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giovedì 17 dicembre 2020

Misure per Natale, salta il vertice in serata: manca ancora Italia viva. L’ipotesi è una zona rossa generale solo nei festivi e prefestivi.

 

Prima la riunione con i governatori, poi il vertice tra il premier e i capidelegazione: nel governo restano distanze su quali provvedimenti siano necessari per le festività, in attesa dell'incontro con la delegazione di Italia viva, che ancora non si è tenuto a causa dell'assenza della ministra dell'Agricoltura, impegnata a Bruxelles. I più rigoristi, Pd e LeU, spingono per la zona rossa dal 24 al 6, Conte e Cinquestelle pensano a misure ad hoc per i giorni festivi e prefestivi. A chiedere la stretta ora è anche il Veneto di Zaia, insieme a Lazio, Friuli-Venezia Giulia e Molise.

Una giornata di incontrivertici e tavoli, ma il governo arriva a sera senza una decisione perché la capodelegazione di Italia Viva, Teresa Bellanova, è a Bruxelles per il negoziato sulle etichettature. E quando è rientrata in Italia ha fatto sapere, tramite fonti renziane, che non prenderà parte a nessun vertice e che invece si presenterà all’incontro con il premier Conte nell’ambito della verifica di maggioranza. Un incontro che era in programma nella mattinata di mercoledì 17 dicembre alle 9, ma che secondo quanto riferito da Italia Viva il premier Conte ha deciso di rimandare alle 18 a causa di una serie di impegni istituzionali. Le misure per il Natale rimangono quindi appese agli impegni della ministra dell’Agricoltura e creano non poco nervosismo all’interno della maggioranza, con il sospetto che i renziani vogliano aspettare il confronto con il presidente del Consiglio per la “verifica”. Alla fine, anche il punto finale di Palazzo Chigi tra premier e capidelegazione della maggioranza sulla stretta di Natale è stato rinviato alle prossime ore. Il tempo tuttavia stringe, tanto che fonti di governo spiegano come, a questo punto, sia davvero difficile che le nuove norme possano essere definite prima di 24 ore. In tal senso, restano ancora distanze su quali restrizioni siano necessarie per contenere i contagi da coronavirus. La prima riunione tra il premier Giuseppe Conte e i capi delegazione è cominciata all’ora di pranzo: al tavolo Roberto Speranza (Leu), Dario Franceschini (Pd), Alfonso Bonafede (M5s). Con loro anche il ministro agli Affari regionali Francesco Boccia e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Riccardo Fraccaro.

L’ipotesi festivi e prefestivi – Franceschini, Boccia e Speranza si battono per misure da “zona rossa” continue, mentre è più prudente la linea del premier, sostenuto dal M5s nel volere un intervento più limitato. L’ala rigorista del Pd e il ministro della Salute spingono per una serrata generale dal 24 dicembre al 6 gennaio, ma nel governo esiste un’altra anima – compreso il presidente Conte – che vorrebbe misure più morbide fuori da festivi e prefestivi. E proprio questo potrebbe essere il punto di caduta nel vertice serale: le restrizioni più pesanti coinciderebbero con i week-end e i festivi. In questo modo, di fatto, gli unici giorni non ‘rossi’ sarebbero lunedì 28, martedì 29 e mercoledì 30 dicembre, lunedì 4 e martedì 5 gennaio. In ballo anche come calibrare le riunioni in famiglia per il giorno di Natale. Sul punto la Lega, durante un confronto con Speranza, ha chiesto una deroga proprio per il 25 dicembre. E sullo sfondo, come terza e più remota opzione, resta sempre l’ipotesi di un’Italia tutta arancione dalla vigilia di Natale all’Epifania.

