Preso con le solite pinze, l’ultimo sondaggio di Demoskopea dà la maggioranza giallorosa che sostiene il governo Conte al 46,9% (Pd 20,5, M5S 19,9, Iv 3,3, Sinistra italiana 3,2): cioè per la prima volta davanti al centrodestra, che la insegue al 45,3% (Lega 23,5, FdI 15,5, FI 6,3), al netto dei partitini di centrosinistra non rappresentati in Parlamento (Azione 3,3, +Europa 2,3, Verdi 2,1). Numeri ragionevoli, viste la buona prova offerta dal governo nell’incubo del Covid e la parallela cialtroneria delle opposizioni. Ma numeri da fantascienza se si guardano i talk e i giornali con i loro quotidiani De Profundis per il governo che, a loro dire, sta in piedi solo per evitare la sicura vittoria delle destre e comunque cadrà certamente domani, anzi la sera del 21 settembre, anzi oggi pomeriggio. Ma anche se si assiste allo spettacolo dei partiti della maggioranza, impegnatissimi h 24 a segare il fragile ramo su cui siedono. Ora la demenziale rivolta nei 5Stelle contro il premier che osa decidere sui servizi segreti, cioè fa il premier. Ora le cacofonie nel Pd sul taglio dei parlamentari, invocato e promesso per 40 anni, votato ancora l’anno scorso e oggi ripudiato con tanti No, Ni e distinguo su pressione di chi vuole abbattere il governo e la segreteria Zingaretti (i giornaloni e i loro mandanti), ma anche di chi li sostiene come la corda regge l’impiccato (i puristi da sesso degli angeli della vecchia sinistra e le povere Sardine, che dopo la visita chez Benetton non ne azzeccano più una, ridotte a una pattuglia di Tafazzi). E poi i soliti italomorenti dell’Innominabile che, non contenti dei propri fiaschi, vorrebbero esportarli in casa altrui.
Come se tutto ciò non bastasse, incombono le elezioni regionali in Veneto, Liguria, Toscana, Marche, Campania e Puglia. E anche lì, mentre le destre marciano compatte come falange macedone anche se non vanno d’accordo su nulla, i giallorosa procedono in ordine sparso come l’Armata Brancaleone. Salvo in Liguria, dove però si guardano bene dal fare campagna per il candidato unitario Sansa. Siccome poi in Veneto e in Campania hanno già vinto Zaia e De Luca, tutto si gioca nelle altre tre regioni “contendibili” che vedono M5S, Pd e Iv l’un contro l’altro armati. Anziché piagnucolare sul latte versato degli accordi mancati, o chiedere patti di desistenza e voti disgiunti, i candidati-presidenti Pd dovrebbero avere rispetto per gli elettori e rivolgersi soltanto a loro. I numeri parlano chiaro: gli unici in grado di strappare Toscana, Marche e Puglia alle destre sono Giani, Mangialardi ed Emiliano. I 5Stelle non andranno malissimo: la debolezza degli altri candidati esalta chi cerca vie di fuga “terzaforziste”.
In Puglia la Laricchia è data addirittura al 15% (mentre il prode Scalfarotto veleggia verso un sontuoso 1,6). Ma di quei voti il M5S non se ne farà nulla, se non per strillare altri cinque anni dai banchi dell’opposizione, senz’alcuna speranza che i nuovi “governatori” salvinian-meloniani gli diano retta. Infatti Conte e Di Maio han tentato fino all’ultimo di convincere i grillini di Marche e Puglia a far pesare i loro voti appoggiando i candidati Pd in cambio di cambiamenti su liste e programmi: invano. Ora, visto che nelle due Regioni e in Toscana tutto si gioca sul filo di un paio di punti, sta all’eventuale bravura di Mangialardi, Emiliano e Giani convincere almeno una parte degli elettori 5Stelle a disgiungere il voto: lista M5S e presidente Pd. Come? Non certo lanciando appelli a Crimi o Di Maio perché diano un’indicazione di voto che mai potrebbero dare, e comunque non verrebbe ascoltata; né tentando patti sotterranei per fare di nascosto ciò che non si può fare alla luce del sole; né comprando grillini sfusi in cambio di assessorati. Ma parlando direttamente agli elettori 5Stelle che, se insistono malgrado il rischio di mettere in pericolo il governo, è perché non sono soddisfatti da Mangialardi, Emiliano e Giani.
Cosa potrebbe convincerli o almeno allettarli? Qualcosa di radicalmente nuovo, netto e discontinuo. Basta fare l’opposto del nostro amico Sansa, che ieri s’è giocato qualche altro voto pentastellato schierandosi per il No. I tre aspiranti presidenti facciano campagna per il Sì con esponenti del M5S, del Pd e della Sinistra. Si impegnino a proseguire la battaglia anti-casta in casa propria, tagliando enti inutili, gettoni delle partecipate, emolumenti e vitalizi dei consiglieri regionali. E poi a bloccare i nuovi inceneritori, a fermare il consumo del suolo, a invertire la rotta dei finanziamenti alla sanità privata, a potenziare le misure sociali e le politiche ambientali. E infine annunciando nomi nuovi, prestigiosi, competenti, presi dalla società civile per i futuri assessorati. Solo così, convincendo gli elettori sui territori e non le segreterie a Roma, possono sperare nel voto disgiunto. Perché gli unici padroni dei voti sono gli elettori e non sarà certo un appello di Crimi o Di Maio a spostarli. Anzi, tentare di scavalcarli con accordi nazionali e appelli dall’alto è anche peggio dell’inerzia, perché li farebbe incazzare vieppiù. E l’unica “disgiunzione” che si otterrebbe è quella fra politici e cittadini. Che si chiama astensionismo. E non è un virus simmetrico: colpisce soprattutto chi già governa. Giani, Mangialardi ed Emiliano hanno 18 giorni per battere un colpo. In caso contrario perderanno e, anziché incolpare gli altri, dovranno prendersela solo con se stessi.