domenica 8 febbraio 2015

E il premier "rifiuta" 120 miliardi di euro.- Renato Farina (Betulla)



Truffa dello spread, il governo rinuncia a costituirsi parte civile contro le agenzie di rating.

«Non ti pago», dice una commedia di Eduardo. In questo caso bisognerebbe cambiare il titolo, e trasformarlo in tragedia: «Non pagarmi!». Chi non vuole il conquibus di spettanza non è un danaroso cittadino, ma uno Stato pieno di debiti: l'Italia.
Ma il nostro governo nelle persone di Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan non ne vuole sapere. Non è questione di misericordia verso i miseri. A dover mettere mano al suo gigantesco portafoglio non sarebbero quattro poveri pirla in bancarotta, ma alcune tra le multinazionali più danarose al mondo che hanno manipolato il mercato rischiando di mandarci tutti in malora e comunque consentendo agli speculatori di infilare le zampe ungulate nelle tasche dei risparmiatori. Qual è la cifra? Minimo 5 miliardi. L'Italia invece non vuole essere risarcita. Il perché è insondabile. Due possibilità: distrazione e dunque incompetenza o complicità. Intanto i fatti sono i seguenti.
Le agenzie di rating Standard & Poor's e Ficht nel secondo semestre del 2011 (occhio alla data) declassarono i nostri buoni del Tesoro valutandoli quasi come spazzatura. Conseguenze due.
La prima finanziaria: balzo in su del famoso spread, ingenti interessi (circa 5 miliardi) pagati in più dallo Stato. Svalutazione dei risparmi degli italiani. Sfregio all'immagine del sistema Italia. Necessità di manovre finanziarie sanguinose.
La seconda politica. La valutazione ufficialmente imparziale di S&P e Fitch diventò l'arma di Merkel e Sarkozy, nonché del Partito democratico, per sostituire Berlusconi con Monti. Siamo alla triplice messa tra parentesi della democrazia.
C'è un però. La Procura di Trani ha avuto la faccia tosta di investigare non i ladri di mele e pere, ma si è procurata la foto della rapina del secolo ai danni dell'Italia. E l'ha descritta a un giudice terzo, che ha constatato che il mercato in quel 2011 fu manipolato. La Repubblica e la sua democrazia gambizzate dalle agenzie di rating per favorire la speculazione e un corso politico più gradito ai grandi poteri esteri e interni. Insomma la valutazione sulla solvibilità dell'Italia è stata un crimine. Merce intossicata, analisi farlocche.
Insomma il giudice per le indagini preliminari ha ritenuto le prove fornite da un pm coraggioso, Michele Ruggiero, per andare a processo. Il reato: «Manipolazione del mercato». E del resto il Giornale ha pubblicato un volumetto che ripropone la requisitoria di Ruggiero («Un golpe chiamato rating»). Si poteva anche intitolare: Davide di Trani contro Golia di Wall Street.
La prima udienza del processo c'è stata il 4 febbraio. La vittima del reato, la parte offesa, è lo Stato italiano. Pur informata di tutto, la presidenza del Consiglio ha rifiutato di costituirsi parte civile e così pure il ministero dell'Economia. Il processo potrebbe finire in due soli modi. 1) Ipotesi maggiore. Gli imputati, cioè i dirigenti italiani delle due agenzie, sono assolti, perché non hanno agito con dolo. Benissimo, contenti per loro. 2) Ipotesi subordinata. Hanno sbagliato in buona fede, e dunque il risarcimento va trattato in sede civile. In entrambi i casi, un tesoro da portare a casa Italia.
C'è un precedente istruttivo. In America, pochi giorni fa, S&P ha patteggiato una multa da un miliardo di dollari con il Dipartimento della giustizia per essersi sbagliata nella valutazione di obbligazioni di Lehman Brothers acquistate da finanziarie coperte da assicurazioni federali. S&P si è dimostrata collaborativa. In Italia a non collaborare è invece il governo. Perché? Boh. Interessi oscuri? Paura di veder emergere complicità indicibili in quel secondo semestre del 2011? Accordo tacito di non belligeranza con le agenzie, per timore di vendette?
Intanto buttiamo via un sacco di soldi. Il procuratore generale del Lazio della Corte dei Conti ha stimato che «il danno che lo Stato italiano ha subito, pagato da tutti, con manovre finanziarie», a cui vanno aggiunte le ferite morali, va oltre i 120 miliardi di euro (cen-to-ven-ti). Esagerato? Forse. Ammettiamolo. Vogliamo dividere per cinque? Sono 24 miliardi. In sede di patteggiamento sono minimo 10.
Questa omissione, se non vuole trasformarsi in complicità morale intollerabile, si può forse sanare. La seconda udienza è il 5 marzo prossimo. E con bravi avvocati dello Stato è possibile farsi riammettere come parti civili. Ma non lo faranno, né Renzi né Padoan. Forse da Londra non vogliono la nostra costituzione di parte civile. A proposito di Costituzione, sulla quale Renzi e Padoan hanno giurato, ci sarebbe però anche l'art. 47 che dichiara: «La Repubblica... tutela il risparmio in tutte le sue forme». Non c'è scritto che tutela le agenzie di rating .

