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lunedì 9 ottobre 2023

Caravaggio - Guendalina Middei

 

Lo sapevate che... Caravaggio venne arrestato per possesso d’armi, condannato per aver insultato le guardie cittadine, accusato di aver lanciato ad un garzone un piatto di carciofi, ricercato per aver ferito gravemente un notaio.

Si addentrava senza paura nei quartieri popolari, nelle bettole malfamate e usò come modelli per le sue Vergini ed i suoi Santi, pezzenti, prostitute, ragazzini di strada. Tutto questo ha contribuito alla sua fama di pittore maledetto. Ma, a dispetto del sua vita burrascosa, i dipinti di Caravaggio ci colpiscono per i loro incredibili effetti di luce e per l’intensa espressività dei suoi soggetti.

Avete mai visto dal vivo un dipinto di Caravaggio? I suoi angeli, le sue madonne, i suoi santi sembrano guardarvi dritti negli occhi. E tu non puoi fare altro che restare paralizzato. Guardatelo. Guardate per un istante questo dipinto. Caravaggio ci mostra con precisione chirurgica le pieghe di carne sul costato del santo. Il volto di San Girolamo si staglia contro l’oscurità che minaccia di inghiottirlo ed esprime tutta l’angoscia dell’uomo che meditando sul mistero della morte (simboleggiata dal teschio) prende coscienza della caducità della vita umana. Ho visto persone piangere di fronte a questo quadro. E anche io ho pianto. Era un uomo irreprensibile? Non lo era affatto.

«Immagino sappia che uccise, durante una rissa, un certo Ranuccio Tommasoni e che per questo venne condannato a morte. Decapitazione. Il nostro naturalmente fuggì da Roma per scampare alla condanna, e la sua psiche, già fragile di suo, ne restò devastata. Incominciò a ritrarre di continuo teste mozzate e per ben sei volte usò il suo volto come modello. Se lo immagini, quest’uomo un tempo brillante, conteso da principi, marchesi e cardinali, costretto a nascondersi in qualche sudicia, maleodorante locanda, che con dita tremanti dipinge la sua testa adagiata su un piatto dorato, con un fiotto di sangue che ancora zampilla dalla ferita. Vede, la sua mente non gli dava tregua, non poteva fare a meno di inscenare di continuo la propria morte e lei del resto... gli somiglia moltissimo, sa? A Caravaggio intendo»

Il virgolettato è tratto dal mio romanzo «Intervista con un matto». Se volete scoprire di cosa parla, potete leggerne un estratto gratuito qui: https://www.amazon.it/Intervista-matto.../dp/883205597X/

Guendalina Middei, anche se voi mi conoscete come Professor X #caravaggio #arte #arteitaliana #cultura

https://www.facebook.com/photo?fbid=881815913312182&set=a.655388085954967

domenica 22 agosto 2021

Superbonus, quando la nuova Cilas 110% non vale per tutti i bonus. - Giuseppe Latour e Luca Rollino

 

Ostacoli operativi e fiscali per gli interventi misti. L’attivazione della nuova Cilas, a partire dallo 5 agosto, non ha risolto tutti i problemi che committenti, imprese, contraenti generali e progettisti devono affrontare in materia di superbonus. Restano, infatti, diverse complicazioni da considerare quando un intervento non rientri completamente nel perimetro del 110% ma abbia al suo interno contemporaneamente più tipologie di incentivi fiscali.

Quali sono le conseguenze della coesistenza di interventi che hanno un trattamento giuridico e fiscale differente? Il quaderno illustrativo dell’Anci dà una prima risposta a questa domanda e dice che «per gli interventi che prevedono contemporaneamente opere soggette a benefici fiscali di cui al superbonus e altre opere non rientranti in tali benefici, occorre comunque presentare sia la Cila superbonus, sia attivare il procedimento edilizio relativo per le opere non comprese, anche contemporaneamente». C’è quindi, un inedito livello multiplo sul quale muoversi: la Cilas può convivere con una Cila ordinaria, una Scia o con permessi di costruire.

I problemi.

Questa convivenza, però, rischia di essere problematica, per diversi aspetti. Anzitutto, perché ci si trova a gestire contemporaneamente più procedimenti amministrativi. La Cilas, come si legge nel nuovo modulo, costituirà «integrazione alla pratica edilizia presentata», relativa «ad interventi edilizi non soggetti a superbonus». Quindi, ad esempio, la Cilas andrà a integrare una Scia o un’altra Cila.

Sul fronte fiscale, l’effetto è che la parte dei lavori che, nel nostro esempio, rientra nella Scia non accede alla clausola di favore introdotta all’articolo 119 del Dl Rilancio, limitata al 110%, per la quale sono solo quattro i casi che portano alla decadenza del beneficio.

