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martedì 4 agosto 2020

Trattativa ferma tra Cdp e Atlantia Slitta pure l’intesa sulla concessione. - Cdf

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Che il governo non si sarebbe presentato a Genova con lo scalpo ottenuto dell’uscita dei Benetton era noto da giorni. Ieri però si è aggiunto l’ulteriore allungamento dei tempi. La ministra dei Trasporti Paola De Micheli ha ammesso che domani non ci sarà la firma con Autostrade per l’Italia (Aspi) per il rinnovo del Piano economico finanziario e del nuovo “Atto aggiuntivo”. È un passo fondamentale per riequilibrare la concessione a favore della parte pubblica in base all’accordo sancito col governo. Serviranno diversi incontri tecnici per capire se le proposte di Aspi sono coerenti con il nuovo modello tariffario voluto dall’Autorità dei Trasporti. L’intesa necessita poi di un parere dell’Avvocatura e dovrà infine passare al vaglio degli organi tecnici, a partire dal Cipe.
L’accordo è fondamentale per dare un valore ad Autostrade e sbloccare la trattativa tra Atlantia e la Cassa Depositi e Prestiti. Ieri gli uomini della holding controllata dai Benetton hanno chiesto un rinvio a metà settimana dell’incontro previsto in giornata. La distanza tra le parti è notevole. Nei piani del governo Cdp dovrebbe assumere il controllo con un aumento di capitale che la porti al 33% di Aspi, Atlantia venderebbe poi a investitori graditi alla Cassa un altro 22%, infine Aspi verrebbe scissa dalla holding e quotata permettendo ai soci, in primis i Benetton, di uscire. Manca però l’accordo su due punti fondamentali. Il primo è il valore di Aspi (sotto i 6 miliardi Altantia non avrebbe perdite a bilancio, sopra ci guadagnerebbe pure). La holding vuole anche un meccanismo compensativo in caso il valore della quotazione di Aspi risulti superiore a quello di ingresso di Cdp. Il secondo è la manleva legale chiesta da Cdp: Atlantia non ne vuole sapere.

sabato 7 settembre 2019

Atlantia in rialzo, De Micheli per concessioni esclude la revoca. - Flavia Carletti



I titoli della controllante di Autostrade per l'Italia mettono a segno la migliore performance del Ftse Mib, con un massimo toccato a 24,93 euro, sopra la chiusura del 13 agosto 2018, prima del crollo del Ponte Morandi. In una intervista, la neo-ministra dei Trasporti precisa che nel programma di governo si parla di "revisione".

Atlantia positiva a Piazza Affari, sull'idea che l'ipotesi revoca concessioni autostradali sia ormai nel cassetto. I titoli della società che controlla Aspi (Autostrade per l'Italia), salgono di circa due punti percentuali, mettendo a segno la migliore performance del FTSE MIB, che è in leggero calo. Il massimo toccato dal titolo Atlantia nel corso della seduta è stato a 24,93 euro per azione, sopra la chiusura del 13 agosto 2018 (24,88 euro), il giorno prima del crollo del Ponte Morandi a Genova. La tragedia risale al giorno dopo, il 14 agosto dello scorso anno, e ha provocato la morte di 42 persone. In una intervista al quotidiano La Stampa, la neo-ministra dei Trasporti, Paola De Micheli, replicando a una domanda sulla revoca delle concessioni ad Aspi ha detto che «nel programma di governo c'è scritta una parola precisa e molto diversa: revisione. Dobbiamo rafforzare gli investimenti, la sicurezza e ridurre i costi per gli utenti». Inoltre, la ministra si è detta «contraria alla cosiddetta mini-Gronda» di Genova, «perché significherebbe perdere almeno altri sei anni attorno a un progetto pronto». Secondo gli analisti di Equita, «l'indicazione del ministro sull'avvio degli investimenti, il supporto al progetto del Passante di Genova e l'obiettivo della revisione della concessione e non più della revoca sono indicazioni positive» per Atlantia.
(Il Sole 24 Ore Radiocor)

Governo, sulla revoca delle concessioni ad Autostrade il Pd sembra la Lega. Riforma Giustizia? Orlando vuole “costruire un metodo”.

