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giovedì 4 luglio 2024

La civiltà delle donne. - Franco Capone

Nelle culture più antiche le donne avevano un ruolo importante. E ancora oggi esistono società matriarcali. Come ci sono sempre state. Storia, fortune e sfortune dei matriarcati.


La prima scultura di forma umana che si conosca fu realizzata 35 mila anni fa. È un pendaglio di avorio di mammut, lungo appena 6 centimetri, ritrovato nella grotta di Hohle Fels, in Germania. La statuina scoperta nel 2008 rappresenta una donna grassa, con seni spropositati, natiche grandi e sporgenti e una vulva accentuata. Era con tutta probabilità una divinità femminile, da portare al collo.



QUANDO DIO ERA FEMMINA. Se a quei tempi la divinità principale era femmina, il ruolo delle donne doveva essere importante, non inferiore a quello dei maschi. Anzi, per tutto il Paleolitico, specialmente 25 mila o 20 mila anni fa, le cosiddette Veneri, statuine ritrovate in Europa e Asia, hanno rimarcato il concetto del “dio femmina”.

Non solo: statue e statuette di donne abbondanti e gravide, simboli di rigenerazione e nutrimento, erano diffuse in tutto il Neolitico, il periodo in cui si imparò a coltivare le piante e ad allevare gli animali. A Çatal Hüyüc, in Turchia, erano per esempio oggetto di culto in uno dei primi grandi villaggi agricoli. E divinità femminili obese, che rappresentavano una dea madre, sono state trovate fra i megaliti di Malta, dove una civiltà realizzò templi utilizzando grandi blocchi di pietra, nel IV millennio a. C., 1500 anni prima che in Egitto si costruisse la piramide a gradoni di Saqqara.

A Malta venivano immagazzinate scorte alimentari in granai pubblici, inglobati nei templi, dove si svolgevano cerimonie per distribuire cibo in nome della dea. Il surplus alimentare consentiva il mantenimento di addetti alle opere pubbliche e di un corpo sacerdotale, costituito probabilmente da donne. Sacerdotesse che, come la dea madre, non dovevano avere corpi da “veline”, ma extralarge.


Una dea di Malta: l’obesità è fertilità; il sonno rappresenta la morte, prima del ritorno in vita.

INSEDIAMENTI PACIFICI. Gli insediamenti megalitici non avevano fortificazioni, segno che la guerra era pressoché sconosciuta. E non si ritrovano solo a Malta, ma anche nelle attuali Gran Bretagna, Francia, Spagna, Italia e in località dell’Europa centro-orientale. L’antropologa Marija Gimbutas (1921-1994), in decine di campagne di scavo, raccolse segni a spirale, simboli femminili, e sculture di divinità femminili della fertilità. E anche statuine di “donne-civetta”, trovate in sepolture che non indicavano differenze sociali fra i defunti. Arrivando a una conclusione: nella vecchia Europa, e non solo, era esistita una grande civiltà precedente ai Sumeri e ai Greci. Una civiltà delle donne. Egualitaria, pacifica, che credeva in una dea madre.


UNA STORIA AL FEMMINILE. Già lo storico Johann Jacob Bachofen (1815-1887) aveva lanciato l’idea di un passato matriarcale dell’umanità.

Sosteneva che alcuni miti greci, da quello delle Amazzoni alla storia di Medusa (vedi foto sotto), non erano il frutto di problemi psicologici con l’altro sesso, ma il ricordo di conflitti sociali veri, che poi portarono al patriarcato, cioè al dominio del maschio sulla femmina. Insomma, Perseo che uccide Medusa elimina una antica matriarca, dipinta poi come mostro nel racconto mitico. Bachofen riteneva che la società patriarcale avesse vinto quando gli uomini si impossessarono del potere religioso riservato alle donne.



Medusa era l’unica mortale delle tre mostruose sorelle dette Gorgoni. Ma inizialmente Medusa (in greco, “colei che domina”), era una donna bellissima. Poseidone si innamorò di lei e la sedusse, ma Atena la punì trasformandola in un mostro con serpenti al posto dei capelli. E un viso che impietriva chi lo guardava. Aizzato dal re di Serifo, Polidette, il giovane eroe Perseo promise di portare al re la testa di Medusa. Atena ed Ermes lo equipaggiarono con uno scudo lucente come uno specchio e un falcetto. Usando lo scudo per evitare di guardarla direttamente, Perseo tagliò la testa alla Gorgone. Nella visione dello storico Johann J. Bachofen, mostruosi esseri femminili come la Medusa (“colei che domina”) o la Sfinge non rappresentavano la paura per il sesso femminile: i Greci, più pragmaticamente, rivivevano con tali miti antiche vittorie sulle grandi matriarche.

