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sabato 23 gennaio 2021

Governo, Tabacci: “Serve un Conte ter per la fine della crisi”. Italia viva dice di voler riaprire il dialogo, ma Bellanova insiste sul Mes.

 

GLI AGGIORNAMENTI DALLA CRISI - Ore decisive per sbloccare lo stallo e capire se è davvero possibile allargare la maggioranza. Il leader di Centro democratico è stato ricevuto dal ministro degli Esteri e, per sbloccare la situazione, ha suggerito che si lavori a "un esecutivo nuovo" con Conte come punto di riferimento. Intanto i renziani hanno firmato un documento per chiedere di riaprire le trattative con la maggioranza, ma le posizioni interne sono le stesse che hanno portato allo strappo.

Un weekend di trattative per evitare il ritorno alle urne. La crisi di governo sembra essere arrivata a un punto di stallo e le prossime 48 ore saranno decisive per le sorti dei giallorossi. Se dal fronte Palazzo Chigi assicurano che le interlocuzioni per allargare la maggioranza stanno andando avanti, la strada per un nuovo esecutivo al momento rimane bloccata. I primi segnali negativi sono arrivati giovedì sera dal vicesegretario Pd Andrea Orlando, che, intervenendo a Piazzapulita su La7, alla domanda se le “elezioni sono più vicine”, ha replicato: “Purtroppo sì. Ed è quello che temevamo: oltre questo governo, tutte le altre ipotesi sono di molto difficile percorribilità“. Una strategia per sbloccare le trattative? Tutto può essere in queste ore concitate, ma resta il fatto che l’uscita non è piaciuta neanche a un gruppo di senatori Pd (da Pittella a Verducci) che ha chiesto di “non agitare le elezioni come arma finale”. Nell’immobilismo (almeno apparente) generale, oggi però qualcosa è successo: intorno all’ora di pranzo Bruno Tabacci, leader della componente di Centro democratico, ha visto Luigi Di Maio e, all’uscita, ha indicato quella che al momento sembra essere l’unica strada possibile: non un semplice rimescolamento delle carte, ma un vero e proprio nuovo esecutivo (anche se con lo stesso premier). “La possibilità di rafforzare la maggioranza c’è, ma serve un governo nuovo, non basta un piccolo rimpasto”, ha detto Tabacci. “Io penso che Conte sia l’unico punto di equilibrio di questa legislatura. Per concludere la crisi è necessario aprire a un ventaglio di forze più ampio. Renzi al Senato ha fatto un discorso di rottura, ma credo che in Iv ci siano posizioni più concilianti. E poi c’è l’area dei liberal-democratici di Forza Italia“.

Intanto ieri sera i parlamentari di Italia viva si sono riuniti in assemblea e hanno elaborato un documento per chiedere di riaprire il dialogo: “Serve una soluzione politica di respiro ampio”, hanno scritto. Peccato che però, solo poche ore dopo, l’ex ministra Teresa Bellanova è tornata alla carica pretendendo l’uso del Mes, uno dei pochi capitoli davvero divisivi nella maggioranza e sul quale sembra impossibile arrivare a una mediazione: “L’Italia ha bisogno del Mes”, ha scritto su Facebook certificando che, dal giorno della rottura, niente è davvero cambiato per i renziani. Sul fronte di Italia viva però, la riapertura delle trattative con la maggioranza è ritenuta necessaria anche per bloccare le defezioni di quei parlamentari (almeno quattro sarebbero già confermati: Grimani, Comincini, Marino e Conzatti) che invece non intendono andare all’opposizione con la destra sovranista e sono disposti a rientrare nel Pd se le cose si mettessero male. In questo senso va letta la decisione di Palazzo Chigi di accelerare sull’affidamento della delega ai Servizi all’ex ambasciatore a Berlino Pietro Benassi, un punto su cui Iv aveva insistito molto e che potrebbe sbloccare molte discussioni.

Intanto il tempo corre: i numeri per mettere in sicurezza la maggioranza al Senato ancora non ci sono e il prossimo ostacolo sarà il 27 gennaio in occasione del voto alla risoluzione sulla giustizia del ministro Bonafede. Matteo Renzi ha già annunciato l’intenzione di votare no, ma a quel punto non tutti i parlamentari di Italia viva potrebbero seguirlo. I timori nella maggioranza sono che siano tanti i voti a venir a mancare. Ad esempio quello delll’ex Fi e ora tra i responsabili Sandra Lonardo che, interpellata dall’Ansa, ha preso tempo: “Prima di votare, leggerò la risoluzione sulla relazione sulla giustizia per valutare se c’è la volontà di arrivare subito a una proposta, che diventi legge, per accorciare davvero i tempi della giustizia. Perciò chiedo a Conte che sia lui a farsi garante su questo, e che lo faccia subito. In quel caso le mie perplessità potrebbero essere attenuate”. Gli incontri vanno avanti senza sosta e i pontieri sono al lavoro. In serata anche l’ex Fi Maria Rosaria Rossi è tornata a Palazzo Chigi per vedere Conte: massimo riserbo sul contenuto del colloquio, ma la prova che le interlocuzioni si muovono su più direzioni e riguardano anche il fronte del centrodestra.

Italia viva spinge per riaprire il dialogo – In questa fase in cui il rischio immobilismo è sempre più chiaro, sono tornati a farsi sentire i deputati e i senatori di Italia Viva che si giocano l’ultima possibilità per rientrare in maggioranza. Giovedì sera si sono riuniti in assemblea e al termine dell’incontro hanno elaborato un documento: “Esprimiamo”, si legge, “preoccupazione per lo stallo istituzionale di questi giorni, la difficile situazione sanitaria e i drammatici dati economici del nostro Paese” e “ribadiamo con forza la necessità, già espressa nel dibattito parlamentare, di una soluzione politica che abbia il respiro della legislatura e offra una visione dell’Italia per i prossimi anni”. Nel testo, che l’agenzia Ansa ha visionato, i parlamentari garantiscono che “si muoveranno tutti insieme in modo compatto e coerente in un confronto privo di veti e pregiudizi, da effettuarsi sui contenuti nelle sedi preposte”.

