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venerdì 10 marzo 2023

Il nucleo interno rotante della Terra si è recentemente fermato e poi ha cambiato direzione. - Tom Halle

 

La sfera solida e vorticosa al centro del nucleo interno della Terra sembra essersi recentemente fermata e potrebbe anche ora ruotare nella direzione opposta rispetto ai decenni precedenti, secondo un nuovo studio.

Una coppia di scienziati dell’Università di Pechino in Cina ha osservato i movimenti delle misteriose viscere della Terra studiando i dati sulle onde sismiche dei terremoti che hanno attraversato il nucleo interno della Terra.

Osservando i cambiamenti in queste onde, possono farsi un’idea di cosa sta succedendo all’interno degli strati interni della Terra, molto più in profondità di quanto qualsiasi trapano e strumento possa raggiungere. I loro dati descrivono in dettaglio il cambiamento delle onde sismiche nel corso di molti decenni, a partire dai record dell’Alaska dai primi anni ’60 fino alle registrazioni raccolte nel 2021.

I dati hanno mostrato che le parti del nucleo che in precedenza mostravano chiari segni di variazione improvvisamente hanno mostrato pochissimi cambiamenti intorno al 2009, il che suggerisce che la rotazione del nucleo interno si è fermata. 

Hanno anche rilevato notevoli cambiamenti nelle onde a partire dai primi anni ’70 che suggeriscono che questa pausa faceva parte di un’oscillazione che si verifica ogni settant’anni circa, quando il nucleo interno sta gradualmente tornando indietro nella direzione opposta.

Il funzionamento interno della Terra è un affare misterioso. La sua struttura può essere suddivisa in quattro strati principali: la crosta esterna, poi il mantello prevalentemente solido, seguito dal nucleo esterno di metallo liquido e il nucleo interno finale fatto di ferro e nichel. 

Poiché il nucleo interno è separato dal resto della Terra solida dal nucleo esterno liquido, è in grado di compiere una rotazione diversa rispetto alla superficie terrestre. Lo spin del nucleo interno è governato dal campo magnetico generato nel nucleo esterno di metallo liquido, nonché dagli effetti gravitazionali del mantello.

Tuttavia, le teorie sul movimento di questo nucleo interno non sono concordate. Molti ricercatori in precedenza ritenevano che lo strato geologico più interno del pianeta ruoti accanto al resto del pianeta a una velocità leggermente superiore rispetto alla superficie, ma ora si ritiene che sia meno semplice.

L’anno scorso, la ricerca ha suggerito che il nucleo interno della Terra oscilla, oscillando dolcemente e ruotando da una direzione all’altra in un ciclo. È interessante notare che hanno trovato alcuni dati insoliti dei primi anni ’70, proprio come questo nuovo studio.

I risultati hanno suggerito che il nucleo interno si stava muovendo lentamente in una direzione diversa tra il 1969 e il 1971, ruotando di almeno un decimo di grado all’anno, rispetto alla direzione in cui si stava muovendo tra il 1971 e il 1974.

“Dalle nostre scoperte, possiamo vedere gli spostamenti della superficie terrestre rispetto al suo nucleo interno, come le persone hanno affermato per 20 anni”, John E. Vidale, coautore dello studio e professore di scienze della terra presso l’USC Dornsife College of Letters, Arts e Scienze, ha detto in una dichiarazione nel 2022 . “Tuttavia, le nostre ultime osservazioni mostrano che il nucleo interno ha ruotato leggermente più lentamente dal 1969 al 1971 e poi si è spostato nella direzione opposta dal 1971 al 1974”.

Gli strani movimenti del nucleo terrestre potrebbero sembrare molto distanti da noi, ma il suo comportamento ha effettivamente un’influenza sulla vita sopra la superficie.

Il nucleo della Terra, in particolare il suo nucleo esterno, influenza il campo magnetico del pianeta. Da quando il Polo Nord Magnetico è stato documentato scientificamente per la prima volta all’inizio del XIX secolo, ha percorso circa 2.250 chilometri (1.400 miglia) attraverso i tratti superiori dell’emisfero settentrionale dal Canada verso la Siberia.

Tra il 1990 e il 2005, la velocità di questo movimento è aumentata da meno di 15 chilometri (9,3 miglia) all’anno a circa 50-60 chilometri (31-37 miglia) all’anno. È probabile che questo flusso sia l’effetto di due “blob” magnetici di materiale fuso all’interno del pianeta, che provocano uno spostamento titanico del suo campo magnetico.

Il nuovo studio è stato pubblicato  sulla rivista Nature Geoscience.