ETÀ DELL'ORO. La studiosa italiana Momolina Marconi (1912-2006) confermò l’ipotesi del matriarcato con l’idea che dalla Puglia alla Sardegna, alle coste africane e dell’Anatolia, fosse esistita una civiltà matriarcale, quella dei Pelasgi, che credeva in una Grande madre mediterranea. Un’età dell’oro, di bilanciamento fra i sessi. Ma questa fase matriarcale è stata spesso considerata un’utopia femminista, nonostante fosse stata ipotizzata anche dal filosofo ed economista Friedrich Engels (1820-1895) che ne spiegò la fine con la nascita della proprietà privata.


LE SOCIETÀ MATRIARCALI OGGI. Le cose negli ultimi anni sembrano essersi chiarite. Nel 2005 a San Marcos, in Texas (Usa), archeologi e antropologi da tutto il mondo si sono riuniti in un convegno di “studi matriarcali”, confrontando dati archeologici e osservazioni su alcune popolazioni attuali. Risultato: la civiltà megalitica del Neolitico era incentrata sulle donne. E decine di etnie risultano essere ancora oggi matriarcali. Per esempio, i Mosuo dello Yunnan cinese, i Bemba e i Lapula delle foreste dell’Africa centrale, gli indiani Cuna “isolati” al largo di Panamá o i Trobriandesi della Melanesia.

Fondamentale è uno studio sui Minangkabau di Sumatra, circa 4 milioni di persone. L’antropologa Peggy Reeves Sanday, dell’Università della Pennsylvania (Usa), ha trovato che i loro valori sono incentrati sulla cura, sui bisogni della comunità invece che sui principi patriarcali di “giustizia divina”, sacrifici e rigide prescrizioni sessuali dettate dall’alto. I valori di cura, i cerimoniali in onore dei cicli della natura e dono discendono da antenate mitiche divinizzate.

Il matriarcato, fra i Minangkabau come negli altri gruppi studiati, non è il semplice ribaltamento del patriarcato, cioè la dominazione opposta di un sesso sull’altro, ma una cultura di bilanciamento dei ruoli. Le spose restano a vivere nel villaggio della madre dove l’organizzazione e la cura dei figli si avvale degli uomini, ma questi sono in genere fratelli della sposa, zii e nonni.


Donne trobriandesi durante la locale festa dell’igname sfilano con i tuberi raccolti.

MARITI PART-TIME. I mariti abitano invece nel villaggio materno, dove si occupano dei loro nipoti e dei campi.

Sono infatti “visitatori serali” della sposa e il mattino presto tornano nel villaggio materno. Il risultato di questa relazione part-time è che i bambini vengono accuditi dalla madre e dai parenti materni, e quasi mai è chiaro chi sia il padre naturale. Quella che conta è la paternità sociale, collettiva.

Inoltre, il matrimonio di un elemento del clan A con uno del clan B non è isolato, ma è parte di una serie di unioni. Così come fra il clan B e il C. Alla fine i clan sono composti quasi soltanto da parenti. Così ogni persona ha una parte dei suoi geni nei conoscenti dei clan e tutto l’interesse ad aiutarli.

L’antropologa Heide Göttner- Abendroth, dell’Accademia internazionale Hagia di Winzer (Germania), fondatrice dei moderni studi sul matriarcato, ne ha descritto le caratteristiche principali, presenti e passate. «Viene praticata in genere l’orticoltura o una agricoltura di autosostentamento» spiega. «Si vive nel villaggio materno prendendo il nome della madre e se ne ereditano i beni. Ci sono matrimoni di gruppo fra clan e relazioni coniugali basate sulla “visita”, con conseguente libertà sessuale dei partner».


I DONI BATTONO LE VENDITE. La proprietà privata è ridotta al minimo: terreni e animali appartengono al clan. Al posto dello scambio è presente l’economia del dono. «Nello scambio si guarda al valore della merce e si soddisfa un bisogno personale» spiega l’antropologa. «Nel dono, invece, non si fanno valutazioni merceologiche, si soddisfa il bisogno dell’altro». Lo scambio interrompe la relazione (chi ha dato ha dato, chi ha avuto…). Il dono no, va ricambiato prima o poi, e la relazione continua. Nelle società matriarcali capita che il valore dei doni sia più alto o più basso, secondo la volontà e la possibilità delle persone. Ma ciò che si perde materialmente lo si guadagna in considerazione sociale, e al momento del bisogno i conti tornano sempre. Questa disparità nei doni, per esempio di un clan che ha avuto un raccolto favorevole e può donare di più, serve anche come riequilibrio sociale: la ricchezza viene distribuita meglio.


