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venerdì 16 luglio 2021

Rifiuti: illeciti nella gestione, arresti e sequestri.

 

Operazione di Carabinieri e Guardia di Finanza nel palermitano.


Illeciti nella gestione dei rifiuti nel palermitano all'ombra della mafia. I carabinieri e i finanzieri del comando provinciale hanno eseguito un'ordinanza cautelare ai domiciliari per tre amministratori di diritto e di fatto di imprese che si sono occupate della raccolta dei rifiuti nei comuni di Partinico, San Giuseppe Jato e San Cipirello.

Per un altro amministratore di diritto e socio delle società è scattato l'obbligo di dimora mentre per un dipendente del Comune di Partinico è stata disposta la misura di sospensione dall'esercizio pubblico. Sono tutti accusati a vario titolo di bancarotta fraudolenta, intestazione fittizia di beni e quote societarie, inadempimento di contratti per pubbliche forniture, utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, riciclaggio e autoriciclaggio. L'operazione, denominata Cogenesi e coordinata dalla procura, ha portato al sequestro di beni per 2,5 milioni. Le imprese del settore dei rifiuti, finite nell'inchiesta, erano state già destinatarie di provvedimenti interdittivi antimafia perché avrebbero avuto collegamenti con esponenti mafiosi del mandamento di San Giuseppe Jato. Tutti e tre le amministrazioni comunali sono state sciolte per infiltrazioni mafiose.

Le indagini sono iniziate a settembre del 2018 dopo un attentato incendiario nel quale furono distrutti mezzi e strutture dell'autoparco del Comune di Partinico. Le indagini dei carabinieri di Partinico, anche grazie alle intercettazioni, avrebbero accertato che le fiamme furono appiccate a ridosso di una procedura di affidamento per il nolo dei mezzi destinati al servizio di raccolta dei rifiuti che l'Ente locale aveva aggiudicato alla Cogesi srl. Secondo quanto accertato dai carabinieri esisteva una presunta connivenza tra il dipendente comunale e gli amministratori di diritto e di fatto dell'azienda. L'impiegato comunale avrebbe omesso contestazioni per gravi inadempimenti contrattuali (dovuti al nolo di mezzi in misura inferiore a quella dichiarata, nell'impiego di mezzi privi di revisione e/o non iscritti all'Albo dei Gestori Ambientali), le mancate messa in mora e risoluzione del contratto nei confronti della Cogesi Srl e l'omessa comunicazione all'Anac della prematura interruzione del rapporto contrattuale. Controlli poi eseguiti dagli agenti della polizia municipale disposti dal sindaco Maurizio De Luca che poi si dimise. Inoltre, i finanzieri hanno constatato che gli indagati hanno distratto l'intero patrimonio aziendale della Cogesi Srl, portandola al fallimento, "reinvestendo" i capitali per il soddisfacimento di interessi personali come l'acquisto di immobili e beni di lusso (tra cui imbarcazioni, orologi e supercars) e costituendo la nuova Eco Industry srl con sede in San Giuseppe Jato (Pa). Con lo stesso provvedimento il gip ha disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca dei profitti derivanti dalla bancarotta fraudolenta e dall'utilizzo di false fatturazioni, del complesso aziendale della Eco Industry, di un immobile situato a San Cipirello e di due autovetture di lusso tra cui una Ferrari, per un valore complessivo di oltre 2 milioni e mezzo di euro.

foto e articolo ANSA

sabato 19 giugno 2021

Rifiuti, armi e Sanità: i chi finanzia la Meloni. - Valeria Pacelli e Stefano Vergine

 

Dietro il boom di Fratelli d’Italia.

Più consensi, più soldi. Mano a mano che il partito di Giorgia Meloni s’impone come principale forza della destra (stando ai sondaggi Fratelli d’Italia ha raggiunto la Lega), anche le casse del partito si gonfiano. In via principale, di denaro donato dai suoi eletti, ma anche da tante imprese, alcune con interessi economici nei Comuni e nelle Regioni dove i meloniani governano. Lo dicono i bilanci di Fd’I e lo raccontano nel dettaglio i rendiconti pubblici analizzati da Il Fatto. Nel 2019, quando era al 4% (sondaggio YouTrend di gennaio), il partito erede dell’Msi ha raccolto contributi privati pari a 1 milione di euro. L’anno dopo il pallottoliere ha toccato quota 1,4 milioni (registrando quindi un +40%). Da gennaio ad aprile di quest’anno (ultimi dati disponibili), siamo già a 337mila euro incassati. Tutti contributi leciti e regolarmente dichiarati dal partito.