Tra i firmatari del documento c’è anche il senatore Iv Eugenio Comincini, tra i parlamentari ritenuti più propensi a un ritorno nel Partito democratico: “Serve riannodare i fili del dialogo e della leale collaborazione, come sostengo da giorni. Bisogna provarci, fino all’ultimo. Facciamolo intorno ad un tavolo, nelle sedi più opportune, politiche o istituzionali”. Un altro dei nomi in bilico e più in difficoltà sulla linea della spaccatura voluta da Renzi è quello di Leonardo Grimani, senatore di Italia Viva, che oggi ha detto di aver firmato “con convinzione” il documento. “Fare in fretta”, ha detto all’Adnkronos. Mercoledì ci sarà il voto su Bonafede e “vanno trovate prima le condizioni per rilanciare un accordo altrimenti saranno problemi”. Ma lei voterà contro la relazione di Bonafede come ha annunciato Renzi? “Vanno fatte valutazioni di contenuto, ma anche politiche perché non possiamo scordare che eravamo al governo insieme. Io mi auguro si trovi prima un accordo“. E sull’ipotesi che i renziani si dividano da Renzi, ha ribattuto: “Sulla linea del dialogo siamo compatti. Da parte nostra non ci sono né veti né pregiudizi. Spero che sia lo stesso anche dall’altra parte. Io mi aspetto che accada qualcosa al massimo entro martedì”.

La tensione e la fretta nell’asse Pd-M5s – Orlando è stato chiaro nelle scorse ore nello spiegare perché il voto rischia di essere l’unico epilogo in caso fallissero le trattative: “Noi non vogliamo mischiare i nostri voti con quelli di Salvini e Meloni, quindi un’ipotesi di unità nazionale non esiste. Mi pare che il M5s non rinunci ad avere Conte come riferimento. In politica se si escludono le vie che non sono percorribili restano quelle percorribili”, ha ripetuto ieri il vicesegretario dem. “Noi crediamo che se si toglie Conte questa maggioranza implode“. Per questo rimarrebbe solo la strada del voto, se le mediazioni non andassero in porto. Se il governo cadesse, “credo che si andrebbe al voto: uno scenario che non auguro per il Paese in un momento così delicato”, ha detto al Corriere della sera Fraccaro. La speranza è quindi che “ulteriori passi in avanti si concretizzeranno nei prossimi giorni”.

Anche tra i dem c’è chi frena sull’ipotesi elezioni anticipate. A rompere la linea sono stati i senatori Gianni Pittella, Dario Stefano, Tommaso Nannicini e Francesco Verducci. “Bisogna ribadire con forza anche in queste ore difficili che il Pd è il partito del rilancio della legislatura. Siamo nel pieno di una drammatica crisi sanitaria e sociale. L’Italia ha bisogno di risposte urgenti. Il Pd rilanci le ragioni di un governo che sia all’altezza delle risposte che si aspettano le italiane e gli italiani, parlando con tutti per trovare la quadra di un programma di legislatura”. Chi cerca subito di bloccare però l’ipotesi della riapertura di un tavolo con Matteo Renzi è il capo politico M5s Vito Crimi: “Leggiamo dichiarazioni e interviste di esponenti politici ancora convinti che ci sia spazio per ricucire con Renzi”, ha detto all’agenzia Ansa. “Questo nonostante le mie e le nostre affermazioni nei giorni precedenti siano state chiarissime in tal senso. Allora lo ribadisco, a scanso di ogni equivoco: per il Movimento non ci sono margini per ricucire con Renzi, la porta è definitivamente chiusa. Non torneremo con chi è inaffidabile fino a questo punto: con chi si è reso responsabile di una crisi in un momento tanto drammatico per il Paese”.

Nel M5s però le tensioni sono tante. E c’è anche chi non esclude una linea più distensiva: “Parlare di ricucitura con i renziani”, ha detto all’Adnkronos il deputato M5s Giorgio Trizzino, “probabilmente è inappropriato ma si può fare qualcosa di diverso: cioè ricreare le condizioni ideali per una riflessione collettiva sui reciproci errori commessi in questi ultimi mesi. E, ove esistano le condizioni, potrebbe essere anche valutabile una riapertura di dialogo con i renziani“. Il quadro rimane molto confuso e le ricostruzioni affidate a fonti anonime, ha osservato su Facebook il senatore M5s Primo Di Nicola non aiutano a semplificare il quadro: “La tutela delle fonti per un giornalista è sacra”, si legge. “Ma quando si leggono articoli, come quelli delle cronache parlamentari, costruiti sistematicamente sull’anonimato di deputati, senatori e presunti leader che non rischiano niente, bisogna dire che qualcosa non va”. Perché, ha continuato, “questi anonimi spesso e volentieri vengono citati solo per descrivere scenari e costruire retroscena assolutamente improbabili, utili solo non a raccontare ma a pilotare gli eventi. Allora chiedo se su questo hanno qualcosa da dire gli autorevoli direttori e magari anche i cronisti, a cominciare da quelli iscritti alla Stampa parlamentare. Se la smettessimo con questo modo di lavorare, forse l’informazione riacquisterebbe in Italia maggiore credibilità. E i giornali tornerebbero ad essere venduti molto di più

