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martedì 3 gennaio 2017

Che squallore Obama! Ora capite che uomo è (E perché Trump fa tanta paura). - Marcello Foa



Eh sì, ora potete verificare di persona che tipo di persona sia Barack Obama. E soprattutto potete rendervi conto di quanto importante e destabilizzante sia stata la vittoria di Trump, che ha posto fine a un lunghissimo periodo di potere esercitato da un gruppo élitario – neoconservatore ma non solo – che, ha dominato Washington, rovinando sia gli Usa sia il mondo.
Circa tre settimane fa in un’intervista al blog di Beppe Grillo affermavo che l’establishment di Obama, che riva le sue radici strategiche e ideologiche nell’amministrazione Bush, avrebbe fatto di tutto per mettere in difficoltà o addirittura impedire l’elezione di Trump.

Avete visto cos’è successo negli Stati Uniti: manifestazioni di piazza, riconteggio dei voti in alcuni Stati, pressioni senza precedenti sui Grandi Elettori affinché rinnegassero il voto popolare. Tutto inutile, per fortuna. Per fermare Trump restano solo due modi: un colpo di stato parlamentare o l’eliminazione fisica. Entrambi non ipotizzabili, al momento.

La reazione scomposta di Obama in questi giorni, però, non rivela solo la stizza di un presidente uscente e la scarsa caratura di un uomo ampiamente sopravvalutato, evidenzia soprattutto la frustrazione di un clan che vede svanire il perseguimento dei propri obiettivi strategici. 
Infatti: gli Usa hanno perso la guerra in Siria, combattuta la fianco dei peggiori gruppi fondamentalisti.
Nessun rappresentante dell’establishment uscente è stato eletto nei posti chiave dell’Amministrazione Trump.
La globalizzazione e il continuo smantellamento delle sovranità nazionali non sono più garantite, anzi rischiano di essere fermate da Trump che crede nei valori e negli interessi nazionali.
L’obiettivo di conquistare il controllo dell’Eurasia, facendo cadere Putin, sostituendolo con un presidente filomaericano, è fallito; Putin oggi è più forte che mai.
Persino Israele, che si è subito allineata a Trump, è diventata ostile. Il via libera alla Risoluzione Onu rappresenta un’inversione a “U” clamorosa e dai chiari intenti punitivi.
90-2Le ultime decisioni dell’Amministrazione Obama segnalano il tentativo di far deragliare il nuovo corso di Trump o perlomeno di metterlo in fortissima difficoltà sia con Israele, sia, soprattutto, con la Russia. 
La speranza segreta della Casa Bianca era che Putin potesse cedere a una reazione impulsiva, tale da mettere davvero in imbarazzo Trump. 
E invece il presidente russo ha tenuto i nervi a posto. Anzi ha dato a Obama l’ennesima lezione di stile, rifiutandosi di espellere a propria volta 35 diplomatici americani. Le nuove sanzioni e l’espulsione di 35 diplomatici russi sono comunque un colpo basso, tale da provocare tensioni con il Congresso, ma non così gravi da far desistere Trump dall’avviare un nuovo corso con Putin.

Quanto alle accuse di ingerenze russe nel voto americano sono risibili, pretestuose, come spiego nella breve intervista al blog di Beppe Grillo (trovate qui anche la trascrizione).
Quel che conta, alla fine di un incredibile 2016, è la sostanza. Ovvero: il clan che ha governato l’America per almeno 16 anni lascia per la prima volta il potere. E chi si è opposto, dentro e fuori gli Usa, a politiche egemoniche autenticamente neoimperiali trova motivi di speranza.

Ed è un’ottima notizia per il mondo.
Auguri a tutti.

sabato 31 dicembre 2016

Putin blocca risposta a espulsioni. Trump: grande mossa.

Vladimir Putin e Barack Obama © EPA

Diplomatici Usa resteranno. E lo zar scrive a tycoon, cooperiamo.


Il 'pazzo' 2016 fra Russia e Stati Uniti finisce al fulmicotone, con l'espulsione dagli Usa di 35 diplomatici russi - come 'rappresaglia' per l'intromissione degli hacker del Cremlino nelle elezioni presidenziali, nuovamente smentita da Mosca - e un Vladimir Putin 'scatenato' che prima lascia intendere di voler ribattere occhio per occhio e poi, magnanimamente, annuncia al mondo l'esatto contrario: la Russia non si piegherà al livello di una diplomazia "irresponsabile" e "da cucina". 
Mosca, ha detto lo zar in una nota diffusa ai media, "non creerà problemi ai diplomatici americani, non espellerà nessuno" per quanto la prassi della "reciprocità" le offrirebbe campo libero e si riservi comunque "il diritto di varare misure di risposta". 

Una "grande mossa" quella di "ritardare" la risposta da parte di Putin, commenta il presidente eletto Trump. "Ho sempre saputo che e' molto intelligente!", ha twittato il tycoon apprezzando l'apertura di credito del presidente russo verso la sua futura amministrazione.

La decisione di Putin rappresenta uno sviluppo a sorpresa, un vero e proprio colpo di teatro, visto che in tarda mattinata il ministro degli Esteri Serghei Lavrov aveva pubblicamente "proposto" al presidente russo di dichiarare "persona non grata" 35 diplomatici americani, "31 a Mosca e 4 a San Pietroburgo". 
Una consuetudine, quella di rispondere a tono, per l'appunto ben radicata nel mondo della diplomazia e che non aveva stupito nessuno. 
Ma non è tutto. 
In precedenza la portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova, con il suo abituale stile graffiante aveva smentito nettamente la notizia - diffusa dalla CNN - che le autorità russe avrebbero chiuso la prestigiosa scuola angloamericana di Mosca. Un fulmine a ciel sereno che per un'intera mattinata ha gettato nel panico una bella fetta della comunità 'expat' moscovita. 
"E' una menzogna", ha precisato Zakharova. "Evidentemente la Casa Bianca è impazzita completamente e ha iniziato a inventare sanzioni contro i propri figli". 
"CNN e altri media occidentali, citando fondi ufficiali americane, hanno nuovamente diffuso informazioni non attendibili". 
I russi insomma non mangiano i bambini. Tant'è vero che Putin, nel suo messaggio, ha invitato tutti i figli piccoli dei diplomatici Usa alla tradizionale festa dell'albero di Natale al Cremlino. Lo zar ha poi colto l'occasione per augurare 'buon anno' a Barack Obama e alla sua famiglia, "nonostante "il fatto che la sua amministrazione finisca il lavoro in questo modo" - rinnovando così, fra le righe, l'accusa di non "saper perdere" lanciata nel corso della conferenza stampa di fine anno. 
L'ex presidente e attuale primo ministro, quel Dmitri Medvedev protagonista del 'reset' nelle relazioni russo-americane voluto proprio dal presidente uscente, ha usato toni simili: "E 'un peccato che l'amministrazione Obama, che ha iniziato il suo mandato con il ripristino della cooperazione con la Russia, si stia concludendo con un'agonia anti-russa". Meglio allora guardare al futuro. 
Putin, che oggi ha inviato gli auguri di Capodanno praticamente a tutto il mondo (salvo al presidente ucraino Petro Poroshenko), ha scritto a Donald Trump auspicando "un livello qualitativamente nuovo" nella "cooperazione e interazione sull'arena internazionale dei nostri due Paesi". La parola chiave di questa nuova era di rapporti è allora "pragmaticità". "Speriamo che questa sia l'ultima uscita poco intelligente di Obama", ha tagliato corto Zakharova. Il conto alla rovescia, più che sulla mezzanotte del 31 dicembre, al Cremlino è settato sul 20 gennaio, quando Trump s'insedierà ufficialmente alla Casa Bianca.

sabato 28 maggio 2016

"Il premio Nobel per la Pace non chiederà “scusa” per le 140mila vittime." (ilFQ)



Questi uomini non hanno coscienza, non hanno dignità. Sono vuoti dentro, non provano sentimenti, il loro unico scopo è guadagnarsi un posto di prestigio nel mondo; 

sono senz'anima, che hanno provveduto a vendere ai loro padroni.