Non solo. Anche sul fronte edilizio-urbanistico la situazione rischia di essere piuttosto complicata. Solo per la Cilas, infatti, la legge prevede che non ci sia attestazione dello stato legittimo. In caso di presentazione di altri titoli abilitativi, si torna al punto di partenza: lo stato legittimo dovrà essere attestato sempre in caso di Scia, in alcuni Comuni anche per la Cila, diluendo di molto la semplificazione. Addirittura, si possono creare delle situazioni particolarmente complesse in cui si deve essere molto attenti a operare.

Possibile decadenza.

Al di fuori della Cilas, l’attestazione dello stato legittimo dell’immobile è sempre richiesta per la Scia e, in alcuni Comuni, anche per la Cila, mentre è sempre esclusa per gli interventi in edilizia libera. Inoltre, l’articolo 49 del Dpr 380/2001 sancisce la decadenza dei benefici fiscali (escludendo il superbonus) nel caso in cui vi siano violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che eccedano per singola unità immobiliare il 2% delle misure prescritte.

Le agevolazioni saltano, poi, in caso di mancato rispetto delle destinazioni e degli allineamenti indicati nel programma di fabbricazione, nel piano regolatore generale e nei piani particolareggiati di esecuzione.

I tre scenari.

Questo implica che vi siano tre possibili situazioni, qualora si affianchino agli interventi da 110% altre opere:

1) L’intervento aggiuntivo non richiede attestazione dello stato legittimo e non vi sono abusi che generino la decadenza dei benefici: si può operare senza alcun timore;

2) L’intervento aggiuntivo non richiede attestazione dello stato legittimo ma vi sono abusi che generano la decadenza dei benefici: in questo caso si può procedere dal punto di vista amministrativo, ma è assai rischioso. Il committente deve essere quantomeno informato, poiché in caso di controllo successivo alla fine del cantiere potrebbero essere revocate le agevolazioni ordinarie di cui ha fruito;

3) L’intervento aggiuntivo richiede attestazione dello stato legittimo: si deve fare accesso agli atti e verificare la conformità edilizio urbanistica, con il rischio di dover sanare eventuali abusi e, sicuramente, con il pericolo di un allungamento dei tempi di diversi mesi. In questo caso, si perderebbero le sinergie operative derivanti da un unico cantiere in cui far convergere interventi che fruiscono del superbonus e interventi che vanno con aliquote ordinarie.

Nella sostanza, una verifica di conformità edilizio urbanistica in caso di interventi aggiuntivi al superbonus conviene sempre farla, a tutela del proprio committente.

Progetti e cantiere.

Vi sono dubbi anche dal punto di vista operativo. Se nella Cilas si può descrivere sinteticamente l’intervento, ed è facoltà del tecnico aggiungere ulteriori documenti progettuali, nei procedimenti edilizi ordinari la documentazione richiesta è abbondante, e spesso soggetta a richiesta di integrazioni.

Da non sottovalutare, poi, le possibili complicazioni lato sicurezza generate da un cantiere unico in cui vi siano più procedimenti amministrativi attivi: è da chiarire se, in questo caso, si possa effettuare un’unica notifica preliminare e se il responsabile dei lavori e i coordinatori per la sicurezza debbano essere unici per entrambe le attività o possano differire.

(Illustrazione di Maria Limongelli/Il Sole 24 Ore)

IlSole24Ore

domenica 13 giugno 2021

Pd: la federazione-fuffa per rompere col M5S. - Wanda Marra

 

Si scrive “Federazione di centrosinistra”, si legge “No all’alleanza privilegiata con i Cinque Stelle”. Il dibattito dentro il nuovo Pd di Enrico Letta (o piuttosto presunto tale) in questi ultimi giorni si è concentrato sulla formula, vagamente creata a tavolino. Tra le difficoltà della nuova segreteria e la tattica scelta dalle correnti (ovvero, logorare, non affrontare), non si attacca frontalmente la linea del Nazareno, ma si lavora a indebolirla. Anche perché, poi, la linea non è diritta: l’alleanza privilegiata con il Movimento guidato da Giuseppe Conte finora si è scontrata con le difficoltà sia del M5S che del suo appena ufficializzato leader. E le Amministrative raccontano di accordi che si fanno e si disfano in 24 ore. Ma in tutto questo ieri il Pd in un sondaggio Ipsos risulta il primo partito. Una posizione che da un certo punto di vista consentirebbe di trattare tutti i compagni di strada da una posizione di forza.