Statuine del V millennio a. C. da Poduri, Romania: è un’assemblea di dee e ricalca la vita reale nei villaggi matriarcali.

DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA. «I clan matriarcali» spiega ancora Göttner-Abendroth «funzionano su base assembleare, alla continua ricerca del consenso: una famiglia manda il suo rappresentante, donna o uomo, all’assemblea del clan. Se non c’è accordo si torna a consultare coloro che hanno dato la delega. Lo stesso succede quando i delegati del clan vanno a un’assemblea di villaggio, oppure quelli del villaggio a una regionale: se non c’è accordo si torna a parlare con chi si rappresenta.

L’idea sbagliata che il matriarcato non sia mai esistito era dovuta alla presenza di maschi nelle assemblee: alcuni antropologi li scambiarono per capi, ma erano solo delegati».

Altre caratteristiche dei matriarcati sono la fede in divinità femminili e una particolare credenza sulla morte. Nella visione matriarcale, dopo la morte si rinasce all’interno del proprio clan: il bambino non se lo ricorda, ma una volta era uno zio o una nonna. Questa idea deriva dall’osservazione dei cicli vegetali, che risale all’inizio dell’agricoltura. Le piante muoiono in autunno, ma i loro semi riposano d’inverno fino a primavera, quando germogliano e rinascono uguali a quelle precedenti.

Per questo nell’ipogeo funebre di Hal Saflieni (vedi sotto), a Malta, 5 mila anni fa le persone venivano seppellite in posizione fetale, in attesa che rinascessero nel clan. I cicli stagionali, le stelle che scompaiono per ritornare la sera dopo, il Sole che “muore” e sempre poi “rinasce”, lo stesso ciclo mestruale femminile, erano i riferimenti naturali del matriarcato, che portarono all’idea di una Grande madre che rassicurava tutti, femmine e maschi.


Il cimitero di Hal Saflieni (Malta, 2.500 a. C.). Si era sepolti in posizione fetale, per rinascere.

ARRIVANO I PATRIARCHI. Perché allora le cose cambiarono? Secondo la ricostruzione di Gimbutas, confermata dagli studi genetici e linguistici, in tre ondate successive dal 4500 a. C. al 3000 a. C. popoli guerrieri provenienti dalle pianure del Volga, che avevano addomesticato il cavallo e disponevano di armi di bronzo, dilagarono nella vecchia Europa, ma anche nel Vicino Oriente, spingendosi poi sulle rive dell’Indo. Parlavano una lingua proto-indoeuropea e avevano divinità celesti, maschili e guerriere.

La religione e i costumi dei popoli conquistati cambiarono, nella direzione del patriarcato. «Fu un processo lento che, sebbene giunto dall’esterno, trovò l’appoggio di diversi maschi delle popolazioni matriarcali» spiega l’antropologa Luciana Percovich, autrice del libro Oscure madri splendenti (Venexia). «Si iniziò a pretendere che le mogli si trasferissero nel villaggio dei mariti. Che i beni familiari e del clan si trasmettessero per linea maschile».

Una svolta dovuta al fatto che la guerra era diventata una forma di economia e la forza maschile era molto più importante di un tempo. Per fare in modo che le terre possedute e conquistate restassero ai propri discendenti, i maschi pretesero la sicurezza della paternità e per questo iniziarono a segregare le donne. Le sacerdotesse vennero subordinate ai sacerdoti.


La dea egizia Nut che si distende a formare la volta celeste: era signora del cielo, del giorno e della notte, e della rinascita.

MASCHI SOVVERSIVI. Fra i Sumeri, il popolo che in Mesopotamia ha dato vita alle prime città-Stato, allo sviluppo dell’irrigazione, dell’agricoltura e alla scrittura cuneiforme, si ebbe un periodo di transizione fra matriarcato e patriarcato.

