martedì 12 novembre 2013

Esami comprati a Palermo. Nei guai il fratello di Alfano.

Esami comprati a Palermo. Nei guai il fratello di Alfano.


Le prove venivano registrate nel sistema informatico dell'università senza essere sostenute e dietro il pagamento di cifre che si aggiravano tra i mille e i tremila euro. Tra i trenta studenti sotto inchiesta anche Alessandro Alfano, fratello del politico del Pdl che però si è detto tranquillo per il prosieguo dell'inchiesta.


Bastava pagare per superare gli esami. Si tratta di alcune facoltà dell'Università di Palermo dove sono stati scoperti diversi studenti che con cifre tra i mille e i tremila euro riuscivano ad ottenere la registrazione dell'esame. E' questa l'ipotesi accusatoria formulata dalla procura di Palermo che sta indagando su un giro di mazzette per superare gli esami universitari. Le indagini, delegate alla squadra mobile di Palermo, farebbero emergere dettagli inquietanti sulla gestione di alcuni corsi di laurea dell'ateneo. Indagato per questi fatti anche il fratello dell'ex ministro della Giustizia e attualmente segretario del Pdl, Angelino Alfano.
La procura ha notificato ad Alessandro Alfano, 36enne fratello minore del politico, l'avviso di proroga delle indagini. L'ipotesi di reato ai suoi danni è quella di concorso in frode informatica. La metodologia ricostruita dall'ipotesi accusatoria della procura vedrebbe infatti protagonista una segretaria del dipartimento di Economia che aveva accesso al sistema informatico per la registrazione degli esami e aggiungeva gli esami acquistati. Per la procura sarebbero due le facoltà interessate dalla compravendita degli esami: Economia e Scienze Politiche. Ad Economia il prezzo per l'acquisto di una prova si aggirava intorno ai tremila euro mentre a Scienze Politiche il prezzo era anche inferiore ai mille euro.
Una volta pagata in contanti la cifra stabilita per l'acquisto dell'esame, la segretaria addetta registrava le prove mai svolte nel sistema informatico, rendendo la prova superata a tutti gli effetti. In seguito alle indagini interne svolte dalla stessa università è stata deciso il licenziamento della segretaria che avrebbe raccontato tutto ai magistrati senza però fornire ulteriori dettagli. Fu proprio il rettore dell'università del capoluogo siciliano ad avviare l'inchiesta interna dopo aver scoperto che mancavano gli statini e i verbali di una studentessa a cui erano già stati attribuiti degli esami nel sistema informatico.
L'ipotesi investigativa raccolta, invece, ai danni del fratello del politico riguarderebbe proprio un esame di Economia. Facoltà in cui Alessandro Alfano si è laureato nel 2009 ma il cui titolo adesso gli viene messo in discussione dai magistrati. Estremo riserbo sui dettagli dell'inchiesta ancora in corso anche se i legali del fratello del politico hanno fatto sapere di essere tranquilli sull'accertamento della verità. Sarebbero trenta gli studenti che avrebbero usufruito di questo metodo per superare gli esami. Alessandro Alfano è attualmente il presidente della Camera di Commercio di Trapani.

Ecco perché si possono non pagare le multe se si parcheggia sulle strisce blu senza tagliando.

