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giovedì 26 agosto 2021

“Bisogna soffrire” (magari dopo le vacanze). - Tommaso Rodano

 

Ferie renziane - In viaggio a Formentera, il nuovo Giglio magico combatte la povertà (a modo suo).

L’ estate sta finendo, come da citazione dei Righeira. Gli sgoccioli di agosto portano con sé un senso di struggente malinconia. Il crepuscolo è particolarmente intenso per una banda di amici che ha preso il nome di Italia Viva: estate dopo estate la durata della legislatura si accorcia, l’orizzonte politico si restringe, la prospettiva personale e collettiva si fa asfittica. Del doman non c’è davvero certezza, in questo caso. Ma come sempre, chi vuol esser lieto, sia: Italia Viva è più di un partito, è una confraternita. I suoi affiliati sono pochi ma hanno i pensieri lunghi e la mente fina.

Sono quelli che odiano il reddito di cittadinanza. Che lo ritengono una misura “diseducativa”, una distorsione delle savie dinamiche del mercato, un sussidio che impedisce agli imprenditori di trovare forza lavoro a condizioni cripto schiavistiche: i pelandroni, incredibile, preferiscono starsene a casa a farsi pagare dallo Stato. Il reddito è “una vita in vacanza”, per citare un’altra canzone cara alla compagnia. I giovani invece devono essere forgiati negli stenti, “devono imparare a soffrire”. Parola di Matteo Renzi.

In effetti loro – quelli di Italia Viva – soffrono. Soffrono tanto e in genere soffrono insieme. Come quella volta che si fecero un selfie di gruppo in vacanza su un motoscafo. Era la prima estate in pandemia.

Quest’agosto niente natanti, ma c’è un senso di rinascita, si torna a viaggiare all’estero. Si va a Formentera. Luciano Nobili, Francesco Bonifazi, Federico Lovadina (il pistoiese piazzato da Renzi alla presidenza di Sia, la società di Cassa depositi e prestiti) e il coordinatore romano Marco Cappa: tutti insieme per un grande viaggio spirituale.

Ci sarebbe piaciuto poter ignorare la circostanza, ma come si fa? Sarà pure bassa sociologia, antropologia d’accatto, ma è soprattutto una questione estetica. Il diario di viaggio è su Instagram e le foto sono di una bellezza sconcertante. A metà tra Muccino e Vanzina: un po’ tardo adolescenti romantici, un po’ vitelloni italiani alla conquista delle Baleari.

Come si può ignorare il selfie abbacinante di Lucianone Nobili dopo la passeggiata al faro? Occhiali da sole, sorriso sfrontato e maglietta “Politics is like sex”. Erotismo e potere, fascino e mistero. Una foto da ammirare a specchio con quella di un Bonifazi languido, in camicia di lino e lenti scure, sullo sfondo si intravedono morbide dune e il mare celeste.

In quei giorni c’era la crisi afghana, certo. C’era Renzi che simulava un ritorno lampo in Senato, per presidiare le istituzioni in una fase tanto delicata sul piano internazionale, d’accordo. Ma non rompeteci le scatole.

I renziani in vacanza sono una “Band of brothers” (hashtag #Summer2021), come scrive Nobili. Una didascalia piena d’amore sotto una grande foto di gruppo. Si respira fratellanza, malgrado il commento goliardico di Marco Agnoletti (ex portavoce di Renzi): “Il Lovadina sembra sotto l’effetto di droghe pesanti: ma forse è solo la vicinanza del Nobili a fare questo effetto”.

Si va a cena tutti insieme al ristorante “A mi manera” e si aggiunge anche Andrea Ruggieri di Forza Italia. Confessiamo una certa invidia – qui è quasi ora di cena – per le bistecche da 70 euro (ma solo per i palati esigenti che scelgono la carne di Wagyu, volendo c’è un più abbordabile menù fisso da 90 euro a persona, bevande escluse).

I nostri ci regalano selfie, abbracci, foto in spiaggia, momenti di relax casalingo mentre studiano le prossime scorribande, ma il momento catartico della vacanza è senza dubbio il video insieme all’attore spagnolo che interpreta “Arturito”, il personaggio un po’ infamello della Casa di carta. Arturito, apparentemente a poche bracciate dal collasso etilico, inizia a intonare “Bella Ciao”. “O partigianooo, portami viaaa”. Subito dietro di lui si fanno spazio nell’inquadratura due figure imponenti, sono Cappa e Nobili: “O bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciaooo”. È una scena che si può descrivere in un solo modo: raggelante. Ma non preoccupatevi, non c’è niente di politico, è solo Netflix.