Tom Halle

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Fonte:  www.iflscience.com

https://www.pianetablunews.it/2023/02/06/il-nucleo-interno-rotante-della-terra-si-e-recentemente-fermato-e-poi-ha-cambiato-direzione/?fbclid=IwAR3wCMdz-Pqww5PnBvHoUEdqsv4dv9w_Uue_MuDeTqLbNQHpG10i_zPVNSM

venerdì 5 febbraio 2021

Cambio di casacca? Per un figlio si fa. - Antonio Massaro

 

E anche questa settimana a Criminopoli tira un’ottima aria. La leggerissima flessione non intacca il trend positivo: 32 i nuovi indagati per corruzione dal 23 gennaio al 4 febbraio. 

La scorsa erano stati 40, è vero, ma il totale dall’inizio dell’anno si avvicina alle tre cifre: siamo a quota 92. Media giornaliera: 2,6 nuovi indagati ogni 24 ore. Uno ogni 9 ore! 

Grandi soddisfazioni anche sul fronte mafie: i 36 nuovi avvisi di garanzia (9 in meno della scorsa settimana) portano il totale del 2021 a 308 indagati per associazione mafiosa. Media giornaliera: 8,8 (in leggera diminuzione, rispetto ai 9,7 della scorsa settimana, ma pur sempre un gran risultato: un nuovo indagato ogni 2 ore e mezza). 

Restiamo in tema di minuti, ore, giorni, mesi e anni. Oggi 5 febbraio Matteo Messina Denaro può festeggiare ancora: è libero da ben 10.110 giorni. 

Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Laura Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro sono invece morti da 10.484 giorni. 

Abbiamo invece perso Paolo Borsellino e i cinque agenti Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina da ben 10.427 giorni. 

Il Premio mazzetta di questa settimana va al neo indagato Luigi Sergi, ex consigliere comunale di Brindisi, accusato di aver compiuto atti contrari ai suoi doveri in cambio di una promessa per suo figlio: all’amato rampollo avevano prima proposto un assessorato, poi aveva ottenuto l’incarico di componente dell’ufficio di supporto del sindaco. E Sergi cosa offriva in cambio? Semplice. Siccome era passato dalla maggioranza all’opposizione, “tornava a votare – in modo determinante – con la maggioranza”. Lo accusano di aver violato il “dovere di votare in piena libertà e secondo scienza e coscienza”. Ma, in coscienza, Sergi tiene famiglia. E un voto in democrazia che sarà mai? Piuttosto, come tutti i nostri premi, siamo pronti a revocarglielo se sarà assolto o archiviato. È simbolico ma deve restare in buone mani.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/05/cambio-di-casacca-per-un-figlio-si-fa/6091056/

martedì 1 dicembre 2020

C’è da avere paura dell’opportunismo del Rinato Brunetta. - Andrea Scanzi

 

Luigi Di Maio? Un “vero leader”, uno “studente preparato”. A dirlo non è Vito Crimi, ma Renato Brunetta. Il falco berlusconiano ha esalato parole di amore puro nei confronti del ministro degli Esteri: “Di Maio è giovane, intelligente, rispettoso, veloce, sa ascoltare e con un vecchio signore come me si è sempre comportato bene”. Non solo: “Di Maio sta trasformando un movimento caotico in un partito strutturato e responsabile. E queste imprese non le raggiungi se non sei un leader”.

Ovviamente è lo stesso Brunetta che, prima delle elezioni del 2018, tuonava parole sature di stima nei confronti del “vero leader” 5 Stelle: “Caro Luigi Di Maio, spudorato e ignorante. Stai truffando i cittadini con la barzelletta del candidato premier e della lista di ministri al Quirinale. Vergognati e studia un po’ di diritto costituzionale. Trovati un lavoro e solo dopo cita il professor Brunetta”.

Cosa è successo? Due cose. La prima è il terrore della scomparsa, che attanaglia (anche se mai lo ammetterà) un navigato marpione della politica come Brunetta. La seconda è il mero opportunismo politico, che è poi in realtà (per Di Maio) null’altro che un bel cetriolone in arrivo. Da quanto tempo non si sente parlare di Brunetta? Mesi, anzi anni. Che in politica son quasi secoli. Troppo intelligente (e orgoglioso) per ridursi a elemosinare scranni televisivi di contrabbando come un Gasparri qualsiasi, Brunetta non dà segno di sé da un bel po’. Sono lontani gli scontri con Bignardi e Gruber, sono lontane le caricature (geniali) di Crozza. Dell’economista che sognava il Nobel, amava Craxi e vinceva il premio Rodolfo Valentino (non è una battuta), non parla più nessuno. L’ultima volta è stato avvistato in un recente servizio di Enrico Lucci a Cartabianca. Lucci provava a chiedergli qualcosa, e Brunetta – camminando senza mai fermarsi – ripeteva ossessivamente e astiosamente: “Grazie, buon lavoro!”.

