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martedì 7 settembre 2021

Casa, acquirenti giovani e prezzi stabili. Ecco dove si risparmia. - Laura Cavestri

 

Nella prima parte del 2021 si conferma la preferenza degli investitori per il bilocale (39,9%) a seguire il trilocale (31 per cento).

Gli investitori restano, comunque, prudenti in questo momento, anche se il mattone attira ancora.

Le compravendite per investimento nel I semestre del 2021 hanno rappresentato il 16,3% del totale delle transazioni effettuate dalla rete del gruppo Tecnocasa. Tra queste Bologna e Palermo sono le uniche due che hanno registrato, rispetto a un anno fa, un aumento della percentuale per investimento, rispettivamente, del 30,5 e del 31 (nel 2020 era del 26,2% e 30,6 per cento) . Nelle altre realtà se ne segnala, invece, una contrazione, soprattutto a Verona (passata da 28,1% a 23,2%) e a Bari (da 30% a 25 per cento).

La mappa dei prezzi.

I prezzi, naturalmente, sono enormemente diversificati in base alla città, alla zona di riferimento e alla tipologia di appartamento.

Secondo un’elaborazione di Tecnocasa, sui prezzi al metro quadrato, tra centro, semicentro e periferia in una decina di capoluoghi che sono anche sedi universitarie, tra i monolocali, i più convenienti si trovano alle periferie di Lecce (1000-1400 euro al mq), Perugia (1100-1750 euro al mq) e Trieste (1300-1600 euro al mq circa). I più cari sono in centro a Milano, in un range al mq che va dagli 8500 a sfiorare i 10mila euro. Poco sotto, Roma.

Su fronte di bilo e trilocali, il minimo, alla periferia di Perugia, può essere sotto i 1000 euro al mq, mentre a Milano si parte da 2800-3mila euro al mq a salire.

Sulle aree centrali, spicca Milano (il minimo per un trilocale è di 6500 euro al mq), seguita da Roma (sopra i 5mila euro al mq per 3 vani) e Bologna (a 3500 euro al mq di base, in centro). Le più “abbordabili”, Genova, Lecce. Trieste, Bari e Perugia.

Congiuntura favorevole

Del resto, il mix di bonus fiscali - dal risparmio energetico all’arredo - e le condizioni di estremo vantaggio per accedere a mutui, si coniugano con un prezzo delle case usate in Italia, che - secondo l’ultimo indice dei prezzi immobiliari di Idealista - ha registrato un calo dello 0,4% ad agosto, attestandosi a 1.718 euro/mq.

Chi compra cosa compra?

Cosa si compra? Nella prima parte del 2021 si conferma la preferenza degli investitori per il bilocale (39,9%) a seguire il trilocale (31 per cento). Gli acquirenti sono soprattutto coppie (46,3%), dato in aumento rispetto ad un anno fa (43,6%) così come si segnala un leggero aumento tra i single (da 24,8% a 26,9%)

Infine, fa notare ancora Tecnocasa, aumentano gli acquisti per investimento nella fascia più giovane, tra 18 e 34 anni, con un interesse proprio nei giovani intorno ai 30-34 anni che hanno una situazione economica stabile e già in possesso della prima casa. Ma non di rado, dietro, ci sono i genitori, che intestano ai figli appartamenti non solo come prima abitazione, ma anche acquisti a scopo di investimento a sostegno dei reddito dei giovani.

Illustrazione di Giorgio De Marinis

IlSole24Ore

martedì 31 agosto 2021

Tensione sui prezzi: sarà inflazione? Il rebus d'autunno in sei grandi indizi. - Michela Finizio

 

La bolletta del gas è salita del 15,3%, quella dell’elettricità del 9,9%. Il petrolio ha raggiunto i 71 dollari al barile, la benzina 1,65 euro al litro. Alle stelle grano (+32%) e caffè (+49%), allarme sui chip. Ma le fiammate potrebbero essere transitorie. 