strisce blu
Buone notizie per chi ha l’abitudine di parcheggiare ovunque: gran parte delle multe elevate sulle strisce blu per mancato pagamento del ticket sono illegittime e possono essere annullate facendo ricorso al Giudice di Pace. In questo articolo vi spiegheremo i due principali motivi di illegittimità e come fare ricorso.
Primo: Comune non può elevare multe per mancata esposizione del tagliando di pagamento nelle strisce blu se non ha predisposto, nelle immediate vicinanze, anche aree di parcheggio gratuite e senza dispositivi di controllo della durata della sosta. Le strisce blu e quelle bianche devono infatti essere equamente distribuite tra loro e non si può prevedere solo spazi a pagamento.
Questo vuol dire che, se il Comune non ha adempiuto a tale onere, le eventuali contravvenzioni per mancato pagamento del ticket sono tutte nulle. Lo prevede la legge e se ne sono convinti ormai diversi tribunali. Fanno eccezione, come si diceva, le aree pedonali, le zone a traffico limitato (ZTL) per le altre zone di particolare rilevanza urbanistica, opportunamente individuate e delimitate da delibera della giunta comunale. E’ quindi sempre meglio accertarsi che se, nelle vicinanze alle strisce blu ove è stata parcheggiata l’auto, ci siano anche spazi delimitati dalle strisce bianche.
E per essere certi, tuttavia, che il vostro ricorso venga accolto dal giudice, è consigliabile verificare, presso il Comune, il piano stradale ove si stabilisce la ripartizione delle strade tra aree di sosta a pagamento e gratuite. Secondo motivo: oltre al precedente, c’è un altro motivo che rende la quasi totalità delle multe sulle strisce blu. Il codice della strada prevede infatti [3] che le aree destinate al parcheggio debbano essere ubicate fuori della carreggiata e comunque in modo che i veicoli parcheggiati non ostacolino lo scorrimento del traffico. Sono quindi illegittime le contravvenzioni elevate per sosta sulle strisce blu se queste aree sono state ricavate (come quasi sempre avviene) lungo la stessa strada destinata al traffico, con conseguente restringimento della carreggiata. Questo rende di fatto nulle gran parte delle multe per mancato pagamento del ticket.
[1] Art. 7, comma 8, Cod. della Strada.
[2] Da ultimo, Trib. Roma sent. n. 16885 del 7.09.2012. Cfr. anche Cass. S.U. sent. n. 116 del 9.01.2007.
[3] Art. 7, comma 6, Cod. della Strada.

Nuove tasse...



Allora, chiariamo bene:
la LEgge prevede queste nuove tasse:
1) Tributo Integrativo Nazionale-Comunale Unificato (TINCU) e

2) Tassa Aggiuntiva sui Compensi e Corrispettivi Imponibili (TACCI)
a cui si aggiungeranno 
3) Tributo Reiterato sugli Esborsi Mai Operati (TREMO) e
4) Tassa Regionale Omnicomprensiva Integrativa delle Accise (TROIA)
Inoltre è allo studio la nuova imposta per le imprese
5) Super Tributo Ignobile Concernente Attività Zelanti nelle Zone Industriali (STICAZZI)


(Antonio Allegri - fb)

"I soldi per appalti e servizi nei conti privati", arrestati dipendenti regionali e imprenditori.

I mandati di pagamento per le aziende venivano preparati e successivamente i dipendenti regionali cambiavano l'Iban dei destinatari, inserendo quello personale.