La smisurata antipatia, che Brunetta ostenta e brandisce come un bizzarro merito padronale, non è certo scemata. L’uomo resta quello di prima, aduso a tuonare contro satira, Pubblica amministrazione “fannullona” e “culturame” de sinistra. A mutare è stato lo scenario politico, che ha reso marginale Forza Italia e dunque anche lui, certo poco entusiasta della crescita (un tempo) di Salvini e (tuttora) di Meloni. “Alleati” che deve detestare così tanto politicamente da arrivare a (fingere di) apprezzare il non plus ultra del grillismo. Ovvero, per berlusconiani e non solo, il male assoluto. E qui viene il secondo punto: l’opportunismo politico. Il “sì” allo scostamento di bilancio. I toni più istituzionali. Addirittura il riconoscimento pubblico al nemico. Tutto questo, in un Paese politicamente normale, sarebbe meraviglioso: l’opposizione che fa squadra col governo, di fronte al vile nemico comune (il Covid). Sarebbe bello. Fidarsi dei berlusconiani è però una perversione ormai sconcia e decaduta, dentro la quale sono naufragati non pochi leader di centrosinistra. Di Maio, sin qui, ha sempre risposto alle avance forziste con una sorta di “Se vogliono appoggiarci esternamente gratis, per me va bene”. Ma Brunetta, uomo tanto scaltro quanto spregiudicato, non fa nulla politicamente gratis. Come Berlusconi. Se Brunetta stima personalmente Di Maio, okay. Se questa corrispondenza (per ora univoca) di amorosi sensi si traduce però in un allargamento ufficiale della maggioranza, allora è la fine. Per i 5 Stelle, e tutto sommato chi se ne frega: chi è causa del suo mal, pianga se stesso. Ma più che altro per il Paese. E questa sì che sarebbe una sciagura.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/01/ce-da-avere-paura-dellopportunismo-del-rinato-brunetta/6022232/

lunedì 9 novembre 2020

Zaia&C. lasciano solo Salvini: basta guerra al governo. - Giacomo Salvini

 

Toni distensivi. E lui blinda Fontana.

Il primo a commentare, a dpcm appena sfornato, è stato Luca Zaia secondo cui “quello delle aree non è un gioco a premi”. E ancora: “Legittimo protestare, ma l’obiettivo è uscire dalla crisi tutti insieme” ha detto il “Doge” che ieri al Corriere ha cercato di riportare il conflitto Stato-regioni verso un “percorso condiviso”. Giovedì mattina quando l’agenzia di Zaia è finita tra le mani di Matteo Salvini, che nel frattempo arringava i suoi governatori e i suoi follower al “riconteggio” dei dati contro le zone rosse e arancioni, il leader del Carroccio ha scrollato le spalle: “Luca dice così solo perché ha la zona gialla e poi ormai fa quello che vuole”. Insomma, certo, dal “Doge” che rivendica autonomia a ogni piè sospinto e si presenta come il volto moderato del Carroccio, nessuno nell’inner circle di Salvini si aspettava che facesse il barricadiero contro Roma quando da Roma, per una volta, avevano deciso di differenziare le restrizioni assecondando le richieste federaliste. Epperò, nessuno si aspettava le prese di posizione distensive di altri governatori leghisti con cui Salvini si confronta tutti i giorni come se fossero il suo braccio armato nei rapporti con il governo.

E quindi, come i governatori repubblicani degli Stati Uniti che hanno criticato Trump perché non stava accettando il voto popolare, l’umbra Donatella Tesei si affretta a condividere le misure del nuovo dpcm (“sono come le nostre in Umbria”) e invita a “trovare un’unità di intenti evitando polemiche sterili”. Lo stesso il ligure Giovanni Toti, che pur non essendo iscritto alla Lega è molto vicino a Salvini: “Questo non è il momento delle polemiche, non è una partita politica” va dicendo e ieri ha spiegato che l’idea di dividere l’Italia per fasce è “giusta” dicendosi anche disponibile ad accettare un passaggio della Liguria da gialla ad arancione (“Stiamo affrontando un momento difficile”). E così anche il presidente della Provincia di Trento Maurizio Fugatti che si è adeguato al “lockdown light” del governo senza dire una parola, Arno Kompatscher a Bolzano (della Svp ma sostenuto dalla Lega) che dichiara zona rossa in tutta la Provincia fino al friulano Massimiliano Fedriga secondo cui sì, Conte deve “coinvolgere di più le regioni”, ma “non vogliamo riversare le responsabilità su Roma, adesso serve equilibrio”. Non proprio toni in linea con quelli del segretario. “Sono tutte regioni gialle con esigenze diverse dalle rosse Lombardia, Piemonte e Calabria” si smorza dallo staff di Salvini. Ma in realtà alcune di queste – Liguria e Umbria in primis – da oggi potrebbero retrocedere ad arancione. E quindi i toni durissimi di Salvini, che hanno fatto sobbalzare molti nel Carroccio, si possono inquadrare con una strategia precisa: fare quadrato intorno al governatore lombardo Attilio Fontana e quindi a sé stesso.