Dunque, la “federazione”. Che significa unire le forze da Renzi e Calenda a Bersani. A lanciarla sono stati il sindaco di Pesaro, Matteo Ricci, ma soprattutto il senatore Luigi Zanda. Uno di quelli che quando parla fa raddrizzare le antenne: fu il primo a esprimersi chiaramente contro la linea “Conte o voto” allora strenuamente raccontata dalla segreteria dem targata Nicola Zingaretti. Quindi, sa tanto di slavina. La ridotta, poi, sta tutta in Senato. Andrea Marcucci a Letta gliel’ha giurata e non perde occasione per dirlo. Ma non è il solo. A Palazzo Madama è andata in scena giovedì una riunione del gruppo in cui a scagliarsi contro il segretario sono stati Gianni PittellaSalvatore MargiottaStefano Collina. “Il nostro destino è il matrimonio con Conte o la maggioranza Ursula?”, ha chiesto Pittella, con un tono molto polemico.

Dopodiché è tutta Base Riformista, la corrente di Luca Lotti e Lorenzo Guerini, che inizia a contestare la strategia di Letta. Mercoledì sera c’è stata una riunione dei parlamentari nella quale è stato presentato un documento per ribadire la “vocazione maggioritaria” dei dem, intesa come approccio verso il centro e verso i Cinque stelle: il “contributo” ha l’obiettivo di riequilibrare, e al tempo stesso di proporsi come alternativa alla linea gauchiste di Enrico Letta. “Noi freniamo? No, non c’è alcuna contrarietà ma prudenza. I 5Stelle sono in evoluzione, vediamo dove arrivano”, per sintetizzarla con il coordinatore, Alessandro Alfieri. Nella riunione ha fatto capolino Graziano Delrio insieme a Debora Serracchiani (in teoria franceschiniana). Lui nega sia di essere entrato dentro Br, sia di essere contro l’alleanza con M5S. Di certo, però, i rapporti con Letta non sono dei migliori, dopo la sostituzione alla guida del gruppo dem alla Camera.

Va detto che quattro mesi dopo la fine del governo giallorosa, coloro che fecero da sponda nel Pd a Renzi per defenestrare Conte sono gli stessi che oggi iniziano a venire allo scoperto contro Letta. Ma non è questo l’unico tema.

A tre mesi dal ritorno da Parigi dell’ex premier, si è assistito a un proliferare di correnti.

L’ultima in ordine di tempo è “Prossima”, e praticamente riunisce gli zingarettiani senza Zingaretti: Nicola Oddati, ex responsabile Enti Locali, l’ex responsabile comunicazione Marco Furfaro, l’ex responsabile lavoro Marco MiccoliStefano Vaccari (ancora responsabile dell’organizzazione). Poi ci sono le “Agorà” di Goffredo Bettini e “Rigenerazione democratica” di Paola De Micheli. Anche qui, il gioco delle correnti si incrocia con quello delle alleanze. Gli zingarettiani, per dire, sono per un’alleanza con i Cinque Stelle, ma senza sudditanza. Lo stesso Bettini – il fautore dell’amalgama giallorosa – si va raffreddando, come si evince dall’uscita sulla giustizia della settimana scorsa, in cui più che a Conte si riferiva a Matteo Salvini. Perché il rocchetto si è ampiamente complicato.

Letta e Francesco Boccia hanno cercato in tutti i modi di chiudere accordi su candidati di coalizione con il Movimento, ma si sono trovati di fronte spesso e volentieri le resistenze dei grillini e le difficoltà dello stesso Conte a interpretare la sua leadership. O almeno così se la raccontano al Nazareno. A Roma, dopo aver cercato di chiudere su Nicola Zingaretti, hanno dovuto virare su Roberto Gualtieri, visto che il primo non aveva ottenuto la garanzia che i Cinque Stelle non avrebbero fatto cadere la sua giunta alla Regione Lazio. A Napoli, dopo aver puntato su Roberto Fico, hanno ripiegato su Gaetano Manfredi. A Torino, anche se in silenzio, sperano nella vittoria del civico Enzo Lavolta, con conseguente accordo con il M5S. Speranze, entrambe, piuttosto peregrine.

E poi c’è il caso Calabria: con il candidato dem, Nicola Irto che si è ritirato una volta, è tornato in corsa, è stato poi di nuovo indotto a ritirarsi in nome dell’accordo con il Movimento. Un pasticcio tutto ancora da risolvere e che la dice lunga sulle difficoltà dell’alleanza. Anche qui, l’alfiere dell’accordo con il Movimento è stato Peppe Provenzano. A proposito di sfumature.