Figli d'arte e parenti di politici, ecco i padroni delle 200 nuove farmacie. - Giusi Spica

  

La Regione ha pubblicato la graduatoria per l'apertura dei punti vendita in tutta la Sicilia. Le domande erano state oltre 1800 Nell'elenco professori universitari, figli e nipoti di deputati dell'Ars e molti rampolli delle dinastie storiche dei professionisti del settore.

Professori universitari sulla via della pensione, rampolli di storiche dinasty di farmacisti, figli e sorelle di deputati regionali e persino l'ex dirigente dell'assessorato che ha partecipato alle fasi iniziali di stesura del bando. La lista dei 222 vincitori di nuove farmacie che apriranno i battenti in Sicilia premia i candidati in avanti con gli anni e un solido bagaglio di titoli accademici alle spalle, ma anche i delfini di affermati farmacisti che hanno fatto pesare il nome e i loro legami per costruire a tavolino società "acchiappa-punti". Perché, come previsto dal decreto Monti che nel marzo 2011 stabilì i criteri, il concorso era per soli titoli e favoriva chi decideva di mettersi in società accumulando i riconoscimenti.

La commissione nominata dall'assessorato ha applicato la griglia nazionale e ha stabilito il range di punti da attribuire a titoli accademici, master universitari, pubblicazioni. Criteri da incrociare anche a quello anagrafico (più punti ai più giovani). Ma a guardare l'età media dei candidati (erano 1854 società), sembra la rivincita degli cinquantenni. I nomi di peso non mancano. A partire da quello di Rosalia Traina, che fino a maggio del 2012 era dirigente del servizio Farmaceutica dell'assessorato, lo stesso che ha predisposto gli atti del concorso bandito a gennaio di quell'anno. Sei mesi dopo è andata in pensione, ma è rientrata in gioco come consulente a titolo gratuito in carica fino a tre mesi fa. La sua partecipazione aveva sollevato mal di pancia e un'interpellanza dei grillini che hanno puntato il dito sull'incompatibilità. Lei si è difesa sostenendo di non avere mai firmato un solo atto relativo al concorso. Oggi è al quarantesimo posto della classifica insieme con Salvatore Di Marco, figlio di un farmacista di Baucina. Età media: 57 anni.

ECCO LA LISTA DEI VINCITORI

Tra i nuovi farmacisti c'è anche il figlio del deputato messinese del Pd Giuseppe Laccoto, ex presidente e oggi membro della commissione Sanità all'Ars. Il figlio di Laccoto è al 25esimo posto con altri tre soci, capofila Tindara Fioravanti. Alla posizione numero 35 c'è Patrizia Cascio, sorella dell'ex presidente dell'Ars e oggi deputato regionale di Ncd  Francesco Cascio. La mamma aveva una farmacia in viale Regione siciliana, poi messa in vendita.

