domenica 30 dicembre 2012

Ilva, disinformazione al veleno contro il gip Todisco. - Alessandra Congedo



TARANTO – Certa stampa non resiste proprio alla tentazione di attaccare le toghe. Spesso lo fa a sproposito. Basta leggere cosa riporta il sito de “Il Foglio”, giornale diretto da Giuliano Ferrara: “Mentre le toghe più scintillanti d’Italia si buttano in politica c’è un  magistrato, a Taranto, che (ancora) non ha deciso di candidarsi. Ma  troverebbe la propria casa ideale tra i Verdi o tra i militanti  vendoliani di Sel. E’ Patrizia Todisco, magistrato della procura di  Taranto, che ha presentato alla Corte costituzionale un ricorso per  conflitto di attribuzione fra poteri dello stato contro il decreto legge  del governo che legifera sui temi ambientali, consentendo all’Ilva di  operare con i suoi altiforni a condizione che rispetti le nuove regole  che esso stabilisce” (http://www.ilfoglio.it/soloqui/16361).
Ai nostri (sempre attenti) lettori non sarà sfuggita la grossa inesattezza contenuta in queste righe: non è stato il gip Todisco a presentare il ricorso, ma il pool di magistrati (tutte toghe verdi, rosse o arancioni?) della Procura di Taranto che indaga sull’inquinamento prodotto dall’Ilva. Lascia senza parole questo attacco alla Todisco che viene tirata in ballo senza alcun senso, solo al fine di screditare lei e ciò che rappresenta: la giustizia. Inutile soffermarsi, poi, su ipotesi degne della più assurda fantapolitica.  Abbiamo già provveduto ad inviare una mail al direttore Ferrara e alla sua redazione per far notare il passo falso compiuto. Attendiamo risposta.

PIU’ A DESTRA DELL'AGENDA MONTI. ECCO L'INTERVISTA CHE PROVA CHE BERSANI CI HA VENDUTO ALLA GERMANIA



La vera campagna elettorale, quella per accreditarsi dove si prendono decisioni, la si fa sul Financial Times. Che ha dedicato molto spazio alle elezioni italiane. Segnaliamo questa intervista del Financial Times a Pierluigi Bersani in versione maresciallo Pètain. Quello dei giorni che precedettero la formazione della repubblica collaborazionista di Vichy.

Cosa dice di grave Bersani ?

La prima è che è favorevole ad un irrigidimento del fiscal compact, il patto sul bilancio che impegna a tagli di spesa pubblica di decine di miliardi l'anno per un ventennio. La seconda è che impegna l'Italia ad ulteriori politiche di austerità. Fin qui siamo a Monti forse con qualche parola più cruda sull'irrigidimento del fiscal compact. 

Ma dove Bersani, nel tentativo di accreditarsi in Europa, riesce a superare a destra Mario Monti è sulla questione del commissario unico europeo. Si tratta di una figura, già oggetto di trattativa nei precedenti round europei, che avrebbe potere di veto sulla stesura dei singoli bilanci nazionali. Per cui se un paese decidesse di finanziare scuola, sanità, servizi sociali, in autonomia nazionale, questa figura avrebbe potere di bloccare una decisione sovrana. Il più convinto artefice di questa proposta, che ha incontrato il favore di Barroso, è il superministro tedesco dell'economia Schauble. Monti, diplomaticamente, nelle settimane scorse aveva fatto scivolar via questa proposta (assieme ad altri paesi). Monti è un uomo di destra, convinto di svendere il paese, ma sa che la cessione di sovranità va sempre saputa trattare con accortezza.

E cosa ti fa Bersani? Per accreditarsi in Europa si dice pronto ad accettare la proposta Schauble. Al Financial Times Bersani si dice pronto ad accettare la cessione di sovranità. Ovviamente si bada bene dal dirlo all'elettorato italiano. Qui è da considerare una cosa. Esistono due tipi di cessione di sovranità: una, quella con contropartite, fa parte di un processo di integrazione continentale. L'altra, senza contropartite, spiace dirlo ma si chiama resa ad una potenza straniera. Nessun dubbio che Bersani voglia incarnare i panni del nuovo Pétain che, a suo tempo, decise che la resa praticamente senza contropartite alla Germania fosse l'unica strada razionalmente praticabile.


http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=11278

Sanità, approvati i nuovi Lea Stretta contro gli esami inutili.


