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mercoledì 17 giugno 2020

Oggi le coliche. - Marco Travaglio


Fermo restando che certe cartacce buone per avvolgere il pesce, comunemente definite “quotidiani”, sono un po’ meno attendibili di Tiramolla, fa sempre un certo effetto constatare come chiunque sia libero di diffondere fake news a profusione nella beata indifferenza del cosiddetto Ordine dei giornalisti. L’altra sera, in una rassegna stampa, ho visto campeggiare su due cosiddette testate nazionali il mio nome cubitale con gigantografia, manco avessi sterminato un esercito. Ma ho dovuto attendere l’indomani per scoprire che avessi fatto di tanto grave per meritarmi cotanto rilievo: si trattava nientemeno che del finanziamento bancario di 2,5 milioni chiesto dalla nostra società Seif a Unicredit e ottenuto perché, con questi chiari di luna, c’è il rischio che chi ci deve dei soldi (distributori, edicole, concessionarie e investitori pubblicitari ecc.) ritardi i pagamenti e interrompa i flussi di cassa, fondamentali per un giornale che vive delle copie vendute. Un prestito puramente precauzionale per investimenti in immobilizzazioni, cui speriamo di non dover mai attingere, visto che le nostre vendite sono in aumento. Un prestito che la legge 662 del ’96 (24 anni fa, 13 anni prima che nascessimo) ha stabilito fosse garantito dal Medio Credito Centrale, se destinato a investimenti.
Sapete come ha titolato Libero, giornale di proprietà degli Angelucci che tutti noi paghiamo da 20 anni a botte di decine di milioni? “Sia benvenuto Travaglio tra gli assistiti di Stato. Pecunia non olet”. Firmato: Renato Farina che, non contento di prendere lo stipendio da noi, si faceva pure pagare il dopolavoro come “agente Betulla” nel Sismi di Pollari&Pompa. E non osiamo immaginare quali informazioni passasse, visto che non distingue un elefante da un paracarro: infatti s’è inventato un “aiuto di Stato” al Fatto, che si sarebbe “infilato fra i bisognosi strozzati dal Covid-19”, “ha approfittato del decreto sul Covid” e ora “infila la mano nelle tasche di Pantalone”. Per non essere da meno, quell’altra parodia di giornale visibile solo in tv, il Riformista dell’imputato Romeo e dell’impunito Sansonetti, ha titolato a tutta prima: “Regime: dal governo 2,5 milioni al ‘Fatto’ di Travaglio”. E giù scemenze e falsità sul finanziamento “garantito dal governo Conte… utilizzando uno degli ultimi decreti del governo, quelli che hanno come scopo il salvataggio delle nostre imprese colpite dal virus” perché “il Fatto, probabilmente potendo contare su una certa simpatia a Palazzo Chigi, è riuscito a intrufolarsi e a mettere in tasca i soldi”, dopo la nota “conquista della presidenza dell’Eni” e sempre in attesa di invadere la Polonia.
Intanto, sul web, altri noti peracottari come Nicola Porro, Littorio Feltri, Giuseppe Sottile e la fidanzata di un nostro ex passato a De Benedetti, nonché Lucia Annunziata su Rai3, il Giornale e il solito Dagospia, ripetevano la fake news confondendo una legge del ’96 col recente dl Liquidità e un normale finanziamento bancario (ricevuto in 24 anni da chissà quante centinaia di migliaia di aziende) con un aiuto di Stato, anzi del governo Conte: chi sproloquiando contro le nostre campagne su Radio Radicale (che non chiede prestiti alle banche: vive di soldi pubblici), chi azzardando paragoni con Fca (che, diversamente da noi, ha sede all’estero ma prende prestiti garantiti dallo Stato italiano, essa sì per il decreto Conte, dopo aver poppato fiumi di miliardi dalla pubblica mammella). Così la panzana ha fatto il giro delle fogne del web e l’unico quotidiano che non ha mai preso un euro dallo Stato è diventato un giornale finanziato dallo Stato. Anzi da Conte. Con questi signori ci vedremo in tribunale. Ma è stupefacente come neppure le precisazioni della nostra Ad Cinzia Monteverdi abbiano sortito rettifiche. Buon segno, comunque: i nostri record di crescita devono avere provocato coliche renali a parecchia gente.
A proposito di fake news. Si spera che una seria indagine accerti se il dossier pubblicato dal giornale della destra spagnola Abc sulla valigetta con 3,5 milioni di euro recapitata dal venezuelano Maduro a Casaleggio sr. nel 2010, otto mesi dopo la nascita dei 5 Stelle, sia autentico o – come fanno supporre alcuni errori marchiani – una patacca. Ma è interessante l’uso che ne han fatto i giornaloni e i loro siti (quelli sempre a caccia di fake news altrui). Tutti uniti su questa linea: forse il documento è falso, ma le simpatie del M5S per Caracas sono vere, dunque lo scandalo c’è comunque. Ora, è un po’ di tempo che il Venezuela elegge i suoi presidenti – prima il discutibile Chávez, poi il pessimo Maduro – senza chiedere il permesso agli Usa e ai loro leccapiedi sparsi per il mondo. Così due anni fa gli americani, non contenti dell’embargo che affama il Paese, patrocinarono il golpe del presidente dell’Assemblea nazionale Guaidó, poi fallito nel ridicolo. E tutti s’affrettarono a riconoscere il golpista contro il presidente legittimo, tranne il governo Conte (rimasto neutrale, grazie al M5S, ma sollecitando libere elezioni sotto controllo internazionale), quelli di Grecia, 
Bulgaria, Romania, Slovacchia, Irlanda, il Vaticano e, all’Europarlamento, M5S, sinistra Gue e Verdi. Nell’Italia alla rovescia dei nemici delle fake news che sparano fake news, mancava la comica (anzi la colica) finale: i tifosi del golpista che danno lezioni di democrazia a chi chiede libere elezioni.