Nel frattempo, Letta conduce la sua battaglia piuttosto complessa. Ha scelto i temi di sinistra, come identitari, dal ddl Zan allo Ius soli. Criticatissimo. Nella partita dei licenziamenti, si è visto scavalcare dal ministro del Lavoro, Andrea Orlando, che poi però ha dovuto cambiare posizione e dare spiegazioni più volte. Per inciso, mentre Letta lanciava la dote sui 18enni da finanziare con la tassa di successione, Orlando era al tavolo per la conferenza stampa con Mario Draghi e non ne sapeva niente. In generale, i rapporti del segretario del Pd con il premier sono più difficili di quanto ci si potesse aspettare. Ma questa è un’altra storia. Nel capitolo “relazioni difficili con M5s” va aggiunta la storia della candidatura alle suppletive. Per Letta è pronto il seggio di Siena, ma lui tentenna. Tra i motivi, il fatto che Conte non vuole candidarsi a sua volta a Pietralata, a Roma. E questo, non aiuta l’immagine. In mezzo a questo mare di incertezze, però, ieri al Nazareno si consolavano con il sondaggio Ipsos, che dava il Pd al 20,8%.

IlFQ

mercoledì 3 marzo 2021

M5S, nuovo Statuto per Conte. Guerra totale con Casaleggio. - Luca De Carolis

 

L’avvocato che era premier studia carte e norme per adattare il Movimento a sua immagine e somiglianza e rivoltarlo, da capo a piedi. Per ora non pensa a un nuova associazione, ipotesi che non convince il Garante Beppe Grillo e il legale del M5S, Andrea Ciannavei (“Non è all’ordine del giorno”). Però il Giuseppe Conte che lavora al progetto di “rifondazione” non esclude un nuovo Statuto, idea suggerita da Alfonso Bonafede nel vertice romano di domenica.

Di certo l’ex presidente del Consiglio dovrà fare anche il gioco delle figurine, e non sarà un passatempo da bimbi. Perché capire chi starà dentro e chi si terrà fuori dai nuovi 5 Stelle sarà fondamentale. Partendo da quello che al vertice non ha voluto partecipare, dal Davide Casaleggio che batte cassa e reclama diritti. Sa che anche Conte vuole limitare di molto i poteri della sua piattaforma web, Rousseau. E lì aspetta i 5Stelle, sul terreno delle norme e dei regolamenti. Mentre fuori resterà anche l’ex deputato che pure con Conte ha un ottimo rapporto, Alessandro Di Battista. Netto, su Instagram: “Rispetto totale per Conte, ma io ho lasciato il M5S per la presenza al governo con Draghi, Pd, Berlusconi, Salvini, Bonino, Brunetta, Gelmini”. Ergo, neppure l’avvocato (per ora) può riportarlo nei 5Stelle. “Non ho nulla a che vedere con un Movimento che fa parte del governo dell’assembramento pericoloso” scandisce Di Battista. Conte potrebbe ugualmente sondarlo. Intanto ragiona soprattutto su come e con chi partire, cioè sulla segreteria che dovrà affiancarlo e che di fatto si sceglierà, nome per nome. Iniziando con Luigi Di Maio, perché l’ex capo politico è meglio tenerlo dentro, per cautelarsi.

E Di Maio è pronto, anche se nell’attesa incontra parlamentari in serie, per contare le truppe. E anche Paola Taverna dovrebbe essere della partita. Però prima bisognerà sempre fare i conti con Casaleggio, e non è solo una metafora. “L’associazione Rousseau aspetta 450mila euro di restituzioni non versate dal M5S” sussurra una fonte qualificata. Anche per questo l’erede di Gianroberto ha protestato con Grillo per le espulsioni (ieri hanno cacciato altri tre deputati). Decine di parlamentari in meno vogliono dire anche molti meno soldi per far funzionare la piattaforma: già in enorme difficoltà economica, come ripete da mesi Casaleggio. Ma meno eletti significano meno fondi anche per i gruppi parlamentari. Per questo, come anticipato dal Fatto giorni fa, il M5S sta provando a salvare alcuni espulsi, a patto che assicurino sostegno al governo Draghi. In questo caso, il Garante è disposto a revocare la sanzione, come gli consente lo Statuto. Ma la frattura con Casaleggio resta, perché il patron di Rousseau ritiene tutte le espulsioni irregolari, visto che ad avviarle è stato il reggente Vito Crimi, a suo avviso non più in carica. Mentre il Movimento ritiene che il capo sia ancora lui, perché prorogato da Grillo. Quindi “disconosce” la sentenza del Tribunale di Cagliari che ha ritenuto il M5S “privo di un legale rappresentate”, tanto da prevedere la nomina di un curatore speciale. E il legale dei grillini, Ciannavei, lo ha detto (“il capo è Crimi”).

