Quella che si sta combattendo a Roma da ormai 3 anni attorno al mega business dei rifiuti è una guerra studiata a tavolino e condotta senza esclusione di colpi: bersaglio grosso fiaccare la resistenza di una Sindaca determinata a spezzare una volta per tutte il modello old style, fatto di discariche e inceneritori, grazie al quale, da decenni, a Roma banchettavano indisturbati comitati d'affari composti da monopolisti, ecomafie e politici con le mani in pasta.
Roba che pesa miliardi.
Quando alla bestia gli sottrai l'osso o solo tenti di sottrarglielo, si incazza, è la dura legge della natura.
Virginia Raggi, sola pur in mezzo a tanta gente, sta pagando per questo.
Una guerra sotterranea fatta di studiati ritardi, incidenti di percorso creati ad arte e veri e propri atti criminali, stanno mettendo in ginocchio Roma, oggi oggettivamente sopraffatta dai rifiuti, e la sua Sindaca.
Il tutto a spese dei contribuenti romani sia in termini di pecunia (paghiamo una Ta.Ri. fra le più alte d'italia anche perché sempre più spesso chiamati a sopportare lo scotto del conferimento fuori regione), che di salute.
Sono gli stessi romani che oggi, col cassonetto pieno sotto casa, lungi dal comprenderne le cause, si fanno sobillare dalle menzogne di una stampa locale che ha ingaggiato una campagna feroce contro la Sindaca, che se poi quella stampa ha un patron che si chiama Caltagirone, il palazzinaro romano con quote in Acea amante degli inceneritori, è un caso. Come è un caso che proprio la Raggi al Caltagirone lo ha escluso dalla costruzione del nuovo Stadio.
E non poteva mancare, nel plotone d'esecuzione della Raggi Salvini, la prima donna del momento che, con le sue esternazioni quotidiane al vetriolo, ne vorrebbe la testa per piazzare i suoi fedeli, i figli di Alberto da Giussano, al Campidoglio. Roba che solo a pensarci mi vengono i brividi.
Purtroppo la gente ha la memoria corta o, semplicemente, non è consapevole che questo stato di cose parte da lontano.
Gravi responsabilità sono da addossare alle Giunte capitoline degli ultimi 30 anni, almeno.
Se solo mettiamo insieme tutti gli ingredienti del recente passato, ne esce fuori una miscela esplosiva:
A partire dalla chiusura, nel 2003, della discarica di Malagrotta, la "buca" più grande d'Europa, chiusura imposta dalla UE in forza di un direttiva che fa divieto di smaltimento dei rifiuti non preliminarmente trattati, a Roma è stato tutto un ricercare soluzioni tampone e non strutturali, tutta roba neanche lontanamente parente di un sistema ecosostenibile e rispettoso dell'ambiente che amministrazioni responsabili avrebbero sentito l'obbligo di ricercare .
Per circa 40 anni Roma se l'era cavata a buon mercato sversando i suoi rifiuti "tali e quali" dentro una buca, trasformandola in una vera e propria bomba ecologica, che però metteva tutti d'accordo, a partire dagli stessi romani (in ossequio al detto "occhio non vede cuore non duole"), passando per la politica (quella con la p minuscola, da destra a sinistra), fino al monopolista Manlio Cerroni, "l'ottavo re di Roma", avvezzo a concludere i suoi affari con la controllata comunale AMA con una semplice stretta di mano, lo scopri' nel 2016 la Raggi appena insediata, quando incredula non si trovò nei cassetti neanche uno straccio di contratto.
Ed è così che quando la Raggi è subentrata in Campidoglio si è trovata a gestire, tramite la controllata comunale AMA, il cui gruppo dirigente era più attento a mantenere i suoi privilegi che alla qualità del servizio reso, 4.600 tonnellate di rifiuti al giorno di cui appena 2.000 di differenziata e ben 2.600 tonnellate di indifferenziata il cui trattamento era stato affidato alla cura di soli 4 impianti (TMB), costretti a lavorare h24 al limite della capienza e di cui 2 di proprietà AMA e 2 di proprietà del solito, immarcescibile, Manlio Cerroni, nel frattempo costretto ad operare sotto tutela di un commissario prefettizio perchè la sua Co.La.Ri. era stata raggiunta da interdittiva Antimafia, procedimento sfociato in un processo che per 4 anni lo avrebbe visto sul banco degli imputati e poi prosciolto in primo grado.