E poi ci sono i figli d'arte. Al quinto posto si piazza Lara Giambalvo: il padre Giacinto è titolare a Bagheria ma in casa il nome che pesa di più è quello del marito, Riccardo Listro, titolare di una sede in città, e del cognato Orazio, il più "ricco" farmacista di Palermo. Rampolli di storiche dinasty sono anche Alice Pantò, figlia del farmacista di via Pacinotti, Giovanna Pensabene (il papà aveva una sede notturna in centro) e Maria Mantione, figlia dell'ex sindaco democristiano Salvatore che aveva farmacia in via Ausonia. Nomi noti sono anche Emanuele Termini (sua madre Rosa Alba Randazzo ha una sede vicino a Villa Serena), Luisa Venuti (suo padre Giuseppe è titolare a Cinisi) e Rino Calì (fratello di Gabriella che ha farmacia vicino al teatro Massimo).

Il concorso ha fatto gola soprattutto ai baroni universitari. Il primato va a Catania, che piazza una sfilza di prof della facoltà di Farmacia. Al primo in classifica c'è uno di loro, Francesco Paolo Bonina, docente ordinario in coppia con la collega associata Valeria Pittalà. Il suo nome è noto alle cronache: è stato imputato e poi assolto al processo sui veleni alla facoltà di Farmacia. Al nono posto figura un altro degli imputati di quel processo (furono tutti assolti in primo grado), ovvero Giovanni Puglisi, recordman di incarichi: insegnare Tecnologia farmaceutica, è presidente dell'ordine dei farmacisti di Catania e membro nazionale dell'ente previdenziale Enpaf. A lui spetta il primato della società più anziana: 63 anni. L'ateneo fa il pieno con Maria Angela Siracusa, Anna Maria Panico, Orazio Prezzavento, Giovanna Maria Scoto e il figlio dell'ex preside di farmacia Giuseppe Roncisvalle, al 78esimo posto con Antonino Privitera.


http://palermo.repubblica.it/cronaca/2015/02/07/news/ecco_i_padroni_delle_200_nuove_farmacie-106764968/

Se non ci fosse, la dovrebbero inventare...



https://www.facebook.com/scherzimbarazzanti/photos/a.243076385861027.1073741828.242942912541041/419600291541968/?type=1&theater

sabato 7 febbraio 2015

Dichiarazione bomba di un Generale francese al Senato: “L’Isis è stato creato dagli Stati Uniti”.



Si parla tanto delle porcate commesse dall’Isis in questi giorni. Ma è passata sotto silenzio la dichiarazione fatta dal Generale francese Vincent Desportes, generale di divisione a riposo e professore associato presso la facoltà di Scienze Politiche di Parigi, che davanti alla commissione per gli Affari Esteri, per la Difesa e per le Forze Armate, ha dichiarato: “L’Isis è stato creato dagli Stati Uniti.” Ecco tutti i dettagli. 