PALERMO. Ruota attorno al funzionario regionale Emanuele Currao la maxi truffa alla Regione siciliana messa a segno da una vera e propria organizzazione, fatta di dirigenti dell'ente e imprenditori, costata alle casse pubbliche oltre 700mila euro.
Quindici le persone arrestate dai carabinieri che hanno condotto l'inchiesta coordinata dall'aggiunto Leonardo Agueci e dal pm Alessandro Picchi; 13 dipendenti regionali e due imprenditori.
I meccanismi del raggiro, scoperto a seguito della denuncia sporta dall'ex dirigente della Formazione Ludovico Albert e dal dirigente regionale Marcello Maisano, erano diversi. In alcuni casi grazie alla totale assenza di controlli, a Currao e ai suoi complici sarebbe bastato sostituire gli Iban dei legittimi beneficiari di pagamenti dovuti dalla Regione con quelli dello stesso Currao o di altri imprenditori. In questo modo fondi pubblici dovuti a soggetti che avevano fornito materiali o prestazioni all'ente andavano ai componenti dell'organizzazione.
Fondamentale il ruolo di una ex dirigente, Concetta Cimino, ora in pensione: avrebbe fornito password e credenziali di accessi ai sistemi informatici della Regione.
Tra i beneficiari dei fondi pubblici anche un imprenditore, Mario Avara, che aveva costruito una casa a Currao a Sciacca. In altri casi, come quello del pagamento di un viaggio fatto in America Latina da alcuni funzionari nell'ambito del progetto Pacef Urbal III per la valorizzazione della donna nel Sudamerica, il piano sarebbe stato un altro. Il viaggio sarebbe stato pagato due volte all'agenzia che l'aveva organizzato. La prima attraverso un accredito lecito, l'altra, attraverso un decreto ingiuntivo richiesto dallo stesso Currao e il cui importo - 42mila euro - sarebbe stato girato sul conto corrente del dirigente.
Clamoroso anche il caso della distrazione di 200mila euro di cui era creditrice la Regione Veneto accreditati da Currao a una società appaltatrice dell'assessorato alla Formazione, la A.M.Ufficio srl, grazie all'alterazione dell'Iban.
Dalle indagini sono emersi anche una truffa nell'attribuzione degli straordinari e appalti per forniture di servizi irregolarmente aggiudicati a parenti di un cassiere e di un consegnatario regionali.
I tredici dipendenti dell'assessorato alla Formazione e alla pubblica istruzione finiti ai domiciliari e i due imprenditori in carcere sono accusati a vario titolo di peculato, truffa aggravata nei confronti dello Stato, turbata libertà degli incanti, falsità materiale e ideologica. Un assessorato, quello della Formazione, dove sono stati scoperti nuovi illeciti. Come l'utilizzo dei soldi dello straordinario per organizzare viaggi; o ancora lavoro straordinario mai fatto ma pagato. «L'attenzione dell'arma dei carabinieri è massima non solo per i reati legati alla criminalità organizzata - dice il colonnello Pierangelo Iannotti, comandante provinciale dei carabinieri - ma anche per i reati contro la pubblica amministrazione, che comportano un depauperamento delle casse pubbliche». 


I nomi di regionali e imprenditori arrestati.

CURRAO Emanuele, nato a Palermo il 10.05.1967, funzionario direttivo dell’amministrazione regionale, associato in carcere;
AVARA Mario, nato a Palermo il 23.03.1964, imprenditore, associato in carcere;
CIMINO Concetta (*), nata a Caltanissetta il 25.10.1946, dirigente dell’amministrazione regionale in pensione;
INZERILLO Marco, nato a Lucca Sicula (AG) il 13.06.1964, funzionario direttivo regionale;
CURATOLO Gualtiero, nato a Palermo l’.8.02.1966, cassiere regionale;
RIZZO Maria Concetta, nata a Palermo il 7.12.1963, istruttore direttivo regionale;
CAVALIERI Maria Antonella, nata a Palermo l’8.5.1961, istruttore direttivo regionale;
BARTOLOTTA Federico, nato a Palermo il 4.2.1953, istruttore direttivo regionale;
DI PIETRA Vito, nato a Palermo l’11.4.1970, collaboratore regionale;
BONFARDECI Giuseppina, nata a Palermo l’8.09.1962,gione Sicilia,  istruttore direttivo regionale;
SPALLINO Giampiero, nato a Palermo l’ 11.5.1970, collaboratore amministrativo regionale;
ZANNELLI Carmelo, nato a Palermo il 29.4.1967, collaboratore amministrativo regionale;
DUCATO Michele, nato a Palermo l’8.02.1959, funzionario direttivo regionale;
GAZZELLI Marcella, nata a Palermo il 18.11.1965, collaboratore amministrativo regionale;
FILINGERI Amedeo Antonio, nato a Borgetto (PA) il 13.09.1962, imprenditore.


(*)