Questa transizione risultava ben chiara durante l’investitura del re. «Egli doveva accoppiarsi con una grande sacerdotessa che rappresentava la dea Inanna (vedi immagine sotto), versione locale della dea madre» spiega Percovich. «I re venivano eletti e restavano in carica solo un anno. Ma poi questi prorogarono i loro mandati, si portarono alla pari con il potere religioso femminile e, successivamente, presero il sopravvento designando sacerdoti maschi. Il potere da allora divenne dinastico». Le frequenti guerre rafforzarono il ruolo centrale dei maschi che diedero ulteriore slancio alle risoluzioni violente dei conflitti, opzioni molto meno popolari nelle società matriarcali.



I Sumeri riflettono il passato matriarcale e la transizione al patriarcato nel ciclo mitico della dea Inanna (analoga alla babilonese Ishtar e alla fenicia Astarte), evoluzione locale della dea madre. Il mito racconta che la dea Inanna si impossessò dei “me” della conoscenza (i me nella mitologia sumera sono i fondamenti, le leggi e le pratiche alla base della civiltà) per donarli agli uomini. E come altra prova di virtù e coraggio discese negli inferi. Ma sua sorella Ereshkigal, che lì sotto regnava, invidiosa, la bloccò e lasciò uscire solo a patto di trovare qualcuno che la sostituisse fra i morti. Toccò a Dumuzi, lo sposo di Inanna. Ma la sorella di Dumuzi, per aiutarlo, si offrì di dargli il cambio: 6 mesi sarebbe rimasta negli inferi lei e sei mesi il fratello. Così Dumuzi poteva ricomparire vivo in primavera, per poi tornare fra i morti in autunno. Nella realtà, i primi re sumeri governavano a tempo determinato e dovevano accoppiarsi con una sacerdotessa che rappresentava Inanna.

L’IMBROGLIO BIOLOGICO. La Grande madre ebbe una variante anche in Egitto, con la dea del cielo Nut, ma poi i faraoni si dichiararono i rappresentanti in terra di divinità maschili, come Ra, il dio Sole. In Grecia, Zeus mandò nell’oblio la dea madre attuando una completa, innaturale e illogica inversione dei ruoli: partorì lui la figlia Atena, dalla testa.


1 marzo 2017 Franco Capone


domenica 28 novembre 2021

Essere donna.

 

Noi donne siamo esseri eterei,
contenitori generosi di vita....
Chi non capisce la nostra essenza,
non ha capito nulla di noi, e...
...non ci merita.

cetta

venerdì 16 aprile 2021

Hrw denuncia: in Qatar 'le donne ancora vittime del patriarcato'.

 

'Serve permesso uomini per viaggi, cure e gestione dei figli'.

Le donne in Qatar non hanno ancora il diritto di prendere decisioni in autonomia rispetto agli uomini su questioni fondamentali come il matrimonio, i viaggi e l'accesso a certi tipi di assistenza sanitaria, come le cure ginecologiche. Lo denuncia Human Rights Watch in un rapporto pubblicato di recente, in cui si fa appello alle autorità dell'emirato perché eliminino le norme del cosiddetto "sistema di tutela maschile".

L'ong con sede a New York, che ha intervistato decine di donne per redigere il suo rapporto, afferma che nonostante alcune iniziative intraprese in favore dei diritti delle donne, inclusa l'istruzione e la protezione sociale, il Qatar resta ancora indietro rispetto ai vicini del Golfo, se si pensa ad esempio all'Arabia Saudita, che nel 2019 ha permesso alle donne adulte di viaggiare senza permesso.

Una di loro ha raccontato di vivere in uno stato simile ad una "costante quarantena".

Il rapporto di 94 pagine, dal titolo 'Tutto quello che devo fare è legato a un uomo', analizza le regole e le pratiche del sistema di tutela maschile. Tra le altre cose, le donne non sposate sotto i 25 anni necessitano dell'approvazione di un tutore per viaggiare all'estero. E possono essere soggette a divieti di viaggio a qualsiasi età da parte di mariti o padri.

Il sistema nega inoltre alle donne l'autorità di agire come tutore principale dei loro figli, anche quando sono divorziate e hanno la custodia legale, aggiunge Hrw, secondo cui "la tutela maschile rafforza il potere e il controllo che gli uomini hanno sulle vite e le scelte delle donne e possono favorire o alimentare la violenza, lasciando alle donne poche opzioni praticabili per sfuggire agli abusi delle loro famiglie e dei loro mariti".

L'emirato - già sotto i riflettori internazionali per le condizioni dei migranti che lavorano nei cantieri per i Mondiali di calcio dell'anno prossimo - ha descritto il rapporto di Hrw come "impreciso", ma ha spiegato che farà delle indagini sui casi segnalati e punirà eventuali abusi. 