Il 17 dicembre 2014 la commissione per gli Affari Esteri, per la Difesa e per le Forze Armate ha dibattuto in seduta pubblica la proroga dell’operazione “Chammal” in Iraq.
Presieduta da Jean-Pierre Raffarin, la commissione ha sentito − durante la discussione – il generale di seconda sezione Henri Bentégeat, ex capo di stato maggiore delle forze armate, il generale di corpo d’armata Didier Castres, vicecapo operativo di stato maggiore, l’on. Hubert Védrine, ex ministro degli Esteri, il generale di divisione a riposo Vincent Desportes − professore associato presso la facoltà di Scienze Politiche di Parigi − e l’on. Jean-Yves Le Drian, ministro della Difesa.
ISIS CREATO DAGLI USA
Iniziando il suo discorso con una breve presentazione dell’ISIS (Daech), nel mettere soprattutto in evidenza il vero pericolo di questo gruppo terroristico rispetto ai nostri interessi vitali, ha detto senza mezzi termini: “Chi è il dottor Frankenstein che ha creato questo mostro? Diciamolo chiaramente, perché ciò comporta delle conseguenze: sono gli Stati Uniti. Per interessi politici a breve termine, altri soggetti – alcuni dei quali appaiono come amici dell’Occidente − hanno contribuito, per compiacenza o per calcolata volontà, a questa creazione e al suo rafforzamento, ma le responsabilità principali sono degli Stati Uniti. Questo movimento, con la fortissima capacità di attrarre e diffondere violenza, è in espansione. È potente, anche se è caratterizzato da punti profondamente vulnerabili. È potente, ma sarà distrutto. Questo è certo. Non ha altro scopo che quello di scomparire.”
LA GUERRA LAMPO NON ESISTE
Mettendo in guardia i membri della commissione sulle implicazioni di una guerra in un contesto di ridimensionamento delle nostre forze, il generale Desportes ha aggiunto: “In bilancio, di qualsiasi esercito si tratti, ci siamo impegnati oltre situazioni operative standard, nel senso che ogni esercito sta usando le proprie risorse senza avere il tempo di rigenerarle. In termini reali abbiamo forze insufficienti: per compensare, a livello sia tattico che bellico, le facciamo girare a un elevatissimo ritmo di utilizzo. Vale a dire che, se continua questo sovraccarico di impiego, l’esercito francese si troverà nella situazione dell’usurato esercito britannico in Iraq e in Afghanistan, costretto da alcuni anni a interrompere gli interventi e rigenerare le proprie risorse “a casa”. Il notevole sforzo prodotto ora a favore degli interventi avrà ripercussioni forti e quantificabili sulle forze nel nostro Paese, in particolare in termini di prontezza operativa. Il senso di responsabilità impone di sfatare definitivamente il mito della guerra breve”.
I CINQUE PRINCIPI PER LA STRATEGIA MILITARE
Dopo alcuni cenni sulle basi della strategia militare, il generale Desportes ha delineato una serie di cinque principi che dovranno guidare qualsiasi decisione di intervento.
Secondo il primo principio, ci si deve impegnare solo se si può controllare il livello strategico. Se questo precetto non è rispettato, è evidenziato il rischio di usare le proprie forze armate col discredito e la perdita d’immagine che ne conseguono.
È il caso della Francia in Afghanistan: ha fatto una “guerra americana” senza un controllo strategico d’insieme, senza controllo sullo svolgimento delle operazioni e senza controllo sulla direzione della coalizione.”
Il secondo principio dice che si deve intervenire solo laddove ci sia “senso strategico”.
La Francia è grande nel mondo, in particolare per il suo posto nel Consiglio di sicurezza dell’ONU, ma poiché questo posto le viene contestato ogni giorno, deve difenderlo e legittimarlo ogni giorno. E può farlo solo attraverso la sua capacità di gestione utile dei focolai di tensione del mondo. Il che, tra l’altro, richiede assolutamente la necessità di rafforzare la nostra capacità di agire come “nazione guida” e di “entrare per primi”. Non ci sono dubbi: il nostro posto tra i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’ONU e la nostra influenza nelle questioni mondiali si basano in primo luogo sulla nostra capacità di agire concretamente nelle situazioni di crisi (capacità e credibilità).”