I movimenti al centro – È in questa delicatissima fase che è piombata come un macigno l’indagine della procura di Catanzaro sul segretario dell’Udc Lorenzo Cesa (ora dimissionario). Anche perché pesi massimi del Movimento 5 Stelle come Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista hanno messo in chiaro sin da subito che “il M5s non parla con chi è accusato di reati gravi“. L’auspicio, però, è che se Cesa ora è escluso dalla partita – ed era soprattutto lui a spingere l’Udc a rimanere nel centrodestra – qualcosa possa smuoversi tra i suoi. Un primo segnale è arrivato dalla senatrice Paola Binetti: “Io sono convinta che la legislatura non può e non deve finire. Per salvarla farei di tutto, penso che tutti faremmo di tutto”, ha detto in un’intervista al Messaggero. “Poi, sulla formula possiamo discutere”. Binetti sostiene infatti che se il premier ha davvero intenzione di “guardare al centro, non trova una prateria vuota, c’è già l’Udc. Conte deve capire se la sfida che vuole assumere è quella di aggregare questa miriade di piccoli soggetti che stanno al centro. Se questa fosse la sfida, mi vedrebbe interessata“. I colleghi Saccone e De Poli, invece, rimangono fermi sul loro no.

L’unica soluzione è che altri forzisti, dopo le defezioni di Maria Rosaria Rossi e di Andrea Causin, possano arrivare in soccorso del governo. Il centrodestra intanto cerca di rimanere compatto e solo ieri i vertici sono saliti al Quirinale per ribadire al capo dello Stato che “non c’è una maggioranza” e per chiedere il ritorno alle urne. In un’intervista a La Verità, Berlusconi ha dichiarato che “Renzi si è ritirato dal governo che lui stesso si era vantato di aver fatto nascere un anno fa. Ha aperto una crisi politica ma fin qui non ha potuto o voluto andare fino in fondo. Se al Senato Italia viva avesse votato no alla fiducia, il governo Conte non esisterebbe più. Credo che questa crisi sia davvero pericolosa e vada risolta molto in fretta o con un governo di segno diverso oppure con le elezioni, secondo ciò che il Presidente della Repubblica riterrà più opportuno”. Mentre Lega e Fratelli d’Italia sono fermi sul no a un esecutivo di unità nazionale, il leader di Forza Italia però non sembra escluderlo del tutto. Così come Renato Brunetta e l’asse Carfagna-Toti. Uno scenario che ricalcherebbe la “maggioranza Ursula” che a Bruxelles permise il via libera di Von der Leyen al vertice della Commissione Ue, ma che per Pd e M5s non può prescindere dal nome di Conte.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/01/22/governo-tabacci-serve-un-conte-ter-per-la-fine-della-crisi-italia-viva-dice-di-voler-riaprire-il-dialogo-ma-bellanova-insiste-sul-mes/6074606/

sabato 7 settembre 2019

Governo, sulla revoca delle concessioni ad Autostrade il Pd sembra la Lega. Riforma Giustizia? Orlando vuole “costruire un metodo”.

Governo, sulla revoca delle concessioni ad Autostrade il Pd sembra la Lega. Riforma Giustizia? Orlando vuole “costruire un metodo”