Il ministero vara la proposta dei Livelli essenziali di assistenza: entrano ludopatia e parto indolore.

Arrivano i nuovi Lea, i Livelli essenziali di assistenza, e si registra una stretta sugli esami inutili che costano caro al Servizio sanitario nazionale. Nel documento del ministro della Salute Renato Balduzzi si prevedono controlli su «almeno il 5%» delle ricette, e per facilitarli è chiesto l'obbligo da parte del medico di motivare la prescrizione degli accertamenti.
RIDURRE GLI ONERI - In una nota diffusa dal ministero si spiega che l'obiettivo è puntare «sull'appropriatezza dell'assistenza specialistica ambulatoriale» con conseguente «riduzione degli oneri a carico del Ssn». Le Regioni dovranno attivare «programmi di verifica sistematica» e saranno date anche « "indicazioni prioritarie" per la prescrizione di prestazioni di diagnostica strumentale frequentemente prescritte per indicazioni inappropriate». Senza l'indicazione del «quesito o del sospetto diagnostico» la ricetta sarà «inutilizzabile».
COSA PREVEDONO I LEA - Maggiore diffusione del parto indolore (con l'epidurale), riconoscimento di 110 malattie rare, cinque nuove patologie croniche, ludopatia (dipendenza dal gioco) e la sindrome da Talidomide (un medicinale diffuso negli anni Cinquanta per le donne in gravidanza che poteva avere conseguenze sul nascituro): sono alcune nelle novità contenute nella proposta di aggiornamento dei Lea, che ora dovrà passare il vaglio del ministero dell'Economia, della Conferenza Stato-Regioni e l'esame delle commissioni parlamentari. Il ministero sottolinea che è stata data priorità all'esenzione per le patologie croniche e rare.
ALTRE MALATTIE - Entrano nei Lea anche enfisema polmonare e asma cronica (broncopneumopatie croniche ostruttive, Bpco, al II stadio - moderato, III stadio - grave, e IV stadio - molto grave), le malattie croniche infiammatorie delle ossa (osteomieliti croniche), le patologie renali croniche (con valori di creatinina clearance stabilmente inferiori a 85 ml/min), il rene policistico autosomico dominante e la sarcoidosi al II, III e IV stadio, cioè malattie che interessano più tessuti e organi con formazioni di granulomi e che comportano problemi polmonari, cutanei e oculari.
RISPOSTE CONCRETE - L'approvazione dell'aggiornamento dei livelli essenziali rappresenta «una risposta concreta a molte persone e a molte famiglie che soffrono», sottolinea Balduzzi, che aggiunge: «Anche nelle difficoltà economiche il nostro Servizio Sanitario Nazionale si dimostra capace di dare risposte concrete». (fonte Ansa)

Siria, continuano le violenze: 200 morti di cui 23 bambini.


Siria, continuano le violenze: 200 morti di cui 23 bambini


Lakhdar Brahimi, inviato speciale Onu, ha affermato che la “soluzione” del conflitto siriano “deve avvenire nel 2013, possibilmente prima del secondo anniversario della crisi”. Durante una conferenza stampa al Cairo, Brahimi si è detto certo che “una soluzione è ancora possibile anche se la situazione è molto grave e peggiora di giorno in giorno".