Cetta.

martedì 17 novembre 2015

I GUANTI DI PUTIN. - RUDY PANKO



Putin si leva i guanti e parla di relazioni finanziarie tra paesi del G20 e ISIS
Al summit del G20 summit, Putin denuncia gli stati membri di sostenere il terrorismo.

Come a volte succede al cinema, durante il summit  G20  di  Antalya, Putin, il Presidente russo, ha portato le prove che gli stati del G20 forniscono appoggi finanziari all' ISIS…   Poi parlando con i giornalisti, dopo il summit, Putin ha detto:

Ho presentato esempi con dati sul finanziamento fornito alle unità dello Stato islamico da parte di persone fisiche di diversi paesi. Il finanziamento proviene da 40 paesi, come abbiamo stabilito, tra cui alcuni sono anche membri del G20.
Putin ha presentato anche delle immagini satellitari che mostrano come si svolgono le redditizie attività di contrabbando petrolifero nello Stato islamico. 
Ho dimostrato ai nostri colleghi, con chiare immagini dallo spazio, la vera dimensione del commercio illegale di petrolio e del mercato dei prodotti petroliferi. Convogli di auto, che si allungano per decine di chilometri, arrivano fin dopo l'orizzonte se si osservano da un'altezza di quattro-cinque mila metri. 
È interessante notare che, subito dopo il vertice, gli Stati Uniti  hanno annunciato che i loro aerei avevano iniziato a bombardare i convogli dell'ISIS ed i camion usati per "contrabbandare il petrolio greggio che si produce in Siria".

Che strana coincidenza. E 'come se gli Stati Uniti avessero già saputo esattamente dove passavano quei convogli, ma che non si sentissero ancora obbligati a distruggerli fino a quel momento. Il mondo è pieno di misteri!
Ma la vera storia è che Putin in realtà si è alzato in piedi di fronte alle grandi potenze economiche del mondo e ha detto, guardandole in faccia, che la Russia sa esattamente che cosa stanno facendo.
Con rispetto.

Fonte: http://russia-insider.com/
Link:  http://russia-insider.com/en/politics/putin-exposes-g20s-financial-ties-isis-during-antalya-summit/ri11199 

autore della traduzione Bosque Primario.

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=15848

domenica 15 novembre 2015

COME SAPREMO SE E’ UNA FALSE FLAG. - Maurizio Blondet

Lo dicevano dal 2 ottobre

Lo dicevano dal 2 ottobre.

“Un 11 septembre à la française” era stato ampiamente profetizzato da settimane dai servizi. Ora, sapremo se la strage di Parigi è un “false flag” come l’11 Settembre, fatto apposta per innescare una guerra senza fine “al terrorismo” – il terrorismo che gli Usa addestrano, i sauditi pagano e i turchi ricoverano contro la Siria –

se la lezione che Hollande, la NATO, gli Usa trarranno dalla strage sarà:

L’Occidente deve intervenire in Siria con tutte le forze militari allo scopo di rovesciare Assad, perché altrimenti i jihadisti diventeranno sempre più forti e meno moderati. La distruzione di Assad è la soluzione, altrimenti l’ISIS non si può vincere. Dovevamo già farlo nel 2012, ce l’ha impedito Obama vacillando…. 
Non sarà un false flag se la conclusione che gli stati occidentali sarà invece la seguente:
“Noi occidentali dobbiamo piantarla di reclutare, pagare, armare ed addestrare i jihadisti. Lo stiamo facendo dalla guerra antisovietica in Afghanistan, dove la Cia ha reclutato in un decennio (1982-92) 35 mila terroristi da 43 paesi: allora la formazione si chiamava Al Qaeda. Venendo ai giorni nostri: contro la Siria, fin dal 2011 – attestò allora DEBKA File – fu lanciata “una campagna per arruolare volontari islamici per combattere a fianco dei ribelli siriani. L’esercito turco li alloggerà, li addestrarà e assicurerà il loro passaggio in Siria” (DEBKA file, NATO to give rebels anti-tank weapons, August 14, 2011.)”
La Turchia, è il caso di ricordare, è membro della NATO. L’ISIS nasce da una costola di Al Qaeda per riconquistare la Siria all’islamismo wahabita, e poi viene esteso all’Irak per riprendere l’area sunnita. In Siria ci sono con i terroristi corpi speciali inglesi; gli Usa conducono contro l’ISIS bombardamenti che sono in realtà lanci di rifornimenti. Ankara mantiene i suoi terroristi per creare una zona-cuscinetto in Siria, che intende poi inglobare allo stato turco: una Crimea ottomana. L’Occidente vuole sloggiare la flotta russa dalla sua unica base in Mediterraneo; vuole liberare territorio per costruire il gasdotto tra il Katar e la Turchia onde sostituire le forniture energetiche russe all’Europa. Per questo l’Occidente aiuta e soccorre i terroristi islamici.
Quanto a Parigi, ha fornito armamenti ai “ribelli” jihadisti libici anti-gheddafi, affiliati ad Al Qaeda e che poi hanno millantato la loro adesione al Califfato. 
Ha fornito copertura aerea ai terroristi mentre avanzavano compiendo atrocità. Nel 2012, Hollande ardeva dalla voglia di mandare caccia ed armati in Siria ad abbattere Assad e, quindi, insediare al potere i terroristi islamici wahabiti, insieme all’Arabia Saudita e alla Turchia. Fu architettato un false flag – “Assad stermina coi gas il suo stesso popolo” come pretesto all’intervento. Il presidente Obama per motivi mai ben chiariti esitò, si ritirò (disse che aveva bisogno dell’approvazione del Congresso) sicché l’invasione occidentale contro la Siria restò sospesa. Ed è restata sospesa ancor oggi. Sospesa, non cancellata.
Nel 2013, la Francia e la Gran Bretagna fecero sforzi straordinari perchè l’Unione Europea togliesse un (presunto) embargo sulle armi da far giungere ai ribelli terroristi islamisti: hanno avuto successo, l’Europa ha consentito, le armi arrivano ai ribelli terroristi ed hanno prolungato la strage in Siria di altri due anni.
Adesso, nelle ore dell’eccidio a Parigi, Obama è apparso in tv a fare il discorso delle grandi occasioni, del nuovo 11 Settembre. Promettendo l’intervento a fianco dei francesi:
Abbiamo sempre potuto contare sul popolo di Francia al nostro fianco. Sono stati un partner straordinario nell’antiterrorismo, e noi intendiamo essere con loro in questo frangente”.
In realtà, questo stare “spalla a spalla” ha avuto qualche eccezione. Nell’autunno 2014, un drone Usa aveva preso di mira ed ucciso un jihadista francese combattente presso Aleppo.
Non era nemmeno un musulmano, si chiamava David Drugeon, ma era sicuramente ben addestrato nei corpi speciali francesi, tanto che era diventato il capo di un gruppo di qaedisti chiamato Khorassan. Agli americani non piaceva come Drugeon faceva il terrorista per conto di Parigi. C’è voluta anche la strage di Charlie per portare la Francia in linea nella “guerra al terrorismo” senza troppa autonomia.
Adesso l’attacco “dell’ISIS” ai parigini – classica strategia della tensione – può avere anche il senso di una punizione: per il fatto che Hollande, appoggiato da Juncker, ha alzato la voce contro le sanzioni europee a Mosca, ventilando che andrebbero tolte? Chissà. Invece è certo che la orribile tragedia è stata profetizzata.
Su Paris Match del 2 ottobre un giudice Trévédic profetava: “Gli attentati in Francia saranno di una scala paragonabile all’11 Settembre”. Le Nouvel Observateur: “I servizi temono un 11 Settembre francese”.
Se questa tragedia è stata chiamata in anticipo “Un 11 Settembre”, vuol dire che ci attendono altri 15 anni di “guerra globale al terrorismo”.  Eventualmente anche contro la Russia, la sola che – con Assad – sta davvero cercando di eliminare il terrorismo islamico. Se  traessimo la lezione giusta, ci affiancheremmo alla Russia.   Invece volete scommettere che  non avverrà?
Infine:
Se non fosse un false flag, già si eleverebbe il grido: Basta col lasciar passare centinaia di migliaia di “profughi” cosiddetti “siriani”, quasi tutti maschi e giovani in età militare, alle frontiere orientali d’Europa! Fra di loro ci sono certamente jihadisti, aspiranti jihadisti, wahabiti tagliagole. Che stiamo facendo?
Ora, dai media almeno, questo grido non si alza. Strano. Che lezione stiamo traendo dalla strage di Parigi?