Conte aveva ammonito: "L'alleanza Pd-M5S non sia un Vietnam". Ma se le parole della ministra De Micheli provocano l'irritazione di Di Maio che raccomanda ai suoi "di non rispondere alle provocazioni", sul disastro di Genova sembrano dimenticate le parole di Mattarella e l'inchiesta giudiziaria quasi al termine. Sulla giustizia Orlando parla di "costruire un metodo sul quale si valutano distanze e punti di contatto solo dopo esserci confrontati".
Sì alla Gronda e al Tav, no alla revoca delle concessioni. Riforma della giustizia sì, ma “ricominciando la discussione” e “costruendo un metodo sul quale si valutano distanze e punti di contatto solo dopo esserci confrontati“; decreti sicurezza? Tutto da azzerare. Sembra di sentire la Lega, invece è il Pd. Le prime uscite dei neoministri dem sono fumo negli occhi degli appena alleati Cinque Stelle nel governo che, nelle speranze di entrambi, dovrebbe durare altri tre anni. Le prime vedono però i dem su posizioni più leghiste che movimentiste, con buona pace degli auspici di Conte. “Palazzo Chigi non sia più il Vietnam di un’alleanza”, aveva avvisato il premier re-incaricato, chiedendo “leale collaborazione” tra M5S e Democratici. Dietro l’auspicio, una preoccupazione costante: far dimenticare e archiviare quattordici mesi di guerra civile nel precedente governo. Ora però sembra che dovrà subito ricominciare le sue opere di mediazione che lo hanno contraddistinto nei suoi primi 15 mesi da premier.
A 24 ore dal giuramento alcune sortite dei ministri del Pd remano nella direzione dell’attrito su campi sensibili come la giustizia e le infrastrutture. Al punto che il leader M5S Luigi Di Maio, dando la linea ai suoi ministri, ha ammonito: “Non voglio conflitti, vi prego di non rispondere alle provocazioni ma dire al Pd di non comportarsi come la Lega”. Sull’altro campo diverse fonti accreditano un crescente nervosismo anche di Nicola Zingaretti verso certe prese di posizione dei suoi ministri che segnano i primi attriti dell’esperienza di governo giallorosso che fanno il gioco di Matteo Salvini, che dagli schermi de La7 subito infierisce: “Vedete, già litigano su tutto”.
Che cosa è successo? All’indomani del giuramento è stato il neoministro delle Infrastrutture Pd, Paola De Micheli, a rompere l’argine, intervenendo su Tav, Gronda e concessioni autostradali; che son poi i temi-pretesto che hanno portato alla fine della maggioranza gialloverde. De Micheli a La Stampa ha certificato la sua distanza siderale dal predecessore Danilo Toninelli (non dai Cinque Stelle) e ha annunciato la strada delle revisioni delle concessioni anziché la revoca, “come è scritto nel contratto M5s-Pd”. Il Ponte Morandi? Sulla questione il ministro ha glissato. Ma nella giornata di ieri a twittare era stato il vicesegretario del partito Andrea Orlando: “Il Pd vuole che i responsabili del disastro del Morandi siano colpiti e che le rendite ingiustificate siano cancellate. Con delle sentenze e dei provvedimenti. Non con dei tweet”. Eppure non era sfuggito a nessuno il richiamo che lo stesso capo dello Stato Sergio Mattarella aveva fatto nel giorno della commemorazione del 14 agosto, quando senza fare nomi Sergio Mattarella in persona puntò il dito contro la “brama di profitti”. Non solo. A Genova ci sono 74 indagati (tra cui ex ad di Autostrade Giovanni Castellucci) più due società (Autostrade e la controllata Spea) e l’inchiesta dovrebbe essere chiusa entro pochi mesi. E c’è una perizia dei consulenti del tribunale che hanno sottolineato come “gli ultimi interventi di manutenzione ritenuti efficaci risalgono a 25 anni fa”.
L’orticaria però si diffonde anche su altri temi spinosi, a partire dalla giustizia. La riconferma del ministro Alfonso Bonafede sembrava il viatico per la prosecuzione del dossier su giustizia e intercettazioni, sempre sgraditi al Carroccio. Ma il vicesegretario del Pd Andrea Orlando, cui Bonafede era succeduto in via Arenula, mette dei paletti: “Non si può pensare – spiega alla Stampa – che un nuovo governo prenda per buono un testo che è stato costruito da due forze politiche che non ci coinvolsero minimamente, e di cui una era la Lega. È ragionevole che si ricominci la discussione”. La prescrizione che entra in vigore dal primo gennaio? “Credo che la drastica cancellazione della prescrizione sia un errore, ma dentro un percorso processuale si possono trovare equilibri compensando con altre garanzie. Ma, ripeto, è sbagliato pensare a una discussione senza prima sedersi a un tavolo”. Più tardi il vicesegretario del Pd ha puntualizzato a ilfattoquotidianno.it: “Costruiamo un metodo sul quale si valutano distanze e punti di contatto solo dopo esserci confrontati. Non si mandano messaggi a distanza – ha detto – Prima di dare valutazione sulla riforma bisogna capire il percorso per cui si è arrivati a determinate scelte“.
L’immigrazione e la sicurezza sono il terzo campo minato sui cui muove i passi il Conte-bis. Non è un mistero che il Pd voglia azzerare i decreti di Salvini e che i Cinque Stelle vorrebbero invece toccare il meno possibile, come reso evidente dalle dichiarazioni di Di Maio nel rivendicare le scelte del governo che fu. Sul punto è intervenuta, senza entrare nella dialettica dello scontro, il neoministro Luciana Lamorgese. A livello generale l’idea è di ripartire dalle osservazioni dal Capo dello Stato, che ai primi di agosto firmò il decreto Salvini bis ma evidenziando “rilevanti criticità” sulle multe alle ong, ribadendo la necessità che permanga “l’obbligo di salvare le persone in mare”. Mattarella aveva rimesso a Parlamento e Governo l’individuazione dei modi e dei tempi di un intervento normativo in materia.
La Lamorgese, spinta anche dal caso Alan Kurdi che è un primo test sul nuovo corso, si è attenuta a una linea prudente rispetto al passato. Non sarà uguale a quella del predecessore, ma deve fare i conti con un’opinione pubblica nettamente schierata sul tema. Dunque, niente porti aperti in maniera indiscriminata ma più umanità. Come realizzare questo mix, è la sfida che metterà alla prova i due azionisti di Conte. L’ex presidente Matteo Orfini per esempio chiede già dove sia la discontinuità se non vengono fatti sbarcare i migranti della Alan Kurdi. Ma già si intravvede nell’economia e nella manovra 2020 una nuova tela che potrebbe sfilacciarsi e annodarsi. Se sarà un legame più stretto o qualcosa di più pericoloso lo diranno i prossimi mesi.