Le Regioni per la zona rossa – Il confronto acceso e l’assenza di Bellanova hanno costretto a un aggiornamento, che era previsto in serata al rientro della ministra dal vertice di Bruxelles, al quale ha voluto presenziare di persona. Un aggiornamento che, stando a quanto riferito da fonti renziane, non ci sarà: la capo delegazione di Iv ha fatto sapere che non sarà presente. Bellanova sarebbe dovuta andare domattina alle 9 a Palazzo Chigi con la delegazione di Italia viva per l’incontro con Conte nell’ambito della verifica di governo, ma il premier in serata ha fatto sapere ai renziani di aver rinviato il vertice alle 18. Al netto delle questioni politiche, ci sono pochi dubbi sul fatto che verranno introdotte misure più restrittive. Tutta la discussione parte dal parere dato martedì dal Comitato tecnico scientifico, che a sua volta si è spaccato sulla possibilità o meno di fornire indicazioni specifiche sulle misure da intraprendere. Dal vertice con le Regioni che si è tenuto in mattinata invece è arrivata la spinta alla linea più dura: il presidente del Veneto Luca Zaia, insieme ai rappresentanti di LazioFriuli-Venezia Giulia Molise, ha chiesto la zona rossa per il Natale. “Nel periodo delle festività servono restrizioni massime, se non le fa il governo le facciamo noi – ha detto Zaia – Se non chiudiamo tutto adesso ci ritroveremo a gennaio a ripartire con un plateau troppo alto“.

Toti non vuole misure nazionali – Diversa la posizione del governatore ligure Giovanni Toti: Non vedo perché imporre alla Liguria una zona rossa per Natale quando i liguri in queste settimane si sono impegnati e sacrificati per far calare la curva del contagio e farci arrivare in piena zona gialla”, ha detto a L’aria che tira su La7. “Ci siamo dati delle regole i primi giorni di dicembre, decidendo di dividere il Paese in zone, e quelle regole hanno funzionato per contenere il covid. Non vedo perché cambiarle ora, alla vigilia delle festività natalizie”, ha commentato Toti. Che però non rappresenta la posizione di tutti i governatori, nemmeno di quelle del centrodestra. Come detto, Regioni come il Veneto e il Lazio, sempre in giallo, durante il vertice con il governo hanno spinto per una stretta.

La mozione sugli spostamenti – Intanto il Senato ha approvato la mozione di maggioranza sugli spostamenti tra i comuni nei giorni delle festività natalizie con 140 sì, 118 no e 5 astenuti. Poco prima, l’Aula aveva respinto la mozione dell’opposizione con 142 voti contrari. Il testo approvato a Palazzo Madama impegna il governo a “valutare il ridimensionamento o l’ampliamento delle misure di restringimento, come in materia di spostamenti tra comuni della stessa provincia o il ricongiungimento con parenti e congiunti stretti, attualmente al vaglio dell’esecutivo, sulla base di solidi dati scientifici e di ulteriori analisi che ne dimostrino l’imprescindibilità, onde bilanciare opportunamente sia i plausibili rischi di una nuova terza ondata pandemica sia le pesanti conseguenze di tali restrizioni sul tessuto socio-produttivo” e “nell’eventualità di nuove restrizioni, a prevedere misure di ristoro economico proporzionate alle perdite di fatturato anche nei confronti di quelle attività a cui inizialmente era stata indicata la via dell’apertura“.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/12/16/le-misure-per-natale-nuovo-vertice-in-serata-manca-ancora-italia-viva-lipotesi-e-una-zona-rossa-generale-solo-nei-festivi-e-prefestivi/6038343/

mercoledì 22 luglio 2020

Coronavirus, indagati i vertici del Policlinico San Matteo di Pavia e di Diasorin per l’accordo sui test sierologici.


Coronavirus, indagati i vertici del Policlinico San Matteo di Pavia e di Diasorin per l’accordo sui test sierologici

Le ipotesi di reato sono turbata libertà del procedimento di scelta del contraente e peculato. Al centro dell'inchiesta c'è l’affidamento diretto alla società piemontese per la sperimentazione dei test iniziata a fine aprile in Lombardia. L'ipotesi è che "tutti i risultati delle attività di ricerca e sperimentazione effettuate dalla Fondazione Irccs San Matteo di Pavia" siano stati "trasferiti" a Diasorin, "favorendola" a discapito di altre potenziali concorrenti. Fra gli indagati il professor Fausto Baldanti, a capo del progetto e già travolto dalle polemiche per un presunto conflitto d'interesse svelato dal Fatto.