Prodotti e servizi travolti dalle recenti fiammate inflazionistiche: i rincari, già rilevati dagli osservatori o previsti per il prossimo autunno, sfiorano diversi comparti. Aumentano le bollette di gas e luce, rispettivamente del +15,3% e del 9,9% per una famiglia tipo in regime di tutela nel terzo trimestre 2021. Così come tutti gli altri beni energetici, trainati dal prezzo del petrolio che la scorsa settimana ha superato i 71 dollari al barile (+56,7% su base annua). Tanto che il pieno di benzina è salito del 18% rispetto all’estate scorsa.

Anche l’agroalimentare affronta le ricadute del boom delle materie prime. Le quotazioni del grano hanno raggiunto i 245 euro per tonnellata (+32%) ed è solo un questione di tempo prima che le quotazioni dell’arabica (184 centesimi di dollari per libbra, ai massimi dal 2014) impattino sul prezzo della tazzina di caffè.

Ma quali sono le variabili che influenzeranno i rialzi dei prezzi al consumo nei prossimi mesi? Si possono riassumere in sei punti i fattori che animeranno la rinegoziazione dei listini, tra tensioni salariali e costi di produzione in molti casi lievitati. Un trend che preoccupa ma che «potrebbe rivelarsi transitorio», ha affermato venerdì scorso il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, nel suo video-discorso al simposio di banchieri di Jackson Hole, negli Usa.

1) IL PESO DELL’ENERGIA.

Il rimbalzo rispetto ai mesi di lockdown.

I recenti rialzi dei prezzi potrebbero non rappresentare le premesse di un ingresso in un ciclo inflazionistico. È possibile che le impennate registrate negli Usa e in Europa abbiano carattere transitorio, legato a più fattori concomitanti. Il primo è un effetto statistico: i tassi d’inflazione recenti sono calcolati confrontando i livelli dei prezzi attuali con quelli dei mesi immediatamente successivi al lockdown, che in diversi casi registravano contrazioni anomale. Un fenomeno molto marcato ad esempio sul petrolio e sui prodotti energetici, dove i rincari di oggi in parte recuperano le precedenti riduzioni.

«L’inflazione italiana registrata a luglio 2021 (+1,9% su base annua, ndr) è comunque più contenuta del +5,4% degli Stati Uniti - spiega Fedele De Novellis, economista di Ref Ricerche - Il nostro dato per ora è soprattutto legato al rincaro dei beni energetici e della benzina, e per gran parte deriva dall’incremento del prezzo del petrolio. Queste voci erano crollate in modo consistente durante il picco dell’emergenza sanitaria».

Basta fare un esempio con i dati dell’osservatorio del ministero dello Sviluppo economico sul prezzo dei carburanti: la benzina, che a luglio 2019 costava 1,594 euro al litro, l’estate scorsa era scesa a 1,403 euro come conseguenza diretta del recente blocco degli spostamenti, mentre a luglio di quest’anno è risalita a 1,650 euro al litro.

2) CATENA DELLE FORNITURE.

Materie prime e cicli industriali interrotti.

Il mercato delle materie prime, sia industriali che agricole, sembra aver accusato il colpo. Il boom dei costi di alcune importazioni è strettamente correlato alle scorte erose durante il precedente periodo di crollo dei consumi e al successivo rapido recupero della domanda per la ripresa dell’industria mondiale. Gli stop and go imposti per contenere i contagi hanno stravolto alcune filiere. «Le condizioni di diversi settori sono variate in base alle disposizioni normative spesso in modo repentino, determinando sforzi organizzativi importanti con inevitabili riflessi sui rifornimenti e sui costi di produzione», spiega De Novellis. Era dunque prevedibile che oggi, di fronte alla ripresa economica e ai piani di investimento volti a far ripartire la produzione, si generassero pressioni sui prezzi. «Fa impressione guardare le variazioni - aggiunge l’economista di Ref Ricerche - ma in realtà le regole del gioco non sono cambiate. Per questo l’inflazione potrebbe essere solo un fenomeno transitorio. La sfuriata sembra già che stia rientrando».