mercoledì 9 gennaio 2019

Campioni del made in Africa. - Alessandro Guardamagna



Da ormai una settimana la stampa ha identificato nel sindaco di Palermo Leoluca Orlando l’indiscusso leader della protesta contro il decreto sicurezza e la chiusura dei porti alle navi ONG, mentre spetta al primo cittadino di Napoli Luigi De Magistris il primato dello slancio nella difesa ad oltranza del diritto allo sbarco, illegale in questo caso. Infatti quest’ultimo è in prima fila, anzi in prima barca, nell’emergenza, e ha fatto sapere che dal porto di Napoli quattrocento imbarcazioni sono pronte a salpare per prestare soccorso alle navi Sea Watch e Sea Eye con 49 migranti a bordo al largo di Malta, e che nella prima di queste barche ci sarà lui stesso “con addosso la fascia tricolore”. Insomma una Dunkirk al contrario tutta partenopea per far sbarcare 49 persone da una nave tedesca ed una olandese stazionanti in acque di Malta, che riaprirebbe i porti solo se l’Europa fosse disposta a prendersi altri 249 migranti.
Entrambi uomini del sud, da sempre dichiaratisi vicini ai temi della solidarietà e del lavoro, né Orlando né De Magistris hanno mai fatto registrare alzate di testa o ribellioni contro le manovre dei governi che a colpi di macelli sociali hanno distrutto la classe media Italiana negli ultimi 20 anni, e nessuno di loro ha fiatato per il 1.900.000 cittadini Italiani costretti ad emigrare dal sud da 16 anni a questa parte perché impossibilitati a trovare lavoro.
Anzi, entrambi dimostrano di avere idee chiare quando si tratta di solidarietà verso gli Italiani. Orlando, piddino e un passato nell’Italia dei Valori di Di Pietro – ex-ministro delle infrastrutture che nel 2007 siglò il contratto con Autostrade per l’Italia di Benetton a cui venne apposto il segreto di stato – sostiene che il Reddito di Cittadinanza così non serve. De Magistris, anche lui uomo dell’Italia dei Valori, ha sicuramente il valore del “coraggio”: va a parlare con Renzi e Confindustria contro il RdC, definendolo una misura assistenzialistica voluta dal M5S che non produce lavoro. Servirebbe solo a creare dei serbatoi di nullatenenti ossequiosi, che ringrazieranno quando andranno a votare memori di chi gli “ha dato l’elemosina e… il guinzaglio”. Mah… chissà cosa penserebbero delle sue parole i leader degli stati europei dove il Reddito di Cittadinanza esiste da decenni ed è svincolato dalle logiche che lui attribuisce al M5S. De Magistris comunque ha avuto un gran coraggio nel fare figure agli occhi degli Italiani onesti, e anche poveri, che lui equipara a cani ubbidienti.
Viene da chiedersi come mai entrambi scoprano improvvisamente la solidarietà solo quando devono far arrivare in Italia barconi di clandestini – poveri loro, sicuramente – proprio mentre la catena di montaggio che sfrutta ogni aspetto della vita del migrante è in recessione, visto che le entrate di clandestini in Europa, riferisce Frontex, si sono ridotte del 92% rispetto alla crisi migratoria del 2015, e del 25% rispetto al 2017. E tutto questo grazie alla politica inaugurata dal governo Gialloverde. Il numero di migranti che hanno attraversato il Mediterraneo centrale nel 2018 per raggiungere le nostre coste è sceso dell’80% rispetto al 2017. Certo, non è sufficiente a risolvere il problema dell’immigrazione clandestina, ma è pur sempre un inizio e un cambiamento netto quando messo a confronto con il refrain della logica del “non si può e intanto guadagniamoci sopra” del governo Renzi. La ragione vorrebbe che i primi cittadini di Palermo e Napoli, così desiderosi di garantire un futuro migliore a poveri africani, esprimessero sentimenti analoghi anche per gli Italiani meno fortunati, che ammontano a 5 milioni in totale povertà, di cui 1 milione  e mezzo di bambini, e tre milioni di precari. Loro non rischiano di morire in mare, ma si spengono a poco a poco nelle nostre città, da anni. Non se la mette De Magistris la fascia tricolore per incontrarli?
Probabilmente chiedere un pensiero coerente od innovatore a Orlando, che alberga nei corridoi e palazzi del potere tra Verdi, Rete, DC, Dem, Margherita, IdV, PD, Sicilia, Lazio ed università da 40 anni è chiedere troppo. In fin dei conti qualcosa vorrà pur dire se uno piuttosto che tagliarsi l’indennità che incassa in qualità di sindaco di Palermo, pari a 121.000 Euro, si taglia il cognome, come se eliminarne un pezzo servisse a farne una persona diversa.
Rifiuti in strada nel quartiere Albergheria di Palermo
Certo stupisce che, se il problema è la mancanza di solidarietà ed umanità, i due primi cittadini di Napoli e Palermo non si preoccupino anche per gli Italiani indigenti. Vuoi vedere che questi interessano meno perché non rientrano nella catena di montaggio del business dell’accoglienza?! Diversamente, se per principio non vogliono il RdC, allora perché non chiedono l’abolizione anche delle pensioni e del sussidio di disoccupazione, tanto anche quelle possono essere assimilate a forme di assistenzialismo per far stare in poltrona gente che non lavora, o no? Se invece il problema non è la solidarietà, allora per cosa protestano? L’impressione è che il problema sia rappresentato da personaggi che stanno in politica da 40 e passa anni come Orlando – De Magistris invece ne ha fatti solo 8, anche se viene da una famiglia di magistrati da 4 generazioni – che, ammesso che avessero qualcosa da dire, hanno finito di dirla da un pezzo, e pur di rimanere attaccati alla scranna su cui famiglia, parenti e amici hanno saputo instradarli, farebbero qualsiasi cosa per ingraziarsi il sistema che li ha mantenuti su quella scranna maledetta, pagata da Italiani presi per il kulo dalle bizze e elucubrazioni filosofico-politiche su principi che costoro sfoggiano e contraddicono a piacimento a seconda delle circostanze. In comune sembrano avere solo questo, oltre al fatto di amministrare maluccio due fra le città portuali più grandi d’Italia.
Da ultimo c’è il sindaco di Parma, che ha espresso vicinanza alla presa di posizione di Orlando, forse perché da Via del Nazareno qualcuno ha acceso il telecomando col tasto “parla”. Anche lui, critico verso il RdC, avrebbe detto di Di Maio: “Se sali su un balcone per dire che hai abolito la povertà e poi non riesci a fare il reddito come avevi annunciato sei mesi prima, per me ti devi dimettere”. Che lui sia salito su un palco e sia stato eletto promettendo di chiudere un inceneritore che invece ha sempre funzionato a pieno regime sembra non riguardarlo, e dall’alto dei suoi successi ha perfino proposto una ricetta per risolvere i problemi di Roma. Evidentemente, quando sei capace, e hai una città dove da quando sei sindaco insieme allo spaccio sono aumentati i crimini, le buche, i clandestini e il degrado, devi pur farlo sapere a tutti!
Parma a differenza di Napoli e Palermo un porto non ce l’ha, però dopo il ponte Nord su un torrentello asciutto per 6 mesi l’anno, l’aeroporto che serve ben due destinazioni e a rischio chiusura per mancanza di fondi in attesa di diventare pista per cargo internazionali e un mega mall sprovvisto di autorizzazioni, si potrebbe pensare di farlo un porto, magari utilizzando il già menzionato ponte come banchina. Alternativamente, chiedendo il permesso a Reggio Emilia, si potrebbe ricostruire quello che anticamente si trovava a Brescello ai tempi dell’Impero Romano. Potrebbe essere un’idea per rilanciare l’economia locale e far valere il principio di solidarietà, magari con un appello in nome della quale si troverebbero numerosi imprenditori filantropi pronti a rispondere…
Dopotutto se il Made in Italy di qualche decennio fa rende meno del Made in Africa, bisogna pur adeguarsi alle esigenze del mercato della solidarietà, come valenti capitani d’industria ed esperti di cooperazione sarebbero pronti a dimostrare, sempre per il bene dell’umanità dolente, ovviamente. In fin dei conti l’amministrazione ha già parlato di ripresa dell’economia locale con il progetto cargo per l’aeroporto e il mall, quindi perché non provare anche col porto, così ci si mette in linea con Napoli e Palermo anche dal punto di vista delle infrastrutture, oltre che del degrado e delle litanie “politiche”.

