Visualizzazione post con etichetta sperimentazione. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta sperimentazione. Mostra tutti i post

domenica 21 marzo 2021

Sputnik, sperimentazione allo Spallanzani sul vaccino russo. - Antonella Scott



Un vaccino giramondo. I promotori di Sputnik hanno lanciato un’aggressiva campagna di diffusione del farmaco anti-Covid

Il Forum di dialogo tra le società civili riunirà attorno a un tavolo scienziati e accademici dei due Paesi per spiegare le prospettive del farmaco anti-Covid

I punti chiave


È stato circondato da controversie fin dall’inizio: dal momento in cui, l’estate scorsa, Vladimir Putin ne ha annunciato la registrazione prima di ogni altro vaccino, Sputnik V - V per “vittoria” - è stato visto come uno strumento di propaganda del Cremlino, prima ancora che come un contributo alla battaglia globale contro il Covid.

E ora che alcuni Paesi europei, a cominciare dall’Ungheria, lo hanno scelto senza aspettare il parere dell’Agenzia europea del farmaco, mentre altri iniziano a guardare con favore alla possibilità di stringere accordi produttivi con i russi una volta ottenuta l’autorizzazione dell’Ema, gli interrogativi si moltiplicano: proprio di fronte alla possibilità che presto anche Sputnik possa entrare nella rosa dei vaccini tra cui scegliere, in Europa, c’è un bisogno assoluto di fare chiarezza.

Forum italo-russo.
È la ragione per cui il Forum di dialogo italo-russo per le società civili - progetto di nomina governativa nato per favorire lo sviluppo delle relazioni tra Italia e Russia - ha organizzato per il 23 marzo un convegno online che metterà i protagonisti della ricerca e della promozione di Sputnik - l’Istituto di ricerca Gamaleya di Mosca e il Fondo sovrano russo per gli investimenti diretti (Rdif) - a confronto con ospiti italiani quali Massimo Galli, primario infettivologo e professore ordinario di Malattie infettive all’Università di Milano; Francesco Vaia, direttore dell’Istituto Spallanzani; Francesco Rocca, presidente della Croce Rossa Italiana; Marcello Cattani, presidente del Gruppo Prevenzione Farmindustria, Pierluigi Petrone, presidente di Assoram, Alessio d’Amato, assessore sanità della Regione Lazio.

Spallanzani sperimenterà efficacia Sputnik su varianti.
Nella giornata di sabato, poi, proprio l’assessore d’Amato ha annunciato: «Presto ci sarà la firma dell'accordo di collaborazione scientifica tra l'Istituto Spallanzani di Roma e l'Istituto Gamaleya di Mosca per valutare la copertura delle varianti di Sars-CoV-2 anche del vaccino Sputnik V».

Insieme all’ambasciatore d’Italia nella Federazione Russa, Pasquale Terracciano, e a Serghey Razov, ambasciatore russo in Italia, si cercheranno risposte alle molte domande sulle caratteristiche di Sputnik, le prospettive di un suo utilizzo in Europa, i problemi logistici. E quelli geopolitici.

Ferlenghi: condivisione aperta delle informazioni.
«Ho pensato che fosse necessaria una condivisione aperta, che coinvolgesse la comunità scientifica, i tecnici, il privato e il pubblico ma anche i media - spiega Ernesto Ferlenghi, copresidente del Forum di dialogo italo-russo insieme a Vladimir Dmitriev -. E ora credo che francesi, tedeschi e altri vogliano seguire il nostro esempio».

Tra i temi che sarà possibile approfondire, immagina Ferlenghi, ci sono le diverse tipologie di accordi tra i governi e le case farmaceutiche, che in Russia come in Cina sono tutte statali; la catena tecnologica industriale in cui individuare le particolari competenze italiane, per esempio nella fase dell’infialamento; il confronto tra gli investimenti in ricerca e sviluppo e i brevetti che ne derivano. «E poi naturalmente il tema politico, la strategia delle diplomazie internazionali al lavoro».

Chiarire i dubbi su Sputnik e come funziona.
Nel convegno, spiega il presidente del Forum di dialogo, sarà possibile esporre agli interlocutori russi tutti i dubbi che circolano riguardo a Sputnik: come funziona, le ragioni della diffidenza che sembra suscitare in patria, il percorso avviato con l’Ema, le ispezioni. «Sicuramente le verifiche vanno fatte - osserva Ferlenghi - come il processo di acquisizione dei dati. Garantendosi nello stesso tempo eventuali forniture. Ho pensato che fosse giusto che di tutto questo parlassero direttamente l’Istituto Gamaleya, detentore delle competenze e il fondo Rdif. Si potrà produrre in Italia? Quanto tempo serve? Quanti investimenti? Che accordi avete stretto in Germania, in Francia?».