Terzo principio: occorre definire obiettivi raggiungibili. Prendendo l’esempio dell’Afghanistan, Desportes dice che«gli obiettivi hanno assai rapidamente deviato e superato i mezzi di cui disponeva la coalizione (soprattutto in termini di tempi e di capacità di controllo dello spazio terrestre)».
Quarto principio: intervenire solo quando l’azione considerata è compatibile con i mezzi a disposizione, immediatamente e nel lungo termine.
Essendo uno dei primi ad avere criticato pubblicamente il Libro bianco sulla difesa del 2013, il generale Desportes ha dichiarato: “Il Libro bianco 2013 parla di «volume di forze sufficienti». In effetti, come è noto, l’operazione “Serval” è stata una scommessa estremamente rischiosa, a causa del basso volume di forze dispiegate combinato con la grande obsolescenza della maggior parte delle attrezzature impiegate. L’operazione “Sangaris” un azzardo finito male, poiché la scommessa fatta sulla “sorpresa iniziale” non è stata vinta. Poi la negazione della realtà unita alla nostra mancanza di risorse ha impedito l’adattamento della forza alla reale situazione sul campo e allo schieramento immediato dei cinquemila uomini che erano indispensabili.”
Quinto principio: non fare il primo passo senza considerare l’ultimo.
Ciò significa che si devono valutare − senza condizionamenti ideologici, senza essere ciechi − le conseguenze di un intervento, soprattutto se non si intende arrivare fino in fondo”.
LA GRANDEUR FRANCESE È FINITA
Al termine del suo discorso, il generale Desportes ha continuato a mettere sull’avviso i membri della Commissione sul decadimento delle forze armate francesi.
L’evidente sottodimensionamento della spesa operativa produce significativi effetti negativi di cui deve essere consapevole chi decide. Anzitutto, apprendere dai media − senza una chiara smentita − che i corpi militari spendono ingiustificatamente il magro bilancio francese evidenzia il fallimento morale, dal momento che i nostri soldati combattono su tutti i fronti, per la Francia e ai suoi ordini, con risorse veramente troppo scarse. Inoltre c’è che siamo sempre sotto il livello della “massa critica”: questo sottodimensionamento del budget ha un impatto diretto sia sul successo delle operazioni sia sulla sicurezza dei nostri soldati, che finiscono per ritrovarsi messi in pericolo”.
L’OPERAZIONE CHAMMAL UN FALLIMENTO
A proposito dell’operazione “Chammal”, il generale dichiara: “Giungo a Chammal dopo un paio di giri, lo ammetto, ma non si perde mai tempo a prendere un momento di distanza strategica, in un’epoca in cui la tendenza è proprio quella di ragionare in fretta, in termini di spese di cassa, su problemi che richiedono tempi lunghi e investimenti pesanti. Non mi trattengo sull’attuale sconcertante contraddizione tra, da un lato, il conflitto del mondo alle nostre porte, nel nostro est, nel nostro sud-est, nel nostro sud, la moltiplicazione dei nostri interventi e, dall’altro lato, il deterioramento rapido e profondo delle nostre capacità di bilancio con, a valle, quello delle nostre capacità militari. A destra e a sinistra lo sanno tutti; alcuni, troppo pochi, lo dicono. [...] E allora? Atteniamoci al ben noto principio della guerra, il principio di concentrazione… o alla sua versione popolare: “chi troppo vuole nulla stringe”. Smettiamo di espanderci! Guardiamo in faccia la realtà. Stato islamico. “ISIS delenda est”: certamente! Siamo profondamente solidali, ma non siamo in alcun modo responsabili. I nostri interessi esistono, ma sono indiretti. Da quelle parti le nostre capacità sono limitate e irrisorie, rispetto agli Stati Uniti, e la nostra influenza strategica è estremamente limitata”.