Sappiamo bene di essere dei moralisti: non c’è niente di male a divertirsi in vacanza. Però viene in mente una frase del socialdemocratico svedese Olof Palme (non a caso molto amata da Walter Veltroni): “Il nostro dovere è combattere la povertà, non la ricchezza”. Quelli di Formentera combattono i poveri e la ricchezza la esibiscono.

ILFQ

domenica 13 dicembre 2020

Il “sistema del 15%”. Ecco la prova che inchioda la lega. - Stefano Vergine

 

“Dovere morale”. Soldi al partito dai nominati.

Versamenti al partito in cambio di nomine pubbliche. Posti nei più importanti cda d’Italia, nelle direzioni di ospedali e aziende sanitarie locali, nei consigli di revisione contabile delle partecipate pubbliche. Poltrone assegnate in cambio della restituzione alla Lega di una parte dello stipendio. È il “sistema del 15%” – la quota da restituire al partito per i nominati –, un sistema scritto nero su bianco. Così il Carroccio avrebbe gestito il suo potere politico negli ultimi vent’anni, con un vero e proprio sistema di finanziamento per le casse del partito, stando a quanto emerge sia da documenti inediti (in parte pubblicati in queste pagine) sia da diverse testimonianze raccolte.

Il “sistema del 15%” il Fatto lo ha raccontato, nell’inchiesta sulla Lombardia Film Commission, riportando quanto avrebbe detto il commercialista Michele Scillieri durante l’interrogatorio con i pm di Milano. Ma quello che ora siamo in grado di svelare è un meccanismo strutturato e ben collaudato, in vigore da anni. Tutto è raccontato nei dettagli da alcuni documenti contabili interni alla Lega e dalle testimonianze di tre ex leghisti che fino a pochi anni fa sedevano in posti cruciali dell’amministrazione del partito. I documenti inediti raccolgono i nomi di decine e decine di dirigenti e manager di aziende sanitarie pubbliche lombarde. Molti ancora in attività. Nomi e cifre: quelle che ognuno di loro versava alla Lega, il partito del Nord. Che, a dispetto delle intemerate d’origine contro il clientelismo romano, ha creato un sistema perfetto per controllare le nomine. Tutto fatto in modo trasparente, con bonifico bancario, così che la spesa sia anche detraibile fiscalmente. Un sistema perfetto, che si basa però su un presupposto molto scivoloso, come vedremo più avanti: la donazione deve essere spontanea.

Nero su bianco: la delibera del consiglio federale

Analizzare tutti i nomi è un lavoro lungo: questa è solo la prima puntata di un’inchiesta che pubblicheremo nella prossima settimana. Di certo il sistema del 15% è stato istituzionalizzato, formalizzato in un Consiglio federale della Lega dell’autunno 2001. Lo dimostra un documento del partito, mai pubblicato finora, firmato dall’allora segretario organizzativo della Lega Nord, Gianfranco Salmoiraghi. Il 23 ottobre del 2001 Salmoiraghi informa le varie sezioni della Lega che una settimana prima, in occasione del Consiglio federale (l’organo esecutivo della Lega), è stato deciso che sarà Giancarlo Giorgetti ad avere “l’incarico di sovrintendere alla nomina dei nostri esponenti”. Citando il verbale del Consiglio federale, Salmoiraghi aggiunge che secondo quanto deciso “è dovere morale di quanti saranno nominati, di contribuire economicamente alle attività del Movimento con importi che equivalgano, mediamente, al 15% di quanto introitato”.

Esattamente la stessa percentuale di cui ha parlato Scillieri ai magistrati di Milano pochi giorni fa. Il commercialista e socio d’affari dei contabili della Lega, Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni – indagato insieme a loro per peculato nella vicenda della Lombardia Film Commission – ha messo a verbale di aver dovuto restituire al partito il 15% del suo compenso ottenuto come revisore contabile della stessa Lombardia Film Commission, un ente pubblico controllato dalla Regione Lombardia. Ma la testimonianza di Scillieri, alla luce di questi documenti inediti, potrebbe essere solo la punta dell’iceberg.