«Ho detto ai russi - conclude Ferlenghi - dovete spiegare bene cosa avete in mente di fare». «Questo evento - aggiunge Alberto Conforti che con Livolsi&Partners ha collaborato all’organizzazione della Tavola Rotonda - è importante perché vuole rappresentare lo stato dell’arte delle relazioni tra Italia e Russia nella collaborazione istituzionale e industriale, per la gestione della pandemia, attraverso uno scambio di informazioni tra tutti i soggetti coinvolti, per garantire un coordinamento efficace e l’ottimizzazione delle risorse industriali nazionali dell’Italia e della Federazione Russa»

IlSole24ore

martedì 16 marzo 2021

Coronavirus, si sperimenterà anche a Palermo il vaccino tutto italiano.

 

Il Policlinico Paolo Giaccone coinvolto, insieme ad altre 27 realtà ospedaliere, nella seconda fase dello studio condotto sul siero GrAd-Cov.2.

PALERMO - L’Azienda ospedaliera Universitaria Policlinico Paolo Giaccone di Palermo è tra i centri clinici individuati per sperimentare il vaccino anticovid italiano. Il Policlinico è coinvolto, insieme ad altre 27 realtà ospedaliere, 26 in Italia e 1 in Germania, nella seconda fase dello studio condotto sul vaccino GrAd-Cov.2 (meglio conosciuto come ReiThera) dalla società biotecnologica italiana ReiThera in collaborazione con l’Istituto Spallanzani di Roma.

Nella Fase 1 della sperimentazione, partita ad agosto 2020 e terminata lo scorso gennaio, sono stati raccolti i dati preliminari sulla sicurezza e l’immunogenicità del vaccino sull'uomo. A novembre sono stati resi noti i primi risultati di efficacia che hanno dimostrato non solo che il vaccino è stato ben tollerato, ma che è stato immunogenico, ovvero l’organismo in cui è stato inoculato ha prodotto sia anticorpi che linfociti T.

La sperimentazione proseguirà ora con la Fase 2 e 3, per verificare in modo più avanzato quali sono le risposte al vaccino da parte di soggetti volontari. I risultati registrati da ciascuna struttura saranno successivamente raccolti ed elaborati a livello centrale con l'obiettivo di produrre in tempi brevi il primo vaccino anti-Covid made in Italy.

«Diversamente dai vaccini Pfizer e Moderna, che si basano sulla tecnologia a mRNA - spiega Antonio Cascio, direttore della Uoc di Malattie Infettive e Tropicali e referente per la sperimentazione - il Reithera, come i vaccini AstraZeneca, Johnson & Johnson e Sputnik, si basa su una piattaforma vaccinale del vettore virale che contiene l’informazione genetica per produrre la proteina spike del Sars Cov2. Lo studio prevede l’arruolamento di soggetti volontari di entrambi i sessi e di età superiore ai 18 anni (anche anziani) che presentino queste condizioni: Non aver contratto in precedenza un’infezione da Sars Cov2 confermata da test molecolare; avere condizioni cliniche stabili; assenze di malattie gravi e/o incontrollate; non essere in gravidanza (confermata con test positivo) o in allattamento».

Probabilmente a breve si raccoglieranno le candidature di quanti vorranno avere iniettato il vaccino. L’impegno per chi sceglierà di diventare un volontario si traduce in un controllo iniziale per valutare lo stato di salute e, se idoneo, in successive 7 visite a distanza di tempo per monitorare gli anticorpi. I volontari dovranno effettuare la ricerca di Sars Cov2 con tampone naso-faringeo molecolare prima delle somministrazioni e saranno sottoposti a stretto monitoraggio clinico e sierologico, nonché a contatti telefonici settimanali. Nei due giorni (1 e 22) in cui sarà inoculato il vaccino verrà richiesto di restare in osservazione presso il centro clinico per almeno 30 minuti.

https://www.lasicilia.it/news/covid/399736/coronavirus-si-sperimentera-anche-a-palermo-il-vaccino-tutto-italiano.html

giovedì 24 dicembre 2020

Monoclonali, Palù apre alla sperimentazione. L’Aifa riscrive la vicenda del “trial mancato”, ma finisce per ammettere l’occasione persa. - Thomas Mackinson

 

“Stiamo valutando una sperimentazione nei prossimi giorni”. Sui farmaci a base di anticorpi il neopresidente dell'Agenzia ha impresso la svolta. “Sono un sicuro presidio nel momento in cui non riusciremo a fare il vaccino a tutti". Ma l'ente difende la sua inerzia ricostruendo a suo modo l'occasione lasciata cadere nel nulla di sperimentarli gratis già a novembre. "Mai arrivata proposta di cessione gratuita", ma perché l'Aifa stessa non l'ha più chiesta. "Arrivata solo quella di autorizzazione alla vendita". Ma il ministero della Salute ormai poteva solo comprare il Bamlanivimab. Ecco come sono andate le cose.