Ad esempio i prezzi del legname, dopo essere triplicati, nelle ultime settimane sono crollati. Anche l’acciaio, dopo il picco, ha iniziato a scendere. «Certamente potremo assistere anche ad altre sorprese, ma le ricadute sui prezzi freneranno una volta che i cicli industriali si saranno assestati. E addirittura alcuni prezzi potrebbero mostrare delle riduzioni», dice il responsabile dei report congiunturali di Ref Ricerche. Tra le altre materie prime sotto i riflettori c’è anche il rame (+43% su base annua), l’alluminio (+47%), ma anche alcuni prodotti agricoli che potrebbero avere riflessi diretti sul carrello della spesa, come il grano, la soia (le cui quotazioni però iniziano a ridimensionarsi), mentre il caffè ha toccato i 184 centesimi di dollari per libra con un incremento del 49% rispetto ad agosto dello scorso anno.

3) COLLO DI BOTTIGLIA.

La logistica chiede il conto dopo gli sforzi.

Va monitorata, inoltre, la ricaduta sui prezzi finali al consumatore del caro della logistica: i noli marittimi per i carichi alla rinfusa sono ai massimi da undici anni (il Baltic Dry Index è oltre 4mila punti) e quelli per i container sono decuplicati rispetto all’anno scorso sulle principali rotte dall’Asia (per spedire un container da 40 piedi dalla Cina all’Europa oggi si spendono più di 14mila dollari). Anche in questo caso il recupero della domanda, insieme al disallineamento geografico tra domanda e disponibilità di container e di navi cargo, hanno generato un collo di bottiglia.

L’offerta inadeguata ha fatto schizzare i prezzi alle stelle e, in questo caso, si rischiano ritardi nei rifornimenti. Una congestione che, se non verrà presto riassorbita, potrebbe minacciare il ritorno alla normalità di alcuni cicli produttivi e di conseguenza l’alleggerimento delle pressioni sui prezzi.

4) TENSIONI SALARIALI.

La grande riallocazione della manodopera.

Il potere d’acquisto dei consumatori è strettamente connesso alle dinamiche del mercato del lavoro e le tensioni salariali si riflettono sui cicli produttivi. «Negli Usa - racconta De Novellis - sono emersi problemi di reperimento di manodopera in alcuni settori, soprattutto nella ristorazione dove molti licenziati avevano trovato posto nella logistica o nei trasporti (dove i salari sono più alti). In Italia le aziende turistiche in alcuni casi hanno faticato a trovare stagionali. Interi comparti potrebbero risentire di questa scarsità di manodopera: non si trovano informatici, così come autisti per guidare i camion».

Siamo,in una fase di riallocazione e riorganizzazione della forza lavoro per cui potrebbero esserci tensioni sui costi. «Non è una situazione da boom economico: non assisteremo ad aumenti generalizzati sui salari, ma piuttosto a incrementi retributivi su alcune professionalità specifiche», conclude.

5) I NUOVI TREND.

La domanda cambia e si adatta al post Covid.

Alcuni cambiamenti della domanda cui stiamo assistendo sono strutturali. La pandemia ha ribaltato e rimescolato le priorità e le scelte dei consumatori. Lo dimostra la corsa ai personal computer e il boom dell’informatica sulla spinta della digitalizzazione imposta dal Covid in tutti i comparti e tra le mura domestiche. La filiera ha faticato a star dietro alla domanda e la crisi dei microchip che oggi si registra sui mercati internazionali ne è un risultato: i componenti introvabili bloccano i cicli produttivi e questo si riflette, inevitabilmente, sui prezzi. Dall’altra parte c’è la crisi dell’abbigliamento e delle calzature che soffre per una domanda che si è quasi azzerata durante le chiusure.

Se la digitalizzazione appare un processo irreversibile, alcuni di questi cambiamenti potrebbero essere però transitori. Come ad esempio il boom dei prezzi delle auto usate che si è registrato negli Stati Uniti dopo le riaperture, sostenuti da gruppi di consumatori che si riversavano sull’automotive per paura di usare i mezzi di trasporto pubblico. «Una volta contenuto il fenomeno - spiega De Novellis - la domanda si raffredderà nuovamente e i prezzi si normalizzeranno».

