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martedì 26 novembre 2013

Napolitano e il processo sulla Trattativa: se questo è un presidente… - Lorenzo Baldo

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Ormai è un dato di fatto. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, sostiene di non avere “in alcun modo ricevuto dal dottor D’Ambrosio qualsiasi ragguaglio o specificazione circa le ‘ipotesi’, solo ‘ipotesi’ da lui enucleate” escludendo di aver ricevuto indicazioni riguardanti il “vivo timore a cui questi ha fatto il generico riferimento nella drammatica lettera del 18 giugno”. “Né io – prosegue Napolitano nella lettera inviata ad Alfredo Montalto, presidente della Corte di Assise davanti a cui si celebra il processo sulla Trattativa – avevo modo e motivo, neppure riservatamente, di interrogarlo su quel passaggio della sua lettera. Né mai, data la natura dell’ufficio ricoperto dal dottor D’Ambrosio durante il mio mandato, come anche durante il mandato del presidente Ciampi, ebbi occasione di intrattenermi con lui su vicende del passato, relative ad anni nei quali non lo conoscevo ed esercitavo funzioni pubbliche del tutto estranee a qualsiasi responsabilità di elaborazione e gestione di normative antimafia”. 
Bastano queste poche righe per sprofondare nel più totale disgusto. In quale altro Paese “civile” un presidente della Repubblica si arrogherebbe il diritto di rimettere in discussione la decisione della Corte di ascoltarlo in un processo che potrebbe riscrivere – come minimo – il corso della storia degli ultimi 30 anni? Le motivazioni addotte dal Capo dello Stato hanno un quid di surreale.
Davvero Napolitano ritiene possibile far credere di non essere mai stato depositario di alcun “ragguaglio” su quello che è stato molto di più di un semplice sfogo? Come è possibile credere alla versione di chi nega di aver mai approfondito i temi più inquietanti citati dal suo ex consigliere giuridico? 
“Lei sa di ciò che ho scritto anche di recente su richiesta di Maria Falcone – scriveva Loris D’Ambrosio a Giorgio Napolitano il 18 giugno 2012 –. E sa che in quelle poche pagine non ho esitato a fare cenno a episodi del periodo 1989-1993 che mi preoccupano e fanno riflettere; che mi hanno portato a enucleare ipotesi - solo ipotesi di cui ho detto anche ad altri - quasi preso anche dal vivo timore di essere stato allora considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi. Non le nascondo di aver letto e riletto le audizioni all’Antimafia di protagonisti e comprimari di quel periodo e di aver desiderato di tornare anche a fare indagini, come mi accadde oltre 30 anni fa dopo la morte di Mario Amato ucciso dai terroristi...”. 
Purtroppo, nel citato libro di Maria Falcone (Giovanni Falcone un eroe solo, ed. Rizzoli, 2012), di quegli oscuri “episodi del periodo 1989-1993” che l’hanno “preoccupato” e “fatto riflettere”, non c’è traccia, solo alcuni limitati riferimenti alla solitudine di Falcone dopo il fallito attentato all’Addaura e alle polemiche seguite alla sua prima idea di Superprocura. 
Sono forse sopraggiunti dei tagli alla bozza definitiva del manoscritto? 
D’Ambrosio millantava, o che altro? 
Certo è che la lettera di Napolitano ad Alfredo Montalto è un insulto all’intelligenza. 
E soprattutto alla giustizia. 
In un Paese “normale” il Capo dello Stato sarebbe il primo a voler contribuire al raggiungimento della verità. 
In Italia, invece, il presidente della Repubblica solleva conflitti di interesse nei confronti delle Procure che istruiscono delicatissimi processi, evita di manifestare sostegno e solidarietà verso quegli stessi magistrati minacciati di morte e soprattutto oppone un silenzio tombale quando viene chiamato a testimoniare. 
Nella speranza che il prossimo presidente non ci faccia rimpiangere quello attuale non resta che aggrapparsi alle parole di Sandro Pertini che mai come oggi vorremmo risentire al Quirinale. “Non accetterò mai di diventare il complice di coloro che stanno affossando la democrazia e la giustizia in una valanga di corruzione – aveva detto in una vecchia intervista rilasciata a Nantas Salvalaggio –. Non c’è ragione al mondo che giustifichi la copertura di un disonesto, anche se deputato. Lo scandalo più intollerabile sarebbe quello di soffocare lo scandalo”. “Io spero che i documenti dei famosi ‘pretori d’assalto’ siano vagliati con rigore. Spero che tutto sarà discusso in aula, e nessuna copertura sarà frettolosamente inventata dai padrini dell’assegno sottobanco… Mi fanno pena i magistrati e i politici che cercano di tagliare le gambe ai pretori dell’inchiesta sullo scandalo del petrolio. Dicono che sono troppo giovani: ma da quando la giovinezza è un reato? Se mai è un sintomo esaltante e meraviglioso: significa che il Paese ha una riserva di coraggio e di onestà nelle nuove generazioni”. Su quella “riserva di coraggio e di onestà” pesa oggi la grande responsabilità di continuare – nonostante tutto – a lottare e ad andare avanti. Cercando comunque la verità. Al di là che ci sia o meno un presidente reticente.

lunedì 15 ottobre 2012

Stato-mafia, Napolitano: 'Insinuati sospetti su me, ora riformare la giustizia'.