SANITà. Fd’I piace molto al mondo della sanità privata. Tra i principali finanziatori spicca il Gruppo Villa Maria (Gvm), che nel 2020 ha fatto partire due bonifici per un totale di 50mila euro. Con oltre 3900 dipendenti e 715 milioni di fatturato (dati 2019), quella fondata da Ettore Sansavini è una multinazionale delle cliniche private presente in mezzo mondo, dalla Francia, all’Albania e alla Polonia. Il core business resta però in Italia. “Non abbiamo mai ricevuto alcun favore particolare dalla politica e finanziamo diversi partiti, non solo Fd’I, ma anche ad esempio la Lega e il Pd”, ci ha assicurato Sansavini. Dai rendiconti pubblici dal 2018 in poi non risultano donazioni di Gvm ad altre forze politiche. Bisogna anche dire che nei mesi scorsi il gruppo ha trovato qualche ostilità da parte di esponenti di Fd’I in Regione Lazio. Era marzo 2020 quando Gvm firma un protocollo per la trasformazione dell’Istituto clinico Casal Palocco in centro Covid. Il consigliere regionale Giancarlo Righini chiede spiegazioni alla Regione “sulla scelta di allestire un Ospedale Covid in una piccola clinica privata”. “Chiedevo un dettaglio dei costi. – spiega oggi Righini al Fatto – Ho appreso solo di recente del contributo, ma questo prescinde dalla mia attività di verifica. Sull’Icc di Casal Palocco tornerò a chiedere informazioni”.

Nella lista di donatori ci sono anche altre imprese legate al mondo della sanità. Soprattutto quella marchigiana, dove Fratelli d’Italia è riuscita nel settembre scorso a fare eleggere il suo secondo presidente di Regione, Francesco Acquaroli (il primo, Marco Marsilio, governa dal 2019 l’Abruzzo). C’è ad esempio la Innoliving di Ancona, che ha versato 5 mila euro ad ottobre 2020. Controllata dal russo Andrey Derevyanchenko e da Andrea Falappa, produce in Cina e vende in Italia piccoli elettrodomestici e dispositivi diagnostici. Da ottobre scorso, la società fornisce tamponi rapidi dall’aeroporto delle Marche, di cui la Regione detiene una quota. “L’hub che effettua tamponi presso l’Aeroporto – spiegano dalla Regione Marche – è gestito da un soggetto privato, l’iniziativa non è promossa dalla Regione”. A settembre 2020 a Fd’I sono arrivati poi 4 mila euro da un’altra azienda marchigiana: la Radiosalus, un centro polispecialistico privato. L’azienda, sempre a settembre, ha donato 5mila euro anche al candidato presidente del centro sinistra, Maurizio Mangialardi, sconfitto da Acquaroli.

L’AFFARE ESSELUNGA. Non c’è solo il mondo della sanità. Tra i bonifici più generosi ci sono quelli di Aep, ditta di costruzioni. La donazione a Fd’I – 49.500 euro in totale, versati in due tranche tra settembre e ottobre 2020 – è diventato un caso a Lodi, dove i meloniani sono in maggioranza, con tanto di denuncia in Procura presentata da un gruppo di cittadini e poi archiviata dai pm, che non hanno ravvisato alcun reato. Il motivo delle proteste è che Aep sta costruendo in città un supermercato per Esselunga. Racconta Stefano Caserini, consigliere d’opposizione: “Nel territorio dove si sta costruendo, il piano di governo del territorio (pgt) prevedeva un’area prevalentemente residenziale e direzionale. Poi, dopo che Aep ha acquistato il terreno, in consiglio comunale è stata approvata una variante al pgt per rendere l’area commerciale, e questo con i voti della sola maggioranza di cui fanno parte 5 consiglieri di Fd’I. L’approvazione è avvenuta il 22 settembre 2020, un giorno dopo il primo bonifico al partito da parte di Aep, da 25mila euro. Il 27 settembre e il 4 ottobre Fd’I ha organizzato un banchetto in città a favore della costruzione del supermercato Esselunga. Il 23 ottobre Aep ha fatto l’altro bonifico, da 24.500 euro”. E quindi? “Quindi”, dice Caserini, “non mi sembra normale che un costruttore doni soldi a un partito quando sta portando avanti operazioni urbanistiche in cui i rappresentanti di quel partito sono coinvolti”. Coincidenza. Nello stesso periodo poi Aep ha fatto una donazione da 50mila euro al Comitato Giovanni Toti Liguria. Anche in questo caso c’è di mezzo un nuovo supermercato Esselunga. Come rivelato dal Fatto, Aep era infatti impegnata nella realizzazione di un supermercato a Genova per conto della catena di ipermercati.