6) LA SPINTA AI CONSUMI.

I rischi di politiche di sostegno eccessive.

Alcuni mesi fa, all’interno del dibattito sulla manovra di bilancio voluta dal presidente Usa Joe Biden, alcuni economisti sollevarono l’obiezione che l’entità dell’espansione fiscale programmata per quest’anno fosse eccessiva, tanto da rischiare un rialzo sull’inflazione. Secondo i sostenitori della tesi “inflazionista”, in estrema sintesi, un impulso fiscale di dimensioni così rilevanti, sovrapponendosi all’effetto positivo sui consumi legato alla rimozione delle misure di distanziamento, produce un incremento della domanda tale da superare il livello del Pil potenziale, generando così spinte sui prezzi. «Tuttavia - spiega il ricercatore di Ref - la relazione fra impulso fiscale e consumi non si esplica in genere con immediatezza, ma tende a materializzarsi gradualmente. Tanto più se si considera che molte delle risorse stanziate spesso sono circoscritte nel tempo, valgono per l’anno in corso».

È cruciale capire come nei prossimi mesi, in base all’evoluzione dell’emergenza sanitaria, i governi, anche quello italiano, intenderanno ridurre i sostegni all’economia.

Illustrazione di Laura Cattaneo/Il Sole 24 Ore

IlSole24Ore

domenica 11 ottobre 2020

L’Aifa boccia i vaccini cinesi, la Lombardia butta altri milioni. - Andrea Sparaciari

 

Gare aggiudicate a prezzi stratoferici a società non in regola con Aifa e Anac. Un milione e mezzo di persone che rimarrà senza vaccino. In Lombardia la situazione precipita per l’ormai stato confusionale dei vertici regionali.

L’ultima tegola su Attilio Fontana e Giulio Gallera è caduta ieri, con la scoperta che la società cinese LifeOn – vincitrice il 6 ottobre scorso dell’ultimo affidamento per la fornitura di 100 mila dosi di vaccino antinfluenzale “Split Virion” – è priva della certificazione Aifa. Certificazione che certamente non avrà, come ha fatto sapere ieri in tarda serata la stessa Agenzia italiana del farmaco.

Una scorta che il Pirellone a trazione leghista aveva pagato 11,90 euro a dose, per un conto totale di 1.199.000 euro (oltretutto da un’azienda cinese, proprio quando a Roma, Matteo Salvini tuonava contro il commissario Arcuri per gli acquisti in terra cinese). Un prezzo alto, ma non quanto il vaccino proposto dall’altra vincitrice della stessa gara, la svizzera Falkem Swiss, che dovrebbe fornire 400 mila dosi di vaccino antinfluenzale quadrivalente a 26 euro la dose, per un totale di 10.400.000 euro. Un costo totalmente fuori mercato, visto che in media quel vaccino costa tra i 4,60 e i 6 euro, iva inclusa. Dovrebbe fornire, dicevamo, perché neanche la Falkem Swiss ha tutte le carte in regola, priva della necessaria registrazione Anac.

Aria, la centrale degli acquisti della Regione, ieri è stata costretta ad ammettere che “non verrà acquisito, e quindi distribuito, alcun vaccino che non abbia ottenuto le autorizzazioni previste dalla legge”. Anche perché quella gara, indetta in fretta e furia il 30 settembre, partita il 1° ottobre senza però apparire sul sito di Aria, chiusa il giorno successivo, aggiudicata definitivamente il 6 ottobre scorso, era già sotto la lente della procura dei Milano. I pm infatti hanno aperto un fascicolo per ora senza indagati, per capire come mai Regione Lombardia si fosse ridotta a pagare prezzi cinque volte superiori per dei semplici vaccini antinfluenzali. Da febbraio 2020 il Pirellone ha indetto ben 10 gare: cinque andate a buon fine, una positiva solo in parte perché non completa e quattro tra annullate e deserte. Una lista da rivedere, visto che la decima gara non è andata bene.

