Capire l’Egitto, oggi, per comprendere che cosa fare in Europa domani.
Lo vediamo ogni giorno sugli schermi della tivvù e lo leggiamo in rete: l’Egitto è in fiamme. E quella nazione si trova a un millimetro dall’esplosione di una sanguinosa guerra civile che, in tempi molto brevi e molto rapidi, si estenderebbe in tutta la zona del Mediterraneo, dal Marocco fino all’Asia Minore. Con un’alta probabilità di far esplodere di nuovo il conflitto israelo-palestinese, che questa volta coinvolgerebbe anche la Giordania, l’intervento militare della Russia, e senza alcun dubbio promuoverebbe, inevitabilmente, una nuova stagione di terrorismo sfrenato in tutta l’Europa. Italia in testa. Perché siamo un importante paese della Nato, perché siamo un paese fondamentale della Unione Europea, e perché, all’interno delle diverse fazioni in campo, ci sono anche diversi gruppi di fanatici armati di tutto punto che hanno come obiettivo strategico il centro del papato a Roma.
La situazione è, quindi, esplosiva.
Ma non è una novità. Neppure una sorpresa.
Proprio su questo blog, in un lontano post dell’ottobre 2012, cercavo di spiegare ai lettori quale fosse la vera posta in gioco nell’elezione di Obama, e quali evrebbero potuto essere le conseguenze, in termini finanziari, economici, politici, e infine militari, se in tutto il continente americano, dal Canada all’Antartide, fosse stata presa la decisione di mandare in pensione la stagione dell’iper-liberismo, dell’austerità economica, della finanza speculativa, della cinesizzazione del mercato del lavoro. Insomma, per dirla in soldoni, se l’idea socio-economica evocata da Keynes avesse finito per prevalere su quella aristocratico-elitaria imposta dai colossi della finanza multinazionale. Perché i proprietari delle banche non avrebbero mollato, perché i produttori e distributori di petrolio, carbone, fossili inquinanti, non avrebbero mollato; perché i controlloti dell’energia, delle sementi, del credito alle imprese, delle rendite passive elitarie, non avrebbero mollato. A costo di scatenare la guerra mondiale. Quella calda, anzi, quella bollente, tanto per capirsi.
Perché l’oligarchia aristocratica, quella storicamente battuta dalla grande rivoluzione francese (proprio quella) avrebbe tentato con ogni mezzo la definitiva rivincita storica per chiudere –questa volta per sempre- il grande progetto planetario nato dall’affermazione dei principii della Dichiarazione universale del 1789, quando aveva posto il primo mattone della vera e unica Europa pensabile: quella dei Diritti Civili, della primogenitura del concetto di cittadinanza, dell’uguaglianza e rispetto tra diversi, dell’abbattimento dei privilegi consolidati, della cancellazione delle rendite storiche per censo.
Perché sono due idee del mondo contrapposte e incompatibili.
Non a caso da diversi anni –almeno trenta- siamo in guerra.
Una guerra diversa da quella solita, quella cosiddetta “calda” con i mitra, a sua volta diversa da quella cosiddetta “fredda” con le spie, tramontata con il crollo del muro di Berlino nel 1989. Questa guerra io la definisco “la guerra esistenziale”: ossia l’attacco frontale delle oligarchie finanziarie contro l’idea della cittadinanza collettiva in ogni paese, in ogni nazione, in ogni Stato. Senza rispetto né compassione, come avviene sempre in ogni guerra che si rispetti.
Una guerra spietata, questa, di cui, in questi giorni stiamo assistendo ai primi –primissimi- singulti tragici, con l’nevitabile scia di sangue e di morti innocenti.
Una guerra voluta, dichiarata, pianificata, progettata fin dalla fine degli anni’70, affermatasi con successo, in tutta la sua virulenza, agli inizi del nuovo millennio, dal varo dell’euro all’attentato delle torri di Manhattan; dalla guerra in Iraq alla crisi finanziaria del 2008; dai diktat della BCE agli ordini perentori del Fondo Monetario Internazionale.
La guerra esistenziale, secondo i loro pianificatori, non avrebbe trovato adeguata né preoccupante resistenza. Avevano già provveduto a costruire un occidente distratto e narcisista, totalmente deculturizzato, narcotizzato e imbelle, in modo tale da assicurarsi dovunque l’affermazione di un sistema di consociativismo complice tra apparenti opposizioni. Chiunque andasse al potere, destra o sinistrra che fosse, religiosi o laici, ciò che contava era il rispetto degli ordini delle elite finanziarie: pena la fame dei cittadini. Quella vera.
Ma in tempi mediatici, questo progetto si è dimostrato rozzamente infantile.