lunedì 26 ottobre 2015

ZEROHEDGE: L’EUROPA HA INIZIATO A IMPORRE SEGRETAMENTE IL TTIP, A DISPETTO DELLA FORTE CONTRARIETÀ DELL’OPINIONE PUBBLICA. - Eric Zuesse


Un articolo dello storico Eric Zuesse, pubblicato da Zero Hedge, illustra alcuni sviluppi inquietanti del TTIP. Anche se molto viene tenuto segreto —con modalità che non hanno nulla a che fare con la democrazia— ciò che trapela indica che alcune condizioni del TTIP entreranno in vigore ancora prima che l’accordo sia formalmente (e comunque segretamente) concluso. Zuesse definisce tutto ciò nel modo opportuno: fascismo internazionale. 
di Eric Zuesse, 20 ottobre 2015
I termini del TPP, il trattato sul “commercio” proposto da Obama alle nazioni asiatiche, non saranno resi pubblici fino a che il trattato non sarà in vigore da almeno quattro anni. I termini del TISA (accordo sul commercio dei servizi), proposto da Obama a 52 nazioni, non saranno resi pubblici fino a che il trattato non sarà in vigore da almeno cinque anni. Il TTIP, il trattato proposto da Obama ai paesi europei, è stato tenuto nascosto così bene che non si sa nemmeno per quanti anni dovrà essere tenuto nascosto all’opinione pubblica. Buongiorno, fascismo internazionale! — tutto fatto in segreto, fino al punto in cui è troppo tardi perché l’opinione pubblica possa reagire.
In Europa si sta andando proprio di corsa, per scongiurare che venga meno la segretezza, e il trattato non riesca quindi a passare. L’Unione Europea sta già segretamente imponendo le disposizioni stabilite dal (segreto) Trattato Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti (TTIP), ancora prima che venga firmato, e perfino prima che sia formalmente approvato da qualsiasi nazione. Ciò è stato rivelato lo scorso fine settimana in due circostanze:
La sera del 17 ottobre Phillip Inman, che gestisce la versione online del Guardian, ha intitolato (in un articolo che il Guardian non ha voluto pubblicare sulla versione cartacea) “La prospettiva del TTIP sta già minando gli standard alimentari UE, dicono gli attivisti“, e ha riportato che:
Nick Dearden, direttore del gruppo anti-povertà “Global Justice Now”, dice che il consulente capo per il trattato, Damien Levie, ha fatto trapelare che il trattato sul libero commercio implica la riduzione degli standard minimi concordati in UE. 
Dearden riporta che, secondo il resoconto della newsletter [disponibile agli iscritti] del Washington Trade Daily, Levie, ad una conferenza tenuta presso il gruppo “US free market” al Cato Institute (che è di proprietà dei fratelli Koch, investitori miliardari del petrolio e anti-regolamentazioni), ha affermato che le sementi geneticamente modificate e le carni bovine trattate chimicamente potranno essere commercializzate in UE già prima della conclusione del trattato.
Secondo il report, Levie avrebbe detto ai paesi membri dell’UE che “sono state aumentate le revisioni e approvati nuovi organismi geneticamente modificati per un totale di cinque prodotti fino ad ora”.
Levie … ha detto alla conferenza del Cato Institute che entrambe le parti vogliono raggiungere  un accordo economico nientemeno che completo. Ha ammesso che l’accordo potrebbe naufragare per la resistenza degli USA ad includere i servizi finanziari nel trattato, e per la riluttanza di Washington ad aprire gli appalti locali e nazionali alle offerte delle imprese europee.
In precedenza, le informazioni che venivano rese pubbliche tramite wikileaks avevano chiarito che nelle trattative sul TTIP erano gli USA il paese più aggressivo che spinge affinché le imprese multinazionali possano modellare le leggi dei singoli paesi — e questa è anche la posizione dei fratelli Koch.
Il 18 ottobre Lauren McCauley nel Common Dreams ha intitolato “Il TTIP sta già ‘Riscrivendo le regole’ degli standard europei per il cibo, rivela un nuovo report“, e afferma che un’organizzazione britannica progressista, Global Justice Now, ha pubblicato uno studio il 18 ottobre nel quale si nota che:
I funzionari USA sono riusciti a usare la prospettiva del TTIP per forzare l’UE all’abbandono del piano di bandire 31 pesticidi pericolosi dai generi alimentari, pesticidi che sono stati dimostrati essere causa di cancro e infertilità.
Un destino simile ha colpito le regolamentazioni sul trattamento della carne con acido lattico. Questo tipo di trattamento era stato proibito in Europa per la paura che venisse usato per nascondere pratiche di cattiva igiene. Il divieto è poi stato abrogato dai parlamentari europei della Commissione per la salute pubblica e la sicurezza alimentare, dopo che la Commissione Europea ha suggerito che le trattative sul TTIP sarebbero state a rischio se il divieto non fosse stato tolto.
Sul cambiamento climatico, il Direttivo europeo sulla qualità dei carburanti, che era determinato a vietare il petrolio canadese ottenuto da sabbie bituminose (il peggiore petrolio del mondo dal punto di vista degli effetti sul clima globale) si è arreso di fronte alle forti pressioni lobbistiche americane e canadesi sia sul TTIP che sull’accordo CETA (tra UE e Canada).
Come ho riportato il 2 febbraio del 2014:
La conduttura Keystone XL non contribuirà alla produzione di energia in USA, ma all’espotazione del peggiore petrolio dal punto di vista ambientale, verso Canada, Europa e Sud America. Trasporterà il petrolio delle sabbie bituminose della regione dell’Alberta (Canada) —metà del cui petrolio è di proprietà dei Koch— a sud verso le raffinerie dei Koch nella costa del golfo texano, per essere poi imbarcato soprattutto verso l’Europa.
Il presidente Obama sta perciò cercando di portare l’Europa ad un maggiore relax sugli standard contro il riscaldamento globale, al fine di farle importare il petrolio statunitense, che è assolutamente il peggiore del mondo dal punto di vista ambientale.