Salvini in estate voleva il rimpasto di giunta e ora ha di fatto “commissariato” la coppia Fontana-Gallera che si interfaccia direttamente con lui o con il segretario regionale Paolo Grimoldi. E quale migliore occasione se non la “chiusura” della Lombardia per difendere il proprio governatore contro gli assalti interni ed esterni? Poi c’è il fronte che lo riguarda in prima persona: nella Lega raccontano che Salvini sia molto preoccupato dagli ultimi sondaggi. Venerdì secondo la supermedia Agi/Youtrend, la Lega ha perso un altro 0,6% in due settimane arrivando al 24%, il punto più basso del Carroccio dal 2018. Silenzio tombale anche sulla sconfitta di Trump. Da qui la strategia di alzare i toni. Anche a dispetto dei suoi governatori.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/11/09/zaiac-lasciano-solo-salvini-basta-guerra-al-governo/5996587/

giovedì 11 giugno 2020

Saltato il dg Luigi Cajazzo, ora Gallera è accerchiato. - Gianni Barbacetto

Saltato il dg Luigi Cajazzo, ora Gallera è accerchiato

Le dimissioni dell’assessore Giulio Gallera aleggiano da giorni sul Pirellone. Sono il sale e il fiele del dibattito politico in Regione Lombardia. Tutti ne parlano, nessuno vuole e può farle scattare. Alla Lega non dispiacerebbero, ma sarebbero il segnale contrario del “rifaremmo tutto, non abbiamo sbagliato niente” che tutti ripetono, ai piani alti di Palazzo Lombardia.
Così la zarina della Regione, Giulia Martinelli, capo segreteria del presidente Attilio Fontana (nonché ex moglie di Matteo Salvini), da sempre in conflitto con Gallera, ha trovato la soluzione: ci teniamo l’assessore, via il direttore generale. Per ora: poi si vedrà. Così è saltato Luigi Cajazzo, il capo dei tecnici della sanità lombarda, che fino a ieri declamava: “Noi abbiamo svolto un lavoro tecnico che difendo e di cui sono assolutamente orgoglioso”.
Saltato. Saltato verso l’alto, però, promosso a un posto formalmente più prestigioso (e meglio pagato): vicesegretario generale della Regione, e per di più “con delega all’integrazione sociosanitaria”, cioè con l’incarico di preparare la riforma del sistema sanità che ha fatto della regione più ricca d’Europa anche quella con più morti e contagiati dal virus. Sì, saltato verso l’alto: anche perché farlo saltare verso il basso non sarebbe stata una buona idea per i vertici politici regionali, visto che Cajazzo dovrà passare le prossime settimane a girare le Procure della Lombardia, per rispondere alle tante domande dei pm sulla gestione dell’emergenza Covid. Per Fontana e Gallera è meglio avere un Cajazzo promosso, piuttosto che rimosso. Ed è meglio averlo non troppo arrabbiato con i politici che hanno scaricato su di lui, tecnico, i cortocircuiti del coronavirus. È stato il fusibile che è saltato.
Sostituito con un altro tecnico che è un grande ritorno al passato. Cajazzo era un poliziotto, non un manager sanitario. Più bravo a inviare email paracadute in vista di future contestazioni, che non a dirigere concretamente la sanità. Che in parte è stata gestita dai politici, Fontana, Gallera e anche Davide Caparini, il leghista assessore al Bilancio che tiene i cordoni della borsa e fa fronte d’acciaio con la zarina Martinelli. In parte è andata per conto suo, gestita dal vento feroce che soffiava a febbraio su Alzano Lombardo, su Nembro, sulle residenze per anziani, sull’ospedale in Fiera da costruire, sui test sierologici da cercare, sulle mascherine da distribuire, sui camici da reperire.
Il nuovo direttore generale invece è un vecchio volpone della sanità. Marco Trivelli ha fatto il manager all’ospedale Niguarda di Milano, al Sacco, agli Spedali civili di Brescia. Cinquantasei anni, bocconiano, viene dal mondo di Comunione e liberazione, era tra gli uomini-sanità di Roberto Formigoni, ai tempi del suo celeste impero. Se oggi arriva a Palazzo Lombardia con la missione di far dimenticare la gestione dell’emergenza più disastrosa d’Europa è segno che, da una parte, la sua competenza manageriale è sopravvissuta al naufragio del Celeste; dall’altra, che né la Lega di Martinelli-Caparini, né la Forza Italia “laica” di Gallera e soci hanno uomini da mettere nei posti più delicati. C’è già profumo di Cl ai vertici di aziende regionali importanti come Aler e Trenord, ora anche in quello della sanità. Le opposizioni intanto scalpitano. Il Pd, con Pietro Bussolati, apprezza che almeno una testa sia saltata, seppur come “capro espiatorio tecnico di responsabilità che sono politiche”. I Cinquestelle sottolineano il ritorno al passato: “Si scrive Trivelli si legge Formigoni”, dice Gregorio Mammì, consigliere regionale M5s. “La sanità lombarda va riformata cancellando la riforma di Roberto Maroni, togliendo le mani dei partiti dalle nomine, garantendo più risorse alla sanità pubblica e al sistema territoriale”.

