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venerdì 7 aprile 2017

Fa più schifo chi ammazza i bimbi o chi se ne fa scudo per propaganda? Dietro il gas, c’è di peggio. - Mauro Bottarelli



Prima di tutto, un grazie a Maurizio Blondet per lo spazio e l’interesse dedicato ai miei articoli negli ultimi giorni. Ora, veniamo a noi. Avrei voluto cominciare questo articolo con una lunga carrellata di fotografie di bambini ammazzati in bombardamenti e attacchi in Yemen, Iraq, Afghanistan, Donbass: insomma, in tutti i quei posti di cui non frega un cazzo alle anime belle che da ieri stanno battendosi senza esclusione di bugie per accaparrarsi il ruolo di testimonial dell’Unicef per i prossimi 20 anni. I bambini, ecco la parola magica: gli ipocriti in servizio permanente ed effettivo da ieri hanno la loro coperta di Linus, ammorbano i social network con pensierini zuccherosi e nauseabondi, mostrano al mondo la loro sensibilità ferita attraverso concetti la cui profondità e genuinità è pari a quella di un organismo monocellulare del Borneo. Ipocriti: la guerra ammazza e ammazza anche i bambini. Erano bambini anche quelli della strage di Gorla nella mia Milano ma se provi a ricordarli invocano la legge Mancino: se ti ammazzano i liberatori la tua infanzia non conta, sei solo un danno collaterale della grande campagna in nome della libertà e della verità.       


                                                                                      Lo stesso vale in Yemen: avete mai visto prime pagine indignate per i bambini massacrati nelle feste di nozze o nei mercati utilizzati come bersagli dai jet sauditi, armati con munizionamenti di prima categoria tutti media in USA, Germania, Francia e Gran Bretagna? Guarda caso, le stesse nazioni che oggi chiederanno la testa di Assad a quel simposio di craniolesi corrotti conosciuto come Consiglio di sicurezza dell’ONU, ente di suprema farsa di un’istituzione che ha posto l’Arabia Saudita, la stessa che fa strage di bimbi in Yemen e decapita cittadini come passatempo, a capo del Comitato per i diritti umani. E questa gente parla: non so chi mi fa più schifo, se chi ammazza in bambini in guerra svolgendo il proprio compito, per quanto aberrante o chi si fa scudo di quei corpi in nome della propaganda e delle false versioni di comodo che deve vendere alla massa, per tenerla buona e al guinzaglio. Vi fa schifo la guerra? Piangete i bambini? Riguardatevi la scena finale di “Finché c’è guerra, c’è speranza” con Alberto Sordi, eccola.

Poi ditemi se avete ancora voglia di difendere gli esportatori di democrazia che armano la mano di satrapi e dittatori vari, gli stessi però che hanno la fortuna mediatica di stare dalla parte giusta della Storia. E che, quindi, possono ammazzare in assoluta serenità e con il silenzio assenso del Consiglio di sicurezza dell’ONU. Siete pronti a rinunciare al Mac-world in cui vivete, facendo i liberal, pur di non vedere più bambini morire.
Come siano andate le cose a Idlib, pare ormai abbastanza chiaro: le truppe di Assad non hanno bombardato con gas letali ma centrato un deposito dei ribelli stipato con quel veleno, facendo sprigionare un nube tossica: non è Sarin, come piacerebbe ai Torquemada della carta stampata ma, comunque sia, ammazza. Giova farsi una domanda: che cazzo ci fanno i guerriglieri anti-Assad con armi vietate dalle Convenzioni? Giocano al piccolo chimico tra un assalto e l’altro? Pensavano che fossero innocui detersivi? Chissà se all’ONU oggi qualcuno avanzerà questa domanda? O, magari, una ancora più interessante: chi ha fornito quella merda ai ribelli, visto che non mi pare che cresca spontaneamente sulle piante siriane? Ce lo dice questa fotografia di fonte americana, 


                                                                                           la quale mostra in tutta la sua plasticità la fabbricazione saudita degli armamenti chimici utilizzati in Siria. Guarda caso, nel dicembre del 2012, quando armare e addestrare i ribelli anti-Assad era ancora ragione di vanto e non qualcosa da fare di nascosto, fu la stessa CNN a mostrare un video in cui si vedevano militari Usa del “Destructive Wind Chemical Battalion” addestrare miliziani anti-governativi all’uso del gas nervino, con tanto di simulazione a danno di alcuni poveri conigli. Nel marzo del 2013, il 19 per l’esattezza, ecco che due attacchi chimici furono condotti nel villaggio di Khan al-Assel a ovest di Aleppo e nel sobborgo di Damasco denominato al-Atebeh. Morirono 31 civili, oltre ad alcuni soldati regolari siriani di guardia alle città. Il giorno dopo il governo siriano chiese ufficialmente all’ONU di condurre un’inchiesta al riguardo: stranamente, la richiesta non ottenne la stessa eco mediatica del Consiglio di sicurezza di oggi.