Inoltre, “al momento, la maggior parte del petrolio proveniente dalle sabbie bituminose del Canada viene esportato solo verso gli Stati Uniti centrali, a causa della mancanza di infrastrutture di trasporto”. Questo fatto (la mancanza di “infrastrutture” di trasporto per spostare il petrolio verso i mercati internazionali) causa l’abbassamento non solo del prezzo che i Koch riescono a ottenere per il loro petrolio (dato che non può essere venduto internazionalmente), ma limita anche fortemente la quantità totale del petrolio che riescono a vendere (indipendentemente dal prezzo), perché il mercato locale degli Stati Uniti centrali è ridotto. Il Keystone XL, pertanto, aumenterebbe enormemente le vendite annuali di petrolio estratto dalle sabbie.
Oltretutto, se questo lurido petrolio non viene venduto rapidamente, non verrà venduto affatto, ed ecco perché, secondo quanto spiegato da nientemeno che l’Oil & Gas Sector Analyst alla maggiore banca mondiale (in termini di asset):
Dice, “Tra il 60 e l’80% delle attuali riserve di carburante fossile presenti sul mercato globale non possono essere consumate, se dobbiamo limitare l’aumento delle temperature globali a due gradi Celsius”, e questa è l’aumento della temperatura critico secondo il 97% dei climatologi come punto di non ritorno verso un cambiamento climatico da evitare, se non si vuole una distruzione della biosfera del pianeta così come l’abbiamo sempre conosciuta.
Pertanto, il presidente USA Obama ha spinto aggressivamente affinché il petrolio da sabbie bituminose canadesi, posseduto in gran parte dai Koch, venisse ammesso all’interno del mercato europeo, al fine che una parte delle loro riserve di petrolio — ma anche di quelle di Exxon, ecc. — venissero vendute, prima che sia troppo tardi.
I frateli Koch sono considerati in genere i maggiori finanziatori del Partito Repubblicano negli USA. Il 5 gennaio 2012, il Washington Post intitolava “Coalizione politica sostenuta dai Koch, fatta per tutelare i donatori, ha raccolto 400 milioni di dollari nel 2012“, e Matea Gold ha riportato che “le risorse e l’ampiezza di questa organizzazione la rende qualcosa di singolare nella politica americana” e che “i suoi finanziatori restano ampiamente ignoti”. Tuttavia, un membro autodichiarato,
Jack Schuler, un imprenditore dell’assistenza sanitaria, è stato a uno degli incontri dei finanziatori dei Koch, a Beaver Creek, Colorado, molti anni fa, e ha contribuito con la somma di 100.000 dollari all’anno al loro sforzo. “Si presentano come dei tizi che stanno mettendo privatamente un sacco di soldi in questo progetto”, ha detto Schuler. “Hanno una parlata morbida, non urlano e non strepitano. Offrono una guida e uno staff — senza una tale struttura dietro, io non ce la farei da solo”.
Una gran parte dei 400 milioni di dollari sono andati alla campagna di Mitt Romney contro Barack Obama. Obama stesso sosteneva i Koch finanziariamente, eppure loro gli preferivano il candidato repubblicano.
I Koch hanno quindi già incassato il successo di Obama nel battere gli standard UE sulla qualità dei carburanti, perfino nel caso in cui il TTIP dovesse essere rifiutato. L’UE lo ha fatto senza nemmeno bisogno di intraprendere tutta la strada percorsa per mettere in atto il TTIP.
NOTA: Il titolo di questo articolo dice “A Dispetto della Schiacciante Contrarietà dell’Opinione Pubblica”, ma gli stessi sondaggi disponibili sul tema di questi accordi segreti sono manipolati. All’inizio i sondaggi chiedevano se le persone approvavano il “libero commercio”, o altre bizzarrie simili, e ovviamente i rispondenti dicevano di sì. Poi i sondaggi si sono semplicemente fermati, con l’idea che i trattati sul “commercio” siano popolari. Ma le enormi manifestazioni pubbliche, e tutto il resto, che da allora si scagliano contro questi trattati, hanno reso sempre più chiaro che, nella misura in cui l’opinione pubblica conosce effettivamente i trattati sul “commercio” proposti da Obama (specialmente in Europa, che non è così corrotta come gli USA, e dunque meno cittadini sono totalmente all’oscuro), essa si oppone fortemente, e potrebbe perfino rivoltarsi violentemente se questo fosse l’unico modo per impedire che il trattato venga approvato. Notizie come quelle che state leggendo sono state inviate a tutti gli organi di informazione occidentali, ma sono ben pochi quelli che le pubblicano. I più importanti gestori degli organi di informazione hanno partecipato direttamente alle commissioni che definivano questi trattati, e presumibilmente non sono molto contenti se i loro manoscritti vengono divulgati al pubblico in tempo perché questo possa impedire che entrino in vigore.

mercoledì 7 ottobre 2015

Orwell oggi. Obama ridefinisce "democratici" solo i paesi che sostengono la politica Usa. - Michael Hudson


Per il presidente americano democrazia è il rovesciamento della CIA di Mossedegh in Iran per installare lo Scià o il colpo di stato ucraino.

Nel suo orwelliano discorso del 28 Settembre alle Nazioni Unite, il presidente Obama ha detto che se la democrazia fosse esistita in Siria, non ci sarebbe mai stata una rivolta contro Assad. Dove c'è la democrazia, ha detto, non c'è violenza o rivoluzione, ricostruisce il giornale online della Strategic Culture Foundation
 
Questa era la sua minaccia di promuovere rivoluzione, colpi di stato e la violenza nei confronti di qualsiasi paese non considerato "democrazia". Nel fare questa minaccia appena velata, ha ridefinito la parola nel vocabolario della politica internazionale. La democrazia è il rovesciamento della CIA di Mossedegh in Iran per installare lo Scià. La democrazia è il rovesciamento del governo laico dell'Afghanistan dai Talebani contro la Russia. La democrazia è il colpo di stato ucraino dietro Yats e Poroshenko. La democrazia è Pinochet. E' "i nostri bastardi", come ha dichiarato Lyndon Johnson, per quanto riguarda i dittatori latinoamericani installati da politica estera statunitense.
 