giovedì 21 settembre 2017

Nuovi gruppi per "evitare" le firme Le manovre di Crocetta e Orlando. - Accursio Sabella

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Rinasce il Megafono, spunta Arcipelago. Più facile la presentazione delle liste per le Regionali.

PALERMO - Per un motivo o per un altro, meglio evitare quel passaggio. Evitare, cioè, la raccolta delle firme necessaria per la presentazione delle liste alle prossime elezioni regionali. E così, Crocetta, Orlando e l’Udc di Cesa si stanno muovendo, in queste ore e “last minute” per dare vita a nuovi gruppi parlamentari all’Ars o per riesumare gruppi che nel frattempo si sono sciolti: la presenza di una forza politica in parlamento, infatti, esonera la lista corrispondente dalla necessità di raccogliere le firme in vista delle prossime elezioni Regionali.

Nelle prossime ore e in occasione dell’ultima seduta utile dell’Assemblea regionale, potrebbero saltare fuori tre nuovi gruppi parlamentari. E con essi, un colorito valzer di deputati, gli ultimi, clamorosi cambiamenti di casacca. Solo un fatto “tecnico” spiegano tutti. Ma ovviamente la manovra potrebbe rivelare una debolezza: il gruppo del Megafono, così come quello di Orlando, non sono forse così certi di poter raccogliere il numero necessario di adesioni degli elettori siciliani. Così, meglio la strada più breve che passa dal Palazzo. A questi "nuovi gruppi" si aggiungeranno quelli che hanno semplicemente modificato la propria denominazione, legando il nuovo nome alla prossima competizione elettorale: si tratta di Ap-centristi per Micari; Centristi per Micari; DiventeràBellissima.

Uno dei nuovi-vecchi gruppi, invece, era stato ampiamente annunciato. Nell’Udc di Cesa infatti nei giorni scorsi sono arrivati diversi deputati regionali, provenienti da altri schieramenti: è il caso di Mimmo Turano, Gaetano Cani, Vincenzo Figuccia, Totò Lentini ai quali, proprio in questi minuti, potrebbe aggiungersi Margherita La Rocca Ruvolo. “Formalizzeremo la richiesta di creazione del gruppo” aveva annunciato Turano già un paio di settimane fa.

Molto più recenti sono le manovre che riguardano Crocetta e Orlando. A Palazzo dei Normanni, infatti, si registrano movimento vorticosi, caotici, di deputati pronti a lasciare il proprio gruppo per confluire nel ricostituito Megafono (gruppo che si era squagliato dopo gli addii in serie dei fedelissimi di Crocetta) e nel gruppo “Arcipelago Sicilia” che fa capo alla lista per le Regionali guidata da Leoluca Orlando.

E in poche ore, nel gruppo di Orlando ecco sei adesioni. Una in più rispetto a quelle necessarie per la formazione del gruppo stesso. Ad “Arcipelago”, salvo sorprese dell’ultima ora, aderiranno Concetta Raia e Antonella Milazzo provenienti dal Pd, Gianluca Micciché dai Centristi, Michele Cimino e Nicola D’Agostino da Sicilia Futura e Antonio Venturino dal Partito socialista.

Quasi definita la composizione del “risorto” gruppo del Megafono. Il gruppo del Pd infatti si riunirà poco prima dell’Aula, prevista per le 16. Si dice pronto al “transito” nel gruppo, il deputato catanese Gianfranco Vullo che si aggiungerà, ovviamente, allo stesso Rosario Crocetta. Una situazione paradossale, visto che fu proprio il Pd a chiedere al governatore di lasciare il gruppo del “Megafono” per aderire a quello dei Dem. Quasi certamente, poi, tra gli altri nomi c’è quello del messinese Filippo Panarello e dell’assessore alla Funzione pubblica Luisa Lantieri: “Si tratta di un transito puramente tecnico – spiega l’assessore – per dare un supporto alle liste della coalizione di centrosinistra. Io – precisa- sarò candidata tra le fila del Pd”. L’ultimo nome è quello del deputato ragusano e presidente della commissione Salute all'Ars, Pippo Digiacomo.

Come detto, poi, ecco l’Udc. Che si chiamerà per l'esattezza Udc-Rete democratica Sicilia Vera. Una presenza già ampiamente annunciata, pochi giorni fa, alla presenza anche del segretario nazionale Lorenzo Cesa. Del nuovo gruppo faranno parte molti ex “Centristi”, ossia eletti con l’Udc che hanno poi seguito Gianpiero D’Alia. Negli ultimi mesi, invece, ecco il passaggio con lo Scudo Crociato a sostegno di Nello Musumeci. A farne parte saranno Mimmo Turano, Gaetano Cani, Vincenzo Figuccia, Pietro Alongi e molto probabilmente e Margherita La Rocca Ruvolo, che sarebbe stata ‘convinta’ dallo stesso Cesa nelle ultime ore. È l’ultimo valzer della legislatura.


http://livesicilia.it/2017/09/19/ars-gruppi-firme-liste-regionali-crocetta-orlando_889479/

sabato 9 settembre 2017

Intercettazioni, quelle che non avremmo mai letto: il golpe di Renzi, il fratello di Alfano e la “patonza” di Berlusconi. - Giuseppe Pipitone

Intercettazioni, quelle che non avremmo mai letto: il golpe di Renzi, il fratello di Alfano e la “patonza” di Berlusconi

Tutte le storie che non avremmo mai conosciuto se la bozza del decreto che il ministro Andrea Orlando ha inviato ai procuratori italiani fosse stata in vigore. Da "Enrico non è capace" che il segretario del Pd confida al generale Adinolfi alla "patonza deve girare" del leader di Forza Italia a Tarantini, fino al "froci col culo degli altri" di Ricucci. E poi "l'attentatuni" di La Barbera.