ARMI E RIFIUTI. Sottomarini militari venduti alle forze armate di mezzo mondo, comprese quelle italiane. C’è anche il gruppo Drass Srl fra i finanziatori di Fd’I. La storica azienda livornese tra il 2019 e il 2020 ha donato 7.500 euro alla sezione toscana del partito. Tra i prodotti di punta della Drass c’è ad esempio il “sottomarino compatto per acque costiere”.

Tra le aziende donatrici di Fd’I c’è poi la Ecoserdiana, che gestisce una discarica a 20 chilometri da Cagliari e il 17 maggio del 2019 ha versato 6mila euro alla sezione sarda del partito. Altra donazione (in questo caso i dettagli sono raccontati nell’articolo accanto) arriva poi dalla Rida Ambiente Srl, società che gestisce una discarica ad Aprilia (Latina) e che il 7 maggio 2019 ha donato 3.200 euro alla sezionale nazionale del partito. Nei mesi scorsi alcuni dei vertici della Rida Ambiente sono finiti nel mirino dei pm di Roma per traffico illecito di rifiuti. “Il procedimento penale deriva da una denuncia del gruppo Cerroni con il quale non corre buon sangue”, spiega il presidente del Cda Fabio Altissimi, oggi indagato. “Abbiamo dimostrato – aggiunge – che (…) Rida Ambiente non ha guadagnato un euro in più di quanto le spettava in base alla tariffa regionale”.

Associazioni. Fd’I però deve aver fatto colpo anche sul mondo delle associazioni. A luglio del 2020 la Confederazione generale dell’Agricoltura ha versato al partito 2800 euro; Confapi – che riunisce le piccole e medie imprese – ne ha invece donati 4 mila. Altri 12500 euro sono arrivati, a settembre 2020, da Confartigianato imprese Marche.

IlFQ

giovedì 3 dicembre 2020

“Mafie e virus sono fatti l’uno per l’altro. Dallo smaltimento dei rifiuti sanitari all’affare dei farmaci: il business dei clan al tempo del Covid”: il rapporto di Libera. - Manuela Modica

 

Il rapporto dell'associazione antimafia riassume dati, fatti, intercettazioni, che disegnano un quadro chiaro su come la criminalità organizzata abbia già cominciato a trarre profitto dall’emergenza. Numeri raccolti e rielaborati che restituiscono un affresco dell’emergenza dal punto di vista criminale. Don Ciotti: "Covid e clan fatti l'uno per l'altro. È quanto risulta da questo rapporto, una fotografia inquietante del grado dell’infezione mafiosa ai tempi del Covid".

“Col virus si fanno i soldi”. Così parlava lo scorso maggio Salvatore Emolo, sottoposto a sorveglianza speciale per camorra. Ignaro di essere intercettato Emolo chiariva il suo business plan: “In pieno lockdown, aveva trovato una soluzione: il cugino era già il titolare di un’impresa di lavaggio auto con sede a Pesaro, bisognava riadattare l’azienda alle esigenze, trasformandola in una ditta di sanificazioni”. È solo un esempio di come l’emergenza scatenata dal Covid sia diventata un’occasione per la criminalità organizzata, “l’altro virus” che si muove parallelo all’epidemia. “Mafiavirus“, lo ha definito don Luigi Ciotti, il fondatore dell’associazione antimafia Libera che con la rivista Lavialibera ha appena pubblicato un rapporto sulla pandemia e la criminalità organizzata, dal titolo: “La tempesta perfetta. Le mani della criminalità organizzata sulla pandemia”. “Mafie e Covid: fatti l’uno per l’altro. È quanto risulta da questo rapporto, una fotografia inquietante del grado dell’infezione mafiosa ai tempi del Covid. Fotografia che si è potuta sviluppare grazie alla camera non oscura ma chiara, trasparente, luminosa della condivisione e della corresponsabilità”, commenta Ciotti, descrivendo il dossier.