“Tutti sapevano. Eri nominato e poi aiutavi la Lega”

Che tutto sia andato così per molti anni lo conferma al Fatto Daniela Cantamessa, in Lega dagli albori, segretaria di Umberto Bossi fino all’arrivo di Roberto Maroni alla segreteria federale. “Lo sapevano tutti che funzionava così – racconta – era normale: tu eri nominato dalla Lega e poi aiutavi il partito. Io però non ero in amministrazione, non vedevo personalmente le donazioni”. Chi ha conosciuto bene la macchina contabile per qualche anno è Francesco Belsito, tesoriere dal 2007 al 2012, poi cacciato per lo scandalo degli investimenti in Tanzania e condannato in via definitiva per appropriazione indebita nell’ambito della vicenda dei 49 milioni. I saldi sui conti correnti dei partito Belsito li vedeva, e spiega al Fatto che “i manager nominati nelle partecipate di Stato dovevano versare una quota del loro compenso sul conto corrente del partito, sottoforma di donazione, così la scaricavano dalla dichiarazione dei redditi. Era la prassi, lo sapevano tutti. Quelli che versavano sul conto della Lega Nord federale erano i nominati delle partecipate di Stato. I nominati nelle società locali versavano invece alle sezioni regionali. Per esempio, Regione Liguria nomina persone nella finanziaria di riferimento regionale, in quella del turismo: 7-8 partecipate in tutto. Quei pagamenti li seguiva il segretario regionale del partito. Per società come Eni, Poste, Finmeccanica o allora Invitalia, si versava invece direttamente sul conto della Lega Nord”. Chi ha visto con i suoi occhi ogni singolo versamento, almeno in Lombardia, è una segretaria che ci ha chiesto l’anonimato. Ha lavorato nell’amministrazione in via Bellerio per quasi 30 anni, e dice che almeno fino al 2015 – quando insieme ai tanti altri dipendenti è stata lasciata a casa a causa dei tagli fatti da Matteo Salvini in nome dell’austerity – il sistema funzionava così. “Tutti quelli nominati avevano l’obbligo morale di dare un tot alla Lega ogni anno, almeno quelli che venivano remunerati per quell’incarico. Chi non lo faceva riceveva una telefonata da Giampaolo Pradella, che si occupava allora degli enti locali della Lega, che gli diceva: ‘Guarda, non è arrivato il contributo, ricordati eh’. Insomma, in modo velato gli si diceva: ‘Dai il contributo, altrimenti la prossima volta non vieni più nominato’”. C’erano contratti scritti? “No, era su base volontaria, che però volontaria non era. Il discorso era semplice: ‘La Lega ti ha messo lì, e tu devi contribuire’”. Funziona ancora così nel partito guidato oggi da Salvini? Alle nostre domande, inviate ieri al segretario federale e al suo vice, Giorgetti, non è stata data per ora risposta.

1 – Continua

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/13/il-sistema-del-15-ecco-la-prova-che-inchioda-la-lega/6035488/

venerdì 13 dicembre 2019

Sigarette, chiamate e cene. Così la Lega “prende” M5S. - Luca De Carolis

Sigarette, chiamate e cene. Così la Lega “prende” M5S

Grassi si presenta in mensa con la spilletta verde. E Urraro tenta il blitz sulla prescrizione.