L'amianto nell'acqua potabile. - Marco Piazza e Massimo Bugani


Intervento di Max Bugani e Marco Piazza, portavoce consiglieri del M5S a Bologna
"Da anni insistiamo sulla pericolosità dell’amianto e in particolare dell’amianto delle condutture idriche (oltre 500Km di tubature a Bologna sono in Cemento amianto e alcune sono in opera da diverse decine di anni).

Come MoVimento 5 Stelle abbiamo discusso, fatto un piano di bonifica, richiesto un’istruttoria pubblica, proposto ordini del giorno con l’intento di non creare il minimo allarmismo ma di invitare tutti alla massima precauzione e attenzione nei confronti di un fenomeno (fibre ingerite nell’acqua potabile) ancora poco studiato e per questo da molti sottovalutato. Anche nella recente istruttoria pubblica del 2 dicembre 2014 abbiamo sentito esperti affermare: “non esistono prove della pericolosità dell’ingestione dell’amianto”

Ora abbiamo appena letto un rapporto dello IARC (International Agency for Research on Cancer) sull’Asbesto disponibile qui. Tra le varie prove ed esperimenti:
L’ingestione di amianto è considerata “esposizione primaria” al pari dell’inalazione (capitolo 1.5, pagina 225)

Sono riportati gli esiti drammatici di un test su topi che hanno ingerito amianto (capitolo 3.6 pagina 273). Su 75 cavie che hanno ingerito amianto, 18 si sono ammalati di tumori vari dopo pochi mesi.
Il rapporto dello IARC conclude che “Esistono prove sufficienti per la cancerogenicità di tutte le forme di amianto per l’uomo. Provoca il mesotelioma, il cancro del polmone, della laringe, e dell’ovaio. Inoltre sono state osservate associazioni positive tra l’esposizione a tutte le forme di amianto e cancro della faringe, stomaco, colon-retto Esistono prove sufficienti negli animali per la cancerogenicità di tutte le forme di amianto Tutte le forme di amianto sono cancerogeni per l’uomo.”
Quindi le fibre d’amianto presenti nell’acqua (oltre al fatto che si possono respirare lavando i pavimenti o asciugando i panni) in base al rapporto IARC sono pericolose anche se ingerite. E da oggi non accetteremo più sottovalutazioni del problema. In questi anni le morti per tumore stanno diventando una vera pestilenza e a questo punto l’ingestione dell’amianto è una delle cause.
Ringraziamo gli esperti che ci hanno fornito il rapporto e vogliono restare nell’anonimato
Chiediamo che nel piano di bonifica dell’amianto si preveda la rimozione completa delle tubature in cemento amianto e che i materiali vengano inertizzati e riciclati con le moderna e redditizie tecniche, per esempio quella messa a punto dal Prof. Roveri dell’università di Bologna.
Il fatto che HERA abbia perso l’occasione epocale del rifacimento dell’arteria principale di Bologna per sostituire la conduttura in cemento amianto (limitandosi ad allacciamenti e attraversamenti) è una segnale inquietante di quanto si sia indietro su questo tema e di quanto lavoro ci sia ancora da fare.
Auspichiamo che l’aver reso pubblico questo studio (peraltro risalente al 2012 ma ben poco pubblicizzato) possa sensibilizzare politica ed amministratori a tutti i livelli al fine di agire con la massima urgenza nella completa rimozione di ogni fonte di esposizione all’amianto, tubature idriche comprese!" 

“È casa tua, decidi tu”. Da oggi per ristrutturare basta una mail e al Catasto ci pensa il Comune. - Monica Adorno




“È casa tua, decidi tu”. Abbiamo letto sul sito del governo italiano questa proposta che ha davvero il sapore della semplificazione e per questo riportiamo il comunicato integrale pubblicato sul sito governo.it. 
“Grazie alle nuove norme introdotte dallo“Sblocca Italia” (Legge 11 novembre 2014, n. 164) ristrutturare il tuo appartamento, dividere un alloggio grande in due più piccoli o unire alloggi contigui, sia sullo stesso piano che su piani differenti per realizzarne uno più grande, è semplice e veloce: se non modifichi la volumetria complessiva e non intervieni sulla struttura della casa non hai più bisogno del permesso di costruzione, basta una semplice comunicazione di inizio lavori al Comune”.

