Echobox=1646297425

martedì 25 maggio 2021

C’è un’aria. - Marco Travaglio

 

In quest’arietta da regimetto, non nuova, peraltro, nel Paese con l’intellighenzia più serva del mondo, sta passando l’idea che i partiti debbano stare a cuccia e lasciar fare tutto a Draghi, il nostro Ronaldo (che peraltro ha appena trascinato la Juve al minimo storico del decennio). Ogni proposta è bollata come un fastidioso disturbo al Manovratore, ogni protesta come un sabotaggio delle magnifiche sorti e progressive dei Migliori e dai giornaloni si levano moniti contro i partiti che “piantano bandierine”. Prima che la sindrome di Stoccolma renda le forze politiche ancor più paralizzate e afasiche di quanto già non siano, è il caso di ricordare a lorsignori alcuni fondamentali della democrazia parlamentare: Draghi e i suoi tre o quattro “tecnici” non hanno mai preso un voto, diversamente dai partiti. E alle prossime elezioni, verosimilmente, Draghi siederà sul Colle o su qualche altra poltrona oppure a casa, mentre a chiedere i voti agli elettori saranno i partiti. Il governo esiste in quanto e finché il Parlamento gli dà la fiducia. Ciascun partito è liberissimo di votarla o di negarla in base a quello che il governo fa. E non c’è “Europa”, o suo improvvisato portavoce, che possa dire ai rappresentanti del popolo cosa devono fare.

Semmai è Draghi che dovrebbe pensarci mille volte prima di mettere le mani sulla Rai e sulle altre partecipate di Stato senza consultarli. Quanto ai miliardi del Recovery, peraltro procacciati dal governo precedente, arriveranno in base al Piano presentato alla Ue (per il 95% copiato da quello di Conte e per il 5% modificato in peggio) e alle riforme promesse su giustizia, lavoro, ambiente, burocrazia. Ma non le decide l’Europa e nemmeno il governo: le decide il Parlamento, libero di votarle o bocciarle o modificarle in base ai programmi e alle aspettative degli elettori dei vari partiti. Se i 5Stelle vogliono il salario minimo e il sorteggio dei togati del Csm e non vogliono la prescrizione, la separazione delle carriere, l’azione penale discrezionale, l’abolizione del codice degli appalti e altre deregulation foriere di stragi tipo Morandi e Mottarone, nessuno può obbligarli a votare l’opposto in nome di presunte urgenze europee o esigenze di unità nazionale. Lo stesso vale per Pd e Lega&FI sulla tassa di successione. I partiti non solo possono, ma devono “piantare bandierine”, cioè combattere le battaglie promesse agli elettori, anche a costo di disturbare i manovratori senza elettori. Se troveranno buoni compromessi per le famose “riforme”, bene. Sennò si saluteranno, manderanno Draghi al Quirinale o dove vuole lui, e torneremo a votare per chi pare a noi. Non alla fantomatica “Europa”, che fra l’altro non ha fra i suoi compiti quello di insegnarci a votare.

IlFQ