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martedì 28 luglio 2020

Per la salute e per l’ambiente: il progetto per riciclare le mascherine anti-covid. - Giacomo Salvini

Per la salute e per l’ambiente: il  progetto per riciclare le mascherine anti-covid

Smaltire miliardi di dispositivi di protezione sarà un problema per l'ecosistema. Una cooperativa sociale bolognese ha ideato un sistema per il lavaggio certificato delle mascherine.
Guanti, mascherine e protezioni per i medici in corsia. L’emergenza covid-19, in un attimo, ha fatto scomparire dall’agenda i messaggi e gli allarmi ambientalisti lanciati nei mesi scorsi dai ragazzi di Fridays for Future. Questione di priorità, si dice: la salute delle persone viene prima della crisi ambientale del Pianeta e della produzione “usa e getta” di rifiuti non riciclabili. Eppure, oggi che l’emergenza covid-19 in Italia sembra essersi attenuata, gli ambientalisti si leccano le ferite dopo quattro mesi di produzione e utilizzo di prodotti monouso come mascherine e guanti per proteggersi dal virus.
Ma visto che ormai i dispositivi di protezione individuale sono entrati a far parte della nostra quotidianità e lo resteranno ancora per un po’ (probabilmente fino a quando sarà trovato il vaccino ma gli scienziati sono già lì a preconizzare future epidemie), qualcuno ha già ideato dei rimedi per far convivere l’esigenza di protezione sanitaria con quella ambientale. La cooperativa sociale bolognese “Eta Beta, diversamente professionali”, che dà lavoro a ragazzi svantaggiati e molto attiva in Emilia per le operazioni di sanificazione delle ambulanze, nelle ultime settimane ha stretto un accordo con “Zero Waste Italy” per un progetto innovativo: il lavaggio delle mascherine certificate DM e un processo che porti al noleggio delle stesse portando così a una riduzione, fino al minimo indispensabile, della produzione di nuovi dispositivi di protezione individuale. È l’economia circolare delle mascherine.
Il progetto è nato a fine giugno grazie alla collaborazione con “Zero Waste Italy” e “Zero Waste Europe” – la rete italiana dei rifiuti zero – ed è stato presentato durante un incontro con una delegazione di imprenditori e sindaci del settore del tessile di Prato interessati all’economia circolare. Alla riunione erano presenti anche Matteo Francesconi, assessore all’Ambiente del Comune di Capannori (Lucca), all’avanguardia in Italia per la raccolta differenziata, e il sindaco di Carmignano (nel pratese), Edoardo Prestanti. Oltre alla collaborazione tra comuni, la Regione Emilia Romagna ha firmato un protocollo per far sì che questo progetto si moltiplichi il più possibile, prima a tutto il territorio regionale e poi anche in altre parti d’Italia.
L’obiettivo del progetto di “Eta Beta” è quello di azzerare le mascherine usa e getta. Ognuno avrà il proprio dispositivo e, quando vuole, potrà portarlo a lavare se usato o sporco. Poi sarà la cooperativa sociale a organizzare la consegna e il ritiro dei dispositivi. Il sistema funziona così: dopo aver acquistato mascherine certificate con marchio CE, la cooperativa “Eta Beta” si fa carico del processo del lavaggio industriale – certificato – che avviene con detersivi ecolabel e senza l’uso di cloro prima di garantire il ritiro delle mascherine usate e la riconsegna dei dispositivi sanificati.
Il tutto avviene all’interno di un container nella sede bolognese della cooperativa – con tanto di lavatrice incorporata – in cui viene gestito il processo certificato di lavaggio e detergenza delle mascherine. Il vero “business” della cooperativa però non si basa tanto sul lavaggio, quanto sulla gestione del ritiro e della consegna dei dispositivi individuali. L’obiettivo di “Eta Beta” però non si fermerà solo alle singole mascherine perché una volta che il processo sarà pienamente attivo ­– e quindi la produzione ridotta al minimo – il tutto potrà essere applicato per sanificare gli altri dispositivi di protezione individuale usati dai lavoratori sanitari durante l’emergenza covid: i camici, gli scafandri, le cuffie e tutti gli altri prodotti usa e getta. Anche perché, facendo i dovuti scongiuri, questi dispositivi potrebbero essere molto richiesti in futuro nel settore sanitario.
La cooperativa individua tre vantaggi del progetto: in primo luogo quello ambientale “evitando il consumo di dispositivi monouso e il loro difficile smaltimento”, quello economico “incentivando un considerevole risparmio per le aziende e per le famiglie” e infine l’aspetto educativo in quanto “ci deve interessare quello che usiamo e buttiamo”.