ANSA

giovedì 18 luglio 2019

Codice Rosso è legge, cosa prevede.

Codice Rosso è legge, cosa prevede

Via libera definitivo alla cosidetto Codice Rosso, il ddl che dispone le misure per tutelare le vittime di violenza domestica e di genere. Il provvedimento ha ottenuto 197 voti a favore, 47 astensioni e nessun voto contrario. A favore hanno votato M5S, Lega, Fi, Fdi e Gruppo delle Autonomie. Pd e Leu si sono astenuti.

"Oggi il Codice Rosso, fortemente voluto da questo Governo, è legge dello Stato" scrive il premier Giuseppe Conte su Facebook. "Uno strumento pensato per aiutare le tante donne che quotidianamente sono minacciate, perseguitate, stalkerizzate, sottoposte a violenze fisiche o psicologiche da ex compagni o mariti, talvolta semplicemente da conoscenti". "I dati parlano di una vittima ogni 72 ore e ci restituiscono l'immagine di un Paese nel quale, evidentemente, il problema della violenza contro le donne è prima di tutto culturale. Ed è lì che bisogna intervenire, a fondo e con convinzione, per cambiare davvero le cose. Grazie anche al supporto fondamentale delle associazioni che da anni si impegnano per combattere contro la violenza di genere, abbiamo studiato e messo a punto ogni strumento che consentirà di offrire a chi chiede aiuto una rete efficace di protezione che si attiverà da subito", aggiunge Conte. "Il Codice Rosso, a cui hanno lavorato i ministri Giulia Bongiorno e Alfonso Bonafede, che ringrazio, è un modo per non far sentire queste donne sole e indifese. Non è la soluzione definitiva, e ne siamo consapevoli. Ma è un primo importante passo, che mi rende orgoglioso, nella direzione della rivoluzione culturale di cui il nostro Paese ha fortemente bisogno".
Procedimenti penali più veloci per prevenire e combattere la violenza di genere. Il Codice Rosso, definitivamente approvato dal Senato, non punta solo su un generalizzato inasprimento delle pene per combattere il dilagare di violenze, maltrattamenti e femminicidi, ma agisce sul 'fattore tempo' come elemento determinante per scongiurare l'esito irreparabile che, ormai con cadenza quotidiana, viene riportato dalle cronache. La maggioranza sbandiera il risultato raggiunto a palazzo Madama, mentre l'opposizione ne contesta gli effetti positivi annunciati, perché è una legge a costo zero e non stanzia risorse.
Il disegno di legge si compone di 21 articoli che, come fa notare una relazione del Servizio Studi del Senato, "individuano un catalogo di reati attraverso i quali si esercita la violenza domestica e di genere e, in relazione a queste fattispecie, interviene sul codice di procedura penale al fine di velocizzare l'instaurazione del procedimento penale e, conseguentemente, accelerare l'eventuale adozione di provvedimenti di protezione delle vittime". Il provvedimento incide sul codice penale per inasprire le pene per alcuni dei citati delitti, per rimodulare alcune aggravanti e per introdurre nuove fattispecie di reato.

VELOCIZZAZIONE DELLE INDAGINI E DEI PROCEDIMENTI GIUDIZIARI - Gli articoli da 1 a 3 del ddl intervengono sul codice penale prevedendo, a fronte di notizie di reato sui delitti di violenza domestica e di genere che la polizia giudiziaria, acquisita la notizia di reato, riferisca immediatamente al pubblico ministero, anche in forma orale. Alla comunicazione orale seguirà senza ritardo quella scritta. Il pubblico ministero, entro 3 giorni dall'iscrizione della notizia di reato, assume informazioni dalla persona offesa o da chi ha denunciato i fatti di reato e nel caso scattano le indagini di polizia giudiziaria.

DIVIETO DI AVVICINAMENTO RAFFORZATO - Le norme in vigore che disciplinano il reato di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, vengono rafforzate e punite con la reclusione da sei mesi a tre anni per chiunque violi gli obblighi o i divieti previsti dall'autorità giudiziaria.

PUNITO IL MATRIMONIO FORZATO - Una delle innovazioni introdotte dal Codice Rosso è l'articolo che punisce, con la reclusione da uno a 5 anni, il delitto di costrizione o induzione al matrimonio che colpisce chi "con violenza o minaccia costringe una persona a contrarre vincolo di natura personale o un'unione civile", approfittando delle condizioni di vulnerabilità o di inferiorità psichica o di necessità di una persona. La disposizione, vista la dimensione ultranazionale del fenomeno da colpire, stabilisce che il reato sia punito anche quando il fatto è commesso all'estero da cittadino italiano o da straniero residente in Italia.