“Quando saranno finiti i lavori ricordati di inviare la comunicazione di fine lavori al Comune: questa comunicazione ti fa risparmiare la procedura di accatastamento che altrimenti resta a carico del proprietario.
Le detrazioni
“Inoltre, la Legge di Stabilità ha prorogato a tutto il 2015 la possibilità di usufruire della detrazione fiscale del 50% delle spese sostenute per le ristrutturazioni edilizie e l’acquisto di mobili ed elettrodomestici, o del 65% per interventi di riqualificazione energetica o di adeguamento antisismico degli edifici”.
I lavori consentiti
Ristrutturando il proprio appartamento è possibile: rinnovare e sostituire alcune parti, come l’apertura di porte interne o lo spostamento di pareti, realizzare e migliorare i servizi igienico-sanitari e tecnologici. Sarà possibile dividere un alloggio grande in due più piccoli, o unirne due contigui (sia sullo stesso piano che su piani differenti) per realizzarne uno più grande, potrai modificare così la superficie della tua abitazione secondo le nuove esigenze familiari.
Tra le opere consentite è anche possibile rinnovare e sostituire parti strutturali degli edifici, come scale pilastri travi muri portanti e altro, ma se sono previstie questi tipi di interventi le procedure saranno differenti.
I lavori non consentiti
Non è possibile modificare la volumetria complessiva degli edifici né modificare la destinazioni d’uso, quindi una casa non può diventare ufficio e viceversa. Gli approfondimenti si trovano sul sito della regione e del comune.
Come fare?
Per dividere o unire gli appartamenti, si possono fare i lavori senza dover ottenere alcun permesso da parte del Comune. Sarà necessario, prima di dare inizio ai lavori, trasmettere al Comune, anche semplicemente per via telematica senza recarsi negli uffici, la Comunicazione di Inizio Lavori, la così detta CIL, accompagnata da una asseverazione di un tecnico abilitato alla professione .
Se tra i vari interventi che dovrai fare nell’appartamento sono previste opere che riguardano le parti strutturali non si potrà utilizzare la CIL e si dovrà utilizzare il modulo di Segnalazione Certificata di Inizio Attività, la così detta SCIA.
I moduli per la CIL e la SCIA si possono reperire presso gli uffici tecnici del comune, alcuni li propongono anche sul sito istituzionale.
Quali documenti allegare
I documenti che dovranno essere trasmessi all’amministrazione comunale sono: – elaborato progettuale, cioè i disegni che fanno vedere le modifica dell’alloggio;
- comunicazione di inizio dei lavori asseverata, cioè sottoscritta da un professionista tecnico abilitato, il quale attesta, sotto la propria responsabilità, che i lavori sono coerenti con le regole e i piani approvati e che sono compatibili con la normativa in materia sismica e con quella sul rendimento energetico nell’edilizia e che i lavori non interessamento delle le parti strutturali dell’edificio.
- dati che identificano l’impresa alla quale si intende affidare la realizzazione dei lavori, che dovranno essere contenuti nella comunicazione di inizio lavori.
Da non dimenticare. Quando i lavori saranno ultimati si potrà inviare al comune anche una comunicazione di fine lavori. Questa comunicazione è valida ai fini dell’accatastamento e obbliga l’amministrazione comunale a inoltrare tempestivamente e direttamente, quanto necessario, ai competenti uffici dell’Agenzia delle entrate per il nuovo accatastamento dell’immobile trasformato. Senza questa comunicazione la procedura resta a carico del proprietario.
I costi
I lavori di frazionamento o accorpamento degli appartamenti i costi sugli oneri da pagare al comuni sono sostanzialmente diminuiti.
Dovranno essere pagati solo nel caso in cui le trasformazioni effettuate determinano un aumento della superficie calpestabile dell’appartamento che genera una erogazioni maggiore di servizi da parte dell’amministrazione comunale, il così detto “carico urbanistico” (necessità di più acqua, più fognatura, più parcheggi……).
I costi da pagare sono quantificati, comunque, solo rispetto alle opere di urbanizzazione, il costo di costruzione non dovrà essere pagato.

venerdì 6 febbraio 2015

Acqua, rifiuti e crac finanziario: è guerra tra Comuni e Regione. - Giulio Ambrosetti

Acqua, rifiuti e crac finanziario: <br>è guerra tra Comuni e Regione

Lunedì prossimo, alla stessa ora, si riuniranno tutti i consigli comunali della Sicilia per avviare un dibattito sui temi che, oggi, la politica non riesce a risolvere e, in alcuni casi, nemmeno ad affrontare: la gestione del servizio idrico, dello smaltimento, dei consorzi, dei servizi sociali e, ovviamente, in primo piano ci sarà anche la questione della sostenibilità economica.

