giovedì 18 aprile 2013

Franco Marini? Inquisito per fondi neri a Paolo Liguori, si fece scudo dell'immunità parlamentare.



Correva l’anno 1995 quando il deputato Franco Marini, nella sua “qualità di ministro del lavoro e della previdenza sociale pro tempore”, veniva accusato di concussione dal sostituto procuratore di Roma Pietro Giordano. L’inchiesta era partita un po’ più a sud, a Napoli, dove s’indagava sulla tangentopoli partenopea e due giovani pm – Francesco Menditto e Vincenzo Piscitelli – iniziarono a occuparsi della Sme, il ramo agro-alimentare dell’Iri.

La procura di Napoli trasmise a Roma la tranche che riguardava Marini: ex segretario della Cisl, democristiano molto vicino a Comunione e liberazione, il deputato nei primi anni Novanta era in forte ascesa, tanto da ricoprire il ruolo di ministro. 
E infatti: il suo fascicolo fu trasmesso al Tribunale dei ministri, che poi chiese alla Camera l’autorizzazione a procedere, che però la negò. 
E il procedimento venne così archiviato. 
L’accusa: aver dirottato soldi al settimanale d’area cattolica Il Sabato, all’epoca diretto da Paolo Liguori, in cambio d’una mano alla Sme che, in quel momento, doveva procedere a ben 365 prepensionamenti. 
Ad accusarlo, uno degli uomini più potenti d’Italia, sin dalla Prima Repubblica: Giancarlo Elia Valori, in quegli anni presidente della Sme. “Aveva riferito il Valori – si legge nella richiesta di autorizzazione a procedere – che, tra l’ottobre 1991 e il febbraio 1992, aveva più volte incontrato Marini, nelle trattative per ripartire fra le imprese le quote di prepensionamento”. 
Il ministero guidato da Marini assegna alla Sme ben 365 prepensionamenti. Secondo Valori, però, Marini “aveva chiesto un aiuto alla rivista Il Sabato” e così il presidente Sme contatta il direttore Paolo Liguori (la sua posizione fu poi archiviata, ndr) “assicurandogli che avrebbe erogato complessivamente 100 milioni di lire, sia per la pubblicità, sia per un contributo al meeting di Cl”. 
Valori confermò la sua versione al Collegio del Tribunale dei ministri, spiegando che Marini “lo pregò di comprare pubblicità da Il Sabato, ed egli corrispose il contributo di 100 milioni di lire”: ritienne quindi che la richiesta di procedere contro Marini “merita l’accoglimento”. 
La Camera però negò la richiesta di autorizzazione a procedere e, di conseguenza, la posizione di Marini fu archiviata. 
Lui proseguì la sua carriera fino a presiedere il Senato e ad acquistare dall’Inpdai una casa nel quartiere Parioli, in via Lima, al costo di un milione di euro: 14 vani che, secondo le stime dell’epoca, valevano circa 3 milioni: “Quelli dell’Agenzia del territorio – spiegò – quando hanno valutato l’appartamento, si sono resi conto che era un piano rialzato. E mi hanno fatto lo sconto”. Dal piano rialzato al Colle più alto, con il consenso di Bersani e Berlusconi, in queste ore il passo sembrerebbe breve.

Folla furiosa in questo momento davanti a Montecitorio.



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Bersani giuda.



Una foto scattata davanti a Montecitorio dalla giornalista spagnola Lucia Magi.

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Sandro Pertini.



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Garlasco: Cassazione, processo Stasi da rifare.



Annullata sentenza d'appello di assoluzione del giovane.

Annullata la sentenza di assoluzione di Alberto Stasi per l'omicidio di Chiara Poggi, avvenuto il 13 agosto 2007 a Garlasco (Pavia): lo ha deciso la Prima Sezione penale della Cassazione disponendo un nuovo processo d'appello.
Il nuovo processo d'appello a Stasi si svolgera' a Milano, davanti a un'altra sezione della Corte d'Assise d'Appello.
"Sono dispiaciuto, non si capisce il motivo". Questa la reazione di Alberto Stasi. "Leggeremo le motivazioni", ha detto l'avvocato. "Non ce lo aspettavamo - ha detto Fabio Giarda - le due sentenze erano granitiche e cristalline. Bisognerà vedere se la Cassazione ha accolto i motivi di ricorso o se ha solo accettato le richieste di rinnovazione".
Potrebbero essere due, infatti, gli elementi da riesaminare: il capello ritrovato nella mano di Chiara e la bicicletta. Ma anche se questi, ha spiegato l'avvocato, "avevamo concordato insieme quali accertamenti fare".
"Sono contenta perché i giudici hanno capito che Chiara ha bisogno di verità". E' il primo commento di Rita Poggi. La signora Poggi che ha detto di essere "un po' emozionata" e con voce che commossa ha ripetuto più volte "sono contenta che la Cassazione abbia capito...io voglio la verità su Chiara, voglio solo quello. Sono quasi sei anni che aspetto". La mamma di Chiara, assieme al marito, tramite il loro avvocato Gianluigi Tizzoni, avevano chiesto agli Ermellini di annullare la sentenza di Secondo grado e riaprire il dibattimento per effettuare in particolare un esame su un capello corto e castano trovato nel palmo della mano sinistra della figlia. "Il mio legale e i miei consulenti hanno lavorato tantissimo e il merito è il loro". Dopodiché la signor Poggi non ha voluto più aggiungere altro spiegando che la notizia della decisione della cassazione le appena stata comunicata dall'avvocato ma di non saperne i motivi.
"Ho sentito i familiari di Chiara, sono soddisfatti ma anche molto emozionati: oggi è stato fatto un passo avanti verso la verità" ha detto Paolo Reale, cugino di Chiara. "Nessuno parla di vittoria - ha aggiunto - è un percorso che va avanti, accetteremo la nuova sentenza che verrà, qualunque cosa sia".