Lettera di Napolitano a D'Ambrosio il 19 giugno: 'Sono io vero bersaglio, anche se colpiscono lei'.

SCANDICCI (FIRENZE)   - "Si è tentato di mescolare" la mia richiesta di conflitto di attribuzione con "il travagliato percorso delle indagini giudiziarie", "insinuando nel modo più gratuito il sospetto di interferenze da parte della Presidenza della Repubblica". Lo ha detto Giorgio Napolitano in un discorso sulla giustizia.

Bisogna "collegare" l'autonomia e l'indipendenza della magistratura a "imperiose necessità di riforma e rinnovata efficienza del sistema giustizia".

Il conflitto di attribuzione presso la Consulta è stata "una decisione obbligata per chi abbia giurato davanti al Parlamento di osservare lealmente la Costituzione". Napolitano ha sottolineato che la sua decisione è stata ispirata "a trasparenza e coerenza".

COLPISCONO LEI PER COLPIRE ME - "L'affetto e la stima che le ho dimostrato in questi anni restano intangibili, neppure sfiorati dai tentativi di colpire lei per colpire me". Così il presidente della Repubblica Giorgio Napolitanosi rivolgeva al suo più stretto collaboratore, Loris D'Ambrosio, il 19 Giugno 2012. Era appena scoppiato il caso Mancino.

"Non ho mai esercitato pressioni o ingerenze che, anche minimamente potessero tendere a favorire il senatore Mancino". E' quanto aveva scritto a Napolitano il 18 giugno scorso il consigliere giuridico del Quirinale Loris D'Ambrosio

"Le sue condotte sono state ineccepibili; e assolutamente obiettiva e puntuale è la sua denuncia dei comportamenti perversi e calunniosi - funzionali a un esercizio distorto del proprio ruolo - di quanti, magistrati giornalisti o politici, non esitano a prendere per bersaglio anche lei e me". Così continua nella lettera il presidente Napolitano. La lettera è pubblicata in un volumi di scritti del Presidente sulla giustizia.

"La rigorosa osservanza delle leggi, il più severo controllo di legalità, rappresentano un imperativo assoluto per la salute della Repubblica, e dobbiamo avere un massimo rispetto per la magistratura che è investita di questo compito essenziale", ha sottolineato il presidente della Repubblica. 

D'Ambrosio nella lettera al presidente Napolitano premette di essersi comportato con i magistrati "con lo stesso rispetto" che ha ispirato tutti i suoi comportamenti. Ma ha aggiunto che proprio la delicatezza delle indagini richiede "il ripudio di metodi investigativi non rigorosi, o almeno non sufficientemente rigorosi nella ricerca delle prove e nella loro verifica di affidabilità". Nella missiva a Napolitano datata 18 giugno 2012, e resa pubblica oggi a Scandicci a margine dell'inaugurazione della nuova Scuola per i magistrati alla presenza dello stesso capo dello Stato, si sottolineava anche la necessità "'dell'abiura di approcci disinvolti" da parte di alcuni magistrati, "non di rado più attenti agli effetti mediatici che alla finalità di giustizia".

Sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia in tanti sono d'accordo nell'affermare che esistono "gravi contrasti" tra le diverse Procure che stanno indagando. E' quanto scriveva Loris D'Ambrosio, consigliere giuridico del Quirinale, in una lettera al presidente Napolitano il 18 giugno 2012. Il consigliere, poi deceduto, citava a sostegno di questa tesi il procuratore generale della Cassazione, quello antimafia, il Csm e la Commissione parlamentare antimafia.

D'Ambrosio scriveva a Napolitano che era opinione diffusa che "le criticità ed i contrasti esistono e sono gravi, ma che a essi non si riesce a porre rimedio". "Mi ha turbato leggere nei resoconti di un'audizione all'Antimafia le dichiarazioni di chi ammette che - aggiungeva D'Ambrosio - della cosiddetta trattativa Stato-mafia uffici giudiziari danno interpretazioni diversificate e spesso confliggenti, ma che ciò è fisiologicamente irrimediabile. Come se fosse la stessa cosa - notava lo stretto collaboratore del Presidente - trattare lo stesso soggetto da imputato o da testimone o parte offesa, da fonte attendibile o da pericoloso e interessato depistatore".

 Ho sempre detto che "le criticità ed i contrasti" nei procedimenti sulle stragi "non giovano al buon andamento di indagini che imporrebbero, per la loro complessità, delicatezza e portata, strategie unitarie, convergenti e condivise oltre che il ripudio di metodi investigativi non rigorosi", sottolineava D'Ambrosio.