Governo, sulla revoca delle concessioni ad Autostrade il Pd sembra la Lega. Riforma Giustizia? Orlando vuole “costruire un metodo”

Conte aveva ammonito: "L'alleanza Pd-M5S non sia un Vietnam". Ma se le parole della ministra De Micheli provocano l'irritazione di Di Maio che raccomanda ai suoi "di non rispondere alle provocazioni", sul disastro di Genova sembrano dimenticate le parole di Mattarella e l'inchiesta giudiziaria quasi al termine. Sulla giustizia Orlando parla di "costruire un metodo sul quale si valutano distanze e punti di contatto solo dopo esserci confrontati".
Sì alla Gronda e al Tav, no alla revoca delle concessioni. Riforma della giustizia sì, ma “ricominciando la discussione” e “costruendo un metodo sul quale si valutano distanze e punti di contatto solo dopo esserci confrontati“; decreti sicurezza? Tutto da azzerare. Sembra di sentire la Lega, invece è il Pd. Le prime uscite dei neoministri dem sono fumo negli occhi degli appena alleati Cinque Stelle nel governo che, nelle speranze di entrambi, dovrebbe durare altri tre anni. Le prime vedono però i dem su posizioni più leghiste che movimentiste, con buona pace degli auspici di Conte. “Palazzo Chigi non sia più il Vietnam di un’alleanza”, aveva avvisato il premier re-incaricato, chiedendo “leale collaborazione” tra M5S e Democratici. Dietro l’auspicio, una preoccupazione costante: far dimenticare e archiviare quattordici mesi di guerra civile nel precedente governo. Ora però sembra che dovrà subito ricominciare le sue opere di mediazione che lo hanno contraddistinto nei suoi primi 15 mesi da premier.
A 24 ore dal giuramento alcune sortite dei ministri del Pd remano nella direzione dell’attrito su campi sensibili come la giustizia e le infrastrutture. Al punto che il leader M5S Luigi Di Maio, dando la linea ai suoi ministri, ha ammonito: “Non voglio conflitti, vi prego di non rispondere alle provocazioni ma dire al Pd di non comportarsi come la Lega”. Sull’altro campo diverse fonti accreditano un crescente nervosismo anche di Nicola Zingaretti verso certe prese di posizione dei suoi ministri che segnano i primi attriti dell’esperienza di governo giallorosso che fanno il gioco di Matteo Salvini, che dagli schermi de La7 subito infierisce: “Vedete, già litigano su tutto”.
Che cosa è successo? All’indomani del giuramento è stato il neoministro delle Infrastrutture Pd, Paola De Micheli, a rompere l’argine, intervenendo su Tav, Gronda e concessioni autostradali; che son poi i temi-pretesto che hanno portato alla fine della maggioranza gialloverde. De Micheli a La Stampa ha certificato la sua distanza siderale dal predecessore Danilo Toninelli (non dai Cinque Stelle) e ha annunciato la strada delle revisioni delle concessioni anziché la revoca, “come è scritto nel contratto M5s-Pd”. Il Ponte Morandi? Sulla questione il ministro ha glissato. Ma nella giornata di ieri a twittare era stato il vicesegretario del partito Andrea Orlando: “Il Pd vuole che i responsabili del disastro del Morandi siano colpiti e che le rendite ingiustificate siano cancellate. Con delle sentenze e dei provvedimenti. Non con dei tweet”. Eppure non era sfuggito a nessuno il richiamo che lo stesso capo dello Stato Sergio Mattarella aveva fatto nel giorno della commemorazione del 14 agosto, quando senza fare nomi Sergio Mattarella in persona puntò il dito contro la “brama di profitti”. Non solo. A Genova ci sono 74 indagati (tra cui ex ad di Autostrade Giovanni Castellucci) più due società (Autostrade e la controllata Spea) e l’inchiesta dovrebbe essere chiusa entro pochi mesi. E c’è una perizia dei consulenti del tribunale che hanno sottolineato come “gli ultimi interventi di manutenzione ritenuti efficaci risalgono a 25 anni fa”.
L’orticaria però si diffonde anche su altri temi spinosi, a partire dalla giustizia. La riconferma del ministro Alfonso Bonafede sembrava il viatico per la prosecuzione del dossier su giustizia e intercettazioni, sempre sgraditi al Carroccio. Ma il vicesegretario del Pd Andrea Orlando, cui Bonafede era succeduto in via Arenula, mette dei paletti: “Non si può pensare – spiega alla Stampa – che un nuovo governo prenda per buono un testo che è stato costruito da due forze politiche che non ci coinvolsero minimamente, e di cui una era la Lega. È ragionevole che si ricominci la discussione”. La prescrizione che entra in vigore dal primo gennaio? “Credo che la drastica cancellazione della prescrizione sia un errore, ma dentro un percorso processuale si possono trovare equilibri compensando con altre garanzie. Ma, ripeto, è sbagliato pensare a una discussione senza prima sedersi a un tavolo”. Più tardi il vicesegretario del Pd ha puntualizzato a ilfattoquotidianno.it: “Costruiamo un metodo sul quale si valutano distanze e punti di contatto solo dopo esserci confrontati. Non si mandano messaggi a distanza – ha detto – Prima di dare valutazione sulla riforma bisogna capire il percorso per cui si è arrivati a determinate scelte“.
L’immigrazione e la sicurezza sono il terzo campo minato sui cui muove i passi il Conte-bis. Non è un mistero che il Pd voglia azzerare i decreti di Salvini e che i Cinque Stelle vorrebbero invece toccare il meno possibile, come reso evidente dalle dichiarazioni di Di Maio nel rivendicare le scelte del governo che fu. Sul punto è intervenuta, senza entrare nella dialettica dello scontro, il neoministro Luciana Lamorgese. A livello generale l’idea è di ripartire dalle osservazioni dal Capo dello Stato, che ai primi di agosto firmò il decreto Salvini bis ma evidenziando “rilevanti criticità” sulle multe alle ong, ribadendo la necessità che permanga “l’obbligo di salvare le persone in mare”. Mattarella aveva rimesso a Parlamento e Governo l’individuazione dei modi e dei tempi di un intervento normativo in materia.
La Lamorgese, spinta anche dal caso Alan Kurdi che è un primo test sul nuovo corso, si è attenuta a una linea prudente rispetto al passato. Non sarà uguale a quella del predecessore, ma deve fare i conti con un’opinione pubblica nettamente schierata sul tema. Dunque, niente porti aperti in maniera indiscriminata ma più umanità. Come realizzare questo mix, è la sfida che metterà alla prova i due azionisti di Conte. L’ex presidente Matteo Orfini per esempio chiede già dove sia la discontinuità se non vengono fatti sbarcare i migranti della Alan Kurdi. Ma già si intravvede nell’economia e nella manovra 2020 una nuova tela che potrebbe sfilacciarsi e annodarsi. Se sarà un legame più stretto o qualcosa di più pericoloso lo diranno i prossimi mesi.