Ma diversi espulsi chiederanno reintegro e danni in sede civile, mentre alcuni senatori hanno fatto già ricorso contro la cacciata dal gruppo alla Commissione Contenziosa di Palazzo Madama, insistendo sull’assenza di “un capo politico”. Poi c’è la battaglia sulla segreteria. Rousseau ha diffuso le regole per le candidature due giorni fa con un post, e a Roma non ne sapevano nulla. “Ma non aveva titolo per farlo” ringhiano i 5 Stelle. Però gli iscritti hanno detto sì all’elezione di una segreteria… “No, hanno dato il via libera al principio della collegialità” è la replica. Tradotto, un organo collegiale arriverà, ma senza candidature. Perché a costruirlo sarà Conte, il prossimo capo.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/03/03/m5s-nuovo-statuto-per-conte-guerra-totale-con-casaleggio/6119817/

mercoledì 3 febbraio 2021

Ristori congelati, la politica si è scollegata dalla realtà. - Patrizia De Rubertis

 

La crisi innescata da Italia Viva ha bloccato i nuovi aiuti. Dai lavoratori dello spettacolo ai baristi, la richiesta è di fare presto: “Teatrino inaccettabile”.

Serve a prorogare il blocco dei licenziamenti e la Cassa integrazione Covid, ma anche a stanziare nuovi contributi a fondo perduto per le categorie più danneggiate dalla pandemia. Ma il nuovo decreto Ristori, il quinto, che avrebbe dovuto vedere la luce a inizio gennaio è prima finito bloccato nello scontro tra i giallorosa e poi dalla crisi di governo che Matteo Renzi ha deciso di aprire nonostante ci fosse una serie di importanti provvedimenti in sospeso, tra cui questo provvedimento che vale in tutto 32 miliardi. E che, stando al ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, dovrebbe essere anche l’ultimo. La volontà del governo uscente era di varare il decreto, considerandolo un atto urgente e necessario per fronteggiare l’emergenza. Ma poi si è deciso di congelarlo in attesa del nuovo governo. Il testo del decreto va ancora scritto, anche se Camera e Senato hanno già approvato un nuovo scostamento di bilancio per finanziarlo.

Il dl Ristori 5 servirà a estendere lo stop ai licenziamenti fino al 30 aprile per tutti e dopo in maniera selettiva, dovrebbe prevedere altre 26 settimane di cassa integrazione per le imprese in crisi e finanziare altri capitoli di spesa (sanità, trasporti pubblici, forze dell’ordine, etc.). Ma sul fronte dei contributi a fondo perduto va ancora chiarito il nuovo meccanismo per identificare la platea degli aventi diritto e calibrare l’entità delle somme da versare. Dovrebbe essere presa in considerazione la perdita di fatturato dell’intero 2020 (non più aprile 2019 su aprile 2020), ma non è chiaro se ci saranno anche paletti relativi ai codici Ateco o se verranno introdotte soglie minime molto alte per limitare la spesa. Così come potrebbero essere inclusi tra i beneficiari anche i professionisti iscritti agli Ordini. Si tratta, comunque, di risorse che mai come in questo momento sarebbero fondamentali per dare respiro ai lavoratori in crisi e arginare le conseguenze dell’emergenza.

Ad aspettare con ansia il decreto Ristori sono in tanti e senza ancora aver ben capito perché sia stata innescata una crisi di governo che ha di fatto congelato gli aiuti. In prima fila ci sono i lavoratori di spettacolo, cinema e musica. Il loro fermo dura da quasi un anno e ha causato mezzo miliardo di perdite. Oltre 50 sigle sindacali, presidi e associazioni di categoria, alla notizia del blocco del nuovo decreto hanno deciso di compattarsi denunciando la condizione d’indigenza in cui versa chi opera nel settore. “I dati Inps parlano di 327mila lavoratori dello spettacolo in Italia, di cui circa 83mila sono attori. Questa categoria di interpreti è impiegata per una media di 15 giorni all’anno e con una retribuzione media di 2.500 euro annuali! È ora di sfatare il luogo comune che tutti gli attori siano ricchi”, spiega Giorgia Cardaci, vicepresidente dell’associazione Unita. “Il ministero ha recepito alcuni dei problemi più impellenti, ma c’è ancora tanto da fare. Pochissimi i soldi percepiti grazie ai bonus (5.600 euro in un anno) e, adesso, lo stop dovuto a questa incomprensibile crisi – sintomo di uno scollamento della politica dalla vita reale – rischia di essere la pietra tombale dello spettacolo italiano”, aggiunge Francesco Bolo Rossini, delegato Unita.