Sei interdittive antimafia al giorno – Sono 48 pagine di dati, fatti, intercettazioni come quella di Emolo, che disegnano un quadro chiaro su come la criminalità organizzata abbia già cominciato a trarre profitto dall’emergenza. Dati raccolti e rielaborati che restituiscono un affresco dell’emergenza dal punto di vista criminale: “Le attività investigative di Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri e Guardia di Finanza insieme alle procure, le direzioni distrettuali e la Procura Nazionale Antimafia tra penali e amministrative, hanno portato all’apertura di oltre tremila fascicoli di indagine, tutti con il codice Covid-19”. Tremila inchieste col nome della pandemia che ha acceso gli appetiti di camorra, ‘ndrangheta e Cosa nostra. Mentre nei primi nove mesi dell’anno il ministero dell’Interno ha registrate ben 1.637 interdittive antimafia, alla media di 181 al mese, sei provvedimenti al giorno. D’altronde si tratta di un’emergenza sanitaria, lì dove con “emergenza” si crea il contesto ideale per l’eccezione alla regola, ovvero per ottenere appalti legati alla distribuzione di presidi medicali ma anche allo smaltimento dei rifiuti speciali ospedalieri. E lo smaltimento di rifiuti, è ben noto, è da sempre nel mirino della criminalità organizzata, camorra in primis. La sanità è uno “strumento di consenso di cui si serve molto anche la politica, visto che spesso condiziona le nomine, dai primari ai vertici di ospedali e aziende sanitarie”, ricorda il report.

L’affare dello smaltimento di rifiuti sanitari – Secondo un calcolo dell’Anac tra il 1° marzo e il 9 aprile sono stati spesi 2.277 miliardi di fondi pubblici per l’acquisto di mascherine (23%), camici e altri dispositivi di protezione individuale (32%), respiratori polmonari (23%), tamponi (5%) e altro. Una tavola molto più che ghiotta che riguarda anche le opere di ristrutturazione delle Rsa, dove non mancheranno assegnazione di appalti e forniture di dispositivi sanitari. Una tavola che fa gola soprattutto alla ‘ndrangheta: “Certo, ora abbiamo la necessità di smaltire enormi quantità di rifiuti sanitari. Si tratta di materiali pericolosi, che hanno come unica destinazione l’inceneritore. Vorrei che ci fosse una maggiore tracciabilità, perché da tempo la criminalità è interessata al settore”, spiega il procuratore aggiunto, Alessandra Dolci, capo della Direzione distrettuale antimafia di Milano, che ha lanciato l’allarme sugli interessi della ‘ndrangheta legati all’emergenza sanitaria. I numeri spiegano di che interessi si tratta: dal 1° marzo al 27 novembre – ricorda il report di Libera e Lavialibera – sono state distribuite dalla Protezione Civile 2.012.798.391 mascherine sanitarie. Tutte da smaltire negli inceneritori una volta utilizzate. Perfino il Financial Times aveva rilevato che “alcune imprese del settore sanitario legate alla ‘ndrangheta hanno ceduto le fatture non pagate dalle aziende sanitarie pubbliche a intermediari per recuperare crediti; a loro volta gli intermediari hanno ceduto le fatture non pagate a società finanziarie che hanno creato ‘strumenti di debito‘ venduti agli investitori di tutto il mondo. Le inefficienze della sanità pubblica e gli affari delle mafie sono entrati così nel mercato finanziario globale”.

Le mani dei clan sui farmaci – E ora che siamo vicini ad una svolta, le mafie non saranno impreparate: solo poche settimane fa l’Agenzia delle dogane avvertiva sul rischio di immissioni di vaccini pericolosi. D’altronde anche il capo della Polizia Franco Gabrielli aveva evidenziato: “Pensate solo all’attenzione che c’è per la ricerca di nuovi vaccini, di strutture per l’accoglienza dei pazienti o per i dispositivi di protezione individuale. Oltre a tutta la partita sui farmaci per curare le malattie: alcuni valgono più dell’oro”. E questo è il Covid-19 per la criminalità organizzata: oro. “Con i farmaci faremo 100 milioni l’anno”. “Giovà…, gli antitumorali gli ospedali li comprano a mille, e nell’Inghilterra li vendono a 5 mila. Quindi tu compri a mille e vendi a 5 mila, e così guadagni 4 mila euro l’uno. Allora se noi entriamo con due ospedali, che ti danno 10 farmacie…”. Sono le parole del boss della ‘ndrangheta Grande Aracri. Il “nuovo business”, come lo ha definito Aracri al quale non poteva mancare la mafia.

