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venerdì 28 agosto 2020

Conte è già in linea col futuro. Il via libera alla rete unica ha un valore eccezionale. - Gaetano Pedullà

GIUSEPPE CONTE

Chi dice che Giuseppe Conte e il suo Governo giallorosso tirano solo a campare, si segni che ieri è stato raggiunto un obiettivo paragonabile per importanza alla straordinaria gestione della pandemia o al mare di soldi strappati in Europa col Recovery Fund. Il via libera alla rete unica della telefonia, cioè alla costruzione dell’autostrada digitale che porterà la fibra e internet veloce nelle nostre case, ha un valore eccezionale. Soprattutto perché sarà a controllo pubblico.
Dopo l’aria e l’acqua, l’accesso al web diventerà nel tempo il bisogno principale, molto più di quanto non sia già adesso. Anche per questo era penoso che l’Italia fosse ancora al palo nella costruzione della più importante infrastruttura immateriale. Di strada, a dire il vero, se ne stava facendo da una parte con Tim e dall’altra con Open Fiber (società di proprietà di Enel e Cdp), col risultato però di duplicare i costi e procedere lentamente, sapendo sin dall’inizio che così si sarebbe coperto l’intero Paese solo tra molti anni.
I governi di destra, a cui interessavano solo le televisioni del principale, e quelli di sinistra, che non erano riusciti ad andare oltre l’insufficiente idea di Open Fiber, ci hanno condannato, insomma, a un’imperdonabile attesa, mentre in tutto il mondo i servizi internet sono da tempo più accessibili e avanzati. Ci voleva dunque Conte, e la spinta più di tutti di Beppe Grillo e del ministro Patuanelli, per mettere insieme i due grandi player (ai quali si è già aggiunto Tiscali) e aprire all’Italia questa porta del futuro.

Rete unica, ha vinto Tim. Ecco l’accordo con Cdp. - Marco Palombi

Rete unica, ha vinto Tim. Ecco l’accordo con Cdp

A Chigi. Ieri il via libera giallorosa.
Per ora hanno vinto l’ad Luigi Gubitosi e i molti e molto variegati azionisti di Tim: il progetto Fibercop – una nuova società della rete – va avanti nelle modalità desiderate dall’ex monopolista, col sostegno unanime di governo e maggioranza (emerso ieri in un apposito vertice), dell’opposizione e pure dei sindacati. L’unanimità “giallorosa” non era peraltro un fatto scontato visto che i 5Stelle e un pezzo del Pd – a differenza di Roberto Gualtieri – erano sempre stati a favore di una nuova società a forte controllo pubblico che, fin dall’azionariato, garantisse imparzialità a tutti gli operatori. Così il cerino resta in mano a Enel, che possiede a metà l’altra azienda della rete, Open Fiber: il suo socio al 50%, la pubblica Cassa depositi e prestiti, è ormai pienamente coinvolto nell’operazione Fibercop (e d’altra parte Cdp si trova nell’imbarazzante situazione di essere anche il secondo azionista di Tim col 9,9%). Se la Borsa vale come indicatore: ieri Tim è salita di nuovo (+3,4%), Enel è scesa (-2,3%).
Ripartiamo dall’inizio. Risale agli anni Novanta la sciagurata privatizzazione di Telecom, venduta con tutta l’infrastruttura, che ci consegna oggi un’azienda con assai meno ricavi e molti più debiti di un tempo: ne hanno risentito in particolar modo gli investimenti. Com’è noto, la messa a terra della fibra in Italia è molto indietro e lo è da tempo. In uno dei suoi momenti di fantasia, l’allora premier Matteo Renzi decise che sarebbe stata Enel a cablare tutto lo Stivale: Francesco Starace, che era ed è l’amministratore delegato, si mise all’opera con Cassa depositi creando appunto Open Fiber (OF). I risultati sono rivedibili: molti soldi spesi, bilanci debolucci, ritardi inauditi, un futuro radioso sempre a venire. E ora ci sono due società a forte presenza pubblica, due progetti in concorrenza e ancora ritardi.
La società della rete. Se ne parla da oltre dieci anni e molto insistentemente dacché esiste OF. Perché non se n’è fatto nulla finora? Questione di soldi, in sostanza. Tim non può perdere la rete, che vale a bilancio 15 miliardi e garantisce con le banche gran parte dei suoi molti debiti: è dunque favorevole, ma solo se conserverà il 50% più un’azione. Opzione appoggiata da Gualtieri per un motivo semplice: se non si fa così, Tim non può reggere. Una grossa mano a Gubitosi, in questo senso, l’ha data l’offerta del fondo Usa Kkr: 1,8 miliardi di euro per acquisire il 38% della rete secondaria di Tim, ossia quella in rame e fibra che dall’armadietto in strada entra nelle case (valutazione totale: 7,7 miliardi). È su questa base – e grazie a un accordo con Fastweb – che si creerà FiberCop, la società in cui si prepara a investire Cdp.
Ora che succede. Dopo il via libera unanime arrivato al capo di Cdp Fabrizio Palermo in una riunione ieri a Palazzo Chigi (presenti Conte, molti ministri ed esponenti di tutti i partiti di maggioranza), lunedì il cda di Tim darà vita all’operazione FiberCop e discuterà del Memorandum of understanding con Cassa depositi. I dettagli finanziari vanno ancora definiti, ma la sostanza è che la pubblica Cdp si prepara a entrare in FiberCop conferendo la sua metà di OF (e forse anche con soldi); Tim conferirà a sua volta anche la rete primaria (quella che va dalla centrale agli armadietti). Alla fine l’ex monopolista dovrebbe restare con la maggioranza assoluta, Kkr e Cdp col 18% a testa, il resto diviso tra Fastweb, che parte col 4,4%, e altri investitori (ieri Tim ha stretto un pre-accordo con Tiscali che potrebbe preludere all’ingresso nel capitale di FiberCop).
La mediazione Gualtieri. Per convincere i colleghi il ministro ha detto due cose: questo è un primo passo per una futura società pubblica della rete (e così ha sedato i grillini), Tim avrà la proprietà, ma non il comando. Secondo quanto spiegato ieri da Palermo a Palazzo Chigi, funzionerà così: non regole definite nello Statuto, ma un patto di sindacato tra Tim e Cdp che preveda un presidente con deleghe forti scelto dalla Cassa, il gradimento della stessa società pubblica sull’ad e la prima linea del management. Ovviamente il tutto funziona se Gubitosi si impegna a fare gli investimenti che servono e magari se Cdp entra nel cda di Tim.
E ora Enel? Dovrà dire cosa vuol fare. I problemi, intrecciati, sono di due ordini: di soldi e reputazionali. Starace si è impuntato nel pretendere una supervalutazione di Open Fiber, che serve a riconoscere la bontà della sua iniziativa e garantirebbe a Enel di fare una plusvalenza su un investimento finora non oculato. Il fondo australiano Macquarie, secondo gli interessati, alla fine della due diligence in corso riconoscerà che OF vale 7 miliardi di euro, il doppio di quanto la valuta Tim. Problema: Starace, manager di un’azienda sostanzialmente pubblica, vorrà bloccare un’operazione che ha il sostegno di governo, maggioranza e opposizione?