Il 30 marzo, poi, il governo turco ammise che le sue forze di sicurezza trovarono un cilindro da 2 chili di gas sarin nell’abitazione di un miliziano di Jibhat al-Nusra, gruppo terroristico operante in Siria e supportato dall’Arabia Saudita. Lo stesso Paese che presiede il Comitato per i diritti umani dell’ONU. Tanto più, poi, che gli agenti chimici di Assad sono sotto controllo della stessa ONU al 2014, quando si raggiunse un accordo e nello stesso anno fu il Massachussets Institute of Technology a smentire chi voleva le truppe lealiste come utilizzatrici di agenti chimici nell’attacco del 21 agosto 2013 a Goutha che costò la vita a decine di civili. Furono i ribelli ad usarli e questa scoperta bloccò i piani di attacco di Barack Obama, il quale aveva posto il limite della cosiddetta “linea rossa” nei confronti di Assad: attacchi con i gas avrebbero significato reazione militare Usa.
Guarda caso, quella formula è tornata a campeggiare sui giornali: Assad avrebbe superato il limite. Cosa si fa, un nuovo intervento? Queste prime pagine: 





paiono chiederlo a gran voce, l’ultima a dire il vero molto sobria e dubitativa nel titolo principale, salvo poi ospitare l’editoriale di Fiamma Nierenstein, la quale non sta bene se non evoca Hitler almeno una volta al giorno, caratteristica questa che le ha negato la possibilità di diventare ambasciatrice d’Israele in Italia, visto che la comunità ebraica ha eretto le barricate non appena l’ipotesi è stata paventata (tanto per farvi capire l’elemento). D’altronde, è in buona compagnia, come potete vedere:

lui, però, è uno che può permettersi di parlare di certe cose, il fosforo bianco utilizzato contro pericolosissimi civili palestinesi (anime belle dei miei coglioni, c’erano dei bambini anche lì) durante l’operazione “Piombo fuso” resta a testimoniarlo a imperitura memoria. E adesso, cosa si fa? Guerra ad Assad? Ovvero, guerra alla Russia? E chi la fa, l’Unione Europea in stile Sturmtruppen? Perché gli USA sono stati abbastanza paraculi nel gestire la situazione. Certo, hanno detto che quanto accaduto è inaccettabile e avrà conseguenze ma hanno anche sottolineato come l’accaduto sia responsabilità della linea di politica estera di Barack Obama: troppo debole con Damasco o troppo accondiscendente con i ribelli? Difficile dirlo, visto che a Washington ci sono due governi: uno legittimamente in carica e uno che opera dietro le quinte.


Il primo ha scelto la linea morbida con Assad, rinunciando ufficialmente al regime change e concentrando i suoi sforzi su tre priorità: Iraq, dove poco fa l’Isis ha fatto 50 morti in un attacco (ora controllo se ci sono bambini, in caso avverto le redazioni dei dolenti mediatici), Yemen e Corea del Nord, la quale ha appena lanciato un nuovo missile a medio raggio nel Mar del Giappone, portando gl USA a dire che “abbiamo già parlato troppo”. Ricordo a lorsignor che un giretto in Corea l’hanno già fatto, vedano un po’ se tenerne conto. Di fatto, è l’Europa che vuole chiudere i conti con Assad, senza però avere un esercito per farlo: gessetti contro il regime? Federica Mogherini, Alto rappresentante della politica estera UE, ha dichiarato che Bashar al-Assad dovrà rispondere di crimini contro l’umanità e sulla stessa lunghezza d’onda si è espresso Paolo Gentiloni: un tonante “me cojoni” è risuonato dal palazzo presidenziale di Damasco, coprendo anche i rumori del traffico infernale del mattino. Siamo all’ennesima pantomima diplomatica?


E ancora: “Vediamo un buon potenziale nell’espansione della cooperazione nel settore petrolifero e del gas. Le nostre società hanno raggiunto una serie importante di accordi per lo sviluppo di grandi giacimenti di idrocarburi in Iran; inoltre i due Paesi cooperano nel quadro del Gas Exporting Countries Forum, in cui si stabilizzano i mercati globali del petrolio”, ha sottolineato Putin al “Teheran Times”. Rouhani, dal canto suo, ha espresso la speranza che i due Paesi “accrescano ulteriormente le proprie relazioni bilaterali” e ottenuto la rassicurazione dell’imminente adesione iraniana nella Shanghai Cooperation Organization. Le delegazioni di Iran e Russia, infine, hanno firmato 14 trattati di cooperazione che coprono vari ambiti: economia, politica, ma anche scienza e cultura. Piccolo particolare, quel consesso – la Shanghai Cooperation Organization – ha come base fondante il superamento del dollaro come valuta di scambio e riferimento globale.