A chiedere di sbloccare gli aiuti sono anche ristoratori e baristi, costretti a vivere nell’incertezza fatta di coprifuoco, chiusure al pubblico e consegne a domicilio. “Il 2020 segna 40 miliardi di minor fatturato. Di fronte a un danno di questa portata, abbiamo ricevuto ristori per soli 2,5 miliardi”, spiega il vicepresidente vicario di Fipe-Confcommercio, Aldo Cursano. L’appello è a fare presto per evitare che il blocco dei nuovi ristori porti a un’ondata di chiusure. “Il Ristori 5 ha beccato la crisi di governo che fa danni al pari del Covid, ma il putto di Rignano ha da piazzare la Boschi”, commenta Giovanni, ristoratore livornese. Poi ci sono le imprese del turismo invernale, un settore con un giro d’affari da 11 miliardi di euro. “Sono preoccupato per i lavoratori che chiedono risposte e per gli interventi urgenti che devono andare avanti. Anche questa mattina ho ricevuto tante telefonate da parte degli operatori della montagna che non sanno neppure se la data del 15 febbraio per la riapertura degli impianti sarà effettiva o meno. E nel frattempo assistiamo a un teatrino che non è accettabile e che soprattutto distoglie l’attenzione dai problemi reali del Paese”, ha detto l’assessore al turismo della Regione del Veneto, Federico Caner.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/03/ristori-congelati-la-politica-si-e-scollegata-dalla-realta/6088306/

lunedì 7 dicembre 2020

“Abusi, eletto Fd’I disse di non parlarne”. - Lucio Musolino

 

Reggio Calabria - Il capogruppo Ripepi si autosospende. E Report: “Latina, soldi portati in Svizzera”.

Il pastore Massimo Ripepi, consigliere comunale di Fratelli d’Italia a Reggio Calabria e guida spirituale della comunità religiosa della Chiesa cristiana “Pace”, avrebbe dissuaso due genitori dal denunciare le violenze sessuali subite dalla figlia minorenne. È quanto emerge da un decreto del Tribunale dei minori che ha revocato la responsabilità genitoriale ai due coniugi, affidando la bambina ai servizi sociali. Lo stesso decreto è stato trasmesso alla Procura di Reggio Calabria che è stata informata della vicenda, iniziata mesi fa quando la madre è stata ricoverata in ospedale.

Non potendo la figlia essere accudita dal padre, i due genitori si erano rivolti “in cerca di aiuto al pastore Massimo Ripepi”. L’esponente di Fratelli d’Italia, non indagato, stando a quanto si legge nel decreto avrebbe invitato i due genitori ad affidare la piccola alla “nonna e ciò malgrado tutti fossero a conoscenza del fatto che quest’ultima vivesse con il figlio, in passato condannato per violenza sessuale su minori”.

Così è andata. Ma una volta tornata a casa, la bambina ha raccontato alla madre i “particolari raccapriccianti degli abusi” subiti e lo zio, a giugno, è stato arrestato. Poco prima i due genitori erano tornati dal pastore Ripepi, “venendo però dissuasi dal denunciare”. La madre della piccola, infatti, “veniva messa in guardia dal Ripepi dal rischio di provocare, con una denuncia, il suicidio del fratello (lo zio, ndr), del cui sangue sarebbe stata ‘responsabile davanti a Dio’”. La bambina, allora, si è confidata con i coetanei e ciò ha suscitato quelle che i giudici definiscono “le ire del Ripepi” nei confronti della donna “rimproverata di essere una ‘madre di merda’ perché incapace di far stare zitta la figlia”. “È una vicenda che suscita orrore e sgomento” per i consiglieri di centrosinistra che hanno chiesto a Fratelli d’Italia una “presa di posizione” e allo stesso Ripepi “le dimissioni immediate per indegnità dal consiglio comunale”.

Mentre si è autosospeso dal partito “dopo un colloquio con i vertici di Fratelli d’Italia”, Ripepi non fa passi indietro al Comune dove guida la commissione Vigilanza. Per il pastore, la madre della bambina, “in preda alla disperazione, ha fatto di tutto per cercare un capro espiatorio su cui scaricare sue esclusive responsabilità”. “La madre – dice – si è messa alla ricerca di persone che potessero aiutarla a riavere l’affidamento della figlia, sostenendo che fossi stato io a sconsigliarla di rivolgersi all’autorità giudiziaria”. Secondo la sua versione, Ripepi le aveva detto “di decidere lei liberamente cosa fare. Di questo ho già da tempo informato il pubblico ministero procedente”.

I guai di Fratelli d’Italia non finiscono qui. “Non posso conoscere tutti i candidati. Faccio un appello: inquirenti, fateci sapere”, dice Giorgia Meloni in un’intervista che andrà oggi in onda su Report. La trasmissione di Rai3 ha approfondito la situazione di Latina, fondata da Benito Mussolini e roccaforte del partito. L’uomo chiave è Pasquale Maietta, commercialista, già presidente del Latina Calcio, ex tesoriere del gruppo FdI alla Camera, ora autosospeso. Considerato vicino ad ambienti della criminalità locale di origine sinti, è accusato di aver messo in piedi una rete di evasione e riciclaggio da oltre 200 milioni di euro. La “rete” del riciclaggio arrivava fino in Svizzera e, per la Procura di Latina, sarebbe stata gestita da Max Spiess, figlio dell’avvocato di Licio Gelli.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/07/abusi-eletto-fdi-disse-di-non-parlarne/6028748/

mercoledì 24 giugno 2020

GOVERNO A RISCHIO- Viviana Vivarelli.