In questa situazione di estrema fragilità strutturale, tenendo fede al programma per il quale i romani l'avevano votata, appena insediata Virginia Raggi ha licenziato un piano rifiuti che punta tutto sulla raccolta differenziata, che i rifiuti li valorizza prevedendo la costruzione di impianti di compostaggio e recupero, e che porta con sé il progetto di riconversione degli impianti esistenti al recupero di materia, un progetto di medio periodo che avrebbe relegato nel passato parole come discarica e inceneritore.
Ed è da lì che sono cominciati i guai per Virginia. Come in un piano ben studiato tutti gli attori hanno giocato la loro parte in commedia.
A cominciare dalla Regione Lazio a trazione Pd dove un Zingaretti, latitante dal 2012 dal licenziare un nuovo piano rifiuti per l'individuazione di nuovi impianti regionali, pur di mettere in difficoltà la Raggi ha continuato a fare melina fino a beccarsi ben 2 sentenze del TAR, la prima del 2016 e la seconda nel 2018 che di fatto lo commissariava.
Fino a che nel gennaio di quest'anno lo ha prodotto il piano mister Zingaretti, ma cercando di imporre alla Sindaca la realizzazione di un'altra discarica, quella di Pian dell'Olmo, rispolverando un vecchio progetto di Cerroni già bocciato anni addietro e ben sapendo che la Raggi non ne avrebbe mai accettato la realizzazione e che sta provocando in queste ore la reazione sdegnata degli abitanti della zona e dei quartieri limitrofi.
E che dire degli stessi dipartimenti comunali che, insieme alla sovrintendenza archeologica, a maggio scorso hanno silurato la realizzazione dei 2 impianti di compostaggio previsti nel piano Raggi a Cesano e Casal Selce? Due stabilimenti che avrebbero consentito di trasformare, sull'area metropolitana di Roma, l'umido in compost, un fertilizzante naturale per l'agricoltura.
Vien quasi da ridere, se non ci fosse da piangere, a pensare che un manipolo di dirigenti comunali, che per decenni hanno tollerato che i rifiuti romani si sversassero tali e quali in una cloaca massima, indifferenti al fatto che si appestavano intere generazioni di romani, oggi sacrifica l'inizio di una riconversione ecologica della filiera dei rifiuti di Roma sull'altare del piano regolatore e supposte criticità paesaggistiche e archeologiche.
L' era Raggi, fra l'altro, verrà ricordata anche per gli incendi seriali dei cassonetti (700 circa, un danno di mezzo milione di lire che i romani pagheranno di loro tasca).
Tutte casualità?
Così come: sarà una casualità che per ben tre volte nel 2018 un bando AMA di 225 milioni per l'esportazione dei rifiuti prodotti dai TMB è andato deserto?
Ma il colpo più basso alla Raggi, quello che la sta mettendo KO, scaturisce da una sequela di eventi incredibili che si sono succeduti negli ultimi mesi e che sembrano essere stati pensati da chi conosce bene la fragile macchina impiantistica su cui poggia la filiera dei rifiuti indifferenziati romani.
A dicembre 2018 il TMB Salario di proprietà AMA, quello che da solo trattava 750 tonnellate di rifiuti al giorno, viene completamente distrutto dalle fiamme e non riaprirà mai più.
A marzo di questo anno tocca all'altro impianto Ama di andare a fuoco, quello di Rocca Cencia. Dopo essere stato a lungo sotto sequestro, ha riaperto a singhiozzo per poi guastarsi a fine maggio per il sovraccarico di lavoro.
E in questa situazione drammatica, dulcis in fundo, è arrivata, a sorpresa, la mossa di Cerroni, che con una tempistica perfetta da aprile ha chiuso parzialmente per manutenzione i 2 TMB del suo Consorzio Colari e riaprirà solo dopo l'estate.
Come in una partita a scacchi, il sistema mafiopolitico romano ha dato scacco matto a Virginia Raggi, la regina di Roma.