Il piano per scalare Palazzo Chigi raccontato in anteprima da Matteo Renzi. E poi le confessioni di Massimo Carminati e Salvatore Buzzi, alcune nerissime, come quella sul “mondo di Mezzo“, altre decisamente colorite come gli immigrati che “rendono più della droga“. Quindi ovviamente tutti gli scandali italiani legati alla corruzione: dalla verità sul terremoto che “non si dice” di Guido Bertolaso, all’imprenditore Francesco Piscicelli che la notte del sisma dell’Aquila rideva “alle tre e mezzo dentro al letto”, all’indimenticabile “ma che volete fa’ i froci col culo degli altri?” di Stefano Ricucci, il sedicente “furbetto del quartierino”, fino alla bellissima Fadoua Sebbar. Chi? Era un’amica di Giampiero Tarantini e fu la prima a rivolgersi a Silvio Berlusconi con un affettuoso nomignolo che diventerà indelebile: “papi”.  Sono tutte le storie che non avremmo mai letto. E che forse non leggeremmo mai più.
“Violano la privacy”. Ma è una bugia – Se la bozza del decreto che il ministro Andrea Orlando ha inviato ai procuratori italiani fosse stata in vigore, infatti, il salotto privato del potere sarebbe rimasto ben sigillato: anche quando ospitava indicibili accordi. Nelle intenzioni del guardasigilli le ordinanze dei pm non devono più includere i virgolettati delle intercettazioni ma “soltanto il richiamo al loro contenuto”: stop alle telefonate, basta il loro riassunto. Il motivo? Più o meno lo stesso che viene sollevato a ogni tentativo di bavaglio: la privacy. Solo una scusa, visto che come ha rivelato un’inchiesta del fattoquotidiano.it  negli ultimi vent’anni sono meno di venti i casi in cui il garante per la protezione della privacy è dovuto intervenire perché fatti privati – raccontati in inchieste giudiziarie – erano finiti sui giornali. Per il resto dagli ascolti ordinati dai magistrati sono spesso venute fuori frasi, episodi, fatti a volte fondamentali per le indagini, quasi sempre utili a svelare il vero volto dei potenti.
Il golpe di Renzi – “Lui non è capace, non è cattivo, non è proprio capace. E quindi, però, l’alternativa è governarlo da fuori”. Chissà se in pubblico Renzi si sarebbe mai espresso in questo modo sul suo predecessore, Enrico Letta. In tv lanciava l’ormai noto #enricostaisereno. In privato, al telefono, usava ben altro linguaggio. È il 10 gennaio del 2014: l’allora neoletto segretario del Pd non è ancora premier ma lo diventerà 40 giorni dopo. In quella telefonata – intercettata dal Noe dei carabinieri –  confida al numero due della Guardia di Finanza, Michele Adinolfi, il suo progetto per entrare a Palazzo Chigi: “Rimpastino sicuro. Rimpastone, no rimpastino! Il problema è capire anche… se mettere qualcuno dei nostri”. E lo stesso giro di telefonate, in cui Adinolfi parlando con Dario Nardella si riferiva a Giorgio Napolitano , sostenendo che l’ex capo della polizia Gianni De Gennaro ed (Enrico, ndr) Letta ce l’hanno per le palle, pur sapendo qualche cosa di Giulio (il figlio dell’ex presidente della Repubblica ndr).
Più della droga nel mondo di mezzo – Sarebbero state solo accennate in un breve riassunto – con tanti auguri all’ufficiale di polizia giudiziaria incaricato di quella sintesi – anche le parole regalate alle cimici da Massimo Carminati, il Nero, il cecato, l’ex terrorista dei Nar accusato di essere il capo dei capi di Mafia capitale e poi condannato in primo grado ma non per reati di tipo mafioso. Ai carabinieri del Ros, che lo intercettavano, Carminati racconta una sua personale visione del mondo, quella passata alla storia giudiziaria come “la teoria del mondo di mezzo“. “Compà – spiega il Nero – Ci stanno i vivi sopra e li morti sotto e noi stamo ner mezzo. Ce sta un mondo in mezzo in cui tutti si incontrano e dici: cazzo, com’ è possibile che un domani io posso stare a cena con Berlusconi? Il mondo di mezzo è quello invece dove tutto si incontra. Allora nel mezzo anche la persona che sta nel sovramondo ha interesse che qualcuno del sottomondo gli faccia delle cose che non le può fare nessuno”. Più pragmatico e molto meno evocativo, invece, il ragionamento di Salvatore Buzzi, l’uomo forte delle coop romane, che confidava: “Tu c’ hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Eh? Il traffico di droga rende de meno”. Un’affermazione che vale più di dieci inchieste sul business dei centri d’accoglienza.
Alfano tiene famiglia – Indagavano su Raffaele Pizza, fratello dell’ex sottosegretario del governo Berlusconi, Giuseppe, invece, gli uomini della Guardia di Finanza che si trovarono loro malgrado il nome di Angelino Alfano nei brogliacci. Il motivo? Pizza si vantava al telefono di aver fatto assumere Alessandro Alfano, fratello del ministro, alle Poste. “Angelino lo considero una persona perbene un amico. Mi ha chiamato il fratello per farmi gli auguri…tu devi sapere che lui come massimo (di stipendio, ndr) poteva avere 170.000 euro… no… io gli ho fatto avere 160.000. Tant’è che Sarmi stesso gliel’ha detto ad Angelino: io ho tolto 10.000 euro d’accordo con Lino (il soprannome di Pizza, ndr), per poi evitare. Adesso va dicendo che la colpa è la mia, che l’ho fottuto perché non gli ho fatto dare i 170.000 euro”, è la registrazione che inguaia l’attuale ministro degli Esteri. “Cioè noi gli abbiamo sistemato la famiglia. La sera prima mi ha chiamato suo padre: mi ha mandato ottanta curriculum”, dice invece Marzia Capaccio, segretaria di Pizza, intercettata nella stessa inchiesta.