lunedì 11 novembre 2013

Focaccia barese


La focaccia è la merenda per eccellenza dei baresi. Non c'è un momento della giornata in cui è più giusto mangiarla, infatti nei panifici della città è pronta sin dalla prima mattina e il profumo che emana si diffonde per strada. La focaccia barese è lo snack per eccellenza nella città pugliese, si usa per sostituire il pranzo o la cena ma si mangia in qualsiasi altro momento della giornata, per "sfizio" e non è raro incontrare persone che la gustano tranquillamente per strada, costretti a fare attenzione perchè, ad ogni morso, si corre il rischio che il pomodoro possa cadere e macchiare i vestiti. I ragazzi la portano a scuola, avvolta nella carta oliata, per fare merenda durante l'intervallo oppure quando marinano le lezioni. Si porta in spiaggia e diventa il pasto di una lunga giornata passata al mare sotto l'ombrellone. E' il pasto che viene consumato durante le partite di calcio viste in compagnia degli amici, accompagnata, in questo caso dall'immancabile mortadella. Insomma, da prima mattina fino a tarda sera la focaccia accompagna la giornata dei baresi. E' difficile descrivere ogni sensazione gustativa che la focaccia barese trasmette, l'unico modo per comprendere quello che dico è entrare in un panificio di Bari e acquistarla appena sfornata oppure provare questa ricetta fornitaci da un rinomato panificio di Bari Vecchia.

Ingredienti

Istruzioni

  1. Per preparare la focaccia barese, iniziate lessando una patata in acqua bollente, quindi pelatela e schiacciatela con uno schiacciapatate. Dopodichè versate la farina di grano tenero “0” e la semola rimacinata di grano duro nella tazza di una planetaria. Se non possedete una planetaria, versate in una ciotola per poi impastare a mano.
  2. Aggiungete anche la patata schiacciata, il sale ed il lievito madre in un pezzo unico da 200 gr. (Procuratevelo presso il vostro panettiere di fiducia. Ricordatevi che il lievito madre dovrà essere rinfrescato da almeno 4 ore).
  3. Incorporate un pò d’acqua e azionate la planetaria a bassa velocità, aggiungendo il resto dell’acqua a filo. Se vi accorgete di lavorare in un ambiente caldo vi consigliamo di aggiungere l’acqua molto fredda, altrimenti dovrà essere a temperatura ambiente. Per ultimo unite l’olio, che servirà a dare elasticità e croccantezza al prodotto.
  4. Dopo i primi 5 minuti aumentate la velocità della planetaria e continuate ad impastare per 15 minuti: bisognerà lavorare l’impasto finché non si staccherà bene dalla ciotola e risulterà completamente liscio ed elastico, cioè quando inizierà a “scoppiettare”, rumore che fa l’impasto quando si riempie di bolle e viene lavorato velocemente.
  5. Se vi accorgete che l’impasto fatica a staccarsi dalla ciotola potete aggiungere un pizzico di farina ai bordi della ciotola della planetaria per facilitare l’operazione. Fate attenzione a non aggiungere troppa farina per evitare di indurire troppo l’impasto. 
  6. Una volta che l’impasto sarà pronto, staccatelo dal gancio. Oliate il piano di lavoro, che non dovrà essere di legno altrimenti l’olio lascerà una macchia indelebile, e sistemate l’impasto, rigirandolo per oliarlo da entrambi i lati. Lavoratelo quanto basta per formare due palline da circa 400 gr. l’una.
  7. Prendete un vassoio di media misura e oliatelo, aiutandovi con un pennello per cospargere meglio l’olio. E’ importante che il vassoio non sia troppo grande per far sì che le due forme di impasto siano vicine. La vicinanza ravvicinata, infatti, gli permetterà di crescere meglio. Dopodichè sistemate le palline di impasto nel vassoio oliato.
  8. Questa è la fase della lievitazione: lasciate l’impasto a temperatura ambiente, senza coprirlo, per circa 8-12 ore. Se vi trovate in un ambiente che supera i 20°, il vostro impasto lieviterà in 8 ore, se, invece, il vostro ambiente sarà tra i 15 e i 20° ci potranno volere anche 12 ore. Trascorso questo tempo noterete che il vostro impasto sarà lievitato e avrà formato una leggera crosticina in superficie.
  9. Per sapere se l’impasto è lievitato correttamente e non è collassato, occorrerà fare una prova: schiacciate leggermente la superficie dell’impasto con un dito, la pasta dovrà ritornare alla forma iniziale perché sufficientemente elastica.
  10. Ora che il vostro impasto è pronto, potete stendere e condire la focaccia: prendete una teglia del diametro di 32 cm e oliatela, spargendo l’olio in tutta la teglia con le mani o un pennello. Adagiatevi una pallina di impasto al centro, capovolgendola per oliarla da entrambi i lati, e schiacciate l’impasto con le dita per stenderlo fino a coprire l’intera superficie della teglia.
  11. Una volta steso l’impasto, rompete i pomodorini a metà con le mani per far colare tutto il succo e i semi e disponeteli rivolti verso il basso, fino a riempire tutta la superficie della focaccia. Mettete ora le olive, oliate nuovamente, aggiungete un pizzico di sale e dell’origano secco.
  12. Fate cuocere la vostra focaccia in forno statico (o ventilato) preriscaldato alla massima potenza per 20-25 minuti. L’ideale sarebbe 270°, ma se il vostro forno non arriva a questa temperatura basterà impostarlo alla massima potenza, di solito 250°. Se avete a disposizione una pietra refrattaria, posizionatela sul ripiano basso del forno e preriscaldate per almeno 40 minuti.
  13. Una volta sfornata, la focaccia dovrà risultare croccante e alta circa 1-1,5 cm.