“L’Aifa ha interesse a sperimentare i monoclonali”. Sui farmaci a base di anticorpi Giorgio Palù ieri ha impresso la svolta all’agenzia che presiede dal 4 dicembre. Dopo le rivelazioni del Fatto ha messo il punto all’ordine del giorno riaprendo la strada che, per ragioni poco chiare, era stata chiusa: “Sono un sicuro presidio nel momento in cui non riusciremo a fare il vaccino a tutti. Stiamo valutando una sperimentazione nei prossimi giorni”. In verità lo sostiene da sempre, ma per riaprire il discorso tocca cancellare la macchia: l’occasione mancata di sperimentare già a novembre 10mila dosi di Bamlanivimab, il farmaco sviluppato da Eli Lilly contro il Covid-19, a beneficio di altrettanti pazienti e a costo zero.

Nicola Magrini, dg dell’Aifa, s’intesta la smentita di una storia che il Fatto ha ricostruito – in forza di documenti testimonianze dirette – e di cui prima nulla si sapeva. Magrini, che mai ha accettato di parlarne, parla ora di “una generica disponibilità a collaborare” della multinazionale di Indianapolis. Sostiene che l’agenzia non ha ricevuto alcuna proposta di “cessione gratuita delle dosi” bensì una richiesta di autorizzazione alla vendita, non alla sperimentazione. E che in ogni caso: “Non è vero che abbiamo rifiutato l’accesso in Italia”.

Racconta tutt’altro la documentazione in nostro possesso. Tutti i decisori pubblici coinvolti, a partire dallo stesso Magrini, fin dal 7 ottobre erano chiamati a valutare esclusivamente la proposta di un “trial clinico-pragmatico” gratuito che avrebbe garantito al nostro Paese ormai schiacciato dalla seconda ondata l’accesso a una delle poche cure disponibili al mondo contro il virus. Nessun documento di quelli visionati parla di vendita: un’opzione che l’Italia ha valutato solo quando il tergiversare dell’Aifa sulla sperimentazione ha reso impossibile la cessione, perché il 9 novembre il farmaco è stato autorizzato negli Usa ed è entrato in commercio.

“Il 7 ottobre il virologo Guido Silvestri da Atlanta chiamò me”, racconta ora la senatrice M5S Elena Fattori. “Mi parlò della possibilità di far avere all’Italia almeno 10mila dosi di quel medicinale a costo zero”. La senatrice chiama subito il capo segreteria di Speranza, Massimo Paolucci. “Il ministero mi diede immediato riscontro. Da lì in poi la palla passò all’Aifa dove la cosa evidentemente si è arenata, non so perché”. Una versione che coincide con quella del viceministro Pierpaolo Sileri: il giorno stesso, nel giro di 16 minuti, girò la proposta all’Aifa per le opportune valutazioni del caso: a distanza di due mesi e mezzo non ha avuto risposta. L’aspettano anche i senatori M5S della Commissione Sanità: due giorni fa hanno depositato un’interrogazione al ministro Speranza in cui chiedono, alla luce della notizie emerse, cosa intenda fare. Il presidente Palù ha risposto nei fatti, travolgendo resistenze mai chiarite a un trial clinico di monoclonali già in uso all’estero.

Sempre di questo (non di vendita) si parla ancora nella riunione del 29 ottobre tra i vertici mondiali della Lilly, il gruppo regolatorio dell’Aifa, Gianni Rezza per il ministero, Giuseppe Ippolito (Cts e Spallanzani) e lo stesso professor Silvestri che da Atlanta aveva dato impulso all’iniziativa. La conferma definitiva che quello fosse l’oggetto, mai la vendita, arriva proprio da Ippolito: in una lettera al Fatto del 18 dicembre il direttore dello Spallanzani parla appunto di “sperimentazione”, non di offerte di acquisto.

La smentita dell’Aifa gioca però con le parole, usa a sua discolpa i propri atti mancati. Sostiene, ad esempio, di non aver mai ricevuto la proposta di sperimentazione gratuita. E questo è assolutamente vero, ma non l’ha ricevuta per il semplice fatto che al termine della riunione citata l’ha lasciata cadere per palese disinteresse. La multinazionale, contattata dal Fatto nei giorni scorsi, aveva confermato: “L’interlocuzione sul trial clinico gratuito è stata interrotta allora”. Aifa però rimarca d’aver ricevuto la richiesta di autorizzazione alla vendita. Facendo così passare il sospetto che alla fine di questo si trattasse: “In data 20 novembre – si legge – l’azienda Eli Lilly ha presentato all’Aifa una offerta per l’acquisto del farmaco da parte dell’Ssn, consegnando una ipotesi di contratto alla Struttura Commissariale all’emergenza Covid-19 il giorno 25 Novembre”.