martedì 27 marzo 2018

A Londra strade asfaltate con le bottiglie di plastica riciclata. - Belloni

A Londra strade asfaltate con le bottiglie di plastica riciclata

L'esperimento nel quartiere di Enfield: materiale di recupero come collante al posto del bitume preso da combustibili fossili.
La guerra contro la plastica adesso ha una nuova frontiera: utilizzare bottiglie e altri scarti per costruire le strade. In Gran Bretagna questo sogno ecologico è giù diventato realtà e di recente ha raggiunto Londra, grazie all’amministrazione del quartiere di Enfield. Per adesso gli amministratori si sono concentrati su una via, ma nel mirino ci sono altre strade e spazi da sottoporre al riciclo creativo.
L’intervento pilota ha riguardato una parte di Green Dragon Lane (nella foto in alto) ed è stato così positivo che Transport for London ha deciso di erogare un finanziamento per i lavori e ha suggerito di ripetere l’esperimento anche per alcune fermate degli autobus nella stessa zona. Anche perché la nuova miscela “amica della Natura” risulta vantaggiosa pure sotto altri aspetti: è più resistente all’usura e quindi dura molto più a lungo dell’asfalto tradizionale consentendo un risparmio di costi significativo.
Il responsabile dell’ambiente del consiglio di Enfield, Daniel Anderson, si è detto soddisfatto dei risultati e soprattutto felice di sapere che mari e oceani soffrono meno grazie alle scelte organizzative del suo quartiere. La sua idea è quella di ridurre al minimo l’impronta di carbonio che ogni ente produce con le sue scelte. Perché non tutti riflettono sul fatto che ogni persona lascia una traccia di inquinamento con le sue scelte.
La strada che è stata selezionata per l’asfaltatura innovativa è molto trafficata, visto che rappresenta lo snodo per tre diverse linee di trasporto pubblico e viene sfruttata anche da molte auto private. Fino ad ora i risultati sembrano positivi e questo apre un nuovo orizzonte nell’ambito dei lavori pubblici.
Prodotto dalla società MacRebur, che ha sede a Lockerbie, questo asfalto speciale contiene un mix di plastiche riciclate. Per ogni tonnellata di asfalto si usano tra i tre e i dieci chili di materiale di recupero, che servono come agente collante al posto del bitume preso da combustibili fossili.
La società ha ottenuto un milione di sterline attraverso il crowfounding e nel 2016 si è aggiudicata il premio della Virgin di Richard Branson come start up guadagnando un finanziamento da 50mila sterline e una campagna di marketing da 250mila sterline.
Il suo primo intervento sul suolo britannico è stato in Cambria, con un programma di asfaltature da 200mila sterline per l’autostrada A7 nel Lake District, che ha utilizzato l’equivalente di 500mila bottiglie di plastica. Ma la MacRebur ha anche realizzato una strada di servizio al Carlisle City Airport e vanta progetti da completare con i consigli di Fife e Cambridgeshire.
L’intervento di Enfield, però, è il primo nella capitale e anche il primo ad aver ottenuto l’appoggio di Transport for London, il che potrebbe portare ad alzare il tiro dei lavori a anche a una ribalta di tipo internazionale.
Va segnalato che l’idea di riciclare la plastica per costruire strade non è del tutto nuova. La Kws, una società del gruppo edilizio VolketWessel, ha avviato un progetto chiamato Plasticroad, che si basa su principi per certi versi analoghi. A Rotterdam è stata costruita un paio d’anni fa la prima strada modulare con questo sistema, che ricorda una specie di Lego, con strutture fisse fatte in plastica riciclata, che si possono disporre rapidamente e sollevare altrettando velocemente per fare riparazioni e intervenire su perdite di acqua o gas, che invece oggigiorno richiedono blocchi di giorni prima di essere risolti.

venerdì 19 gennaio 2018

ReTuna: il primo centro commerciale del mondo dedicato solo al riciclo e al riuso. - Francesca Mancuso

ReTuna

Un centro commerciale dove ogni cosa è già stata usata ma può tornare a nuova vita. La Svezia crede davvero alla filosofia del riciclo e riuso. Ne è la prova ReTuna, un grosso shopping center che vende solo prodotti riciclati ed è il primo centro commerciale al mondo di questo tipo.
Nelle nostre città, i centri commeciali sono sempre più numerosi. Luoghi affollati, a volte caotici, dove ci si affanna alla ricerca di abiti, scarpe, accessori e dove l'economia circolare non è di certo di casa.
La città di Eskilstuna si sforza di essere un modello di riferimento ecologico. Nel suo lavoro di sviluppo legato all'ambiente, è nata così l'idea di aprire un centro commerciale con negozi veri e propri ma con una gamma di prodotti riutilizzati.
Nella ReTuna Återbruksgalleria si possono trovare solo prodotti riciclati. Al suo interno ospita 14 negozi, un ristorante, un'area espositiva e ha all'attivo un programma educativo in modo che gli svedesi interessati possano imparare a riciclare ancora di più.
ReTuna Återbruksgalleria è il primo centro commerciale di riciclaggio al mondo e promette di rivoluziore lo shopping in modo intelligente per l'ambiente. Qui i vecchi oggetti tornano a una nuova vita attraverso la riparazione e l'upcycling. Inoltre, tutto ciò che viene venduto è riciclato o riutilizzato o ancora è stato prodotto in modo sostenibile.
Il centro commerciale ha aperto i battenti nell'agosto del 2015 e si trova vicino al centro di riciclaggio Retuna Återvinningscentral. È gestito dall'azienda municipale Eskilstuna Energi och Miljö (EEM).
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I visitatori possono portare nel deposito del centro commerciale, chiamato "Returen", ciò che non usano, da giocattoli a mobili, vestiti, oggetti decorativi e dispositivi elettronici. Nel deposito, il personale esegue una prima raccolta di ciò che è utilizzabile e ciò che non lo è. Gli articoli vengono poi distribuiti ai negozi del centro commerciale. Il personale di ogni negozio esegue quindi una seconda selezione, in cui sceglie ciò che desidera riparare, convertire, perfezionare e, infine, vendere. In questo modo, i materiali hanno una nuova vita.
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E l'idea sta funzionando: nel 2016, ReTuna Återbruksgalleria ha venduto 8,1 milioni di corone svedesi di prodotti riciclati, pari a 830mila euro.
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"ReTuna è più di un semplice mercato. Vuole anche essere un momento educativo. Organizza eventi, workshop, conferenze, giornate tematiche e altro, il tutto incentrato sulla sostenibilità. Ci sono anche sale conferenze. Il Café Returama propone pranzi e cene biologici" si legge sul sito ufficiale.
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Non ultimo. Il centro commerciale ReTuna ha generato oltre 50 nuovi posti di lavoro. Ce ne vorrebbe uno in ogni città, non credete?