Ma quest’ultimo annullamento potrebbe avere effetti anche sulla campagna vaccinale della Regione in partenza il 19 ottobre, già al centro di numerose critiche perché oltre un milione di lombardi rientranti nelle categorie a rischio rimarrà senza vaccino. Venerdì scorso il dg della sanità, Marco Trivelli, presentando la campagna ha sostenuto che quel buco da un milione di dosi non è un problema. Visto che il target è il 75% delle classi a rischio, e che mai in Lombardia si è superata quota 49%, non dobbiamo preoccuparci, aveva detto. Il problema è che negli anni passati non c’era la pandemia. E ora, a quel milione mancante bisognerà aggiungere i 500 mila vaccini in meno che dovevano arrivare dalla gara annullata ieri.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/11/laifa-boccia-i-vaccini-cinesi-la-lombardia-butta-altri-milioni/5961970/

venerdì 24 aprile 2020

Coronavirus, mascherine senza certificazioni sequestrate a Milano in 12 farmacie. Lodi, denunciato venditore per ricarico del 700%.

Coronavirus, mascherine senza certificazioni sequestrate a Milano in 12 farmacie. Lodi, denunciato venditore per ricarico del 700%

Continuano le speculazioni sui dispositivi di protezione individuale che sono necessari per arginare l'epidemia e saranno indispensabili nella fase 2 del lockdown. Le forze dell'ordine sono impegnate da settimane a vigilare e continuano i sequestri di materiale illegale o venduto a prezzi esorbitanti.
Continuano le speculazioni sui dispositivi di protezione individuale che sono necessari per arginare l’epidemia di Sars Cov 2 e saranno indispensabili nella fase 2 del lockdown. Le forze dell’ordine sono impegnate da settimane a vigilare e continuano i sequestri di materiale illegale o venduto a prezzi esorbitanti. Erano senza certificazioni, quindi illegali e chissà se non addirittura pericolose, le oltre 240.000 mascherine sequestrate dai finanzieri del Comando provinciale di Milano, in parte in dodici farmacie milanesi (oltre 30mila) e in parte nel magazzino di una società fornitrice.
Coronavirus, a Lodi sequestro di mascherine: rincari del 700 per cento
Volume 90%
I militari sono risaliti, poi, alla catena di distribuzione individuando il fornitore dei dispositivi di protezione individuale in una società di Milano, che opera nel settore della grande distribuzione farmaceutica, che le aveva importate dalla Cina e messe in vendita senza aver prima provveduto agli adempimenti finalizzati a garantire la sicurezza e l’adeguatezza dei dispositivi. Nel magazzino della società sono state sequestrate quasi 210.000 mascherine. Il responsabile della cooperativa di farmacie e il rappresentante legale della società fornitrice ed importatrice sono stati denunciati alla Procura di Milano.
Erano invece tutti conformi i dispositivi venduti dal titolare di una società operante in provincia di Milano, a Segrate e a Pioltello, che le vendeva effettuando “una rilevante speculazione sui prezzi di vendita”. L’uomo è stato denunciato dalla Guardia di finanza di Lodi.
“La percentuale di ricarico, in alcuni casi, ha raggiunto anche il 700% rispetto al normale valore di mercato – ha precisato la Finanza – Guanti e camici mono uso e le famigerate mascherine sia chirurgiche sia di tipo Ffp1, Ffp2 e Ffp3 tutti conformi alla norma tecnica di riferimento, sono state poste in vendita con smisurati aumenti percentuali di prezzo, senza alcuna giustificazione tanto che il titolare dell’azienda, B.R. di anni 58 anni, è stato denunciato alla Procura della Repubblica di Milano, per violazione dell’articolo 501 bis del Codice Penale: “Manovre speculative sulle merci”. Le Fiamme gialle hanno sequestrato 500mila dispositivi di protezione. Proprio in tema di speculazioni ieri i carabinieri di Bari hanno denunciato in stato di libertà la titolare di un negozio autorizzato alla vendita di mascherine poiché erano state messe in vendita, in quest’ultimo periodo, con una percentuale di ricarico pari al 129%.
Negli ultimi giorni, nel corso di tre distinte attività investigative, le Fiamme gialle hanno sequestrato 21mila mascherine protettive, riportanti indebitamente il marchio CE o vendute, in maniera ingannevole, come dispositivi di protezione individuale. Le indagini hanno interessato un produttore, un importatore e un distributore dei dispositivi nonché una rivendita al dettaglio tra Montesilvano, Pescara, Manoppello Scalo e Lettomanoppello. Le mascherine, molte delle quali in poliuretano, recavano la marcatura CE pur essendo prive della prevista certificazione, non essendo mai stata conseguita dal produttore e dall’importatore. Inoltre, la maggior parte dei prodotti veniva pubblicizzata per la vendita, tramite brochure e video su siti internet, traendo in inganno gli ignari consumatori, convinti di acquistare veri e propri Dispositivi di Protezione Individuale efficaci con marcatura CE, mentre in realtà compravano dei semplici copri bocca.
“Le mascherine sono un bene prezioso e come avviene quando la domanda schizza e l’offerta è limitata, il prezzo si forma a un valore elevato. Credo sia necessario e doveroso – aveva detto appena ieri il capo della Protezione civile Angelo Borrelli – e questa è una scelta politica, prevedere un prezzo massimo per tipologia di mascherine per evitare fenomeni speculativi.”
“Da cittadino aggiungo che sono fenomeni speculativi altamente deprecabili e biasimevoli“, ha aggiunto il presidente del Consiglio superiore della sanità Franco Locatelli.