venerdì 13 dicembre 2019

Sigarette, chiamate e cene. Così la Lega “prende” M5S. - Luca De Carolis

Sigarette, chiamate e cene. Così la Lega “prende” M5S

Grassi si presenta in mensa con la spilletta verde. E Urraro tenta il blitz sulla prescrizione.

I complimenti per la “competenza”, oppure qualche battuta, per preparare il terreno. Occhiate e mezze frasi, seminate tra il fumo e i vapori delle sigarette. Poi quella domanda, scandita con il sorriso di chi finge di scherzare, e invece proprio no: “Ma tu passeresti con noi della Lega?”. Diversi senatori dei Cinque Stelle li hanno avvicinati così, nella sala fumatori di Palazzo Madama. Teatro di molte prove di campagna acquisti del Carroccio, che dopo la nascita del governo giallorosso è (ri)partita a pieno regime. Con i capigruppo leghisti primi ambasciatori con i colleghi grillini di commissione. Perché è più facile, corteggiare senatori con cui si lavora. Poi a forzare con gli indecisi provvedono i big. Con telefonate e qualche cena.
Strategia che mercoledì ha dato i suoi primi frutti, con tre senatori grillini che hanno detto no alla risoluzione di maggioranza sul Mes, rumoroso preludio al trasloco alla Lega. Puntualmente avvenuto ieri, con Ugo Grassi, docente napoletano di Diritto civile, che apre la fila con sentita lettera: “I vertici del Movimento decidono tutto in solitudine, ma oggi, forte di una reciproca stima costruita nei mesi appena trascorsi, la Lega mi offre una seconda opportunità per raggiungere i miei obiettivi”. E Matteo Salvini spalanca le braccia: “Benvenuto a Grassi, porte aperte per chi non è succube del Pd”.
Grassi celebra presentandosi in mensa con la spilletta della Lega. Mentre il Carroccio perfeziona l’entrata nei ranghi anche dell’umbro Lucidi, che nel pomeriggio discute i dettagli con il capogruppo Massimiliano Romeo e Stefano Candiani. E salta il fosso anche Urraro, dopo una telefonata con Roberto Calderoli. Avvocato campano di 46 anni, fa parte con Grassi della giunta delle elezioni che a febbraio aveva salvato Salvini dal processo per il caso della nave Diciotti, come indicato anche dagli iscritti al M5S sulla piattaforma web Rousseau. E comunque ieri il legale di Portici (Napoli) ha dato subito prova della sua vicinanza al centrodestra in commissione Giustizia. Già, perché da relatore del decreto fiscale, Urraro ha provato a inserire nel parere della commissione sul testo il rinvio dell’entrata in vigore della riforma della prescrizione, prevista a gennaio dalla legge Spazzacorrotti. Racconta la 5Stelle Elvira Evangelista, anche lei in commissione: “Urraro ha sostenuto che andava rinviata al 2022, per contenere la spesa pubblica. Ma questa osservazione, inserita all’ultimo minuto senza alcun preavviso neanche a noi del M5S, non aveva attinenza con il decreto fiscale ed era chiaramente strumentale”. Così la maggioranza, Italia Viva compresa, ha fatto muro, e Urraro ha ritirato la proposta. Poco male per la Lega, che prosegue nell’assedio. E un veterano del M5S conferma: “Anche io sono stato avvicinato, mi hanno fatto i complimenti per la preparazione. Poi hanno lanciato l’amo: ‘Nella Lega troveresti spazio per le tue idee, verresti valorizzato”. L’assalto però è ragionato, sostiene un altro 5Stelle: “Il Carroccio punta soprattutto gli eletti del Sud, dove non ha classe dirigente, o nelle regioni ‘rosse’. Cerca professionisti con la fedina penale pulita”. Ecco perché il pressing su Grassi e Urraro, che in lista starebbero bene. “E poi a Grassi avevano promesso di fare il sottosegretario” ricordano diversi grillini. Ferita che ha inciso, sul suo addio.
Il più doloroso per il M5S, che infatti infierisce. Così Luigi Di Maio morde: “La Lega dica quanto costa al chilo un parlamentare”. E dal Movimento ricordano come il giurista avesse difeso la clausola del regolamento che prevedeva multe per i parlamentari che avessero lasciato il M5S. “Non sarei così sicuro che la clausola possa essere considerata nulla” sosteneva Grassi sul blog delle Stelle nel febbraio 2018. Ma ora, chi potrebbe saltare il fosso? Il pugliese Cataldo Mininno, militare, ha detto ai suoi che potrebbe non votare la manovra. “Ma non andrà mai alla Lega” giurano dai piani alti. Da dove smentiscono anche le voci sulla siciliana Tiziana Drago e sulla pugliese Angela Piarulli. E puntualmente si torna a parlare di un gruppo pro-Giuseppe Conte, con 10-15 fuoriusciti. Mentre Emanuele Dessì stilla amarezza: “Il M5S deve ritrovare i suoi valori, il suo senso. E non può farlo con un leader bollito”. Cioè con Di Maio.