Carceri, per gli alimenti prezzi alle stelle ai detenuti. E le ditte fanno affari d’oro. - Chiara Daina

Carceri, per gli alimenti prezzi alle stelle ai detenuti. E le ditte fanno affari d’oro


I quasi 65 mila reclusi nelle carceri della Repubblica italiana possono decidere di sfamarsi in due modi: usufruendo del “carrello” che gli passa lo Stato che paga 2,90 euro per tre pasti oppure facendo la spesa. Ma il costo di una confezione di pasta o di caffè dietro le sbarre è molto più alto della media.

Nelle carceri italiane si fanno affari d’oro. Accade alla luce del sole ogni giorno e riguarda la routine dei pasti quotidiani dietro le sbarre. I quasi 65mila reclusi nelle carceri della Repubblica italiana possono decidere di sfamarsi in due modi: usufruendo del “carrello” che gli passa lo Stato, – colazione, pranzo e cena consegnati direttamente in cella nelle “gavette”, recipienti metallici che ogni detenuto riceve in dotazione al momento dell’arresto – oppure mettendosi ai fornelli, esclusivamente da campeggio.
Nel primo caso, la spesa è a carico del ministero della Giustizia, che stanzia 2,90 euro a testa per tre vitti al giorno. Di solito, la qualità del cibo è quello che è e le dosi non saziano mai abbastanza. Nel secondo caso, è il singolo carcerato a pagare la spesa extra, il cosiddetto “sopravvitto”, attraverso un conto corrente postale intestato all’istituto penitenziario su cui la famiglia ha versato dei soldi di tasca propria. La lista della spesa è già pronta, può variare un minimo con le stagioni (d’estate spuntano gelati e pomodorini), ma in generale non concede ripensamenti: al detenuto basta compilare due volte alla settimana un modulo apposta indicando tra gli alimenti disponibili quelli che gli servono. L’elenco comprende oltre ai beni di prima necessità (dalla pasta alle bombolette del gas, assorbenti e carta igienica), cartoleria, sigarette e giornali. Tutto normale fin qui. Se non fosse che chi sta dietro le sbarre non ha diritto alla scelta come chi va al supermercato: lo spaccio interno, dato in appalto a privati, offre un articolo per ogni genere di prodotto, di solito della marca più cara, e zero possibilità di avvalersi di prezzi scontati, offerte, “tre per due” o alimenti da discount. Tanto il detenuto non può non pagare il conto. O cambiare fornitore. Tanto se si lamenta in cella, nessuno lo ascolta. Solo per citare qualche esempio pescato a caso nei listini prezzi delle nostre carceri, da nord a sud: caffè Lavazza (qualità rossa) a 3.39 euro, 250 grammi di burro a 2,55 euro, una confezione monodose (50 grammi) di marmellata a 70 centesimi, olio di oliva (non extravergine) a 5,50 euro, un chilo di biscotti a 4,15 euro, scatola di tonno Rio mare da 80 grammi a 1,05 euro, Scottex (4 rotoli) a 2,39 euro. I marchi non sono naturalmente responsabili di questi prezzi gonfiati e nei vari istituti il prezzo oscilla solo di qualche centesimo. Rare le eccezioni di merce sottomarca in alternativa a quella griffata. Nella casa di reclusione di Bollate (Milano), fiore all’occhiello del sistema penitenziario italiano, o in quella di Padova, dove nel 2011 i detenuti hanno fatto due settimane di astensione dalla spesa per denunciare il caro prezzi, si trova anche il caffè low cost a 85 centesimi. Lussi per pochi, appunto. 