Un secolo fa la parola "democrazia" si riferiva ad una nazione le cui politiche erano elaborate da rappresentanti eletti. Sin da Atene, la democrazia è stata contrapposta all'oligarchia e all'aristocrazia. Ma dalla Guerra Fredda e le sue conseguenze, i politici americani danno al termine un significato particolare. Quando un presidente americano usa la parola "democrazia" intende ​​un paese filoamericano che segue le politiche neoliberiste statunitensi, non importa se il paese è una dittatura militare o il suo governo è salito al potere dopo un colpo di stato (o una rivoluzione colorata), come in Georgia o Ucraina. Un governo "democratico" è stato ridefinito semplicemente come uno che sostiene il Washington Consensus, la NATO e l'FMI. E' un governo che sposta il fare politica dalle mani dei rappresentanti eletti a una banca centrale "indipendente", le cui politiche sono dettate dall'oligarchia di Wall Street, della City di Londra e da Francoforte.
 
Data questa ridefinizione americana del vocabolario politico, quando il presidente Obama dice che tali paesi non subiranno colpi di stato, una rivoluzione violenta o il terrorismo, intende dire che i paesi all'interno dell'orbita diplomatica degli Stati Uniti saranno liberi da destabilizzazione sponsorizzata dal Dipartimento di Stato americano, dal Dipartimento della Difesa e del Tesoro. Paesi i cui elettori eleggono democraticamente un governo o un regime che agisce in modo indipendente (o anche semplicemente cerca di agire in modo indipendente dalle direttive degli Stati Uniti) verranno destabilizzati, in stile Siria, Ucraina o Cile. Come disse Henry Kissinger, solo perché un paese vota i comunisti non significa che dobbiamo accettarlo. Questo è lo stile delle "rivoluzioni colorate" sponsorizzate dal National Endowment for Democracy.
 
Nella sua risposta delle Nazioni Unite, il Presidente russo Putin ha messo in guardia contro "l'esportazione delle rivoluzioni democratiche", cioè dal sostegno degli Usa ai suoi factotum locali. L'ISIS è armato con armi degli Stati Uniti e i suoi soldati sono stati addestrati dalle Forze armate statunitensi. Nel caso in cui ci fosse qualche dubbio, il presidente Obama ha ribadito davanti alle Nazioni Unite che finché presidente siriano Assad non sarà rimosso in favore di un governo più conciliante  rispetto agli interessi di Washington, è Assad il nemico principale, non l'ISIS.
 
"E' impossibile tollerare la situazione attuale", ha risposto il presidente Putin. Allo stesso modo in Ucraina: "Quello che credo sia assolutamente inaccettabile", ha detto nella sua intervista alla CBS " è la risoluzione delle questioni politiche interne nelle ex repubbliche URSS, attraverso "rivoluzioni colorate ", attraverso colpi di Stato, attraverso la rimozione di potere incostituzionale. Questo è totalmente inaccettabile. I nostri partner negli Stati Uniti hanno sostenuto coloro che hanno spodestato Yanukovich. ... Sappiamo chi e dove, quando, chi esattamente ha incontrato chi e ha lavorato con coloro che hanno spodestato Yanukovich, come sono stati sostenuti, quanto sono stati pagati, come sono stati addestrati,, in quali paesi, e chi erano questi istruttori. Noi sappiamo tutto. "[1]
 
Alcuni per un momento hanno pensato che il duro discorso anti-russo di Obama fosse solo propaganda, mente in privato fosse pronto per un accordo con Putin. Parlare in un modo e agire in un altro è sempre stato il modus operandi del presidente americano, come lo è per molti politici. Ma Obama resta nelle mani dei neocons.
 
Dove porterà tutto questo? Ci sono molti modi di pensare fuori dagli schemi. E se Putin proponesse di portare i rifugiati siriani - fino a un terzo della popolazione - in Europa, di farli sbarcare in Olanda e in Inghilterra, che sono obbligati in base alle norme Shengen ad accettarli?
 
O se portasse in Russia i migliori specialisti di computer e altra manodopera specializzata per la quale la Siria è rinomata, aggiungendolo al flusso di migranti dalla "democratica" Ucraina?
 
E se i piani congiunti di Iraq, Iran, Siria e Russia di combattere congiuntamente l'ISIS -  l coalizione USA / NATO si è astenuta dall'unirsi - si scontrasse con le truppe statunitensi o con quelle del finanziatore principale dell'ISIL, l'Arabia Saudita?
 
Il gioco è nelle mani dell'America ora. Tutto quello che è stata in grado di fare è brandire la minaccia della "democrazia" come minaccia di colpi di stato per trasformare i paesi recalcitranti in altre Libia, Iraq e Siria.

giovedì 1 ottobre 2015

E se il “dieselgate” fosse l’anticamera del post-Maya? - Sergio Di Cori Modigliani