Con le ultime due defezioni dal M5S della Ermellini e della Riccardi il governo è a rischio. Il Senato balla.

Il governo giallo rosa ha solo 160 voti quando il numero che occorre per essere maggioranza è 162. Il Governo si salva e arriva a 168 con i voti dei senatori a vita (che però sono quasi sempre assenti) e di qualcuno del Gruppo Misto ma basta qualche assenza per farlo saltare.
Al Senato sostengono il governo:
95 di M5S
35 del Pd
17 di Italia viva
5 di Liberi e uguali
2 di Maie e 6 delle Autonomie. Siamo a 160 voti. Mancano 2 voti.
A questi si può aggiungere qualche ex 5 stelle dal gruppo misto. Il Corriere della Sera però assegna un senatore in più in appoggio al governo nel MAIE e uno in più nelle Autonomie. E si arriva a 162.
Ma la situazione può aggravarsi perché tra i parlamentari a rischio cacciata figurano ci sono 2 senatori, Marinella Pacifico (ferma a maggio 2019) e Fabio Di Micco (in ritardo di dieci mesi). E potrebbe andare peggio, perché ce ne sono in bilico altri 3 e altri rischiano l’espulsione per le mancate restituzioni. Di certo la prima da recuperare è Tiziana Drago, che qualche settimana fa si era astenuta nel voto sulla mozione di sfiducia per Bonafede.
Repubblica invece stima l’attuale maggioranza a 167, 6 in più della maggioranza assoluta.
In corso c’è un'offensiva del cdx per andare al voto prima della fine dell’estate. Salvini punta a far cadere il governo perché sa che dopo sarebbe più difficile (la Lega ha già perso 10 punti).
Per evitarlo, Conte, dovrebbe mettere a segno due o tre mosse azzeccate.
Per questo il cdx preme su Alitalia ad Autostrade passando per Ilva e decreti Salvini, rimasti sul tavolo.
Intanto Davide Casaleggio punta su Di Battista perché, se vince la linea della direzione collegiale, questa non sarà scelta dalla Piattaforma Rousseau, togliendo importanza a Davide Casaleggio.


https://www.facebook.com/photo.php?fbid=937275753404245&set=a.138143269984168&type=3&theater
Io temo anche il tradimento di Italia viva che vota spesso con l'opposizione ed è intimamente libertario. Non sarà facile, anche se, contrariamente a quanto si vocifera, non credo ai sondaggi che danno il centrodestra vincente. Staremo a vedere. mai perdere le speranze.c.

martedì 12 novembre 2019

Governo Conte 2. Il premier è vivo, ma i giallo-rosa no. - Marco Travaglio

Governo Conte 2 Il premier è vivo, ma i giallo-rosa no

I primi 2 mesi: I “ministri ombra” del Fatto Quotidiano giudicano, dicastero per dicastero, gli errori, le scelte fatte e quelle da fare dell’esecutivo 5S-Pd-Leu-Iv.
Un governo si giudica da quello che fa e non fa, in base a quello che può fare nelle condizioni date e in rapporto a quello che faceva chi c’era prima e da quello che potrebbe fare chi verrà dopo. Il Conte 2 – che in questo inserto i nostri “ministri ombra” giudicano dicastero per dicastero – è nato due mesi fa in 10 giorni fra tre forze politiche (poi diventate quattro) che si erano combattute e insultate fino al giorno prima. Ma collegate da alcuni esili fili comuni: la necessità di formare l’unica maggioranza parlamentare possibile per non darla vinta alla pretesa di Salvini di votare subito per prendere il potere, anzi i “pieni poteri”; l’esigenza di dare all’Italia una manovra di Bilancio per evitare l’esercizio provvisorio, neutralizzare l’aumento dell’Iva, placare gli speculatori e dunque lo spread; l’opportunità di sedere al tavolo della nuova Commissione Ue; la volontà di governare sino a fine legislatura, di rispondere all’ansia di novità più volte espressa dagli italiani con un cambiamento diverso da quello di una “destra” troglodita e sfasciatutto e, nel frattempo, di preservare il Quirinale da un B. o da una Casellati.