PENE AGGRAVATE IN CASO DI MATRIMONIO FORZATO DI MINORI - Il nuovo articolo contiene le circostanze aggravanti del reato di matrimonio forzato: la pena è aumentata se i fatti sono commessi ai danni di un minore di 18 anni é aumentata da 2 a 7 anni se viene colpito un minore sotto i 14. Si vogliono così contrastare, in attesa di una legge organica, il fenomeno delle spose-bambine e dei matrimoni precoci e forzati.

PIU' RISORSE PER ORFANI DEL FEMMINICIDIO - Sul fronte delle risorse, la legge recepisce il finanziamento di 7 mln a partire dal 2020, già previsto nella Legge di Bilancio.

MALTRATTAMENTI E ATTI PERSECUTORI - L'articolo 9 interviene sui delitti di maltrattamenti contro familiari e conviventi e di atti persecutori, elevando la pena minima a 3 anni, fino a una massima di sette; se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da 4 a 9 anni; con una lesione gravissima, la reclusione da 7 a 15 anni. I caso di morte la morte, la reclusione raddoppia da 12 a 24 anni. La fattispecie viene ulteriormente aggravata quando il delitto di maltrattamenti è commesso in presenza o in danno di minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità.

REVENGE PORN, PUNITO ANCHE CHI CONDIVIDE IMMAGINI - La lotta al revenge porn è un altro aspetto innovativo della legge, che punisce chi realizza e diffonde immagini o video privati, sessualmente espliciti, senza il consenso delle persone rappresentate per danneggiarle a scopo di vendetta o di rivalsa personale. Punito anche chi 'condivide' le immagini on line. Il reato viene punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000 e prevede una serie di aggravanti nel caso, a esempio, se il reato di pubblicazione illecita è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato o da una persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa.

ERGASTOLO PER OMICIDIO AGGRAVATO - L'articolo 11 modifica il codice penale intervenendo sull'omicidio aggravato dalle relazioni personali, di cui all'art. 577 c.p., per estendere il campo d'applicazione delle aggravanti consentendo l'applicazione dell'ergastolo anche in caso di relazione affettiva senza stabile convivenza o di stabile convivenza non connotata da relazione affettiva.

DA 8 A 14 ANNI DI CARCERE - A chi causa lesioni permanenti personali gravissime, come la deformazione o lo sfregio permanente del viso. La cronaca riporta ormai decine di casi di donne rimaste irreparabilmente offese per essere state colpite al volto dall'acido corrosivo lanciato da uomini che non si erano rassegnati all'interruzione del matrimonio o di una relazione sentimentale.

VIOLENZA SESSUALE, FINO A 24 ANNI DI RECLUSIONE - L'articolo 13 inasprisce le pene per i delitti di violenza sessuale che, in caso di violenza su un minore di dieci anni, parte de un minimo di 12 fino a un massimo di 24 anni di reclusione.

TRATTAMENTO PSICOLOGICO PER CONDANNATI PER REATI SESSUALI - E' prevista la possibilità per i condannati per delitti sessuali in danno di minori, di sottoporsi a un trattamento psicologico con finalità di recupero e di sostegno, suscettibile di valutazione ai fini della concessione dei benefici penitenziari.

FORMAZIONE SPECIFICA PER POLIZIA E CARABINIERI - La legge stabilisce l'attivazione di specifici corsi di formazione per il personale della Polizia di Stato, dell'Arma dei Carabinieri e della Polizia penitenziaria "in relazione alla prevenzione e al perseguimento dei reati di violenza domestica e di genere".

IL TALLONE D'ACHILLE - Secondo l'opposizione la legge non avrà gli effetti positivi auspicati da governo e maggioranza: la clausola di invarianza finanziaria, a fronte dei diversi impegni contenuti nel Codice Rosso, rimarranno 'lettera morta' per l'assenza di risorse hanno dichiarato i diversi rappresentanti dell'opposizione intervenuti in aula. "Abbiamo valutato con attenzione, non solo a livello politico ma anche a livello tecnico - ha obiettato il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede - l'invarianza finanziaria prevista dal provvedimento e in questo caso abbiamo fatto tutte le valutazioni che erano necessarie".