Non a caso, Donald Trump ha già definito “molto difficile” l’incontro che si terrà domani e dopo in Florida con il presidente cinese, Xi Jinping, la cui agenda ufficiale parte dal protezionismo commerciale per passare alla questione coreana fino alle isole artificiali nel Mar Cinese Meridionale. Il Pentagono, poi, vede l’asse Russia-Iran come la minaccia principale, soprattutto perché a sovrintendere alle politiche reali dell’amministrazione Trump c’è il potente e fidato consigliere Steve Bannon, ufficiale di Marina durante la crisi degli ostaggi in Iran, uno per cui la Repubblica islamica rappresenta una minaccia ontologica. Guarda caso, una visione del mondo che accomuna anche Israele e l’eterna indecisa Turchia, tornata ieri a menar fendenti contro Mosca. Nel frattempo, dell’attentato a San Pietroburgo è sparita ogni traccia. Come non fosse mai accaduto.
C’è poi dell’altro. L’affaire russo-siriano sta silenziando al di fuori degli USA il caso Russiagate, con non poco caos attorno alla deposizione della cosiddetta “talpa”, Susan Rice, che avrebbe smascherato i rapporti di Michael Flynn con l’ambasciatore russo, portandolo alle dimissioni. Barack Obama sapeva o no di questa pletora di infiltrati? Proprio oggi il Wall Street Journal spara la notizia in base alla quale la Rice non sarebbe stata l’unica a operare in tal senso, lasciando intendere la presenza di almeno un altro funzionario di alto livello nell’intrigo. Inoltre, serve gettare una bella cortina fumogena su questo,






ovvero il sistema “Marble” svelato da WikiLeaks nella sua ultima pubblicazione di documenti, stranamente passata sotto silenzio sui media occidentali. Di cosa si tratta? Niente di che, solo del sistema in base al quale la CIA opera con tattiche di hacking che lasciano tracce in lingua russa, cinese, farsi, araba e coreana. Insomma, loro spiano, intercettano, violano e manipolano ma le briciole informatiche portano a qualche altro Pollicino. Una bella figura di merda globale, in caso si scoprisse che il famoso caso di hackeraggio al Comitato democratico altro non era se non un’operazione di false flag cybernetica dell’intelligence per montare il caso Russiagate, cosa ne dite? In giorni come questi, tornano in mente le parole di André Malraux ne “Il tempo del disprezzo”, parole che come le scritte sui muri delle celle delle galere, trasudano destini: “Bisognava attendere. Era tutto. Resistere. Vivere a rilento, come i paralitici, gli agonizzanti, con quella volontà tenace e sepolta, come un volto nelle tenebre più profonde. Se no, la follia”. Quante cose possono nascondersi dietro il corpo martoriato di un bambino siriano, ucciso una seconda volta dagli sciacalli del politicamente corretto. In nome di una libertà per conto terzi che si riduce quasi sempre a interessi poco nobili e confessabili.

sabato 24 settembre 2016

SIRIA,ASSAD: FINE TREGUA COLPA DEGLI USA.


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19.00 Il presidente siriano Assad,intervistato dalla Ap, accusa gli Usa di essere responsabili del fallimento della tregua e afferma che l'attacco di sabato scorso a una base siriana,da parte della coalizione a guida americana, è stato "sicuramente intenzionale". Assad nega che sia stato un raid russosiriano a bombardare un convoglio umanitario vicino ad Aleppo, che ha fatto 21 morti martedì sera. Intanto l'Onu annuncia che arriveranno lunedì gli aiuti umanitari per Aleppo, fermati alla frontiera. 

http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/ContentItem-121edc3b-4ba9-4a3e-81b1-ed8dab8134c9.html

domenica 15 novembre 2015

COME SAPREMO SE E’ UNA FALSE FLAG. - Maurizio Blondet

Lo dicevano dal 2 ottobre

Lo dicevano dal 2 ottobre.

“Un 11 septembre à la française” era stato ampiamente profetizzato da settimane dai servizi. Ora, sapremo se la strage di Parigi è un “false flag” come l’11 Settembre, fatto apposta per innescare una guerra senza fine “al terrorismo” – il terrorismo che gli Usa addestrano, i sauditi pagano e i turchi ricoverano contro la Siria –

se la lezione che Hollande, la NATO, gli Usa trarranno dalla strage sarà:

L’Occidente deve intervenire in Siria con tutte le forze militari allo scopo di rovesciare Assad, perché altrimenti i jihadisti diventeranno sempre più forti e meno moderati. La distruzione di Assad è la soluzione, altrimenti l’ISIS non si può vincere. Dovevamo già farlo nel 2012, ce l’ha impedito Obama vacillando…. 
Non sarà un false flag se la conclusione che gli stati occidentali sarà invece la seguente:
“Noi occidentali dobbiamo piantarla di reclutare, pagare, armare ed addestrare i jihadisti. Lo stiamo facendo dalla guerra antisovietica in Afghanistan, dove la Cia ha reclutato in un decennio (1982-92) 35 mila terroristi da 43 paesi: allora la formazione si chiamava Al Qaeda. Venendo ai giorni nostri: contro la Siria, fin dal 2011 – attestò allora DEBKA File – fu lanciata “una campagna per arruolare volontari islamici per combattere a fianco dei ribelli siriani. L’esercito turco li alloggerà, li addestrarà e assicurerà il loro passaggio in Siria” (DEBKA file, NATO to give rebels anti-tank weapons, August 14, 2011.)”
La Turchia, è il caso di ricordare, è membro della NATO. L’ISIS nasce da una costola di Al Qaeda per riconquistare la Siria all’islamismo wahabita, e poi viene esteso all’Irak per riprendere l’area sunnita. In Siria ci sono con i terroristi corpi speciali inglesi; gli Usa conducono contro l’ISIS bombardamenti che sono in realtà lanci di rifornimenti. Ankara mantiene i suoi terroristi per creare una zona-cuscinetto in Siria, che intende poi inglobare allo stato turco: una Crimea ottomana. L’Occidente vuole sloggiare la flotta russa dalla sua unica base in Mediterraneo; vuole liberare territorio per costruire il gasdotto tra il Katar e la Turchia onde sostituire le forniture energetiche russe all’Europa. Per questo l’Occidente aiuta e soccorre i terroristi islamici.
Quanto a Parigi, ha fornito armamenti ai “ribelli” jihadisti libici anti-gheddafi, affiliati ad Al Qaeda e che poi hanno millantato la loro adesione al Califfato. 
Ha fornito copertura aerea ai terroristi mentre avanzavano compiendo atrocità. Nel 2012, Hollande ardeva dalla voglia di mandare caccia ed armati in Siria ad abbattere Assad e, quindi, insediare al potere i terroristi islamici wahabiti, insieme all’Arabia Saudita e alla Turchia. Fu architettato un false flag – “Assad stermina coi gas il suo stesso popolo” come pretesto all’intervento. Il presidente Obama per motivi mai ben chiariti esitò, si ritirò (disse che aveva bisogno dell’approvazione del Congresso) sicché l’invasione occidentale contro la Siria restò sospesa. Ed è restata sospesa ancor oggi. Sospesa, non cancellata.
Nel 2013, la Francia e la Gran Bretagna fecero sforzi straordinari perchè l’Unione Europea togliesse un (presunto) embargo sulle armi da far giungere ai ribelli terroristi islamisti: hanno avuto successo, l’Europa ha consentito, le armi arrivano ai ribelli terroristi ed hanno prolungato la strage in Siria di altri due anni.
Adesso, nelle ore dell’eccidio a Parigi, Obama è apparso in tv a fare il discorso delle grandi occasioni, del nuovo 11 Settembre. Promettendo l’intervento a fianco dei francesi:
Abbiamo sempre potuto contare sul popolo di Francia al nostro fianco. Sono stati un partner straordinario nell’antiterrorismo, e noi intendiamo essere con loro in questo frangente”.
In realtà, questo stare “spalla a spalla” ha avuto qualche eccezione. Nell’autunno 2014, un drone Usa aveva preso di mira ed ucciso un jihadista francese combattente presso Aleppo.
Non era nemmeno un musulmano, si chiamava David Drugeon, ma era sicuramente ben addestrato nei corpi speciali francesi, tanto che era diventato il capo di un gruppo di qaedisti chiamato Khorassan. Agli americani non piaceva come Drugeon faceva il terrorista per conto di Parigi. C’è voluta anche la strage di Charlie per portare la Francia in linea nella “guerra al terrorismo” senza troppa autonomia.
Adesso l’attacco “dell’ISIS” ai parigini – classica strategia della tensione – può avere anche il senso di una punizione: per il fatto che Hollande, appoggiato da Juncker, ha alzato la voce contro le sanzioni europee a Mosca, ventilando che andrebbero tolte? Chissà. Invece è certo che la orribile tragedia è stata profetizzata.
Su Paris Match del 2 ottobre un giudice Trévédic profetava: “Gli attentati in Francia saranno di una scala paragonabile all’11 Settembre”. Le Nouvel Observateur: “I servizi temono un 11 Settembre francese”.
Se questa tragedia è stata chiamata in anticipo “Un 11 Settembre”, vuol dire che ci attendono altri 15 anni di “guerra globale al terrorismo”.  Eventualmente anche contro la Russia, la sola che – con Assad – sta davvero cercando di eliminare il terrorismo islamico. Se  traessimo la lezione giusta, ci affiancheremmo alla Russia.   Invece volete scommettere che  non avverrà?
Infine:
Se non fosse un false flag, già si eleverebbe il grido: Basta col lasciar passare centinaia di migliaia di “profughi” cosiddetti “siriani”, quasi tutti maschi e giovani in età militare, alle frontiere orientali d’Europa! Fra di loro ci sono certamente jihadisti, aspiranti jihadisti, wahabiti tagliagole. Che stiamo facendo?
Ora, dai media almeno, questo grido non si alza. Strano. Che lezione stiamo traendo dalla strage di Parigi?