Quello che la smentita non dice è che in realtà, persa l’occasione, non poteva accadere altrimenti. Il 9 novembre l’Fda americana autorizza l’uso d’emergenza del Bamlanivimab e da quel giorno, col prezzo fissato in 1200 dollari per le prime 300mila dosi, la casa madre di Indianapolis non può più cederne 10mila gratis a un altro Paese. Tuttavia l’Italia all’improvviso è disposta anche a pagare il farmaco che poteva avere gratis: il 16 novembre il ministero della Salute riporta la multinazionale al tavolo con Arcuri per l’unica opzione rimasta: trattare il prezzo.

L’Aifa infine torna sui limiti regolatori che sono la foglia di fico di tutta la storia. “Gli anticorpi monoclonali – si legge nel comunicato – necessitano di una approvazione europea, mentre l’azienda Eli Lilly ha proposto una procedura di approvazione del farmaco in deroga a tali procedure”. Ricorda poi che Ema ha espresso un giudizio assai cauto sulle possibilità di approvare il Bamlanivimab sulla base dello studio di fase 2 che evidenziava benefici moderati e ha richiesto ulteriori dati a supporto”. Non spiega però perché quei risultati siano bastati agli altri Paesi. Gli Stati Uniti hanno acquistato un milione di dosi, in Canada ne arriveranno altre migliaia dallo stabilimento di Latina. L’Ungheria fa parte dell’Unione dal 2004 e ha autorizzato il farmaco senza aspettare l’Ema. La Germania è sulla stessa scia.

E’ stato chiarito che in Italia si poteva autorizzare senza violare la legge, bensì applicandola: la 648/1996 è stata fatta apposta per autorizzare medicinali innovativi autorizzati in altri Stati, ma non in Italia, e quelli non ancora autorizzati dall’Ema ma in corso di sperimentazione clinica. La legge è sul sito dell’Aifa, per altro, con l’elenco dei farmaci. Nel 2005, ad esempio, Aifa autorizzò il trastuzumab per il trattamento del tumore alla mammella un anno e mezzo prima dell’Ema: ed è un anticorpo monoclonale, proprio come il Bamlanivimab. Adesso, dopo l’inchiesta, la posizione dell’Aifa è cambiata. È una vera fortuna. Potevamo essere i primi d’Europa, potremmo rischiare di non arrivare ultimi. Questa, alla fine, è la storia.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/12/23/monoclonali-palu-apre-alla-sperimentazione-laifa-riscrive-la-vicenda-del-trial-mancato-ma-finisce-per-ammettere-loccasione-persa/6045886/

martedì 22 dicembre 2020

Monoclonali e mancato trial, riunione straordinaria Aifa per capire chi si è opposto alla sperimentazione. - Thomas Mackinson

 

Il “trial mancato” svelato dal Fatto finisce questa mattina sul tavolo di una riunione urgente dell’Aifa, l’agenzia del farmaco che a ottobre respinse la proposta di sperimentazione gratuita del Bamlanivimab (LY-CoV-555), l’anticorpo neutralizzante monoclonale sviluppato dalla multinazionale Eli Lilly e prodotto proprio in Italia. E su quel tavolo si potrebbe riaprire in tempi rapidissimi la strada ai monoclonali in uso all’estero, finora lasciata cadere nel vuoto.

A metterla all’ordine del giorno è stato il neopresidente dell’Agenzia del farmaco Giorgio Palù, che lo conferma al Fatto. Nel periodo in cui la sperimentazione veniva proposta e cassata, tra il 7 e il 29 ottobre, vestiva ancora i panni del virologo di fama mondiale e già sosteneva pubblicamente la necessità che l’Italia guardasse con attenzione non solo ai vaccini ma anche alle terapie anticorpali sperimentate all’estero con risultati promettenti. Come abbiamo raccontato, a inizio ottobre ne erano state offerte all’Italia 10 mila dosi: gratis e prodotte qui.

Il nostro Paese, già schiacciato dalla seconda ondata, avrebbe potuto essere il primo in Europa a sperimentarlo, somministrando ai malati l’unica cura al mondo autorizzata contro il Covid. Il farmaco riduce la carica virale e per i pazienti ad alto rischio diminuisce i ricoveri del 72%: in proporzione alle fiale, sarebbero stati risparmiati almeno 950 ricoveri.

Ora si vuole capire sulla base di quali valutazioni scientifiche e regolatorie è stato deciso di accantonarlo. Chi si è opposto? Perché? Il Bamlanivimab viene somministrato da un mese e mezzo negli Stati Uniti con risultati incoraggianti. La sperimentazione in Italia avrebbe potuto confermare i dubbi degli esperti italiani, oppure dimostrare che il farmaco è più efficace della Tachipirina che l’Aifa consiglia ai non ospedalizzati. A quanto risulta al Fatto, nella riunione chiave del 29 ottobre tra la multinazionale, Aifa, ISS e Cts, era stato proposto di non fermarsi agli ai risultati delle ricerche condotte su campioni limitati ma di usare i dati clinici degli ospedali americani che lo stavano già somministrando. Sul fronte regolatorio appare ormai certo non fosse necessario aspettare l’autorizzazione dell’Ema.