I complimenti per la “competenza”, oppure qualche battuta, per preparare il terreno. Occhiate e mezze frasi, seminate tra il fumo e i vapori delle sigarette. Poi quella domanda, scandita con il sorriso di chi finge di scherzare, e invece proprio no: “Ma tu passeresti con noi della Lega?”. Diversi senatori dei Cinque Stelle li hanno avvicinati così, nella sala fumatori di Palazzo Madama. Teatro di molte prove di campagna acquisti del Carroccio, che dopo la nascita del governo giallorosso è (ri)partita a pieno regime. Con i capigruppo leghisti primi ambasciatori con i colleghi grillini di commissione. Perché è più facile, corteggiare senatori con cui si lavora. Poi a forzare con gli indecisi provvedono i big. Con telefonate e qualche cena.
Strategia che mercoledì ha dato i suoi primi frutti, con tre senatori grillini che hanno detto no alla risoluzione di maggioranza sul Mes, rumoroso preludio al trasloco alla Lega. Puntualmente avvenuto ieri, con Ugo Grassi, docente napoletano di Diritto civile, che apre la fila con sentita lettera: “I vertici del Movimento decidono tutto in solitudine, ma oggi, forte di una reciproca stima costruita nei mesi appena trascorsi, la Lega mi offre una seconda opportunità per raggiungere i miei obiettivi”. E Matteo Salvini spalanca le braccia: “Benvenuto a Grassi, porte aperte per chi non è succube del Pd”.
Grassi celebra presentandosi in mensa con la spilletta della Lega. Mentre il Carroccio perfeziona l’entrata nei ranghi anche dell’umbro Lucidi, che nel pomeriggio discute i dettagli con il capogruppo Massimiliano Romeo e Stefano Candiani. E salta il fosso anche Urraro, dopo una telefonata con Roberto Calderoli. Avvocato campano di 46 anni, fa parte con Grassi della giunta delle elezioni che a febbraio aveva salvato Salvini dal processo per il caso della nave Diciotti, come indicato anche dagli iscritti al M5S sulla piattaforma web Rousseau. E comunque ieri il legale di Portici (Napoli) ha dato subito prova della sua vicinanza al centrodestra in commissione Giustizia. Già, perché da relatore del decreto fiscale, Urraro ha provato a inserire nel parere della commissione sul testo il rinvio dell’entrata in vigore della riforma della prescrizione, prevista a gennaio dalla legge Spazzacorrotti. Racconta la 5Stelle Elvira Evangelista, anche lei in commissione: “Urraro ha sostenuto che andava rinviata al 2022, per contenere la spesa pubblica. Ma questa osservazione, inserita all’ultimo minuto senza alcun preavviso neanche a noi del M5S, non aveva attinenza con il decreto fiscale ed era chiaramente strumentale”. Così la maggioranza, Italia Viva compresa, ha fatto muro, e Urraro ha ritirato la proposta. Poco male per la Lega, che prosegue nell’assedio. E un veterano del M5S conferma: “Anche io sono stato avvicinato, mi hanno fatto i complimenti per la preparazione. Poi hanno lanciato l’amo: ‘Nella Lega troveresti spazio per le tue idee, verresti valorizzato”. L’assalto però è ragionato, sostiene un altro 5Stelle: “Il Carroccio punta soprattutto gli eletti del Sud, dove non ha classe dirigente, o nelle regioni ‘rosse’. Cerca professionisti con la fedina penale pulita”. Ecco perché il pressing su Grassi e Urraro, che in lista starebbero bene. “E poi a Grassi avevano promesso di fare il sottosegretario” ricordano diversi grillini. Ferita che ha inciso, sul suo addio.
Il più doloroso per il M5S, che infatti infierisce. Così Luigi Di Maio morde: “La Lega dica quanto costa al chilo un parlamentare”. E dal Movimento ricordano come il giurista avesse difeso la clausola del regolamento che prevedeva multe per i parlamentari che avessero lasciato il M5S. “Non sarei così sicuro che la clausola possa essere considerata nulla” sosteneva Grassi sul blog delle Stelle nel febbraio 2018. Ma ora, chi potrebbe saltare il fosso? Il pugliese Cataldo Mininno, militare, ha detto ai suoi che potrebbe non votare la manovra. “Ma non andrà mai alla Lega” giurano dai piani alti. Da dove smentiscono anche le voci sulla siciliana Tiziana Drago e sulla pugliese Angela Piarulli. E puntualmente si torna a parlare di un gruppo pro-Giuseppe Conte, con 10-15 fuoriusciti. Mentre Emanuele Dessì stilla amarezza: “Il M5S deve ritrovare i suoi valori, il suo senso. E non può farlo con un leader bollito”. Cioè con Di Maio.