Il boom dei reati spia: riciclaggio e usura – Dalla Calabria alla Sicilia: “Sorella sanità è il nome dell’inchiesta della Guardia di Finanza di Palermo che il 20 maggio scorso ha svelato il sistema costituito da Fabio Damiani e Antonino Candela. – ricordano nel Report -. L’inchiesta della Finanza riguarda un sistema di mazzette attorno a quattro appalti della sanità siciliana. Gare, per un valore totale di 600 milioni di euro”. Eppure Cosa nostra siciliana pare retrocedere nel grande affare del Covid: l’isola registra solo 178 interdittive e risulta quarta, dietro l’Emilia Romagna, che ne registra 218. Una regione del centro-nord che arriva terza dopo Campania che raggiunge quota 468 interdittive e Calabria con 343, in calo rispetto all’anno precedente. Ma la porta d’ingresso più pericolosa nell’economia da parte della criminalità organizzata – dopo il periodo di lockdown per contrastare il Coronavirus – è costituita dai mercati finanziari. I ricercatori della Banca d’Italia hanno tracciato le operazioni sospette: sono 53.027, in aumento (+3,6 per cento) rispetto al 2019. E, manco a dirlo, “la crescita complessiva del semestre è determinata dalle segnalazioni di riciclaggio, in aumento rispetto al primo semestre del precedente anno (+4,7 per cento)”. Secondo i dati elaborati dal rapporto di Libera e Lavialibera, poi, le operazioni sospette di riciclaggio hanno dato questo risultato: “Trentino col 47 percento, Lazio col 38, Sardegna con 37, Calabria col 17,8, Val D’Aosta 14,1, Campania, 9,7”. A conferma di una sempre maggiore operatività della criminalità organizzata nelle regioni del Nord. La crisi economica, tradotta praticamente in una mancanza di liquidi nelle tasche degli italiani, ha creato l’humus perfetto per l’acquisizione di società in difficoltà, trasformando l’emergenza in occasione propizia per riciclare denaro sporco. E tra i reati contro il patrimonio, l’usura è “l’unico reato che ha fatto registrare un aumento. Da sempre l’usura è uno dei reati spia quale indicatore significativo dell’operatività dei gruppi criminali e del controllo mafioso sul territorio”, sottolineano nel rapporto.

Crescono i reati online – Tutti chiusi in casa da marzo a maggio: ecco l’occasione per l’aumento dei crimini online: “Solo nei primi quattro mesi dell’anno in corso si sono registrati un totale di transazioni fraudolente pari ad oltre 20 milioni di euro in costante ed ulteriore ascesa… un aumento del 600 per cento nel numero di email di phishing in tutto il mondo, con sfruttamento di temi correlati al Coronavirus per raggirare persone fisiche ed aziende”. Un fenomeno che non ha limiti geografici, come rivelava l’Fbi, la scorsa primavera: “Il numero di segnalazioni di crimini informatici ricevute dall’agenzia sia più che triplicato durante la pandemia da Coronavirus”. Ma se non si può uscire come va avanti il traffico di droga? Basta aggiornare i modelli di trasporto, le rotte del traffico e i metodi di occultamento alle limitazioni imposte dalla pandemia. È così che in Spagna tra marzo e aprile sono state sequestrate 14 tonnellate di droghe: “Sei volte la quantità scoperta nello stesso periodo del 2019, altre 18 tonnellate in Belgio – sei in più dell’anno scorso, e 4,5 in Olanda (fonte Europol)”. Niente che sorprenda gli italiani: il 70 percento ritiene che della spinta dell’emergenza Covid la corruzione in Italia si stia diffondendo ancora di più, come rivela l’indagine condotta da Demos per Libera dal 10 al 13 novembre scorso.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/12/02/mafie-e-virus-sono-fatti-luno-per-laltro-dallo-smaltimento-dei-rifiuti-sanitari-allaffare-dei-farmaci-il-business-dei-clan-al-tempo-del-covid-il-rapporto-di-libera/6024186/

venerdì 7 agosto 2020

Incompetenza e omissioni, in Sicilia la gestione dei rifiuti sembra la “Disneyland” della mafia. - Giuseppe Lo Bianco

Incompetenza e omissioni, in Sicilia la gestione dei rifiuti sembra la “Disneyland” della mafia