Perché lo sviluppo di massa del web, dei social networks, di twitter, ha provocato un inatteso sistema di diffusione delle notizie, delle informazioni, che ha finito per provocare insolite forme di aggregazione e di risveglio della coscienza collettiva responsabile, sempre meno faziosa, sempre meno schierata, sempre di più votata alla lotta oppositiva contro la dittatura della finanza nel nome dell’interesse di una comunità di liberi pensanti, autonomi e indipendent. E così, inatteso, a livello di massa, è apparso sul teatro della Storia un inedito soggetto politico: il libre citoyen
L’imposizione dittatoriale e univoca ai danni di tutti i popoli planetari ha prodotto, quindi, le prime forme di ribellione, di contrapposizione, al di fuori dei meccanismi usuali, perché privo di rilevanza e identificazione ideologica. Una forma spontanea, dal punto di vista finanziario-mediatico spaventosamente povera e priva di ricchi mezzi, ma dotata di un livello di consapevolezza collettiva molto alto che ha cominciato a dare i propri frutti, da wikileaks a occupywallstreet, dal trionfo elettorale di M5s in Italia, all’irruzione sullo scenario internazionale dello strappo sudamericano, evidenziato dalle scelte del presidente ecuadoregno Rafael Correa, il quale non appena ha assunto il potere ha fatto arrestare l’oligarchia locale, ha protestato il proprio debito economico definendolo “immorale” e ha licenziato le multinazionali, nazionalizzando banche, istituti finanziari, lanciando un modello che ha fatto presa su un intero continente.
L’Europa e l’Africa settentrionale (che è una nostra colonia, tanto vale dire come stanno le cose) hanno fatto finta di niente, pensando di riuscire a metterci una toppa. L’importante consisteva nel riuscire a chiudere “la partita economica” e creare un mondo in cui l’economia pianificata delle nazioni fosse soggetta agli ordini della finanza internazionale speculativa. Tradotto in termini sociali, questa mossa presupponeva l’abbattimento della classe media, sia quella pensante intellettuale che quella operativa imprenditoriale, costruendo un nuovo ordine mondiale basato su un’idea dell’esistenza precedente al 1789: super ricchi privilegiati da una parte, una massa di bisognosi spaventati dall’altra.
Noi ci troviamo al centro di questa guerra.
Ci stiamo avvicinando all’occhio della tempesta.
Ciò che sta accadendo in Egitto, deve servirci a comprendere, incorporare e capire quali siano le vere forze in campo. Lo scontro in atto non è tra sciiti e sunniti, non è tra mussulmani e laici, non è tra civili e militari, tra salafiti e cristiani copti. Questo è ciò che vogliono farci credere, e questo è ciò che stanno cercando di far passare all’interno della società civile egiziana per metterli gli uni contro gli altri.
La posta in gioco è un’altra.
Tant’è vero che non c’è nessuna (ma davvero nessuna) differenza tra la politica di Mubarak, quella di Morsi e dei Fratelli Mussulmani, quella dei militari al potere, e quella dei laici. Ciascuna di queste fazioni, negli ultimi 5 anni, ha gestito il potere seguendo le stesse identiche modalità: la piatta accettazione dei dettami della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, facendo applicare in terra d’Egitto il varo di una serie di dispositivi finanziario-economici di natura restrittiva che ha distrutto il paese, affamando la popolazione. Oggi, alla tivvù, e sulla stampa italiana si ascoltano e si leggono anche colte e attendibili descrizioni delle diverse fazioni, dei nomi di gruppi distinti, manipolando lo sdegno dinanzi ai morti per le strade, senza spiegare come si vive in Egitto. Senza spiegare come hanno vissuto negli ultimi 5 anni e che cosa è accaduto. Non ci raccontano che in Egitto ci sono 90 milioni persone di cui, nel 2008, il 45% (pari a 40 milioni di persone) versavano in stato di “soglia al di sotto del limite della povertà” e nel febbraio del 2012 questa percentuale era arrivata al 59%, e nel giugno del 2013 aveva toccato la punta del 72%. Il laico Mubarak, il mussulmano Morsi, i generali attualmente al governo hanno rispettato gli ordini di scuderia, approfittando per accantonare miliardi di euro nei propri conti correnti nei paradisi fiscali. L’Unione Europea, dal 2008 a oggi (cioè soldi delle nostre tasse) ha versato circa 25 miliardi di euro secondo forme diverse per creare –così era sulla carta- un avanzato sistema di infrastrutture ferroviarie, di mezzi pubblici nelle grandi città, di scuole, di ospedali, di incentivi alle micro-imprese locali, soldi all’agricoltura per spingere gli egiziani a non emigrare, la creazione di un nuovo, gigantesco e poderoso avanzato sistema idrico-fognario urbano, una nuova rete elettrica sfruttando energie rinnovabili ed eco-sostenibili, il varo di un meccanismo di social welfare interno per creare imprese locali dando lavoro e abbattendo le conflittualità tra gruppi contrapposti. Niente di tutto ciò è stato fatto. NULLA. I nostri soldi, invece, con la totale acquiescenza di laici, mussulmani integralisti, riformatori non integralisti, militari, sono andati a finire nelle mani di consorzi di grandi studi di ingegneri e architetti europei legati a gigantesche multinazionali immobiliari, per creare spaventosi formicai di cemento, tirare su dei resort turistici, costruire porti per yacht da diporto privati, vendendo loro armi (l’Italia è in testa in Europa come principale fornitore) cemento, know how tecnologico, legato a interessi finanziari di gruppi europei mediatici e bancari, nel totale disprezzo sia dei dispositivi europei sia delle esigenze della cittadinanza. Abbiamo impoverito il paese, sapendo ciò che stavamo facendo, gettando milioni e milioni di persone nella disperazione esistenziale più assoluta, approfittando dell’avidità bulimica dei singoli governanti per far passare delle leggi nazionali che hanno defiscalizzato gli oneri delle multinazionali (Eni e Finmeccanica in testa) ingozzando le banche locali di devastanti derivati speculativi finanziari che hanno spinto ai massimi la borsa valori locale. Ma hanno messo in ginocchio il paese, nel frattempo costretto (per propria scelta) a modificare tre volte la propria costituzione per immettere all’interno obblighi di rispetto di bilancio che hanno completamente devastato la già fragile struttura industriale ed economica del paese.