L’appuntamento è per lunedì prossimo, quando tutti i consigli comunali della Sicilia si riuniranno, alla stessa ora, per avviare un dibattito sui temi che, oggi, la politica non riesce a risolvere e, in alcuni casi, nemmeno ad affrontare: acqua, rifiuti, consorzi di Comuni, servizi sociali e, ovviamente, la questione finanziaria.
“Ci stiamo sostituendo a una politica regionale che non dà più risposte - dice Paolo Amenta, vice presidente dell’Anci Sicilia e sindaco di Canicattini Bagni, provincia di Siracusa -. Dalla Regione, fino ad oggi, abbiamo avuto solo problemi. Incredibile quello che è successo con i consorzi di Comuni, lasciati a metà. Per non parlare dell’acqua, dei rifiuti e dell’assistenza ai disabili”. La Regione ha annunciato nuovi tagli ai Comuni. Ma non ha ancora onorato gli impegni finanziari dell’anno passato. Non ha ancora erogato circa 300 milioni di euro del fondo delle autonomie locali. E deve ancora erogare circa 180 milioni di euro per il pagamento del personale precario.
“A questo – sottolinea Pasquale Amato, sindaco di Palma di Montechiaro, provincia di Agrigento – dobbiamo aggiungere i tagli del governo nazionale. Al mio Comune, quest’anno, Roma erogherà 573 mila euro in meno. Per noi è un problema serio. In queste condizioni, o aumentiamo le tasse ai cittadini, o non eroghiamo i servizi. A Palma, aumentando di un punto l’Imu, l’introito è pari a circa 350 mila euro. Tasso i cittadini che sono già stremati e non risolvo nemmeno il problema”.
Spiega Paolo Garofalo, sindaco di Enna: “I Comuni contribuiscono per il 2 per cento circa all’indebitamento italiano. Il restante 98 per cento di debiti è prodotto dallo Stato, dalle Regioni e dal parastato. Ebbene, con la spending review il 70 per cento delle penalizzazioni viene caricato ai Comuni. I quali, oggi, vengono chiamati a coprire debiti che altri hanno provocato. Il risultato è che siamo costretti ad aumentare le tasse e a ridurre i servizi. Ne vanno di mezzo strade, scuole, cultura, sport, anziani e, in generale, servizi sociali”.
Due questioni saranno, in particolare, al centro dei dibattito in tanti consigli comunali dell’Isola: la gestione dell’acqua e quella dei rifiuti. “Sull’acqua – precisa Pasquale Amato – assistiamo a una contraddizione da parte della Regione. Da una parte c’è la legge regionale numero 2 del 2013, che consente ai Comuni di gestire il servizio idrico. Di fatto, una legge che agevola la gestione pubblica. Dall’altra parte c’è il governo regionale, e in particolare il dipartimento per l’Energia, che diffida gli stessi Comuni intimandogli di consegnare le reti idriche ai privati. Su questo punto – aggiunge il sindaco di Palma di Montechiaro – siamo stupiti che l’assessore Vania Contraffatto stia, di fatto, lasciando diffidare i Comuni dai propri uffici per affidare la gestione dell’acqua a chi, fino ad oggi, ha solo peggiorato il servizio idrico facendo lievitare i costi” (abbiamo provato a contattare l’assessore Contraffatto per una replica, ma senza fortuna).
Amato racconta di un paradosso che si sta verificando in questi giorni in provincia di Agrigento.Dove Girgenti acque, la società privata che gestisce il servizio idrico (non in tutta la provincia, ma solo in una parte) vorrebbe acquisire le sorgenti e gli acquedotti del consorzio Tre Sorgenti verso il quale ha un debito di circa 17 milioni di euro. “Invece di pagare il debito di 17 milioni di euro al consorzio – sottolinea Amato – Girgenti acque si vorrebbe prendere le infrastrutture. Con l’avallo di qualche amministratore distratto. Come il sindaco di Canicattì, Vincenzo Corbo. O come il commissario del Comune di Licata, Maria Grazia Bandara, che, senza avere alle spalle un mandato popolare, aveva adottato un atto amministrativo favorevole a Girgenti acque. Che poi, per fortuna, ha ritirato dopo le proteste del consiglio comunale della città”.

Sulla gestione dei rifiuti si sofferma ancora il sindaco di Enna, Garofalo. “Già è un errore imperniare il sistema di raccolta dei rifiuti sulle discariche. Ma ancora più assurdo è tenere chiuse le discariche pubbliche, costringendo i Comuni a trasportare i rifiuti presso discariche private in alcuni casi molto distanti. Con costi aggiuntivi che gravano sugli stessi Comuni. L’esempio di quanto avviene nella nostra provincia è emblematico. C’è la discarica di Cozzo Vuturo per la quale sono già stati spesi circa 20 milioni di euro. Servirebbe un altro milione di euro per metterla in funzione, forse meno con l’eventuale ribasso d’asta. Ma i soldi non si trovano. Così una discarica che potrebbe servire tutta la provincia di Enna, in attesa di potenziare la raccolta differenziata dei rifiuti, rimane chiusa. Costringendo i Comuni a portare i rifiuti a molti chilometri di distanza. Con un incredibile aumento dei costi”.