Oggi, 30 Settembre, le borse guadagnano e, questa sera, i telegiornali ci spiegheranno che è ritornato l’ottimismo, la crisi Volkswagen è ormai stata assorbita e il presente è sereno e positivo. 
Quantomeno, in Italia. Nel senso che i nostri oligarchi hanno sostituito la psicologia alla buona gestione dell’economia e della politica e sono convinti -almeno questo è ciò che vogliono far credere- che i problemi dell’Italia sono “essenzialmente di natura psicologica e non sono strutturali; il nostro è un paese molto ricco ed è una nazione di risparmiatori paurosi. 
In Italia i cittadini non spendono perché hanno paura, ma i soldi ci sono. Basta educarli al consumo: è quello che stiamo facendo“, così il nostro caro leader presentava la situazione della nostra nazione nel più importante incontro politico internazionale della sua agenda newyorchese: l’incontro nella sede della Black Rock (il più importante fondo di speculazione finanziaria del mondo, presente in Italia da protagonista) con una decina di grossi investitori, e alla presenza dei dieci più importanti e agguerriti giornalisti economici del pianeta. Si trattava di un incontro fondamentale, perché lì, in quanto premier, dotato di delega a rappresentare la nazione, doveva riuscire a conquistare la fiducia -e quindi massicci investimenti- di potenti mega miliardari che davvero contano.  
Il risultato è stato una totale catastrofe. L’esito di questo meeting è stato talmente raccapricciante che il sottoscritto (nel senso patriottico, cioè uno che tifa per l’Italia) si è trovato nella situazione di provare rispettosa nostalgia per Mario Monti. Se non altro, dopo i suoi tre viaggi ufficiali in Usa, era riuscito a ottenere risultati tangibili, visto che nei successivi quaranta giorni erano arrivati complessivamente circa 200 miliardi di dollari che sono stati investiti in bpt nazionali, salvando il paese dalla bancarotta verso la quale ci stavano portando allegramente, con irresponsabile cipiglio i vari Berlusconi, Tremonti, Maroni, Casini, Bossi, Meloni, Bersani, Cicchitto, Alfano, Weltroni, Napolitano, e allegra compagnia danzante. Diamo a Cesare ciò che è di Cesare. Va da sè che stanno ancora tutti lì, tranne Monti che è stato spedito a casa. Ennesimo paradosso italiano.
Neanche a dirlo, in Italia, le riprese televisive di questo meeting (diffuso in tutto il continente americano dall’emittente Bloomberg, ma di sicuro visto anche in Europa dai nostri partner continentali) non sono state nè diffuse, nè adeguatamente relazionate, commentate, documentate. La cupola mediatica, ahinoi, funziona così. In quell’occasione, appunto, mentre venivano rivolte al caro leader diverse domande di economia (semplici, dirette, chiare) lui rispondeva con la psicologia, pensando di avere a che fare con la consueta pattuglia di impiegati dell’informazione, deferenti e servili, sonnacchiosi e complici, cui lui è abituato, nella sua miope ottica provinciale. Spiegando perchè era vantaggioso investire in Italia, il caro leader ha sentenziato: “L’Italia è un paese sano ed economicamente molto forte, in grande espansione. La ripresa è talmente dirompente che posso tranquillamente prevedere che entro la decade, l’Italia, sarà il faro e il vero leader dell’Europa. Saremo più forti della Germania“. A quel punto, prima del parapiglia dei professionisti increduli, sarebbe bastato aggiungere un “mi piacerebbe, magari fosse così” o qualcosa del genere. Pressato, invece, ha confermato. Forse nessuno ha spiegato al caro leader che il nostro pil è pari a circa 1.870 miliardi di dollari l’anno, mentre quello della Germania è di 3.560. Per battere la Germania, quindi, l’Italia dovrebbe -entro la fine di quest’anno- riuscire ad aumentare del 12% il proprio pil, magari assumendo circa un milione di persone a tempo indeterminato. Non solo. Nei successivi cinque anni, dovrebbe aumentare del 20% annuo mentre la Germania cessa di produrre e rimane ferma. Un’ipotesi nè realistica nè probabile, neppure immaginabile a livello di fantasia teorica. Non arriverà, temo, nessun investimento, è bene saperlo.
Tutt’altra cosa per la Germania. Ed è il tema del post del giorno. Vediamo di capire che cosa bolle in pentola. Prima parliamo un po’ di cifre nude e crude, è essenziale per comprendere il nuovo teatro.
Circa tre mesi fa, Herr Martin Winterkorn, allora amministratore delegato della Volkswagen, apriva un convegno della confindustria tedesca in Bassa Sassonia. In quell’occasione (eravamo al 30 Giugno) il manager annunciava con comprensibile euforia che i nuovi dati numerici indicavano la Volkswagen, per la prima volta, come leader nel pianeta, autentico locomotore della grande industria tedesca. In quel momento, mentre lui parlava, il titolo alla borsa di Francoforte valeva 232 euro. In quell’occasione, parlarono anche i responsabili dei fortissimi sindacati che annunciarono di aver chiuso poche ore prima un accordo aziendale: nel nome della “gestione sociale comune” (loro la chiamano così), il management aveva deciso di attribuire al personale, la prima settimana di Dicembre, una super tredicesima comprensiva di bonus, premio di produttività, regalia una tantum, sotto forma di azioni al portatore. Le previsioni dei cervelloni dell’azienda davano il titolo (a quella data) intorno ai 300/350 euro ad azione. Il numero di azioni era stato sancito a fine giugno, così si rischiava tutti insieme. Applausi, lacrime e orgoglio. In quell’occasione, Herr Winterkorn, ci aggiunse qualcosa di suo -eravamo al centro della tempesta Grexit e nel momento della satanizzazione di Yanis Varoufakis- spiegando che mai la Germania avrebbe accettato l’idea di pagare il prezzo di quei fannulloni truffatori dei greci. A conclusione del discorso, specificò (anche se non c’era alcun bisogno) che l’accordo sindacale era talmente forte che consentiva ai potenziali destinatari di farselo scontare in banca perchè la BCE aveva accettato come garanzia l’intera cartolizzazione dei derivati finanziari della Vokswagen, aprendo una linea di credito praticamente eterna. 
Due mesi dopo, l’euforia si era placata e i primi sintomi che qualcosa non stava funzionando giravano già in tutti gli ambienti economici planetari. Segnali arrivavano dagli Usa e dal Giappone che preannunciavano la contestazione poi esplosa. Ma il management scelse di far finta di niente. Dieci giorni fa scoppia il dieselgate, che trascina al ribasso il titolo in borsa, facendolo scendere a 122 euro il martedì 23 Settembre. Non riescono a fermarlo e così, il 29 Settembre, il titolo, alla borsa di Francoforte, viene quotato a 95 euro ad azione, ritornando alla situazione del 2005. La perdita di valore in borsa è di circa il 65%. Tenendo presente che l’indotto raggiunge circa 1.500.000 lavoratori in Germania, circa 4 milioni in Europa, di cui ben 300.000 addetti nella Repubblica Italiana, il dieselgate non è più (giustamente) considerato “uno scandalo” bensì “un evento di importanza strategica geo-politica per l’intera Europa” (la definizione è ufficiale ed è del governo tedesco). Direi del mondo.
L’impatto è molto forte. Angela Merkel si è mossa subito per tirar fuori il meglio della Germania. Ha imposto, con una telefonata, le immediate dimissioni di Herr Winterkorn, ottenendole subito. Hanno affidato alla Saatchi & Saatchi di Londra (la più importante agenzia planetaria nel campo della pubblicità, analisi di big data e di megatrend) una consulenza per avere ragguagli in merito. La prima risposta immediata è stato il suggerimento di togliere la pubblicità. Nella sola giornata di martedì scorso, infatti, sul web si toccava la punta di 100 milioni di scherzi, barzellette, improperi, con la satira e la creatività di tutti gli utenti scatenata nell’attaccare il marchio. Sono stati quindi annullati circa 12 milioni di contratti. Sparita la pubblicità Volkswagen. Rimane quella dell’Audi, Seat e Skoda ma soltanto in territori considerati minori, ovvero quelli in cui l’informazione è molto bassa e la gente ignora che siano della Volkswagen (l’Italia è tra questi). Il contraccolpo ha comportato un abbassamento del 9% in pubblicità che nei prossimi tre mesi provocherà un restringimento del pil europeo di uno 0,4% provocando allarme nella BCE e nel Fondo Monetario Internazionale. Da noi, tanto per fare un esempio, a farci subito le spese è stata Mediaset, che ha perso in una settimana circa il 10% del proprio valore per questo motivo. 
L’effetto domino ha cominciato a serpeggiare dovunque. Il secondo suggerimento londinese (conoscono la mentalità tedesca del loro cliente) attribuisce un valore di 287 punti -la cancellazione della pubblicità sono 234 punti- all’idea di mettere in galera Herr Winterkorn. L’idea è riuscita graditissima al governo Merkel, quelli sono tedeschi, mica italiani. Nel bene e nel male. Il governo teutonico, infatti, sta valutando l’ipotesi di presentarsi parte civile nella denuncia penale per truffa nei confronti dell’ex amministratore delegato che la maggioranza dei tedeschi ha già fatto sapere vorrebbero vedere portato via in manette. Rischia sei anni di galera. E si può anche tenere la sua miliardaria buona uscita, se la godranno i suoi familiari. I tedeschi sono fatti così. In Italia, alcuni giornalisti economici, interpellati da varie televisioni, hanno espresso il loro illuminante parere sul dieselgate, sostenendo che si tratta di far passare la buriana e in un paio di mesi sarà tutto risolto. Contemporaneamente, i giornalisti tedeschi sostengono che ci vorranno “almeno cinque anni, forse addirittura dieci”.  Il carico da undici l’ha messo giù il ministro delle finanze Schauble che qualche ora fa ha dichiarato: “Da oggi, la Germania non sarà più la stessa, non so neppure se la Volkswagen sarà in grado di riprendersi”.