In Italia è stata fatta una legge apposta: la 648/96 consente l’uso di farmaci non autorizzati dall’Ema per i quali non esista una terapia alternativa. Accade nel 2005, ad esempio, col Trastuzumab (tumore alla mammella), un altro monoclonale. La condizione necessaria – dice la legge – è che esistano “studi conclusi, almeno in fase II, che dimostrino un’efficacia adeguata con un profilo di rischio accettabile a supporto dell’indicazione richiesta”. Nel caso del farmaco di Eli Lilly queste condizioni ci sono. “Sono farmaci molti importanti”, dice il presidente della Società Italiana di Farmacologia, Giorgio Raccagni. “Si dimostrano efficaci se somministrati precocemente a pazienti ad alto rischio perché riducono considerevolmente la carica virale e di conseguenza i ricoveri che saturano gli ospedali. Confido che l’Aifa prenda una decisione nella direzione di altri paesi europei”. Questo sarebbe anche l’indirizzo del ministro Speranza che non ha mai avuto preclusioni alla via dei monoclonali, non solo patrocinando quello italiano in fase di studio ma anche verso quelli sviluppati all’estero.

Il paradosso è che il ministro ha firmato una formale manifestazione di interesse all’acquisto da parte dell’Italia in una riunione con la multinazionale – presente anche Arcuri – il 16 novembre, cioè quando era già stata lasciata cadere l’opzione delle 10 mila dosi gratis. Il loro controvalore era 10milioni di euro, che avremmo potuto risparmiare insieme a molte vite.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/21/monoclonali-riunione-straordinaria-dellaifa/6043630/

giovedì 13 agosto 2020

Pronto il vaccino anti-Covid italiano: precedenza al nostro Paese.

Vaccino non sia obbligatorio". Si scatena la "rissa" sul Covid ...

Sviluppato alle porte di Roma, verrà testato nelle prossime settimane su 90 volontari. Se efficace, distribuito prima in Italia.

Il vaccino anti-Covid “made in Italy”, prodotto da un’azienda biotech laziale e finanziato dalla stessa Regione Lazio, sta per entrare nella sua fase “conclusiva”. In questi giorni, infatti, l’Ente della Pisana è alla ricerca di volontari che si facciano inoculare le prime provette della medicina, così da poterne valutare gli effetti (ed eventuali effetti collaterali).

In poco più di 24 ore sono arrivate oltre 4 mila candidature: un numero decisamente elevato, che consentirà di trovare facilmente i 90 volontari che dovranno sottoporsi alla cura sperimentale realizzata e sviluppata da ReiThera. L’azienda biotech con sede a Castel Romano, poco fuori dal Grande Raccordo Romano (e non troppo lontano da Pomezia, dove è stato sviluppato anche un altro vaccino anti-Covid), sta definendo gli ultimi dettagli operativi e strategici, così da farsi trovare pronta con l’appuntamento più importante della sua storia.

Nonostante sia attiva da oltre 20 anni nel settore delle biotecnologie, ReiThera ha investito con convinzione nello sviluppo del vaccino e si dice pronta a dare il suo contributo per contrastare il “ritorno di fiamma” del Covid 19 nel nostro Paese.

Come funziona il vaccino anti-Covid di ReiTheraIn un’intervista rilasciata a Repubblica, Stefano Còlloca (co-fondatore di ReiThera e Chief of Technology dell’azienda) spiega come sia stato sviluppato il vaccino e quale sia la “ratio” che ha guidato le scelte degli scienziati romani. Secondo Còlloca, lo sviluppo di vaccini contro il SARS-CoV-2 non è troppo complesso, come dimostrano le tanti sperimentazioni in corso un po’ ovunque nel mondo (da ultimo in Russia).

Il vaccino di ReiThera, però, differisce dagli altri in fase di sviluppo perché basato su un adenovirus di gorilla, che ha lo scopo di “trasportare” una sequenza di codice genetico che provoca la reazione del nostro sistema immunitario e lo spinge a sviluppare degli anticorpi. L’adenovirus di gorilla, a differenza di quelli umani, non viene riconosciuto immediatamente dal sistema immunitario umano e, dunque, ha tempo a sufficienza per compiere la sua “missione”.