sabato 8 agosto 2015

IL PIANO DELL’ISTITUTO BROOKINGS PER LIQUIDARE LA SIRIA. - MIKE WHITNEY

Syrian-President-Bashar-al-Assad


Ecco il Vostro quesito di politica estera USA per oggi: Quand’è che un cambio di regime non è un cambio di regime? 
Quando il regime di turno resta al potere ma perde la sua capacità di governare effettivamente. Ed è questo l’obiettivo della politica estera USA in Siria, impedire al Presidente Bashar Al Assad di governare il paese senza necessità di rimuoverlo fisicamente dall’ incarico.

L’idea è semplice: scatenare “jihadisti” appoggiati dietro le quinte per catturare e tenere in scacco vasti territori del paese in modo che il governo centrale non sia in effettivo controllo del suo paese. E’così che l’amministrazione Obama vorrebbe chiudere l’affare Assad, rendendolo irrilevante. La strategia è spiegata nel dettaglio in uno scritto del Brookings Institute a firma Michael O’Hanlon intitolato: “Decostruire la Siria: una nuova strategia per la più complessa tra le guerre Americane”.

Eccone un estratto: 
“L’unico modo realistico di procedere da qui in avanti sarebbe in effetti un piano per decostruire efficacemente la Siria. La comunità internazionale dovrebbe lavorare a creare sacche con una maggiore agibilità in termini di sicurezza e governabilità all’interno della Siria e ad espanderle poi nel tempo. L’idea sarebbe, più esattamente, di aiutare elementi moderati a stabilire zone sicure ed affidabili all’interno del territorio Siriano una volta che gli elementi designati siano in grado. Forze Americane, Saudite, Turche, Britanniche, Giordane e di altri Stati Arabi agirebbero da costante supporto, non soltanto via aria, ma anche mediante l’uso di forze speciali di terra quando necessario. Questo approccio consentirebbe di trarre vantaggio dagli ampi spazi aperti desertici Siriani che consentirebbero la creazione di zone cuscinetto che si potrebbero tenere sotto costante controllo per riconoscere in tempo ogni possibile segno di attacco nemico. Le forze Occidentali in sè verrebbero stazionate in postazioni in generale più sicure, distanziate dalle linee di fronte all’interno delle zone sicure, quantomeno per tutto il tempo necessario affinchè queste difese, insieme alle forze locali alleate, siano certe in merito alla opportunità pratica di avanzare verso posizioni più avanzate ed essere in grado di mantenerne il controllo in sicurezza” La creazione di queste zone sicure rappresenterrebbe la creazione di zone autonome che non dovrebbero temere di tornare sotto il controllo, sia di Assad, sia dell’ISIL. L’obiettivo intermedio sarebbe una Siria confederale, costituita da varie zone largamente autonome. La federazione richiederebbe il supporto di un contingente di peacekeeping internazionale che renda le zone difendibili e governabili, che aiuti a provvedere aiuto alle popolazioni incluse in tali territori e che addestri e equipaggi ulteriori reclute in modo che le zone possano essere stabilizzate ed eventualmente espanse”.  
(“Deconstructing Syria: A new strategy for America’s most hopeless war“, Michael E. O’Hanlon, Brookings Institute)

Non è questa la strategia di fondo che vediamo in gioco in Siria già adessov?
E’il caso di notare come O’Hanlon non considera mai neanche un attimo le implicazioni morali di cancellare una nazione sovrana, di uccidere decine di migliaia di civili e di sradicarne altrettanti dalle loro dimore. Questo genere di cose sono semplicemente indifferenti per gli esperti che concepiscono queste strategie imperiali. E’solo altra farina da macinare. Notare inoltre, come l’autore si riferisca a “zone cuscinetto” e “zone sicure”, i medesimi termini che sono stati usati ripetutamente nell’ambito dell’accordo USA-Turchia sull’uso da parte degli Americani della base aerea di Incirlik. La Turchia ha chiesto agli USA di assistere nella creazione di tali “zone sicure” lungo il confine Nord della Siria in modo che fungano da “santuari” per l’addestramento delle cosiddette forze moderate da impiegare nella guerra contro l’ISIS. A quanto pare, tali ipotetiche zone sicure sarebbero parte fondamentale del più esteso piano di O’Hanlon per frammentare lo stato in milioni di enclaves disconnesse tra loro e ognuna retta da un manipolo di mercenari armati, affiliati ad Al Qaeda o signori della guerra locali. Ecco il sogno di Obama di una “Siria liberata”, uno stato fallito precipatato nell’anarchia con una bella spruzzata di basi Americane sopra così che si potranno arraffare ed estrarne tutte le risorse senza impedimenti. Quello che Obama vuole evitare a tutti i costi e un altro imbarazzante flop come l’Iraq, dove la rimozione di Saddam ha lasciato un vuoto di potere e una sensazione di insicurezza che ha portato a violenta e protratta rivolta che è costata cara agli USA in termini di sangue, finanze e credibilità internazionale. Ecco perchè al momento la strategia prescelta è quella che abbiamo descritto, che si ritiene essere un modo più intelligente per perseguire gli stessi scopi. In poche parole gli obiettivi non sono mai cambiati, cambiano solo i metodi.