martedì 3 dicembre 2019

Renzi, per lui 40mila euro a conferenza. E’ top secret la lista delle destinazioni. - Luigi Franco e Thomas Mackinson

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ESCLUSIVO, L'ANTICIPAZIONE DI FQ MILLENNIUM IN EDICOLA DAL 14 DICEMBRE - Leader politico e oratore a pagamento: il tariffario delle sue agenzie. I nostri cronisti hanno finto di organizzare una conferenza, richiedendo l'intervento del leader di Italia Viva.
Per avere Matteo Renzi? “Forty thousand euros. Quarenta, qu-a-tro siii-ro”, scandiscono al telefono dalla Pro Motivate, una delle agenzie che propongono online l’ex premier come speaker. “Dovete contare anche un viaggio in business per una e a volte due persone”. Tanto costa ingaggiare il fondatore di Italia Viva a una conferenza che – facciamo credere all’interlocutore – sarà in programma l’anno prossimo a Barcellona, titolo “Populismo e dinamiche economiche”. Tema su cui Renzi – ci viene garantito – saprà dire la sua.
Del resto “politica globale, “affari correnti”, “finanza e tendenze future” sono solo alcuni degli argomenti elencati online di quello che è stato “il più giovane primo ministro in Italia e il più giovane leader del G7”. Analogo curriculum sponsorizza l’agenzia Chartwell Speakers, ma per “appena” 25mila euro. C’è un però: a sentire l’agente che risponde da Dublino, Renzi non è la scelta più azzeccata. Di conferenzieri che possano parlare di populismo ce ne sono altri, pure meno esosi: con 16mila euro, per esempio, ti porti a casa Anne Applebaum, un premio Pulitzer che “in quanto giornalista, e non politico, può affrontare il tema in modo più indipendente di Renzi”.
Dalla Chartwell quasi ci convincono, spendere tutti quei soldi per Renzi non conviene. È diventato troppo caro, più dei 20mila euro di cui parlava solo un anno fa Marina Leo, responsabile per l’Italia di un’altra agenzia che vende i suoi discorsi, Celebrity Speakers. “Sembrano tanti, ma la metà se ne va in tasse e lo speaker deve pagare le persone che mettiamo a disposizione, in quei soldi c’è pure il compenso dell’agenzia”, diceva alla stampa allora. Oggi che con i giornali non parla più, le si strappa solo: “È un’attività privata, non ha niente a che vedere con la sua attività di leader politico perché quando era primo ministro non poteva fare queste cose”.
Non c’entrerà la sua attività politica, ma è proprio questa ad averlo lanciato nel nuovo business. Il suo reddito dai 29mila euro dichiarati per il 2017 è salito a 830.000 euro nel 2018 e supererà il milione nel 2019. Dato per spacciato, non ha mai guadagnato tanto in vita sua. Dopo aver rottamato il Pd, Renzi è diventato una vera macchina da soldi. Altro che i 4.300 euro netti al mese percepiti come sindaco, i 6.700 che prendeva da Presidente del consiglio, ma anche i 14.634 che percepisce ora da senatore semplice.