domenica 24 maggio 2020

Strategia o malattia mentale? - Massimo Erbetti

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Austria, Svezia, Paesi Bassi, Danimarca, fanno una contro proposta al piano che prevede 500 miliardi a fondo perduto proposto da Germania e Francia. Il piano si concentra su diversi punti cruciali, tutti mirati a trasformare il fondo in un prestito:
- rifiuto della della messa in comune del debito,
- niente sussidi a fondo perduto,
- nessun aumento significativo del bilancio Ue 2021-2027,
- creazione di un fondo- prestiti limitato nel tempo, che durerà massimo due anni e che presenterà una clausola per la sua disattivazione,
- vincolo del prestito a riforme, criteri di condizionalità e discipline del bilancio.
Praticamente questi quattro paesi ci dicono che dobbiamo sbrigarcela da soli, come se il Covid-19 fosse un problema solo nostro, come se fossimo colpevoli di quanto accaduto.
Un'Europa così non ha senso, un'Europa dove ogni stato pensa al proprio orticello, non può funzionare. Nessuno, ma proprio nessuno può farcela da solo, è impossibile. E questo lo ha capito anche la Germania, infatti nell'ultimo rapporto stilato da quel paese si nota una totale inversione di tendenza rispetto alle politiche economiche della BCE.
La cosa strana di tutta questa storia è che quegli stati che non vogliono un'Europa solidale, sono guidati da partiti alleati dei sovranisti di casa nostra. Mi domando come possano Salvini e Meloni, sedere al fianco di chi vuole lasciarci soli, se veramente volessero il bene degli italiani, non dovrebbero combatterli invece di unirsi a loro? Come mai da una parte Salvini dice che 500 miliardi a fondo perduto sono pochi e dall'altra se la fa con chi non vuole darci neanche quelli? Non vi viene in mente che tutto questo non quadra?
Quale strategia si cela dietro tutto questo? Perché una strategia deve pur esserci, altrimenti ci sarebbe un problema psichico.


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lunedì 6 marzo 2017

Bancarotta Chil Post, “padre di Luca Lotti firmò l’ok al mutuo per Tiziano Renzi”. Nei giorni in cui Matteo fu eletto sindaco.

Bancarotta Chil Post, “padre di Luca Lotti firmò l’ok al mutuo per Tiziano Renzi”. Nei giorni in cui Matteo fu eletto sindaco

Secondo il quotidiano Libero, il 26 giugno 2009, 4 giorni dopo la vittoria dell'allora "rottamatore" alle elezioni comunali a Firenze, il funzionario della Bcc di Pontassieve Marco Lotti dava il primo parere favorevole alla concessione di un prestito da 697 mila euro alla società del papà del presidente del Consiglio. Che da primo cittadino assunse Luca e la moglie Cristina nella sua segreteria.