Citiamo ancora un pò da O’Hanlon: 
“Il piano non sarebbe diretto soltanto contro L’ISIL ma in parte anche contro Assad. Riconoscendo le possibilità reali tuttavia, senza mirare a rovesciarlo direttamente, ma piuttosto a negargli ogni possibilità di tornare a governare i territori su cui potrebbe aspirare a riottenere controllo. Le zone autonome sarebbero liberate con l’esplicito intendere che non torneranno mai sotto controllo di Assad o eventuale successore. Secondo questa visione Assad non sarebbe un obiettivo militare diretto, ma le aree che al momento controlla (e bombarda crudelmente) lo sarebbero. E se Assad continuasse a rifiutare di accordarsi per l’esilio prima o poi si ritroverebbe vicino a costanti minacce al suo potere, se non alla sua persona”. 
Che vuole dire? 
Vuol dire che la Siria è designata come laboratorio per la gran strategia per i cambi di regime di O’Hanlon, una strategia nella quale Assad figura come porcellino d’India da esperimenti numero uno. E siccome non vogliamo lasciare spazio a fraintendimenti, riportiamo questa spiazzante ammissione di O’Hanlon: 
“ Questo piano differisce dalla strategia corrente principalmente in tre modi. Primo, provvederebbe un obiettivo chiaro ed esplicito per gli Stati Uniti nella questione (...) in secondo luogo scoraggerebbe chi possa pensare che Washington si accontenti di tollerare il governo Assad in quanto male minore”. 
In pratica, per come la vede O’Hanlon l’amministrazione dovrebbe abbandonare la pretesa di stare combattendo l’ISIS e ammettere esplicitamente che l’imperativo è “Assad deve sparire”, secondo O’Hanlon questo aiuterebbe a sistemare le cose con altri membri della coalizione che hanno dubbi rispetto alle reali intenzioni di Washington.

Ancora dal testo: 
“squadre di supporto multilaterali, divise in forze speciali di terra e unità di difesa aerea devono essere sempre pronte al dispiegamento nelle diverse parti della Siria ogni volta che le forze di opposizione riescano a conquistare e mantenere nuove postazioni sicure. Questa chiaramente sarebbe la parte più delicata e il dispiegare di squadroni sarebbe sempre pericoloso. Non bisognerebbe mai ordinare missioni in fretta e furia, ma farlo in maniera considerata, tuttavia è parte indispensabile dello sforzo”. 

Traduzione: stivali Americani marceranno sul suolo della Siria, possiamo scommetterci. Va benissimo fare il miglior uso della carne da cannone jihadista per condurre la carica e indebolire il nemico, poi al momento giusto basta mandare la prima squadra e si è chiuso l’affare. Questo vuol dire invio di forze speciali, no fly zone su tutta la Siria, basi militari sul campo e una bella campagna di propaganda per continuare a convincere la sheeple(sheep+people, popolazione gregge..) che per difendere la sicurezza nazionale USA occorre necessariamente distruggere la Siria. Tutto questo diventerà chiaro nella fase 2 della gierra fiasco Siriana, che è sul punto di intensificarsi e di parecchio.

Citiamo un'ultima volta O’Hanlon mentre ci regala una nota ispirata per proporci la sua bella strategia per cambi di regime nuova di zecca: 
“In tutta sincerità mi sembra questa l’unica maniera realistica di procedere. Inoltre, nonostante non posso affermare che sia priva di rischi per gli Stati Uniti d’altronde il livello di coinvolgimento militare diretto non sarebbe particolarmente più sostanziale di quello che è stato necessario in Afghanistan durante l’ultimo anno circa. Sarebbe auspicabile che il Presidente Obama non guardasse alla questione come un problema da lasciare in eredità al successore, ma piuttosto come una crisi urgente che richiede tutta la sua attenzione e la definizione di una nuova strategia al più presto” 
Ed ecco qui il piano per fare a pezzi la Siria, precipitarla in una crisi umanitaria anche peggiore di quella in cui già si trova e fare crollare Assad senza dover andare in prima persona a rimuoverlo dall’ufficio. Un bel pò di massacro e distruzione per starci tutto quanto in un saggio di 1.100 parole, complimenti all’autore per le doti di sintesi. A noi non resta che domandarci se questi cervelloni stretegici pensano mai a quanto dolore comportano le loro grandi strategie, se gliene freghi almeno qualcosa delle conseguenze.