Di quante conferenze parliamo? “Una cinquantina in due anni”, risponde il leader di Italia Viva. In media, un ingaggio ogni due settimane in giro per il mondo. Con viaggi e preparazione dei discorsi, sembra ormai un lavoro a tempo pieno, che però non lascia tracce. Non è infatti dato sapere dove sia stato di preciso, davanti a che pubblico abbia parlato, di cosa e chi l’abbia poi pagato. “La dichiarazione dei redditi è pubblica, la lista delle conferenze no”, taglia corto in uno dei messaggi che ci scambiamo nei giorni in cui la Finanza sta ricostruendo le vicende della sua fondazione Open. Dei suoi speech non c’è traccia nemmeno in rete o negli archivi dei giornali, al di là di qualche puntata a Pechino, Riad e poco altro.
A esplicita richiesta del calendario degli incontri, rivendica il diritto a non far sapere. “Capisco la vostra amarezza ma devo rispettare le regole di ingaggio”. Cioè? “Per molte conferenze vigono le regole Chatham house” dice, citando un impegno che dal 1927 vincola chi prende parte a certe riunioni a porte chiuse a non divulgare l’identità dei partecipanti. Gli incontri del gruppo Bilderberg ne sono un esempio.
Insistiamo, e non per curiosità morbosa. Fin dall’esordio nel 2018, la sua attività da oratore è fonte di polemiche. Come nel caso della visita a Riad di fine ottobre, dove al Future Investment Iniziative ha glorificato l’Arabia Saudita come “superpotenza, non solo nell’economia, ma anche nella cultura, nel turismo, nell’innovazione e nella sostenibilità”, sorvolando su bombardamenti allo Yemen e omicidio Khashoggi. Questione di opportunità, ma anche rischio di potenziale conflitto di interessi. Se va a Timbuctù o Washington pagato da industriali, fondi di investimento o lobby, lo fa privatamente o per conto del partito? “I compensi sono redditi personali, nulla va al partito”, dice Renzi. “Non c’è alcun conflitto di interessi tra l’attività di conferenziere e il ruolo di parlamentare. Né problemi di opportunità che invece ci sarebbero in caso di ruolo istituzionale come ministro in carica”. Tuttavia, a parlare non è un ex leader ma il capo di un partito che esprime due ministri e un sottosegretario, nonché 41 tra deputati e senatori.
Da qui, il legittimo sospetto. L’indomani di una “conference” in cui il loro leader è stato ospite (a pagamento) di un privato, saranno del tutto liberi e imparziali o subiranno qualche condizionamento? Anche la gestione dei soldi solleva punti di domanda. A maggio Renzi ha fondato la società Digistart, a settembre si è fatto sostituire temporaneamente nel ruolo di amministratore unico dall’amico di sempre Marco Carrai, oggi indagato nell’inchiesta sulla fondazione Open.
Come mai quel fugace passaggio a cavallo del debutto di Italia Viva? “La società è stata aperta e poi chiusa per le polemiche mediatiche – rivela -. Carrai avrebbe dovuto gestire la società ma alla luce delle polemiche e dell’annuncio della chiusura ha subito lasciato la carica”. La Digistart, sottolinea, non ha fatturato nulla. Renzi, invece, continua a farlo. E con gran profitto.