I vertici del Policlinico San Matteo di Pavia e della società Diasorin sono indagati dalla Procura della Repubblica di Pavia nell’ambito dell’inchiesta sull’accordo tra l’ospedale e la società piemontese per l’effettuazione dei test sierologici anti-Covid. A darne notizia è stata poco fa la stessa Procura con un comunicato stampa. Le ipotesi di reato sono turbata libertà del procedimento di scelta del contraente e peculato. Fra gli indagati compaiono il presidente della Fondazione Ircss San Matteo Alessandro Venturi, il direttore generale e il direttore scientifico, oltre al Responsabile del laboratorio di virologia molecolare Fausto Baldanti e all’ad di Diasorin Carlo Rosa. All’alba sono scattate anche le perquisizioni da parte del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Pavia. I militari stanno sequestrando documentazione e apparati informatici presso gli uffici e i laboratori dei due istituti, mentre sono già iniziate davanti ai pm le audizioni dei ricercatori coinvolti nel progetto.
Al centro delle indagini, coordinate dal procuratore aggiunto Mario Venditti e dal pm Paolo Mazza, c’è l’affidamento diretto alla Diasorin per la sperimentazione dei test di massa iniziata a fine aprile in Lombardia. L’ipotesi è che “tutti i risultati delle attività di ricerca e sperimentazione effettuate dalla Fondazione Irccs San Matteo di Pavia” siano stati “trasferiti” all’azienda piemontese, fanno sapere dalla Procura, “favorendola” a discapito di altre potenziali concorrenti nel settore dei test sierologici per la diagnosi di infezione da Covid-19. L’annuncio del test innovativo aveva pure fatto schizzare alle stelle il titolo Diasorin in borsa. Tutto è partito dalla denuncia presentata da una società concorrente che si è opposta all’accordo stipulato tra i due istituti senza gara. Ulteriori accertamenti sono in corso per chiarire i rapporti economico-commerciali esistenti tra l’azienda di biotecnologie, Fondazione Istituto Insubrico di Ricerca per la Vita e la società Servire Srl, tutte operanti presso l’Insubrias Biopark di Gerenzano, in provincia di Varese.
La vicenda aveva creato polemiche anche per il ruolo del professor Fausto Baldanti, a capo del team del Policlinico che ha realizzato il progetto insieme a Diasorin e attualmente iscritto nel registro degli indagati. Come rivelato da Il Fatto Quotidiano, Baldanti sarebbe stato esposto a un potenziale conflitto d’interesse: il professore faceva parte del gruppo di lavoro del Comitato tecnico scientifico del Consiglio superiore della Sanità e di un organismo di lavoro messo in piedi dalla Regione Lombardia, incaricati di studiare la qualità dei test di tutte le aziende. Nonostante questo, l’accordo con Diasorin prevedeva royalties dell’1 per cento sulle future vendite dei kit da destinare al Policlinico. Un particolare che, stando alle inchieste giornalistiche, non era stato reso noto dal docente.
Dopo l’inchiesta del Fatto, il professor Baldanti ha rivendicato la correttezza del proprio operato ma ha preferito dimettersi dai gruppi di lavoro. I legali di TechnoGeneticsla società concorrente alla Diasorin che ha presentato un ricorso al Tar, hanno definito l’accordo “un del tutto inedito partenariato pubblico-privato” accusato di aver messo le conoscenze e il know-how di un’amministrazione pubblica scientifico-ospedaliera a servizio degli interessi di un soggetto privato, la spa piemontese. Che grazie a questo – è la loro tesi – otterrà il brevetto e la possibilità di commercializzare i kit. Secondo gli avvocati di TechnoGenetics, Francesco Abiosi e Ludovico Bruno, l’azienda pubblica, per mettersi al servizio di un privato, avrebbe dovuto individuarlo attraverso un bando. Per il Tar deve essere così, mentre il Consiglio di Stato pochi giorni fa ha ribaltato la decisione trasmettendo gli atti alla Corte dei conti. Una diatriba amministrativa che, apprende l’Ansa da ambienti della procura di Pavia, è avvenuta dopo l’inizio delle indagini da parte dei magistrati.
“Io ribadisco la correttezza dell’operato del Policlinico San Matteo, come chiarito anche dal Consiglio di Stato, e ho piena fiducia nella magistratura inquirente”, ha dichiarato all’Adnkronos il presidente dell’Irccs Venturi, anche lui indagato. Quello che c’è dietro l’accordo Diasorin-San Matteo sui test sierologici “è una cosa di una banalità estrema”, aggiunge. Un’azienda che ha inventato il suo dispositivo viene a validarlo nel nostro Irccs. Ma il dispositivo è di quell’azienda, non posso metterlo a gara. Siamo noi che siamo stati contattati dall’azienda. Diasorin ha scelto il San Matteo, non abbiamo scelto noi Diasorin”.
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giovedì 11 giugno 2020