Mike Whitney
Fonte: www.counterpunch.org
Link: http://www.counterpunch.org/2015/08/05/the-brookings-institute-plan-to-liquidate-syria/
7.09.2015
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CONZI

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=15414

giovedì 12 settembre 2013

Siria, le condizioni di Assad: 'Stop armi Usa a ribelli'.

Assad e Putin in una foto d'archivio


Il presidente siriano ha acconsentito di cedere il controllo delle armi chimiche grazie alla proposta russa.

MOSCA - Assad ha acconsentito di cedere il controllo delle armi chimiche grazie alla proposta russa, non per la minaccia Usa: lo riferisce Interfax citando un passo dell'intervista presidente siriano alla tv russa Rossia 24. Damasco inviera' documenti all'Onu per firmare un accordo per la messa sotto controllo internazionale delle armi chimiche: lo riferisce Interfax citando un passo dell'intervista del presidente siriano. Assad ha sottolineato che il processo di smantellamento delle armi chimiche del suo Paese non deve essere unilaterale e che gli Usa devono smettere di minacciare Damasco e di armare l'opposizione: lo ha detto il presidente siriano in un passaggio della sua intervista alla tv russa Rossia 24.

''I terroristi - ha detto il presidente siriano - tentano di provocare l'attacco americano sulla Siria''. Per Assad, i guerriglieri hanno nel loro arsenale armi chimiche ottenute da Paesi stranieri.

Europarlamento non esclude 'azione deterrente' - Una risposta militare a scopo "deterrente" in Siria per l'uso delle armi chimiche "non deve essere esclusa" per il Parlamento europeo. Che si schiera anche a favore di un intervento maggiore in caso di risoluzione dell'Onu che autorizzi l'uso della forza. E chiede di deferire la questione all'Assemblea generale se Russia e Cina continueranno a bloccare il Consiglio di Sicurezza. La plenaria di Strasburgo ha approvato a larga maggioranza per alzata di mano una risoluzione che sposa la linea disegnata dalla rappresentante per la politica estera europea, Catherine Ashton. E quindi, avanti con tutti gli sforzi diplomatici possibili per una soluzione politica, sostegno all'iniziativa di mettere sotto controllo internazionale l'arsenale chimico del regime, ma anche una ferma condanna dell'attacco chimico del 21 agosto che viene definito "una lampante infrazione del diritto internazionale, un crimine di guerra e contro l'umanità che richiede una risposta chiara, forte, mirata e unita, senza escludere eventuali misure deterrenti". Lo scopo è quello di "rendere chiaro che tali crimini sono inaccettabili e per evitare l'uso di armi chimiche in Siria o altrove". La risoluzione parlamentare invita la Ue a promuovere un processo di pacificazione su scala regionale ed a incrementare l'assistenza ai rifugiati siriani. L'ultimatum della comunità internazionale deve essere accompagnato da una risoluzione vincolante del Consiglio di sicurezza ONU, che, se non rispettata, potrebbe essere imposta in base a "tutti gli strumenti previsti dalla Carta delle Nazioni Unite". Il Parlamento ritiene poi che Russia e Cina, in quanto membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, debbano assumersi le proprie responsabilità e raggiungere una posizione comune e una soluzione diplomatica alla crisi siriana. In caso di un blocco permanente nel Consiglio di Sicurezza, la questione potrebbe essere deferita all'Assemblea generale delle Nazioni Unite.

BEIRUT - L'Esercito siriano libero dei ribelli ha respinto con forza la proposta russa che prevede di mettere sotto controllo internazionale le armi chimiche del regime siriano. Lo ha annunciato il capo militare dell'Esl, generale Selim Idriss, in una dichiarazione filmata e diffusa su Youtube.

Fabius, regime Assad ha dato ordine massacro chimico  - Per il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, non c'è alcun dubbio: "La realtà è chiarissima - ha detto alla radio RTL - c'è stato un massacro chimico. E' il regime di Bashar al Assad che aveva le armi e che lo ha ordinato". "Soltanto il regime di Damasco aveva gli stock, soltanto il regime aveva i vettori, soltanto il regime aveva interesse" all'attacco chimico in Siria: lo ha detto il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, commentando alla radio RTL un intervento sul New York Times del presidente russo Putin che sostiene che le armi chimiche furono usate il 21 agosto dalle forze di opposizione. "Non è assolutamente questa la realtà. E' una versione che i russi portano avanti da molto tempo ma senza alcuna credibilità".