di  | 17 settembre 2015

Ventidue giugno 2009. Matteo Renzi diventa sindaco di Firenze. Nelle stesse ore la Bcc di Pontassieve, città dove vive la famiglia del presidente del Consiglio, concede al suo papà Tiziano un mutuo da 697mila euro. A firmare le carte è il funzionario della banca Marco Lotti, papà di Luca – oggi sottosegretario alla presidenza del Consiglio e braccio destro del premier – che poco dopo sarebbe diventato responsabile della segreteria del neo sindaco. Che avrebbe poi assunto nella sua segreteria anche Cristina Mordini, che di Luca Lotti è la moglie. 
E’ la ricostruzione fatta dal quotidiano Libero dei giorni in cui alla Chil Post, società del padre del premier, veniva concesso il prestito: oggi a Genova davanti al gip Roberta Bossi si teneva l’udienza preliminare per sciogliere la riserva sulla posizione di Tiziano Renzi, nelle vicende della società è indagato per bancarotta fraudolenta. Il 9 giugno il gip non aveva accolto la richiesta della Procura, che a fine marzo aveva chiesto che il padre del premier fosse scagionato.

Una storia di paese risalente al 2009, che con la veloce ascesa politica di Matteo Renzi assume rilievo nazionale. Tutto ruota attorno ad un muto concesso quell’anno alla Chil Post, fondata nel 1993 per la distribuzione di giornali e la realizzazione di campagne pubblicitarie e ceduta nel 2010 dalla famiglia del premier, da parte della Banca di credito cooperativo di Pontassieve. 

Dalle carte sul procedimento sul fallimento che Libero dice di aver letto, emerge il nome di Marco Lotti, ascoltato dalla procura di Genova come persona informata dei fatti. Ad attirare l’attenzione degli inquirenti è il ruolo avuto dall’uomo nella concessione del mutuo da quasi 700mila euro. Tutto ha inizio il 15 giugno 2009, quando la finanziaria regionale, la Fidi Toscana, firma la delibera con cui garantisce la copertura dell’80% del prestito. Una settimana dopo, il 22 giugno, Matteo Renzi vince le elezioni e diventa primo cittadino di Firenze: quel giorno la banca di Pontassieve apre l’istruttoria per l’anticipo di 697mila euro alla Chil.

Giusto 4 giorni più tardi, il 26 giugno, scrive ancora Libero, e Lotti senior dà il primo via libera: “Potremmo diventare la banca di riferimento del richiedente”, scrive il funzionario nel suo report vergato e firmato quel giorno. Tutto ciò accadeva “nel giugno del 2009, negli stessi giorni in cui il figlio Luca diventava il capo della segreteria politica di Matteo Renzi appena eletto sindaco di Firenze”, si legge in una nota firmata dal capogruppo di Fratelli d’Italia in Regione Toscana Giovanni Donzelli e diramata in seguito alle notizie pubblicate da Libero. Il 14 luglio Lotti scrive un secondo parere favorevole e il 22 arriva la delibera della banca per la concessione del muto e degli anticipi di cassa. Una manciata di giorni prima la segreteria del sindaco Renzi si era arricchita di un’altra professionalità: quella di Cristina Mordini, moglie di Luca Lotti.

Il paese è piccolo, ci si conosce tutti e quando si può ci si aiuta. Così, scrive ancora Libero, quando nel 2011 Tiziano Renzi ottiene di rimpiazzare l’ipoteca sulla casa di famiglia, tre amici dicono sì a versare 75mila euro in un libretto di pegno come garanzia: sono Alfio Bencini, candidato nel 2009 nella lista Renzi alle comunali, Mario Renzi, cugino di Matteo, e Andrea Bacci, ex socio di Tiziano e chiamato da Matteo nel 2006 a dirigere l’agenzia di comunicazione della provincia di Firenze e promosso nel 2009 presidente della Silfi, società comunale che si occupa di illuminazione. Nonché l’uomo che nel 2004 con la sua impresa edile ristruttura la villa del futuro sindaco a Pontassieve.

Aggiornamento dell’1 agosto 2016 – In data 30 luglio 2016 l’inchiesta per bancarotta a carico di Tiziano Renzi, nell’ambito del fallimento della Chil Post, è stata archiviata. Nelle motivazioni del gip del tribunale di Genova Roberta Bossi si legge che Renzi padre “non operò come socio occulto dopo la cessione del ramo d’azienda della Chil Post”. La bancarotta “fu determinata da altri” e “la cessione del ramo d’azienda non ha determinato la diminuzione del patrimonio ai danni dei creditori”.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/09/17/bancarotta-chil-post-padre-di-luca-lotti-firmo-lok-al-mutuo-per-tiziano-renzi-nel-giorno-in-cui-matteo-fu-eletto-sindaco/2044580/