Non vorrei stare nei panni di Herr Winterkorn.
Non è facile da comprendere per il pubblico italiano, il quale non è certo aiutato dai professionisti della cupola mediatica, che in questi giorni, a mio parere, stanno offrendo uno spettacolo indecoroso di mancanza di informazioni, spiegazioni, dettagli, connessioni.
L’attuale teatro, infatti, fa parte della vera guerra in corso, l’unica guerra in atto, il cui teatro è arduo da presentare agli italiani. Volgarmente, nonché sfacciatamente, i mammalucchi leghisti, fascisti, comunisti, mitomani e analfabeti vari, insistono nel sostenere che siamo “in clima di neo guerra fredda tra Usa e Russia”. Non credo che questo sia vero. Paese fazioso e acritico, l’Italia offre l’indecente spettacolo di commentatori che in questi giorni se la prendono con Obama e/o con Putin perché è il modo più facile per ottenere subito consensi. Roba per palati grossolani. Basterebbe un unico esempio per comprendere che non è così: poche ore fa (a Washington erano le 9 del mattino) Obama ha ricevuto il comandante in capo dell’aereonautica militare statunitense per un colloquio di mezz’ora. Insieme, hanno poi ricevuto l’ambasciatore russo a Washington, il ministro degli esteri Lavrov, e il comandante in capo dell’aereonautica militare russa, intrattenendosi in un colloquio formale. Dopodichè, i due generali -entrambi parlano sia l’inglese che il russo- sono stati accompagnati in un ufficio del Pentagono per gestire una riunione strategica zeppa di agenti della CIA e di agenti della FSB, i servizi americani e russi. Per fare che cosa? Per scambiarsi tutti i piani di volo militari delle due rispettive forze aeree. Ce lo hanno raccontato Obama e Putin, in un comunicato congiunto, spiegando che “in questo momento delicato, l’ultima cosa che vogliamo è quella di correre il rischio di un incidente casuale in aria tra i nostri velivoli militari e quindi abbiamo deciso di muoverci in maniera congiunta”.
Non è quella la vera guerra. Mi dispiace per i refusi e zombie della politica italiana che disperatamente tentano di rientrare dalla finestra fornendo opinioni che usano parametri obsoleti, di un tempo che fu. La guerra non è tra Usa e Russia, tra Usa e Cina, tra Europa e Cina, tra civiltà cattolica e mondo musulmano, tra Iran e Usa, tra Russia e Cina.
Io la vedo così: questa è la prima guerra post-moderna, quella in cui le classi sociali non esistono più ma il mondo si divide in due grandi categorie: produttori e consumatori. Ci sono nazioni che producono molto e nazioni che non producono nulla; ci sono nazioni che consumano ciò che producono e nazioni che consumano ciò che altri producono. 
Ciò che il dieselgate sta (forse) per scatenare -e io me lo auguro proprio- è la guerra vera tra le due parti in causa: i progressisti evolutivi in ogni parte del mondo, da una parte; i conservatori liberisti, dall’altra. Dopo 40 anni di martellante esercizio del potere da parte dei liberisti, oggi settembre 2015, grazie anche all’esistenza del web e quindi all’impossibilità di nascondere con facilità gli eventi reali, appare sempre chiaro a tutti che quell’esperienza è stata un disastro per la collettività planetaria. Nel frattempo però, in questi 40 anni, il pianeta è diventato più piccolo e la consapevolezza delle masse mondiali è aumentata molto. La guerra è tra due concezioni del mondo diverse, tra due parametri distinti. E in Europa (come ben detto da Yannis Varoufakis, l’unico a introdurre questa saggia argomentazione) la guerra è tra la Francia e la Germania. Grazie al dieselgate diventa molto ma molto più facile andare all’attacco di una Europa “troppo tedesca” e di una Germania “troppo poco europea”. 
Lo ha capito subito la Francia, che era la sua occasione d’oro, approfittando per prendere due piccioni, anzi tre, con una fava. 
1). Da sola, contravvenendo ogni dispositivo della giurisdizione internazionale, se ne è andata a bombardare l’Isis in Siria sostenendo ufficialmente “non possiamo perderci nelle pastoie della burocrazia europea che non decide mai nulla”; così facendo ha placato l’opposizione interna di destra: i sondaggi indicano un recupero di 8 punti per Hollande e una perdita di 12 punti di Marie Le Pen, costretta ad approvare la scelta di Monsieur Hollande. 
2). La Francia si presenta come interlocutore quindi ben più solido della Germania, in questo momento, per cambiare le carte dei destini europei vantando la sua egemonia contro “i crucchi truffaldini”. 
3). La Francia si auto-promuove a grande potenza internazionale, rilanciando l’Europa come parte dello scacchiere planetario, lanciando (hanno già fatto l’annuncio) un tavolo di negoziati da tenersi a Versailles dove  siederanno insieme Usa, Russia, Iran, Turchia, Arabia Saudita e Francia per decidere il destino della Siria. Da risolvere il dissidio attuale tra Obama e Putin. Obama pretende che a quella riunione (di fatto accettata e quindi la Francia sta già incassando dal dieselgate) siano presenti i quattro esponenti politici che rappresentano la vera opposizione musulmana ad Assad; Putin, invece, pretende che partecipi anche Assad che rimane presidente della Siria. Presumo che stiano cercando una soluzione.
Nel frattempo, sia Putin che Obama incassano successi per loro importanti. 
Putin fa dimenticare l’Ucraina e quindi dà la guazza ai suoi generali. 
Obama, dal canto suo, prende due piccioni con una fava grazie al dieselgate, non a caso esploso esattamente nella stessa giornata in cui, a Tokyo, i deputati in parlamento si picchiavano a pugni sotto gli occhi allibiti dell’imperatore e del pubblico nipponico. Dopo 70 anni, infatti, il Giappone riarma il proprio esercito. 
Per Obama è un’ottima notizia, che è riuscito a far digerire al congresso. Gli Usa hanno dato il via cancellando la clausola che lo impediva. Il che vuol dire che dal 1 Gennaio 2016, l’amministrazione americana risparmia 850 miliardi di dollari all’anno (questo è il costo per mantenere le forze armate nel Pacifico) perché ci penseranno i giapponesi. 
Così ha trovato i soldi per coprire i costi della sua riforma sanitaria e zittire i repubblicani. Contemporaneamente, l’amministrazione Usa sta valutando il rapporto della General Motors (non a caso se la voleva comprare subito quel furbone di Marchionne) che sta sulla sua scrivania: è pronta a dire addio al fossile come carburante degli autoveicoli e lanciare sul mercato americano vetture a batterie elettriche e a idrogeno. Perché parte dell’accordo militare con il Giappone presuppone il via all’ingresso nel mercato Usa della Toyota con suoi analoghi modelli, e quindi, per amor di patria, si sostiene la propria industria e si seduce l’opinione pubblica ambientalista. 
Gli orientali sono etnie pazienti, lungimiranti, capaci di avere visioni di lungo respiro. Dieci anni fa, per il ventesimo anno consecutivo, la Toyota era la prima azienda automobilistica del pianeta. Ci fu uno “scandalo”. Alcuni modelli vennero considerati difettosi e diverse persone morirono in incidenti stradali in Usa, causati da errori meccanici. Fu un disastro per i giapponesi, che cominciarono a perdere quote d mercato. La Toyota venne letteralmente massacrata dai tedeschi che lanciarono in Usa e in tutta l’Asia una campagna pubblicitaria per spiegare che i tedeschi erano più attendibili dei giapponesi, fino al trionfo del Giugno 2015, con il sorpasso agognato da parte della Volkswagen. E’ durato 50 giorni.
Perché i tempi, intanto, erano cambiati. Le circostanze sono diverse. Mentre i tedeschi (e gli italiani) hanno scelto di investire risorse sul diesel per rilanciare l’economia, i giapponesi e la General Motors hanno scelto il motore ecologico sostenibile. Hanno investito nel futuro. 
La Germania no. E meno che meno l’Italia. Tanto è vero che il caro leader -compiendo un errore marchiano- è andato a sponsorizzare Marchionne che riapre a Mirafiori, con annunci trionfalistici, nuove catene di produzione per il modello “maserati suv turbodiesel” nel segmento lusso. Roba da mitomani. Tra sei mesi, quel piano industriale si rivelerà un colossale fallimento, procurando all’Italia l’ennesima delusione, oltre che inevitabili perdite di quote di mercato.
Ciò che il dieselgate ci sta fornendo è la possibilità e l’opportunità potenziale di andare incontro alla guerra vera contro il liberismo, nel nome di un nuovo paradigma economico, socialmente, economicamente, esistenzialmente, politicamente sostenibile da ogni singola nazione, paese, popolo.
Altrimenti, non se ne esce. E lo sanno tutti.
In conclusione, vi allego un estratto di un articolo pubblicato ieri su Ilsole24ore a firma Andrea Malan. E’ un buon articolo, onesto, puntuale, redatto da un professionista che conosce il suo mestiere e sa di che cosa parla e di che cosa scrivere. Ci regala accurate informazioni vere.