Le vacche in Movimento. - Tommaso merlo



Nessun esodo, giusto qualche vacca al pascolo verso il terzo mandato a stipendio pieno. La Lega ci lavorava fin da agosto. Salvini aveva preannunciato l’arrivo di bovini pentastellati nella sua mandria quando aveva ancora il mojito in mano. È passato qualche mese e pare che qualche vacca stia approfittando della scusa del MES per migrare. Che dunque i loro elettori vadano a farsi fottere, così come il Movimento che li ha ospitati, i valori e tutte quelle belle parole con cui si son riempiti la bocca per anni. Hanno famiglia, ambizioni e soprattutto un ego da sfamare. Ci risiamo. Prima o poi uno stramaledetto voltagabbana in Italia salta sempre fuori. Così come qualche stramaledetto impostore disposto ad approfittarne. Ieri Berlusconi, oggi Salvini. Alla faccia del cambiamento. Mercato delle vacche della peggior specie allo scopo di far cadere il governo nemico a tradimento. La solita penosa trama. Il pastore sleale che accarezza le vacche della mandria del rivale promettendogli mangiatoie stracolme di leccornie. Poi una volta ottenuto lo scopo il pastore sleale dimentica le vacche traditrici a marcire in qualche stalla. È il destino dei traditori. Qualche giorno di gloria e il resto dell’eternità nei bassifondi riservati agli infami. E questo soprattutto se tradiscono con scuse ridicole come quella del MES. Un trattato europeo che nessuno ha ancora firmato. Il Parlamento ha solo dato mandato a Conte di trattare in Europa ed ottenere le modifiche care al Movimento. Poi tutto tornerà di nuovo in Parlamento per la discussione. Per tradire non hanno nemmeno aspettato il testo definitivo e la firma. Ma il merito non conta. Quello che muove davvero i voltagabbana è sempre un cocktail tossico di arrivismo ed egocentrismo. A volte seggi sicuri e prebende, a volte una concezione narcisista della politica. Onorevoli signor nessuno talmente pieni di sé da permettere al proprio meschino ego d’interferire addirittura nei destini politici nazionali. Onorevoli signor nessuno talmente convinti della propria importanza personale e delle proprie ragioni da permettersi di far cadere o nascere addirittura governi. Un tarlo culturale più che politico. Egocentrismo senza scrupoli e vergogna. Nei vecchi partiti i voltagabbana erano diventati uno scontato effetto collaterale, le vacche si son sempre mosse in libertà negli emicicli italici. Facevano notizia solo i casi più clamorosi, quelli dei voltagabbana decisivi per i destini delle legislature. Come il suocero di Salvini, Verdini, forse il più celebrato degli ultimi anni. Constatare che certi personaggi militino nelle file del Movimento fa impressione. Il Movimento è nato anche per prevenire certe deleterie perversioni e rimettere al centro i valori e il progetto di una comunità, di una collettività. Ma nessuno può addentrarsi nei meandri dell’animo altrui e le vie dell’ego sono infinite. Quello che consola è che non c’è stato nessun esodo dal Movimento come strillato dai giornalai. Solo qualche vacca che ha sfruttato la scusa del MES per migrare verso la stalla di Salvini.

https://infosannio.wordpress.com/2019/12/12/le-vacche-in-movimento/?fbclid=IwAR2P4u3yucK_FX3mijorwJA5XkYqppm6Nq6vJBNeA6gpXUsCWpWCQF-8LeQ

martedì 1 ottobre 2019

Presto quota 1000 per i voltagabbana di Camera e Senato. - Ilaria Proietti

Presto quota 1000 per i voltagabbana di Camera e Senato

Dai Responsabili di Razzi e Scilipoti agli Italiani Vivi: in tre legislature contati oltre 900 cambi di casacca.