Le vacche in Movimento. - Tommaso merlo



Nessun esodo, giusto qualche vacca al pascolo verso il terzo mandato a stipendio pieno. La Lega ci lavorava fin da agosto. Salvini aveva preannunciato l’arrivo di bovini pentastellati nella sua mandria quando aveva ancora il mojito in mano. È passato qualche mese e pare che qualche vacca stia approfittando della scusa del MES per migrare. Che dunque i loro elettori vadano a farsi fottere, così come il Movimento che li ha ospitati, i valori e tutte quelle belle parole con cui si son riempiti la bocca per anni. Hanno famiglia, ambizioni e soprattutto un ego da sfamare. Ci risiamo. Prima o poi uno stramaledetto voltagabbana in Italia salta sempre fuori. Così come qualche stramaledetto impostore disposto ad approfittarne. Ieri Berlusconi, oggi Salvini. Alla faccia del cambiamento. Mercato delle vacche della peggior specie allo scopo di far cadere il governo nemico a tradimento. La solita penosa trama. Il pastore sleale che accarezza le vacche della mandria del rivale promettendogli mangiatoie stracolme di leccornie. Poi una volta ottenuto lo scopo il pastore sleale dimentica le vacche traditrici a marcire in qualche stalla. È il destino dei traditori. Qualche giorno di gloria e il resto dell’eternità nei bassifondi riservati agli infami. E questo soprattutto se tradiscono con scuse ridicole come quella del MES. Un trattato europeo che nessuno ha ancora firmato. Il Parlamento ha solo dato mandato a Conte di trattare in Europa ed ottenere le modifiche care al Movimento. Poi tutto tornerà di nuovo in Parlamento per la discussione. Per tradire non hanno nemmeno aspettato il testo definitivo e la firma. Ma il merito non conta. Quello che muove davvero i voltagabbana è sempre un cocktail tossico di arrivismo ed egocentrismo. A volte seggi sicuri e prebende, a volte una concezione narcisista della politica. Onorevoli signor nessuno talmente pieni di sé da permettere al proprio meschino ego d’interferire addirittura nei destini politici nazionali. Onorevoli signor nessuno talmente convinti della propria importanza personale e delle proprie ragioni da permettersi di far cadere o nascere addirittura governi. Un tarlo culturale più che politico. Egocentrismo senza scrupoli e vergogna. Nei vecchi partiti i voltagabbana erano diventati uno scontato effetto collaterale, le vacche si son sempre mosse in libertà negli emicicli italici. Facevano notizia solo i casi più clamorosi, quelli dei voltagabbana decisivi per i destini delle legislature. Come il suocero di Salvini, Verdini, forse il più celebrato degli ultimi anni. Constatare che certi personaggi militino nelle file del Movimento fa impressione. Il Movimento è nato anche per prevenire certe deleterie perversioni e rimettere al centro i valori e il progetto di una comunità, di una collettività. Ma nessuno può addentrarsi nei meandri dell’animo altrui e le vie dell’ego sono infinite. Quello che consola è che non c’è stato nessun esodo dal Movimento come strillato dai giornalai. Solo qualche vacca che ha sfruttato la scusa del MES per migrare verso la stalla di Salvini.