Kommersant, il piano russo contro l'arsenale chimico  - Il quotidiano Kommersant, citando una fonte diplomatica, indica oggi le linee essenziali del piano presentato ieri da Mosca a Washington per mettere le armi chimiche siriane sotto controllo internazionale e poi smantellarle. Le tappe ricalcano quelle gia' anticipate due giorni fa dall'ANSA. Dopo l'accordo tra Usa e Russia sul piano gia' elaborato da Mosca, il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon presentera' un rapporto a sostegno dello stesso piano, cui seguira' una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'Onu dove Mosca vuole evitare ogni ultimatum e la minaccia del ricorso alla forza. Damasco dovra' aderire all'organizzazione per il divieto delle armi chimiche, come ha gia' promesso di voler fare, e dovra' dichiarare tutti i luoghi di produzione e stoccaggio delle proprie armi chimiche. Quindi dovra' garantire libero accesso agli ispettori dell'organizzazione per il divieto delle armi chimiche che, sotto mandato Onu, verificheranno sul campo le dichiarazioni del governo siriano. Damasco dovra' accordarsi poi sul luogo in cui verranno distrutte tali armi coordinandosi con chi verra' incaricato della delicata operazione. Secondo la fonte del Kommersant, lo smantellamento dell'arsenale chimico siriano potrebbe essere effettuato congiuntamente da Usa e Russia nell'ambito dell'accordo sul disarmo Nunn-Lugar del 1991, rinnovato nel giugno 2013 da Obama e Putin a margine dell'ultimo G8, anche se in versione ridotta.

Quirico: è come se Dio avesse consegnato Siria al diavolo  - "Diciamo che la cosa che mi ha più colpito - e ho avuto anche altre esperienze di sequestri in altre parti del mondo - è la totalità del male, che è come se Dio avesse consegnato al diavolo questo Paese, dicendogli: 'Questo Paese è tuo: fanne quello che vuoi! E tutti quelli che vi entreranno, io non li aiuterò più'". Lo afferma Domenico Quirico, il giornalista della Stampa rimasto sotto sequestro per cinque mesi in Siria, in un'intervista alla Radio Vaticana in cui racconta la sua prigionia. "A un certo punto, io ho pensato questo: la totalità del male - aggiunge -. Io non ho mai provato in nessun altro posto, nello stesso modo, nella stessa misura, nella stessa tremenda completezza, l'assolutezza della mancanza di pietà, di compassione, di rispetto per l'altro che soffre".

Appello alla cautela del presidente russo Vladimir Putin sul New York Times. A 24 ore dal discorso alla nazione del presidente americano Barack Obama, Putin sceglie il liberal New York Times per rivolgersi a Washington e agli americani e presentare la sua versione dei fatti sulla Siria. Spiegando come siano stati i ribelli a usare le armi chimiche, Putin afferma: la Russia ''non sta proteggendo il governo siriano ma la normativa internazionale''.

E mette in guardia sulle conseguenze di un potenziale attacco americano contro Damasco, che sarebbe, senza l'appoggio dell'Onu, un ''atto di aggressione'': si tradurrebbe in ''ulteriori vittime innocenti e in una escalation, potenzialmente ampliando il conflitto al di fuori dei confini della Siria. Un attacco aumenterebbe le violenze'' e causerebbe ''una nuova ondata di terrorismo. Metterebbe in pericolo gli sforzi multilaterali per risolvere il problema del nucleare iraniano e il conflitto israelo-palestinese'', oltre a ''destabilizzare ulteriormente il Medio oriente e il Nord Africa''.
Putin ribadisce che ''non c'e' dubbio che gas'' chimico ''sia stato usato in Siria. ma ci sono ragioni per ritenere - afferma il presidente russo - che non sia stato l'esercito siriano ma le forze dell'opposizione per provocare un intervento'' di potenze straniere che, cosi', ''si allineerebbero con i fondamentalisti''.
Secondo Putin ''non importa quanto l'attacco potrebbe essere mirato o condotto con armi sofisticate: vittime civili sono inevitabili, inclusi anziani e bambini, quelli che l'attacco dovrebbe proteggere''. Un attacco, oltre a peggiorare la situazione destabilizzando il medio oriente, sarebbe anche una violazione della normativa internazionale. ''Dobbiamo rispettare il Consiglio di sicurezza dell'Onu. La legge e' la legge e va rispettata, che ci piaccia o meno. In base all'attuale normativa, l'uso della forza e' consentito sono per autodifesa o per decisione del Consiglio di sicurezza. Tutto il resto e' inaccettabile e rappresenterebbe un atto di aggressione''. ''Dobbiamo smetterla di usare il linguaggio della forza e tornare sulla strada della diplomazia. Una nuova opportunita' per evitare un'azione militare e' emersa negli ultimi giorni.
Gli Stati Uniti, la Russia e tutti i membri della comunita' internazionale devono trarre vantaggi dalla volonta' del governo siriano a mettere l'arsenale chimico sotto il controllo internazionale per una successiva distruzione Giudicando dalle affermazioni del presidente Obama, gli Stati Uniti considerano questa come un'alternativa all'azione militare''. Putin plaude all'interesse del ''presidente a continuare il dialogo con la Russia sulla Siria. Dobbiamo lavorare insieme per mantenere la speranza viva. Se possiamo evitare la forza in Siria, migliorera' l'atmosfera internazionale e si rafforzera' la nostra fiducia reciproca''.