Pronti a produrre milioni di dosi, precedenza all’Italia. Come detto, in attesa dei risultati dei primi test, ReiThera sta ultimando i preparativi per farsi trovare pronta alla produzione di massa del suo vaccino. Nell’impianto alle porte di Roma sono in fase di ultimazione i lavori per l’ampliamento dell’impianto di produzione, dove stanno per essere installati due nuovi bioreattori da 3 mila litri ognuno. Questo consentirà di incrementare notevolmente la capacità produttiva di ReiThera.

L’obiettivo è quello di essere in grado di produrre milioni di dosi nel giro di un lasso di tempo ridotto, così da incontrare la domanda dei Paesi interessati alla medicina. La priorità, comunque, verrà data al nostro Paese: se il vaccino dovesse funzionare, le prime fiale saranno destinate ai pazienti italiani.

https://quifinanza.it/innovazione/video/vaccino-covid-reithera-regione-lazio/407627/

lunedì 11 maggio 2020

Coronavirus, plasmaterapia. Il professor Baldanti: “Mortalità scesa dal 15 al 6%”. Al via banca del sangue: “Richiameremo ex pazienti”.

Coronavirus, plasmaterapia. Il professor Baldanti: “Mortalità scesa dal 15 al 6%”. Al via banca del sangue: “Richiameremo ex pazienti”

Era grande l'attesa per i primi risultati dello studio sulla plasmaterapia. Ed ecco che in conferenza stampa i medici e scienziati del Policlinico San Matteo di Pavia con l'Asst di Mantova li hanno resi noti.

Era grande l’attesa per i primi risultati dello studio sulla plasmaterapia. Ed ecco che in conferenza stampa i medici e scienziati del Policlinico San Matteo di Pavia con l’Asst di Mantova li hanno resi noti. “La mortalità dei pazienti curati con il plasma iperimmune è scesa dal 15% al 6%”. La ricerca condotta è stata condotta su 46 pazienti e apre la strada all’istituzione di una banca del plasma. “All’inizio la mortalità nei pazienti in ventilazione assistita ricoverati in terapia intensiva era tra il 13 e il 20%, circa 15% di media, mentre con la cura con il plasma iperimmune è scesa al 6%”, ha spiegato Fausto Baldanti, direttore dell’Unità virologia del San Matteo di Pavia. Lo studio aveva tre obiettivi: diminuzione mortalità a breve in terapia intensiva, il miglioramento dei parametri respiratori e il miglioramento dei parametri legati all’infiammazione, e proprio sul primo obiettivo sono stati raggiunti i risultati più significativi.
I pazienti curati con il plasma iperimmune avevano “un diverso grado di insufficienza respiratoria, 7 erano intubati, tutti avevano necessità di ossigeno e non erano in età avanzata – ha precisato Baldanti – Non possiamo prevedere quando la cura diventerà prassi, però giovedì avremo tutti i dati organizzati per presentare la sperimentazione alle riviste scientifiche”.
I pazienti hanno tutti più di 18 anni con tampone positivo, con problemi respiratori tali da necessitare un supporto per l’ossigeno, rx al torace positiva con polmonite interstiziale bilaterale. Tutti sono ricoverati negli ospedali di Pavia e Mantova, a parte uno che si trova a Novara, e l’ultimo è stato trattato l’8 maggio.
“Parametri respiratori migliorati” – Quello che i camici bianchi hanno osservato è che miglioravano i polmoni dei malati. E miglioravano tutta una serie di parametri. “I parametri respiratori misurati anche a livello biochimico, cioè la quantità di ossigeno nel sangue, sono migliorati drammaticamente al termine della prima settimana – ha elencato Baldanti – Le immagini radiografiche con aspetti di polmonite bilaterale sono migliorate in maniera significativa entro la prima settimana e contestualmente i tre parametri scelti per verificare il livello infiammazione sono diminuiti in maniera altrettanto drastica al termine della prima settimana di terapia con plasma”.
La genesi dello studio dopo i test in vitro – “Abbiamo parlato della terapia con plasma iperimmune all’incirca 2 settimane dopo l’identificazione del primo paziente positivo. A quel tempo non esisteva nessun tipo di test sierologico. Prendendo il siero di pazienti che avevano superato infezione e che erano i primi che stavano guarendo in quel momento”, in vitro “abbiamo visto che la distruzione cellulare veniva fermata. Era la dimostrazione che nel siero dei guariti esistono anticorpi neutralizzanti. Non abbiamo scoperto l’acqua calda, ma abbiamo usato la cultura medica” spiega Baldanti raccontando la genesi dello studio. L’esperto ha spiegato che il primo passo è stato provare l’esistenza di anticorpi neutralizzanti e poi di valutarne la quantità necessaria. “La virologia classica ci insegna che un’infezione si supera quando l’organismo è in grado di costruire anticorpi neutralizzanti che riconoscono la struttura ‘spike’ superficiale del virus, quella che usa per entrare nelle cellule umane e infettarle”. Disinnescando questo elemento “il virus risulta neutralizzato”. “Sempre la virologia classica – ha proseguito Baldanti – ci insegna che si coltiva il virus e si isola in vitro. L’infezione porta alla distruzione delle cellule umane stesse, come avviene nei polmoni dei pazienti. Noi abbiamo osservato, prendendo il siero dei guariti” e analizzandolo in vitro “che la distruzione cellulare veniva fermata. Per poter immaginare di usare il plasma, però, bisogna anche caratterizzarlo e capire il potere di neutralizzazione che ha. Altrimenti, dalla letteratura si vede che senza questo passaggio si può andare incontro a risultati sconfortanti. Ed è quello che abbiamo fatto”.
Banca del plasma iperimmune – “Da oggi lanciamo la banca del plasma iperummune. Da qui ai prossimi giorni faremo un protocollo per la donazione del sangue e le modalità con cui deve essere fatto partendo dai tanti guariti che abbiamo” ha spiegato l’assessore lombardo al Welfare Giulio Gallera, spiegando: “Tutte le nostre Asst richiameranno le persone da loro ricoverate affinché vengano a donare il plasma, dopo aver verificato livello immunità”. Presentando la sperimentazione Gallera ha dettoche l’obiettivo è “estendere in maniera ampia la sperimentazione” e quindi, oltre ai malati, “il secondo passo sarà quello dei donatori Avis, in particolar modo nelle aree più colpite, cioè Bergamo, Brescia, Lodi e Cremona“. “Questa mattina ho avuto un colloquio con il ministro Speranza che mi ha confermato che anche il governo ha particolare interesse per proseguire questa iniziativa” ha affermato così il presidente della Lombardia Attilio Fontana.