Ultima fermata Capranica.

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Queste giornate di primavera ricordano un altro aprile, quello del 1945. 
La fine di una lunga guerra e la volontà di ricostruzione. 
Il Paese, come allora, è in macerie. 
C'è però una differenza, tra il comico e il tragico. 
Nessuno dopo il 25 aprile si azzardò a girare per le strade in fez e camicia nera. 
I fascisti si dileguarono o cambiarono casacca. 
Il ventennio mussoliniano si concluse nel peggiore dei modi, ma nel dopoguerra almeno non si candidarono al Governo i superstiti del Gran Consiglio del Fascismo
Non ci fu un inciucio tra Togliatti e Dino Grandi
I responsabili non si ripresentarono come salvatori della Patria come avviene con Berlusconi, Bersani e D'Alema. La Nazione prese atto del disastro a cui l'aveva condotta il fascismo e voltò pagina. 
Il teatro Capranica, ieri sera a Roma, ricordava un altro teatro, il Lirico di Milano, dove Mussolini tenne l'ultimo discorso il 16 dicembre del 1944 per ricompattare i resti delle camice nere. 
Capranica è l'ultima raffica dell'inciucio. 
Gargamella ha inseguito i puffi presenti in sala per convincerli a votare l'ex democristiano Marini, candidato dal pdl, invece di Rodotà, che sarebbe acclamato dagli italiani per plebiscito. 
Marini rappresenta lo status quo, la garanzia di un governo Bersani "amico del giaguaro" che vuole smacchiare lo psiconano con la lingua, la nomina di un ministro della Giustizia non ostile a Berlusconi e forse l'innalzamento di quest'ultimo a senatore a vita il prossimo anno. 
Nessuno ha spiegato a Bersani che l'Italia è cambiata, che non vuole più accordi sottobanco con lo psiconano come è avvenuto negli ultimi vent'anni. 
Il Paese vuole togliersi, definitivamente, il sudario in cui l'hanno avvolta i caporioni del pdl e del pdmenoelle. 
La guerra è finita, arrendetevi. 
Liberateci per sempre dalla vostra presenza.

Siamo esausti.

http://www.beppegrillo.it/2013/04/ultima_fermata_capranica.html#commenti

Caso skipper, Cammarata condannato a tre anni.


Caso skipper, Cammarata condannato a tre anni


L'ex sindaco di Palermo riconosciuto colpevole in primo grado per abuso d'ufficio e falso. "Avrebbe usato un dipendente comunale sulla sua barca privata". Tre anni per l'impiegato, Franco Alioto. Dovranno risarcire la Gesip e il Comune. Entrambi interdetti per cinque anni dai pubblici uffici.

PALERMO - L'ex sindaco di Palermo Diego Cammarata è stato condannato a 3 anni di reclusione dai giudici della terza sezione del tribunale di Palermo, in relazione alle accuse di abuso d'ufficio e falso per avere utilizzato un dipendente della società comunale Gesip come proprio skipper personale. Il pm Laura Vaccaro aveva chiesto 4 anni. Tre anni (sei mesi in meno rispetto alla richiesta) anche per Franco Alioto, il giardiniere della Gesip che non sarebbe andato a lavorare nella sua sede ordinaria, nel Parco della Favorita, ma sarebbe stato frequentemente al porticciolo dell'Acquasanta, nella barca dei figli di Cammarata. Stabilito un risarcimento di 50.000 euro a favore del Comune.

La corte ha inflitto anche una multa di 1.200 euro. Cammarata e Alioto sono stati interdetti per cinque anni dai pubblici uffici. Riconosciuto il risarcimento anche alla Gesip, la società di servizi del Comune presso cui prestava servizio il lavoratore: 20mila come provvisionale, con danno ancora da quantificare in sede civile. Per il Comune definitivamente liquidati 50 mila euro. Per la stessa vicenda, il 24 maggio 2011, era stato condannato, col rito abbreviato, a due anni, l'ex direttore della società mista Giacomo Palazzolo.