Volkswagen, indagato l’ex ceo Winterkorn

……….La procura della Bassa Sassonia ha intanto avviato un’indagine penale sull’ormai ex numero uno Martin Winterkorn; l’accusa è di «frode nella vendita di auto con dati sulle emissione manipolati». La denuncia è stata presentata da una decina di persone fisiche; si aggiunge a quella che la stessa Vw ha presentato contro ignoti e a quella aperta negli Usa dal dipartimento della Giustizia. Secondo «Handelsblatt», anzi, il gruppo potrebbe rivalersi contro l’ex numero uno nel caso in cui fossero accertate sue responsabilità.
L’apertura dell’inchiesta tedesca su Winterkorn rende ancora più delicato il tema della liquidazione da 32 milioni di euro che il manager dovrebbe in teoria ricevere dal gruppo per la sua uscita anticipata. Secondo l’agenzia Bloomberg – che cita fonti vicine al dossier – il presidente ad interim del consiglio di sorveglianza (e sindacalista di IG Metall) Berthold Huber e altri esponenti sindacali sono contrari ad accettarla. Winterkorn, fra l’altro, è ancora (almeno per il momento) al vertice della Porsche SE, la holding attraverso la quale le famiglie Porsche e Piëch controllano il gruppo.
In una lettera ai dipendenti del gruppo Matthias Müller, che ha sostituito Winterkorn al vertice, ha espresso «grande rispetto» per i risultati ottenuti dal suo precedessore e ha detto che nell’opera di controllo in corso «la diligenza è più importante della rapidità». Per ora non ci sono conferme del repulisti ai massimi livelli del settore tecnico del gruppo, ma le voci proseguono insistenti: secondo la Faz Volkmart Tannenberger diventerà nuovo responsabile ricerca e sviluppo della marca Vw, al posto di Heinz-Jakob Neusser che sarebbe stato sospeso dall’incarico. Sul mercato azionario cresce l’impazienza, e la situazione di incertezza anche sulle conseguenze finanziarie dello scandalo ha di nuovo spinto al ribasso ieri il titolo Vw e l’intero settore. Volkswagen ha ceduto il 7,5% chiudendo sotto quota 100 euro (99,3 per le privilegiate), ma tutto il comparto ha vissuto una giornata da incubo: male le rivali tedesche di Volkswagen (Bmw -2,9%, Daimler -3,3%) e male anche le francesi (Peugeot -5,2%, Renault -4,6%). Le azioni Fiat Chrysler sono state sospese per eccesso di ribasso ed hanno poi chiuso a 11,14 euro, con un calo del 4,95%, ai minimi da gennaio. «Il mercato teme l’incertezza – dice Gabriele Gambarova, analista di Banca Akros -. Dopo la vicenda Volkswagen i punti aperti sono ancora numerosi: dall’eventuale scoperta di altri casi di irregolarità all’atteggiamento futuro dei governi. In questa situazione ha buon gioco chi vuole realizzare i guadagni, visto che il settore era andato molto bene fino a qualche mese fa». A numerosi investitori internazionali non è piaciuta la scelta di Matthias Müller come erede di Winterkorn alla guida del gruppo, scelta vista come troppo di continuità rispetto alla precedente gestione: Hans-Christoph Hirt della Hermes EOS ha «seri dubbi» che la necessità di ripartire da zero sia davvero stata capita. L’autorità tedesca sui Trasporti ha dato intanto al gruppo Vw tempo fino al 7 ottobre per pubblicare le date esatte in cui i vari modelli rispetteranno le norme antinquinamento, minacciando in caso contrario di bloccarne la vendita. Il numero uno della marca Vw, Herbert Diess, ha detto che l’azienda sta lavorando a un miglioramento tecnico per le auto interessate. Il dettaglio di quali modelli di quali anni siano interessati non è ancora stato pubblicato; per ora sono emersi solo i numeri delle varie marche comprese negli 11 milioni i cui motori diesel ospitavano il software con il trucco: 2,1 milioni di Audi e 1,8 milioni di veicoli commerciali, che si aggiungono agli oltre 5 milioni della marca Volkswagen. Volkswagen ha sottolineato che i modelli con motore Euro 6, quelli in vendita attualmente, non sono coinvolti. Non è chiaro se si tratterà solo di una modifica al software o se dovranno essere installati dispositivi addizionali, ed è difficile per questo valutare i costi dell’operazione. 
(P.S. Dedicato ai tifosi della serie cinematografica di James Bond, agente 007: Herr Winterkon non vi sembra sia il sosia dell’attore tedesco Gert Frobe, indimenticabile protagonista del film “Agente 007 Goldfinger” uscito nel 1964, interpretato da uno storico Sean Connery?)