Viste le premesse, un livello minimo di litigiosità e renitenza fra i giallorosa era fisiologico. Ma, dopo l’arrivo del partitucolo renziano, le conseguenti convulsioni nel Pd e l’aggravarsi post-Umbria del marasma nei 5Stelle, quel livello è diventato patologico e cacofonico. Una rissa quotidiana che si manifesta più sui giornali e in tv che nei Consigli dei ministri, ma che sta oscurando le cose buone fatte o almeno impostate nei primi 60 giorni. Tant’è che è bastata la crisi dell’Ilva, chiaramente estranea a responsabilità del Conte 2, e anche del Conte 1 (nato quando il contratto con Arcelor Mittal era purtroppo irreversibile), per metterlo in pericolo. Ora i giallorosa sono a un bivio: o staccano la spina e vanno volontariamente al macello delle urne, consegnando i pieni poteri a Salvini; o la piantano di segare l’albero su cui sono (e siamo) seduti. Approvando senza stravolgerla la legge di Bilancio, la migliore con le poche risorse disponibili. E subito dopo riunendosi in conclave per mettere a punto un programma più dettagliato: un vero contratto come quello che tiene in piedi le Grosse Koalition tedesche, che vincoli i quattro partiti ad approvarlo nei termini e nei tempi previsti, senza consumarsi a ogni provvedimento in eterne discussioni a Palazzo Chigi e poi di nuovo sui media. Conte ha già dimostrato di essere non solo l’unico, ma anche il migliore premier possibile di questa maggioranza (chi si era scordato la sua lezione a Salvini del 20 agosto in Senato se l’è ricordata l’altroieri vedendolo a Taranto fra gli operai dell’ex Ilva). E Mattarella ha già fatto sapere che questo sarà l’ultimo governo della legislatura. Dopo ci sono soltanto le urne, cioè Salvini.

I giallorosa se ne facciano una ragione e comincino a comportarsi come i conducenti di un treno che deve viaggiare per tre anni e mezzo, accantonando i social e i sondaggi e ponendo le basi per quei risultati che, per essere veri, necessitano di una prospettiva di anni, non di giorni o settimane. Altrimenti, se hanno in mente altri mesi di lenta agonia, dicano subito chiaro e tondo che preferiscono finirla qui. Se il futuro che hanno in mente per l’Italia è un governo Salvini con pieni poteri, è inutile rimandarlo: prima arriva, prima ce ne liberiamo.

mercoledì 21 dicembre 2016

Vuoi diventare milionario? Risolvi uno di questi 5 problemi.

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Chi non ha mai sognato di essere milionario? Il sogno potrebbe diventare realtà risolvendo cinque rompicapo, o meglio, cinque grandi problemi che affliggono l'umanità. Dalla previsione dei disastri naturali alla produzione di energia solare economica - si legge su 'Business Insider' - sono tante oggi le sfide che l'uomo deve affrontare per poter salvaguardare se stesso e il pianeta.

Trovando una soluzione a cinque questioni fondamentali, attualmente al centro dell'attenzione di scienziati e ingegneri, è possibile risparmiare tempo, energia, costi e trovare un modo per arricchirsi.

1) L'alimentazione senza fili . Di recente la trasmissione di energia wireless si è imposta come la tecnologia ideale per lo sviluppo di sistemi energeticamente autonomi, ossia privi di batterie o, comunque, senza necessità di collegamento alla rete elettrica. Si comprende, quindi, l’importanza di concentrare gli sforzi della ricerca sulla possibilità di implementare un'alimentazione di tipo wireless per dispositivi elettronici, visti gli enormi vantaggi in termini di qualità della vita che l’adozione di tale tecnologia comporterebbe.

2) Internet per luoghi remoti e rurali. Nei paesi in via di sviluppo la carenza di infrastrutture e la povertà non consentono a tutti una connessione a pagamento. Negli ultimi anni Google e Facebook hanno implementato gli sforzi per affrontare il problema e offrire servizi di base accessibili a tutti, tuttavia ancora non si è arrivati a trovare soluzioni veloci ed economiche.

3) Energia solare economica. Lo sviluppo di tecnologie che possano rendere economico l'uso dell'energia solare è un settore della ricerca molto attivo ma che, per il momento, non ha avuto ancora risultati innovativi. E' quindi necessario trovare delle modalità alternative che consentano di produrre energia in maniera economica ed efficiente.

4) La desalinizzazione dell'acqua. Tale processo rappresenta una possibile fonte per supplire la diminuzione delle riserve d'acqua in molte zone della Terra che soffrono di croniche, drastiche diminuzioni delle riserve. Nonostante i miglioramenti della tecnica però. convertire l'acqua del mare in acqua dolce rimane ancora oggi molto costoso, soprattutto perché richiede grandi quantità di energia. Per questo motivo la sfida è quella di progettare un impianto che effettui il processo a costi contenuti.

5) Prevedere disastri e calamità naturali. Ogni anno terremoti, uragani, tornado e tifoni causano gravi danni nel mondo. Il più delle volte è difficile o impossibile prevedere tali disastri naturali, tuttavia è possibile sviluppare un modello di previsione migliore per evitare danni e vittime attraverso l’identificazione dei rischi e l’allerta precoce.