martedì 17 marzo 2020

Vaccino Covid-19, parte la sperimentazione sull’uomo. - Francesca Cerati

Coronavirus, negli Usa al via test sull'uomo per un vaccino. Ue offre 80 mln a CureVac, possibili test da giugno

A Seattle i test inizieranno su 45 giovani volontari sani con diverse dosi sviluppati dai Nih e dalla startup biotech del Massachusetts Moderna.

Partono i test sull’uomo per il vaccino Covid-19. Lo rivela un funzionario dei National Institutes of Health (Nih), finanziatori dello studio che si sta svolgendo presso il Kaiser Permanente Washington Health Research Institute di Seattle.
I test inizieranno su 45 giovani volontari sani con diverse dosi sviluppati congiuntamente da Nih e la startup biotech del Massachusetts, Moderna. Il vaccino, come si legge nel comunicato dell'azienda, si chiama mRna-1273. L'obiettivo è puramente quello di verificare che il vaccino non mostri effetti collaterali di rilievo, ponendo le basi per ampliare i test . Se tutto andasse liscio si tratterebbe di un record assoluto: 3-4 mesi per lo sviluppo e l’applicazione di un nuovo vaccino (nel caso della Sars il vaccino fu sviluppato in 20 mesi).
I funzionari della sanità pubblica americana ribadiscono comunque che ci vorranno da un anno a 18 mesi per convalidare qualsiasi potenziale vaccino.
Mentre i casi di Covid-19 continuano ad aumentare, si allunga la lista delle società che stanno febbrilmente lavorando alla ricerca di un vaccino.
E la ricerca contro il coronavirus utilizza approcci diversi, compresi quelli più moderni e meno testati chiamati vaccini “plug and play”. Dal momento che si conosce il codice genetico di Sars-CoV-2 è infatti possibile ricostruirlo, senza usare l’originale. Così alcuni scienziati stanno selezionando piccole sezioni del codice genetico del coronavirus e lo stanno inserendo in altri virus completamente innocui. Altri gruppi stanno usando frammenti di codice genetico grezzo (Dna o Rna a seconda dell’approccio) che, una volta iniettati, dovrebbero iniziare a produrre frammenti di proteine virali che il sistema immunitario può imparare a combattere.

Oltre a Moderna Pharmaceuticals -che utilizza il complesso proteico S (proteina virale Spike S), come i vaccini codificati contro i coronavirus responsabili della sindrome respiratoria mediorientale (Mers) e della sindrome respiratoria acuta grave (Sars) - anche Inovio Pharmaceuticals nella sua sede di San Diego ha già iniziato i test preclinici e la produzione su piccola scala di un vaccino a base di Dna. La società prevede di iniziare gli studi clinici negli Usa, in Cina e in Corea del Sud ad aprile per un totale di 3.000 dosi e di aspettarsi i primi risultati in autunno. L’obiettivo è di avere 1 milione di vaccini pronti per ulteriori studi clinici o di emergenza entro la fine dell’anno.