https://infosannio.wordpress.com/2019/12/12/le-vacche-in-movimento/?fbclid=IwAR2P4u3yucK_FX3mijorwJA5XkYqppm6Nq6vJBNeA6gpXUsCWpWCQF-8LeQ

martedì 1 ottobre 2019

Presto quota 1000 per i voltagabbana di Camera e Senato. - Ilaria Proietti

Presto quota 1000 per i voltagabbana di Camera e Senato

Dai Responsabili di Razzi e Scilipoti agli Italiani Vivi: in tre legislature contati oltre 900 cambi di casacca.

È un fenomeno che pare inarrestabile: in poco più di dieci anni sono stati oltre 900 i cambi di casacca in Parlamento. E la cifra è destinata a salire sfondando agevolmente quota mille. Perché Matteo Renzi conta di poter vampirizzare ulteriormente il Pd a cui ha già sfilato 40 eletti tra cui l’ex capogruppo Rosato, la neo ministra Bellanova, il già tesoriere del Nazareno Francesco Bonifazi. Ma l’emorragia non è finita. L’ultima arrivata è Silvia Vono che si è trasferita nel gruppo Italia Viva dopo aver abbandonato i 5 Stelle che già erano dimagriti a causa delle espulsioni, 13 tra deputati e senatori solo dall’inizio della legislatura. Ma accanto agli epurati ora c’è che si guarda intorno: la Lega cerca di fare proseliti e non solo tra i 5 Stelle. Silvio Berlusconi teme che pezzi da novanta di Forza Italia, con il loro abbandono, diano il colpo di grazia al partito in calo vertiginoso nei sondaggi. Per molti azzurri è appetibile l’approdo nel Carroccio e in Fratelli d’Italia: il coordinatore azzurro dell’Emilia Romagna, Galeazzo Bignami con le Regionali alle porte è passato con FdI.
E che dire di Giovanni Toti? Per ora pochi azzurri lo hanno seguito nella avventura di “Cambiamo” ma la diaspora azzurra è iniziata da tempo, almeno dall’addio di Denis Verdini che qualche hanno fa ha fondato l’Alleanza Liberalpopolare-Autonomie. E da quello di Raffaele Fitto che aveva scommesso sul big bang berlusconiano e si era messo su il partito dei Conservatori & Riformisti. Dilettanti al confronto di Luigi Compagna che in Parlamento ci era entrato una prima volta con il Pli per poi passare all’Udc e via nel Popolo delle Libertà e di lì nella Federazione delle Libertà non prima di un passaggio nel gruppo Misto, in Grandi autonomie e libertà (Gal), in Area popolare, ancora in Gal, poi coi fittiani, al Misto e di nuovo a Gal.
Se Compagna ha fatto scuola pure gli altri ci hanno dato dentro: solo nella XVII legislatura (2013-2018) si è registrato un record di cambi di casacca: 566 che hanno coinvolto ben 347 parlamentari, il 36,53% degli eletti. “Il parlamentare è libero di cambiare partito e anche di votare come vuole, in dissenso dal suo gruppo. Ma, se lascia la maggioranza con cui è stato eletto per passare all’opposizione, o viceversa (caso molto più frequente), subito dopo deve decadere da parlamentare: perché ha tradito i propri elettori e ha stravolto il senso politico della sua elezione” aveva suggerimento Gustavo Zagrebelsky, con una proposta legislativa diversa dal vincolo di mandato, in un’intervista al Fatto. Ovviamente inascoltato.
Perché l’andazzo prosegue da tempo: nella XVI legislatura (2008-2013) le giravolte sono state un po’ meno (261 per 180 parlamentari coinvolti) ma di un certo rilievo: come dimenticare la pattuglia dei “Responsabili” di Razzi e Scilipoti che impallinarono il governo di Romano Prodi favorendo il ritorno di B.? “Io sono un fan, dipendente, anche schiavo, ma sì, mettiamoci pure schiavo di Berlusconi” si giustificò Antonio Razzi nel frattempo rieletto grazie ai voti di Forza Italia.
Ma c’è chi ha fatto di più: 11 parlamentari hanno battuto ogni primato, cambiando maglia sia nella XVI che nella XVII legislatura. Come nel caso di Dorina Bianchi eletta nel 2008 con il Pd poi passata nel Popolo delle Libertà. Una volta ricandidata con Berlusconi lo aveva infine abbandonato per il Nuovo Centro destra di Angelino Alfano. Ma poi nell’elenco c’è pure Linda Lanzillotta che partendo dal Pd dopo un lunghissimo giro era tornata nella XVII legislatura alla casa madre come pure Alessandro Maran.
Ancora: Benedetto Della Vedova. Onora fedelmente il motto caro ai radicali “rendetevi irriconoscibili senza timore di fare scandalo”: ha alle spalle due legislature in cui ha infilato l’elezione con Berlusconi, il passaggio con Futuro e Libertà di Gianfranco Fini per poi aderire al partito di Mario Monti che ha lasciato per il gruppo Misto: ora è deputato di +Europa per il futuro chissà.
Bruno Tabacci era invece stato eletto con l’Udc, con cui si era candidato nella XVI legislatura, per poi fare un percorso che lo ha portato a concludere la legislatura successiva con il Centro democratico: ora è di nuovo in Parlamento con +Europa non immune dal virus della scissione: Tabacci ha annunciato il divorzio da Emma Bonino.
Non gli è da meno Paola Binetti oggi eletta per Forza Italia ma che, andando a ritroso, si era unita a Alfano dopo aver abbandonato Scelta Civica. E prima ancora era passata all’Udc dopo aver salutato il Pd. Scatenando le ire dell’allora Rottamatore dem Matteo Renzi che a un certo punto sbottò contro di lei e gli altri che avevano traslocato: “Se uno smette di credere in un progetto politico, non deve certo essere costretto con la catena a stare in un partito. Ma, quando se ne va, deve fare il favore di lasciare anche il seggiolino”. Appunto.