È un fenomeno che pare inarrestabile: in poco più di dieci anni sono stati oltre 900 i cambi di casacca in Parlamento. E la cifra è destinata a salire sfondando agevolmente quota mille. Perché Matteo Renzi conta di poter vampirizzare ulteriormente il Pd a cui ha già sfilato 40 eletti tra cui l’ex capogruppo Rosato, la neo ministra Bellanova, il già tesoriere del Nazareno Francesco Bonifazi. Ma l’emorragia non è finita. L’ultima arrivata è Silvia Vono che si è trasferita nel gruppo Italia Viva dopo aver abbandonato i 5 Stelle che già erano dimagriti a causa delle espulsioni, 13 tra deputati e senatori solo dall’inizio della legislatura. Ma accanto agli epurati ora c’è che si guarda intorno: la Lega cerca di fare proseliti e non solo tra i 5 Stelle. Silvio Berlusconi teme che pezzi da novanta di Forza Italia, con il loro abbandono, diano il colpo di grazia al partito in calo vertiginoso nei sondaggi. Per molti azzurri è appetibile l’approdo nel Carroccio e in Fratelli d’Italia: il coordinatore azzurro dell’Emilia Romagna, Galeazzo Bignami con le Regionali alle porte è passato con FdI.
E che dire di Giovanni Toti? Per ora pochi azzurri lo hanno seguito nella avventura di “Cambiamo” ma la diaspora azzurra è iniziata da tempo, almeno dall’addio di Denis Verdini che qualche hanno fa ha fondato l’Alleanza Liberalpopolare-Autonomie. E da quello di Raffaele Fitto che aveva scommesso sul big bang berlusconiano e si era messo su il partito dei Conservatori & Riformisti. Dilettanti al confronto di Luigi Compagna che in Parlamento ci era entrato una prima volta con il Pli per poi passare all’Udc e via nel Popolo delle Libertà e di lì nella Federazione delle Libertà non prima di un passaggio nel gruppo Misto, in Grandi autonomie e libertà (Gal), in Area popolare, ancora in Gal, poi coi fittiani, al Misto e di nuovo a Gal.
Se Compagna ha fatto scuola pure gli altri ci hanno dato dentro: solo nella XVII legislatura (2013-2018) si è registrato un record di cambi di casacca: 566 che hanno coinvolto ben 347 parlamentari, il 36,53% degli eletti. “Il parlamentare è libero di cambiare partito e anche di votare come vuole, in dissenso dal suo gruppo. Ma, se lascia la maggioranza con cui è stato eletto per passare all’opposizione, o viceversa (caso molto più frequente), subito dopo deve decadere da parlamentare: perché ha tradito i propri elettori e ha stravolto il senso politico della sua elezione” aveva suggerimento Gustavo Zagrebelsky, con una proposta legislativa diversa dal vincolo di mandato, in un’intervista al Fatto. Ovviamente inascoltato.
Perché l’andazzo prosegue da tempo: nella XVI legislatura (2008-2013) le giravolte sono state un po’ meno (261 per 180 parlamentari coinvolti) ma di un certo rilievo: come dimenticare la pattuglia dei “Responsabili” di Razzi e Scilipoti che impallinarono il governo di Romano Prodi favorendo il ritorno di B.? “Io sono un fan, dipendente, anche schiavo, ma sì, mettiamoci pure schiavo di Berlusconi” si giustificò Antonio Razzi nel frattempo rieletto grazie ai voti di Forza Italia.
Ma c’è chi ha fatto di più: 11 parlamentari hanno battuto ogni primato, cambiando maglia sia nella XVI che nella XVII legislatura. Come nel caso di Dorina Bianchi eletta nel 2008 con il Pd poi passata nel Popolo delle Libertà. Una volta ricandidata con Berlusconi lo aveva infine abbandonato per il Nuovo Centro destra di Angelino Alfano. Ma poi nell’elenco c’è pure Linda Lanzillotta che partendo dal Pd dopo un lunghissimo giro era tornata nella XVII legislatura alla casa madre come pure Alessandro Maran.
Ancora: Benedetto Della Vedova. Onora fedelmente il motto caro ai radicali “rendetevi irriconoscibili senza timore di fare scandalo”: ha alle spalle due legislature in cui ha infilato l’elezione con Berlusconi, il passaggio con Futuro e Libertà di Gianfranco Fini per poi aderire al partito di Mario Monti che ha lasciato per il gruppo Misto: ora è deputato di +Europa per il futuro chissà.
Bruno Tabacci era invece stato eletto con l’Udc, con cui si era candidato nella XVI legislatura, per poi fare un percorso che lo ha portato a concludere la legislatura successiva con il Centro democratico: ora è di nuovo in Parlamento con +Europa non immune dal virus della scissione: Tabacci ha annunciato il divorzio da Emma Bonino.
Non gli è da meno Paola Binetti oggi eletta per Forza Italia ma che, andando a ritroso, si era unita a Alfano dopo aver abbandonato Scelta Civica. E prima ancora era passata all’Udc dopo aver salutato il Pd. Scatenando le ire dell’allora Rottamatore dem Matteo Renzi che a un certo punto sbottò contro di lei e gli altri che avevano traslocato: “Se uno smette di credere in un progetto politico, non deve certo essere costretto con la catena a stare in un partito. Ma, quando se ne va, deve fare il favore di lasciare anche il seggiolino”. Appunto.