Ancora violenza e altre vittime in Siria. C’è stato un nuovo massacro con un bilancio, quello di ieri tra Aleppo e Damasco, di oltre 200 morti di cui 23 bimbi.  Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti dell’uomo l’esercito è tornato a bombardare due quartieri di Homs, dopo aver ripreso ieri parte della città con un’azione che ha lasciato sul terreno altre 12 vittime. Centinaia di civili sarebbero stati uccisi nell’offensiva delle forze governative siriane che ha portato alla riconquista del quartiere di Deir Baalbeth. I residenti sono stati costretti a uscire dalle loro case e concentrati in un impianto petrolchimico dove sono stati giustiziati sommariamente, afferma il gruppo dei comitati di coordinamento locale. Fra le vittime, numerose donne e bambini. 
Lakhdar Brahimi, inviato speciale Onu per la Siria, ha affermato che la “soluzione” del conflitto siriano “deve avvenire nel 2013, possibilmente prima del secondo anniversario della crisi”. Durante una conferenza stampa al Cairo, Brahimi si è detto certo che “una soluzione è ancora possibile anche se la situazione è molto grave e peggiora di giorno in giorno. La crisi siriana è scoppiata nel marzo 2011 con la repressione delle prime rivolte prima di sfociare nel violento conflitto armato. La comunità internazionale può ritrovarsi sull’accordo raggiunto a Ginevra lo scorso giugno. Dico che una soluzione può trovarsi, quest’anno, nel 2013, e, se Dio vuole, prima del secondo anniversario della crisi”, ha detto il diplomatico algerino, durante una conferenza stampa nella sede della Lega Araba, ricordando l’inizio della rivolta, nel marzo 2011. “Una soluzione e’ ancora possibile ma diventa ogni giorno più complicata”. Secondo Brahimi, l’accordo di Ginevra, che prevede la creazione di un governo transitorio, può essere concretizzato dalla comunità internazionale: “Ho discusso questo piano con la Russia e la Siria”, ha detto l’inviato, reduce da una settimana di contatti proprio a Damasco e Mosca. Proprio al termine dei colloqui con la diplomazia russa, sabato, Brahimi ha detto che a Damasco la scelta è tra “l’inferno e la soluzione politica”.

Usa, tutte le promesse non mantenute di Obama per limitare l’uso delle armi. - Marco Quarantelli


Barack Obama


Nei primi quattro anni del suo governo il settore ha conosciuto un boom senza precedenti. A fine 2012 il giro d'affari toccherà quota 11,7 miliardi di dollari. Dopo la strage di Tucson nel 2011 il Dipartimento di Giustizia mise a punto una lista di provvedimenti ma le elezioni erano troppo vicine e le proposte finiscono in archivio.