mercoledì 20 marzo 2019

Sarà per questo che il Franco CFA non può essere neanche nominato? - Thomas Fazi

Sarà per questo che il Franco CFA non può essere neanche nominato?

«Secondo i sostenitori del franco CFA, un regime di cambio fisso permette di importare “credibilità”, di combattere efficacemente l’inflazione, vale a dire un aumento permanente dei prezzi, e di facilitare gli scambi. C’è del vero in questo. Ma i costi economici di un tale sistema sono spesso trascurati. È assodato che un regime di cambio fisso determina tendenzialmente un livello di inflazione poco elevato. Viceversa, un regime di cambio flessibile provoca un po più di inflazione, ma favorisce una maggiore stabilità dell’attività economica: ha una funzione di ammortizzazione che rende possibile reagire agli shock e ridurre significativamente la volatilità (le variazioni) della produzione e dell’occupazione, cosa che invece non consente un regime di cambio fisso18.
Le statistiche dell'FMI sembrano suggerire che un tasso di cambio fisso non sia necessariamente una buona opzione per i paesi africani: dal 2000, i paesi dell’Africa subsahariana che operano in un regime di cambio fisso hanno registrato una crescita economica dall’1 ai 2 punti inferiore rispetto ai paesi con un tasso di cambio flessibile. Questo scarto è dovuto in particolare «alla minore crescita dei paesi membri della zona del franco», afferma il Fondo Monetario
«Se un piccolo paese fissa unilateralmente la propria valuta a un vicino più grande, in realtà sta trasferendo la propria sovranità in termini di politica economica a quel vicino più grande», disse il vincitore del premio Nobel Robert Mundell.
«Questo paese perde la propria sovranità perché non controlla più il proprio destino monetario; il paese più grande, invece, guadagna sovranità perché gestisce un’area valutaria più ampia e guadagna un maggiore “peso” nel sistema monetario internazionale». Nel caso della zona del franco, questa realtà significa che alcuni dei paesi più poveri del mondo, come il Niger e la Repubblica Centrafricana, hanno subìto delle politiche monetarie basate sulle esigenze dell’economia francese prima e della zona euro poi. Significa anche che i quindici paesi membri della zona del franco, presi individualmente, non hanno la possibilità di utilizzare il tasso di cambio per ammortizzare gli shock.
E questo in un continente in cui gli shock – politici (colpi di Stato, guerre, tensioni sociali, ecc.), climatici (variazioni pluviometriche, siccità, inondazioni, ecc.) ed economici (volatilità dei prezzi dei prodotti primari, dei tassi di interesse del debito estero, dei flussi di capitale, ecc.) – sono all’ordine del giorno. Per far fronte a degli shock avversi, dunque, i paesi del franco hanno un’unica soluzione, in assenza di trasferimenti di bilancio: la “svalutazione interna”, cioè un adeguamento dei prezzi interni che passa per riduzione dei redditi da lavoro e della spesa pubblica, l’aumento delle imposte e infine il declino dell’attività economica».

Mi ricorda qualcosa ma non saprei dire cosa.