In campo c’è anche l’Università australiana del Queensland (che come le due società americane è finanziata dal Cepi, Coalition for epidemic preparedness innovations), e dallo scorso 27 febbraio anche gli scienziati israeliani dell’Istituto di ricerca Migal hanno dichiarato di essere pronti a produrre un vaccino orale nelle prossime 8-10 settimene appena ottenuta l’approvazione sulla sicurezza (entro 90 giorni). E poi, in ordine sparso su tempi e terapie/vaccini ci sono le multinazionali del farmaco come Gsk, J&J, Sanofi e Takeda, e le biotech Regeneron Pharmaceuticals e Vir Biotechnology.

La biologia sintetica.
Ma chi scommette che gli scienziati possano fare ancora meglio di quello che oggi è in dirittura d’arrivo sono la Bill e Melinda Gates Foundation e il National Institutes of Health americano. Se, come sembra, anzichè scomparire come la Sars, il virus Covid-19 diventasse una parte permanente del serraglio microbico mondiale, sarà necessario un approccio nuovo, una sorta di piattaforma modulabile da utilizzare anche per eventuali future pandemie.

Come dice Neil King, un ricercatore dell’Università di Washington “sapevamo che ci sarebbe stata un’altra epidemia di coronavirus”, dopo Sars e Mers “e ce ne sarà un’altra dopo”, che potrebbe emergere sempre da questa famiglia di virus. “Abbiamo bisogno di un vaccino contro il coronavirus universale”. La speranza è nella biologia sintetica per assemblare virtualmente potenziali vaccini in maniera più rapida e capace di rispondere alle mutazioni virali. A questo scopo i ricercatori attraverso il computer stanno progettando nuove nanoparticelle proteiche autoassemblanti “tempestate” di antigeni. Se i test sugli animali con il primo vaccino a nanoparticelle saranno indicativi, potrebbe essere più potente dei vaccini virali vecchio stile come quelli per l’influenza.

Le proteine come i Lego.
Utilizzando un algoritmo di progettazione proteica, gli scienziati potrebbero infatti determinare che, per esempio, una nanoparticella di 25 nanometri di diametro e composta da 60 pezzi identici è l’ideale per indurre l’immunità (il sistema immunitario umano si è evoluto per interpretare le disposizioni ripetitive delle molecole come un segno di pericolo). Rendere le nanoparticelle il nucleo di un vaccino ha anche una serie di vantaggi: riduce o elimina la necessità di un adiuvante (ingrediente che aumenta la risposta immunitaria) perchè la nanoparticella è sufficiente da sola; l’attacco degli antigeni su questo substrato rende l’intero complesso così tollerante al calore che non necessita di refrigerazione (caratteristica cruciale per i vaccini da distribuire nei paesi poveri); la nanoparticella può essere costellata da antigeni di diversi virus che si potrebbe addirittura ottenere un vaccino contro il “pan-coronavirus”.

domenica 15 marzo 2020

Coronavirus, scoperto primo farmaco per neutralizzarlo.

Dettaglio delle particelle del coronavirus SarsCov2 ottenute dal Niaid. Evidenti le protuberanze che danno l'impressione di una corona (fonte: NIAID-RML) © Ansa
Dettaglio delle particelle del coronavirus SarsCov2 ottenute dal Niaid. Evidenti le protuberanze che danno l'impressione di una corona (fonte: NIAID-RML).

Ma ci vorranno mesi per sperimentarlo sugli esseri umani.

E' stato messo a punto il primo farmaco specializzato per aggredire il coronavirus Sars-CoV2. E' un anticorpo monoclonale, specializzato nel riconoscere la proteina che il virus utilizza per aggredire le cellule respiratorie umane.
La ricerca è pubblicata sul sito BioRxiv dal gruppo dell'Università olandese di Utrecht guidato da Chunyan Wang. I ricercatori hanno detto alla Bbc che saranno necessari mesi prima che il farmaco sia disponibile perché dovrà essere sperimentato per avere le risposte su sicurezza ed efficacia.
Legandosi alla proteina Spike, che si trova sulla superficie del coronavirus, l'anticorpo monoclonale le impedisce di agganciare le cellule e in questo modo rende impossibile al virus di penetrare al loro interno per replicarsi. Per questo motivo i ricercatori sono convinti che l'anticorpo ha delle potenzialità importanti "per il trattamento e la prevenzione della Covid 19".
I ricercatori stavano già lavorando a un anticorpo contro la Sars quando è esplosa l'epidemia di Covid-19 o Sars2 e si sono resi conto che gli anticorpi efficaci contro la prima malattia riuscivano a bloccare anche la seconda.
Gli studi sono ancora in corso e l'anticorpo deve essere sottoposto a test molto rigorosi, ma i ricercatori sperano di convincere una compagnia farmaceutica a produrlo. Tutto questo, secondo gli scienziati di Utrecht, richiederebbe molto meno tempo che sviluppare un vaccino per il nuovo coronavirus.