Sguattera del Guatemala – E se nonostante le polemiche Alfano è rimasto ben saldo alla sua poltrona ministeriale, è stata costretta alle dimissioni Federica Guidi, ex ministro dello Sviluppo Economico e compagna di Gianluca Gemelli coinvolto nello scandalo petroli in Basilicata. Il motivo? Un emendamento per sbloccare Tempa Rossa che avrebbe avvantaggiato gli affari del suo compagno. “Dovremmo riuscire a mettere dentro al Senato, è d’accordo anche Mariaelena. Con l’emendamento alla legge di stabilità e a questo punto se riusciamo a sbloccare anche Tempa Rossa… ehm… dall’altra parte si muove tutto”, assicura Guidi a Gemelli, che in quel momento chiedeva continuamente aiuto alla sua compagna ministra e poi vedrà ogni accusa archiviata. “Non fai altro che chiedermi favori, con me ti comporti come un sultano. Io mi sono rotta a quarantasei anni, tu siccome stai con me e hai un figlio con me, mi tratti come una sguattera del Guatemala“, si ribellò Guidi a un certo punto.
Patonze per i nani- Di diverso tenore, invece, le intercettazioni contenute nell’indagine passata alla storia come Vallettopoli. “Sto andando a Milano, in città… e adesso c’ho tre quarti d’ora… e volevo andare a puttane“, diceva Vittorio Emanuele, l’erede al trono dei Savoia.  E siccome un trono i Savoia non lo hanno più, ecco che il livello delle conversazioni di Vittorio Emanuele è tutt’altro che reale: “Le do 200 euro e non di più, eh?”, diceva il principe riferendosi alla parcella di una prostituta. Da quelle accuse Vittorio Emanuele uscì assolto, mentre è stato condannato a 7 anni e 10 mesi Giampaolo Tarantini, che qualche anno dopo organizzava le “cene eleganti” per Silvio Berlusconi. Le intercettazioni di quell’inchiesta raccontano molto non solo della vita privata del leader di Forza Italia, ma soprattutto del modus operandi dell’allora presidente del consiglio che poco dopo finirà coinvolto nel caso Ruby (assolto in via definitiva nel primo processo dopo la condanna in primo grado, ancora pendente il procedimento Ter). “Io c’ho due bambine piccole, che è tanto che non vedo”, si vanta in una delle centinaia di telefonate Berlusconi, autore di una serie di indicazioni lapidarie per l’amico Giampaolo. “Per favore non pigliamole alte come fa questo qui di Milano perché noi non siamo alti“, chiede l’ex premier riferendosi alle caratteristiche fisiche delle ragazze da portare alle cene. Appuntamenti talmente eleganti che è lo stesso Berlusconi a spiegare a Tarantini il galateo da seguire: “Poi ce le prestiamo… Insomma la patonza deve girare“, dice Silvio prima di essere vittima della legge del contrappasso. “Lui pur di salvare il suo culo flaccido non gliene frega niente”, è il giudizio tranchant di Nicole Minetti quando la stella del leader azzurro sarà ormai offuscata dalle inchieste e dallo spread che porterà a Palazzo Chigi Mario Monti.
L’attentatuni di Cosa nostra – Un discorso a parte vale per le cimici piazzate dalla Dia in un appartamento di via Ughetti a Palermo nel 1993. È in quella palazzina che dopo l’arresto di Totò Riina si erano rifugiati tre uomini d’onore: Gioacchino La BarberaSantino Di Matteo e Antonino Gioè. Sono tre boss importanti dai destini maledetti: hanno partecipato tutti alla strage di Capaci che il 23 maggio del 1992 mise fine ai giorni di Giovanni Falcone. La Barbera è l’uomo che diede materialmente il segnale che dà il via all’attentato: suo padre venne ritrovato misteriosamente impiccato nel 1994, mentre lui stava per saltare il fosso collaborando con la magistratura. Lo stesso percorso di Santino Di Matteo che per quella scelta sarà punito con il rapimento e l’uccisione del figlio, il piccolo Giuseppe, sciolto nell’acido. Venne invece praticamente suicidato in carcere (ma ad oggi nessuna inchiesta della magistratura lo ha mai accertato) Gioè: in quei mesi dicono stesse riflettendo su una sua possibile collaborazione con i pm. Sono questi i personaggi che si rifugiano in via Ughetti in quell’inverno del 1993. E sono questi i padrini che la Dia registra mentre parlano della strage di Capaci. “Nni ficimu l’attentatuni“, dicono. Ci siamo fatti l’attentatone, il grande attentato. È così che i mafiosi vedono il botto organizzato per assassinare Falcone: il grande attentato della storia di Cosa nostra. L’attentatuni, appunto. Una parola che è diventata il titolo di libri, film e fiction. Con il ddl Orlando non l’avremmo mai conosciuta.