Ministra con Trasporto. - Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 7 Settembre.



Uno non fa in tempo a rallegrarsi perché la neoministra dell’Interno Luciana Lamorgese non sta su Facebook, Twitter e Instagram, e già gli tocca leggere le prime sparate di alcuni suoi colleghi. Ancora non sanno dov’è il loro ufficio, ma già annunciano o minacciano leggi, decreti, grandi opere e financo dimissioni. Nel primo Consiglio dei ministri, il premier Giuseppe li aveva pregati di “evitare sgrammaticature istituzionali”, che è il suo modo per dire “niente cazzate”. Poi quelli, appena usciti, han subito dato aria alla bocca. Si temeva che l’incontinenza verbale giocasse brutti scherzi a Di Maio&C., quelli della ola sul balcone e dell’abolizione della povertà. Invece la prima a sbracare è stata Paola De Micheli, reduce da un’imbarazzante esperienza di commissario alla ricostruzione del Centro-Italia, come se a quella povera gente non fosse bastato il terremoto. La neoministra dei Trasporti, che pare sempre in procinto di impugnare il mattarello e tirare la pasta dei tortellini, appena assisa sulla poltrona di Toninelli ne è stata subito contagiata e ha espettorato un’intervista a La Stampa tutta asfalto e cemento. Al confronto Lunardi, “ministro con Trasporto”, era un dilettante. In barba al programma appena sottoscritto, che subordina ogni opera a una seria analisi degli “impatti sociali e ambientali”, Lady Turtlèn ha annunciato che “ostacoli politici ai cantieri non ce ne saranno più” (come se prima ce ne fossero: Toninelli non ha bloccato nulla, purtroppo). Tav di qua, maxi-Gronda di là, forza Atlantia e, già che c’era, pure una parolina inutile su Alitalia (che tocca al Mise), Libia (affari Esteri), migranti e dl Sicurezza (roba del Viminale). Quanto alle analisi costi-benefici, fa trapelare la Paola sul Messaggero di Caltagirone, “verranno aggiornate e lette non in chiave ideologica, ma di sistema ”: vedi mai che 2 più 2 faccia 3. Il risultato, ovviamente, è un ribollio di rabbia tra i 5Stelle, costretti a mordersi la lingua per non mandarla al solito posto. E una garbata irritazione – per usare un contismo – di Conte, che s’era appena liberato dell’onniministro Cazzaro e se ne ritrova un altro in gonnella. Anzi due, perché pure Lorenzo Fioramonti è debole di prostata: mentre si recava nel nuovo ufficio, Mister Istruzione già minacciava di dimettersi se non avrà subito 3 miliardi sul suo tavolo (ancora mai visto). Per carità: come dice Vittorio Feltri su Salvini, “l’ora del coglione arriva per tutti”. Ma di questo passo saremmo meno ottimisti della De Micheli: “Se andiamo avanti così, faremo assieme molte cose buone per il Paese”. No, cara: se vai avanti così, non arrivate a fine mese.