Lo scontro che noi oggi vediamo non è una guerra tra laici e mussulmani.
E’ l’ennesima truffa gestita dai colossi della finanza e dalla cupola mediatica.
E’ l’insurrezione di decine di milioni di poveri disperati allo sbando, ben manipolati da chi li gestisce, li organizza, e li mette gli uni contro gli altri per impedire loro di identificare il loro vero e autentico nemico: il sistema finanziario internazionale che gestisce le multinazionali dell’energia, del petrolio, dei fossili inquinanti, del mercato immobiliare, del grande turismo di massa, nel più totale disprezzo delle esigenze e della vita delle popolazioni locali. Senza Legge, se non quella del puro business. Mubarak non ha rispettato nessuna legge rubando ( a noi europei) circa 10 miliardi di euro. Morsi non è stato di meno. In poco più di un anno si è messo da parte circa 2 miliardi di euro, a condizione che non attuasse nessun cambiamento: ha rispettato il diktat. Non appena preso il potere, un mese fa, i militari hanno congelato i conti bancari dei Fratelli Mussulmani e si sono presi loro i soldi. Morsi rimarrà sotto sequestro finchè non avrà rivelato le password dei suoi conti correnti personali.
Le cose stanno così.
E’ inutile diffondere la retorica degli ipocriti.
La lezione da apprendere, per noi europei, consiste nel comprendere che ciò che accade oggi in Egitto accadrà domani in Tunisia, Lybia, Algeria, fino al Marocco e l’intera zona si infiammerà. Come in Europa, del resto. Con la differenza che da noi lo stile è diverso, la forma assume diverse sembianze, ma gli ordini sono sempre gli stessi. Perché la cabina di regia che emette gli ordini è sempre la stessa.
Il primo passo consiste nell’essere veri europei fino in fondo.
E’ necessario sottrarsi alla facile demagogia che spinge a sostenere le ragioni dei Fratelli Mussulmani o le ragioni dei laici civili o le ragioni dei militari.
Non va sostenuto nessuno.
Perché nessuno di questi ha mai rispettato le esigenze della collettività egiziana.
Essere europei vuol dire combattere per l’affermazione del diritto di tutti, di ogni etnia, di ogni ceto, di ogni credo religioso, per affermare come ruolo centrale della politica la fondazione del Dirittto Civile e della Legge, e il rispetto per l’esigenza della collettività perché la società appartiene alla cittadinanza.
Non siamo sudditi.
Il cancro non si trova a El Cairo o nell’ufficio di qualche gruppo terrorista.
Si trova a Francoforte e nella sede del Fondo Monetario Internazionale e nell’ufficio europeo di Ginevra della Banca Mondiale.
O ci rimbocchiamo le maniche per cambiare questa Europa, oppure, finiremo per fare la stessa fine degli egiziani. Non ci saranno poliziotti che ci spareranno addosso dai tetti. Da noi si fa in modo diverso. Siamo più sofisticati, dotati di subdola e raffinata ipocrisia secolare. Si fa in modo di rimbecillire la gente in modo tale che, alla fine, in piazza non scende nessuno, perché ci pensano i cicisbei che gestiscono i talk show televisivi ad ammansire le persone. E’ più indolore, meno sanguinolento e più efficace. Si uccidono le coscienze e si addormentano le persone; i più riottosi e restii finiranno comunque per suicidarsi o diventare emarginati, scomparendo nel nulla: basta non dar loro accesso al mercato della diffusione delle idee. Magari con la promessa ventilata di regalare a tutti un viaggio premio di una settimana in uno splendido resort sul Mar Rosso. Costruito ed arredato con gusto italiano, da scenografi italiani, architetti italiani, ingegneri italiani, finanziati da banche italiane. Per loro i mutui sono sempre disponibili.
Per aiutare l’Africa, dobbiamo andare prima a cambiare l’Europa a Bruxelles.
Oppure, sarà l’Africa che irromperà in Europa con tutta la sua violenza.
E’ una questione di scelte.
E di consapevolezza.