Mercoledì 19 dicembre nella briefing room della Casa Bianca l’aria era irrespirabile. Dopo l’eccidio dei  20 bambini di NewtownBarack Obama sa che sul controllo delle armi non potrà limitarsi alle solite promesse. “Il vicepresidente Biden metterà a punto un piano da approvare entro gennaio per impedire che tragedie simili si ripetano”, ha scandito il presidente. Quando un giornalista gli ha fatto notare che finora non ha fatto nulla per evitare che pistole e fucili invadessero le case degli americani, Obama “è apparso irritato – scrive il New York Times - ha tirato in ballo la crisi, il collasso dell’auto e due guerre che hanno richiesto tutta la sua attenzione”. Un nervosismo dettato dalla consapevolezza: nei primi quattro anni del suo governo il settore ha conosciuto un boom senza precedenti. A fine 2012 il giro d’affari toccherà quota 11,7 miliardi di dollari. “Obama è la miglior cosa che sia mai accaduta all’industria delle armi”, ha spiegato a theblaze.com Jim Barrett, analista di C.L. King & Associates Inc., società di analisi di New York.
Nella prima campagna elettorale, Obama aveva seminato promesse a piene mani. “Aveva giurato che avrebbe lottato contro le lobby  - ricorda il Brady Center To Prevent Gun Violence, la più attiva e potente tra le organizzazioni che si battono per il gun control - e che avrebbe fatto leggi in grado di frenare la diffusione delle armi“. Nella convention democratica dell’agosto 2008, il futuro presidente promette per la prima volta di reintrodurre il bando contro le armi automatiche in vigore tra il 1994 e il 2004: “Terremo gli AK-47 lontano dalle mani dei criminali”, annuncia nel discorso di investitura. Ma pochi giorni fa, dopo la strage di Newtown, è stato costretto a rinverdire l’impegno mai mantenuto.
Ogni mossa di Obama in materia è da sempre ponderata al millesimo. Il 26 giugno 2008 la Corte Suprema stabilisce il diritto degli americani ad essere armati, annullando una legge che da 32 anni a Washington proibiva di tenere in casa una pistola per difesa personale. La decisione è storica, l’argomento è delicato, le urne sono vicine: schierarsi contro il verdetto sarebbe un suicidio elettorale. Così Barack si limita ad un commento indolore: “Possiamo proteggere il diritto della gente a possedere una pistola e al contempo la sicurezza dei nostri bambini”. Undici mesi dopo, il 12 maggio 2009, il suo Senato dava l’ok a una legge voluta da George W. Bush per consentire di introdurre armi semi-automatiche nei parchi nazionali.  
L’ultima promessa, prima di Newtown, risale ai fatti di Tucson, in Arizona: l’8 gennaio 2011 un 22enne apre il fuoco durante un comizio della deputata Gabrielle Gifford e uccide 6 persone. Il Dipartimento di Giustizia mette a punto una lista di provvedimenti per migliorare il sistema di controllo sul background degli acquirenti: l’idea – scrive il New York Times - è quella di incrociare i dati della Social Security Administration e dell’Fbi su chi ha fatto richiesta della licenza, per evitare che l’arma finisca nelle mani di criminali o psicopatici. Il presidente ne parla due mesi dopo in un editoriale scritto per l’Arizona Daily Star, ma tutto si ferma lì: le elezioni del 2012 sono troppo vicine e le proposte finiscono in archivio.
Ora che è stato rieletto e l’ondata emotiva per la strage di Newtown è fortissima, Obama ha un’occasione storica: infrangere il tabù del diritto garantito dal Secondo Emendamento di possedere armi. Al Congresso i democratici hanno il controllo del Senato, ma la Camera è rimasta in mano ai repubblicani e la partita si giocherà tutta lì. Il Grand Old Party promette battaglia: “I criminali troverebbero comunque il modo di entrare in possesso di armi – ha detto al New York Times Jim Jordan, deputato repubblicano dell’Ohio – quindi eventuali restrizioni sarebbero inutili”. Howard Coble, North Carolina, fa appello alle statistiche: “Tradizionalmente gli Stati che hanno regole più rigide non vedono diminuire il loro tasso di criminalità”.
Domenica 16 settembre la senatrice democratica Dianne Feinstein ha chiesto di riportare in vita il bando contro le armi d’assalto in vigore fino al 2004 e Obama si è detto d’accordo. Ma potrebbe non bastare. Quella legge, scrive il Washington Post, aveva una lunga serie di falle propiziate a suon di milioni dall’azione di lobbying della National Rifle Association e utilizzate dai costruttori per continuare a produrre indisturbati: fosse stata in vigore oggi, il fucile da guerra Colt AR-15 sarebbe stato fuorilegge e James Holmes non avrebbe potuto utilizzarlo il 20 luglio per fare strage nel cinema di Aurora, ma se l’assassino avesse deciso di usare il gemello Colt Match Target Rifle, differente dal primo solo per una manciata di particolari, avrebbe potuto comperarlo indisturbato. Magari anche sceglierlo su internet, sul catalogo dedicato ai fucili d’assalto dalla catena di supermercati Walmart. 

La natura.



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Horroris causa. - Marco Travaglio



Il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso dichiara testualmente a La zanzara: “Darei un premio speciale a Silvio Berlusconi e al suo governo per la lotta alla mafia. Ha introdotto leggi che ci han consentito in tre anni di sequestrare 40 miliardi di beni ai mafiosi”. Era dai tempi della candidatura di B. al Nobel per la Pace, iniziativa di alcuni zelanti parlamentari del Pdl, che non si rideva tanto. Dopo il premio Guido Carli “alla carriera” (niente male l’idea di consacrare un piduista a erede universale di un uomo che combatté la P2), il Cainano incassa e si appunta, honoris causa, la medaglietta “una vita contro la mafia”.