Lucrare sulla pelle dei detenuti è diventato un gioco da ragazzi. E il via libera arriva direttamente dai piani alti. La ditta che fornisce il vitto è la stessa che ha in mano il servizio di spesa extra e per massimizzare i profitti impone un’offerta limitata a pochissimi marchi, tra i più costosi in commercio. E poco importa se il direttore di un carcere è costretto a mandare indietro camion carichi di frutta e verdura di scarto venduti come merce di prima qualità. “Nessuna azienda è disposta a fornire tre pasti al giorno a meno di tre euro, quindi alla stessa viene affidata anche il sopravvitto perché non lavori in perdita” spiega Alfonso Sabella, a capo della Direzione generale dei beni e servizi del Dap. Va avanti così dal 1920. Risale a quell’anno infatti il Regolamento generale per gli stabilimenti carcerari, che disciplina la prestazione congiunta di fornitura pasti e gestione dello spaccio (articolo 1, capitolato d’appalto). Una manna per le quattordici ditte che si sono aggiudicate entrambi i servizi nelle 206 carceri italiane. In pratica, un oligopolio con guadagno doppio e assicurato.
La Saep spa, per esempio, da anni gestisce gli spacci interni di 26 carceri italiane (di cui otto in Lombardia) e nel 2010 ha registrato oltre 4 milioni di utili. È una delle tredici società controllate dalla Tarricone holding srl, con sede a Balvano in provincia di Potenza e un giro d’affari niente di meno che nel gioco d’azzardo: gestisce due sale bingo (Gioco 2000 e Medusa), una piattaforma telematica per il poker online (Poker mondial network) e la raccolta di scommesse sportive e ippiche (Betflag). Un bel pacchetto di licenze garantito dalla nostra Repubblica. Poi c’è la Arturo Berselli & c. spa, con sede a Milano, che vince appalti dal 1930. È attiva in 20 istituti e nel 2012 ha fatto utili per oltre un milione e mezzo di euro. Altra presenza storica è Claudio Landucci, titolare della ditta omonima, alle spalle una carriera a capo dell’Associazione nazionale appaltatori degli istituti di pena (Anafip), e oggi attivo in sedici prigioni dello Stivale.  
C’è di più. Per volontà del ministero della Giustizia, gli appalti delle forniture di vitto devono essere effettuati limitando l’ammissione alla gara “alle sole ditte che nel triennio precedente abbiano regolarmente svolto rapporti analoghi con enti pubblici”. Una condizione che non piace all’Antitrust, che il 17 giugno 2005 con una segnalazione al ministero ha chiesto di tenere conto del principio di concorrenza da bilanciare con le esigenze di sicurezza, come stabilito dalla normativa europea. Perfino la sezione delle Marche e della Lombardia della Corte dei Conti per due volte ha respinto i decreti con cui i Dap regionali assegnavano alle ditte gli appalti. Il motivo? Vizi nelle procedure previste dalla legge. Ma dopo otto anni il copione si ripete. E nessuno, neanche per sbaglio, sembra avere intenzione di fare un passo in avanti. È rimasta lettera morta anche la circolare diffusa da Franco Ionta nel 2011, in cui l’ex capo del Dap pretendeva che in sopravvitto ci dovessero essere almeno “tre o quattro articoli per lo stesso genere”. In un’altra circolare del 1996 si chiedeva che il tariffario modello 72 (quello della spesa del sopravvitto) fosse il più ampio possibile. Parole al vento. Alla fine della fiera il detenuto è condannato due volte, alla sua pena e alla negligenza delle istituzioni. 

Alessandro Di Battista - perche' non abbiamo dato la fiducia al PD - Bersani in aula ad ascoltare.