Saltato il dg Luigi Cajazzo, ora Gallera è accerchiato. - Gianni Barbacetto

Saltato il dg Luigi Cajazzo, ora Gallera è accerchiato

Le dimissioni dell’assessore Giulio Gallera aleggiano da giorni sul Pirellone. Sono il sale e il fiele del dibattito politico in Regione Lombardia. Tutti ne parlano, nessuno vuole e può farle scattare. Alla Lega non dispiacerebbero, ma sarebbero il segnale contrario del “rifaremmo tutto, non abbiamo sbagliato niente” che tutti ripetono, ai piani alti di Palazzo Lombardia.
Così la zarina della Regione, Giulia Martinelli, capo segreteria del presidente Attilio Fontana (nonché ex moglie di Matteo Salvini), da sempre in conflitto con Gallera, ha trovato la soluzione: ci teniamo l’assessore, via il direttore generale. Per ora: poi si vedrà. Così è saltato Luigi Cajazzo, il capo dei tecnici della sanità lombarda, che fino a ieri declamava: “Noi abbiamo svolto un lavoro tecnico che difendo e di cui sono assolutamente orgoglioso”.
Saltato. Saltato verso l’alto, però, promosso a un posto formalmente più prestigioso (e meglio pagato): vicesegretario generale della Regione, e per di più “con delega all’integrazione sociosanitaria”, cioè con l’incarico di preparare la riforma del sistema sanità che ha fatto della regione più ricca d’Europa anche quella con più morti e contagiati dal virus. Sì, saltato verso l’alto: anche perché farlo saltare verso il basso non sarebbe stata una buona idea per i vertici politici regionali, visto che Cajazzo dovrà passare le prossime settimane a girare le Procure della Lombardia, per rispondere alle tante domande dei pm sulla gestione dell’emergenza Covid. Per Fontana e Gallera è meglio avere un Cajazzo promosso, piuttosto che rimosso. Ed è meglio averlo non troppo arrabbiato con i politici che hanno scaricato su di lui, tecnico, i cortocircuiti del coronavirus. È stato il fusibile che è saltato.
Sostituito con un altro tecnico che è un grande ritorno al passato. Cajazzo era un poliziotto, non un manager sanitario. Più bravo a inviare email paracadute in vista di future contestazioni, che non a dirigere concretamente la sanità. Che in parte è stata gestita dai politici, Fontana, Gallera e anche Davide Caparini, il leghista assessore al Bilancio che tiene i cordoni della borsa e fa fronte d’acciaio con la zarina Martinelli. In parte è andata per conto suo, gestita dal vento feroce che soffiava a febbraio su Alzano Lombardo, su Nembro, sulle residenze per anziani, sull’ospedale in Fiera da costruire, sui test sierologici da cercare, sulle mascherine da distribuire, sui camici da reperire.
Il nuovo direttore generale invece è un vecchio volpone della sanità. Marco Trivelli ha fatto il manager all’ospedale Niguarda di Milano, al Sacco, agli Spedali civili di Brescia. Cinquantasei anni, bocconiano, viene dal mondo di Comunione e liberazione, era tra gli uomini-sanità di Roberto Formigoni, ai tempi del suo celeste impero. Se oggi arriva a Palazzo Lombardia con la missione di far dimenticare la gestione dell’emergenza più disastrosa d’Europa è segno che, da una parte, la sua competenza manageriale è sopravvissuta al naufragio del Celeste; dall’altra, che né la Lega di Martinelli-Caparini, né la Forza Italia “laica” di Gallera e soci hanno uomini da mettere nei posti più delicati. C’è già profumo di Cl ai vertici di aziende regionali importanti come Aler e Trenord, ora anche in quello della sanità. Le opposizioni intanto scalpitano. Il Pd, con Pietro Bussolati, apprezza che almeno una testa sia saltata, seppur come “capro espiatorio tecnico di responsabilità che sono politiche”. I Cinquestelle sottolineano il ritorno al passato: “Si scrive Trivelli si legge Formigoni”, dice Gregorio Mammì, consigliere regionale M5s. “La sanità lombarda va riformata cancellando la riforma di Roberto Maroni, togliendo le mani dei partiti dalle nomine, garantendo più risorse alla sanità pubblica e al sistema territoriale”.