Sulla data d'inizio del suo impegno antimafia si fronteggiano varie scuole di pensiero. C'è chi sostiene che B. abbia cominciato a combattere Cosa Nostra nel 1974, quando (come ha appena confermato la Cassazione nella sentenza Dell'Utri) ricevette a Milano la visita dei boss Bontate, Teresi, Di Carlo e Cinà, portati in dote dall'amico Marcello per suggellare la promozione del mafioso Vittorio Mangano a fattore di Arcore. C'è chi invece data il suo furore antimafioso al 1975, quando la mafia gli fece saltare la villa in via Rovani a Milano e lui non denunciò nulla ai carabinieri perché, confessò anni dopo, sapeva che l’attentato era opera dell'amico Mangano. Altri lo fanno coincidere con l'attentato nella stessa villa del 1986, quando al telefono con Dell'Utri parlò di “bomba gentile e affettuosa” e concluse: “Se Mangano me li chiedeva, io 10 milioni glieli davo”. Altri infine fanno scattare la sua limpida coscienza antimafiosa da quando – scrive ancora la Cassazione – “pagò cospicue somme a Cosa Nostra” nell'ambito di “un accordo di natura protettiva e collaborativa raggiunto da Berlusconi con la mafia per il tramite di Dell'Utri”, il tutto almeno fino al 1992, l'anno delle stragi.

Poi c'è il B. premier, ventennale spina nel fianco di Cosa Nostra. Nel 1994 tuonò contro Caselli e i pentiti di mafia, in tandem con Riina (“ha ragione il presidente Belluscone”) e intimò alla Rai di piantarla con La Piovra che rovinava l'immagine dell'Italia e soprattutto della mafia nel mondo. Poi portò in Parlamento Dell'Utri e Cosentino. Promosse ministro Lunardi che voleva “convivere con la mafia ”. Depenalizzò il falso in bilancio e varò tre scudi fiscali, regalando ai mafiosi l'anonimato e il rientro dei capitali sporchi in cambio ora del 2,5% ora del 5% di tasse invece del 45%: un riciclaggio di Stato in concorrenza sleale con gli onesti spalloni. Consentì la vendita dei beni sequestrati, così i boss possono ricomprarseli tramite prestanomi. Disse: “Strozzerei con le mie mani gli scrittori che parlano di mafia” (tipo Saviano e altri). Modificò l'art. 2 della normativa antimafia: se prima si potevano confiscare in base a “sufficienti indizi”, ora invece ci vuole la prova certa (difficilissima da trovare) che “risultino” provenienti da attività illegali. Infine, per salvarsi la coscienza, il ministro Alfano varò un brodino pomposamente chiamato “testo unico antimafia”, giudicato dagli operatori seri fumo negli occhi, che nulla aggiunge di sostanziale alla lotta alla mafia (né ai sequestri dei beni, che si facevano tali e quali anche prima).

Forse Grasso si riferisce a quella cosa inutile quando propone addirittura il “premio speciale” antimafia per B. Nelle procure antimafia si ride di gusto. Ma le battute del super-procuratore non sono finite: “Ingroia fa politica utilizzando la sua funzione”, “ha sbagliato a parlare a un congresso di partito” e ora “deve scegliere”. E altre ne seguiranno, annuncia Gasparri, che lancia “la prossima campagna elettorale” di Grasso. Naturalmente Ingroia è uno dei pm che indagano sulle trattative Stato-mafia, che quando Grasso era procuratore a Palermo erano tabù, e che coinvolsero anchela Banda B. Quindi la regola è questa: indagare su mafia e politica e parlarne a un congresso di partito è “fare politica”, fare un soffietto a B. e Alfano invece è fare giustizia. E poi dicono che la satira è morta.


http://unmesedallafine.blogspot.it/2012/05/travaglio-e-grasso-la-mafia-e.html