La commissione antimafia della regione segnala una lunga lista di omertà, disattenzioni e sottovalutazioni da parte di politici e tecnici. L'assessorato all'Ambiente in mano a dirigenti incompetenti pilotati dagli interessi dei proprietari delle discariche. "Gestione approssimativa e improvvisata, senza alcuna pianificazione".
Rossana Interlandi, Giuseppe Sorbello e Mario Milone si sono alternati al vertice dell’assessorato siciliano Ambiente, ma le variazioni miliardarie di cubatura dei rifiuti che hanno riempito le tasche dei ras delle discariche siciliane decise in quelle stanze, i primi due le hanno apprese dai giornali, il terzo “non l’ha ritenuto importante’’. Il direttore Gaetano Gullo, morto due anni fa, ha ammesso la propria totale incompetenza (“sono stato nominato d’emblée, sono arrivato nel 2013 al dipartimento Ambiente, materia che peraltro non avevo mai affrontato e alquanto complessa. Il codice è di 650 pagine. Riuscire a digerirlo richiede tempo”). Un altro direttore, Sergio Gelardi, ha preferito dare di sé l’immagine di un’Alice nel Paese delle Meraviglie della gestione rifiuti: “Non ero adeguato ed ero stato messo lì in quanto soggetto inadeguato – ha detto – però non ho avuto mai impressione che ci fossero degli affairs sul tema rifiuti’’. E quando Fava gli ha replicato che non era credibile che non si fosse accorto di nulla, Gelardi ha candidamente replicato: “la sincerità mi porta anche a denigrare la mia intelligenza”.
Il governatore Nello Musumeci ha definito nei giorni scorsi i dipendenti regionali per l’80 per cento “gratta pancia”, ma dalle 170 pagine della relazione della commissione regionale antimafia presieduta da Fava sui rifiuti viene fuori un campionario di omertà, distrazioni, omissioni e sottovalutazioni di politici e burocrati regionali preposti alla gestione dei rifiuti con il risultato di far evaporare ogni responsabilità che hanno fatto scrivere a Fava: “per anni i processi decisionali del governo regionale sono stati dettati da una sorta di regia esterna, nonostante la presenza in giunta di nomi autorevoli sul fronte della legalità. Si è, inoltre, provveduto a gestire un settore strategico come quello dei rifiuti senza attuare alcuna pianificazione, ma in maniera del tutto approssimativa ed improvvisata, con evidenti ripercussioni negative su tutto il territorio”.
Una sorta di Disneyland (come l’ha definita lo stesso Fava) siciliana del controllo burocratico sulla raccolta indifferenziata infiltrata dalla mafia, dove da oltre vent’anni, oltre dieci dei quali in regime commissariale, va in scena l’emergenza rifiuti che inghiotte miliardi di euro, tra costi esorbitanti, impianti rimasti incompiuti, differenziata decollata in ritardo, scelte mai adottate, rischi pesantissimi di inquinamento ambientale e nuove voragini nei conti pubblici. Tra il 2009 e il 2011, ha accertato la commissione Fava, il governo autonomista di Raffaele Lombardo amplia cinque discariche: una pubblica, a Bellolampo, sopra Palermo, le altre quattro private: a Siculiana (Agrigento), gestita dalla famiglia Catanzaro, a Lentini (Siracusa) della famiglia Leonardi (Sicula Trasporti), nel catanese, tra Misterbianco e Motta della famiglia Proto (Oikos) e a Mazzarrà Sant’Andrea, nel messinese, già di proprietà della società in liquidazione Tirreno Ambiente.
Autorizzazioni per circa un miliardo e 200 milioni di euro gestite, ha raccontato Sergio Gelardi, senza porsi il problema dell’impatto ambientale, senza alcuna valutazione strategica, “apponendo una firmetta”: “facevo passare quello che vedevo firmato da Zuccarello (Natale, ingegnere responsabile del servizio Via/Vas, ndr), poi l’ho saputo dopo che di fatto Zuccarello faceva passare tutto quello che gli portava Cannova”. Quest’ultimo, condannato a 9 anni per corruzione insieme con uno dei proprietari della Oikos, destinatario “di regalie (spese di viaggio e di soggiorno per lui e la famiglia in hotel) e somme di denaro e in più di un’occasione anche all’organizzazione di incontri con prostitute”, era definito dai colleghi un “ruba galline”: “Lo definivamo ‘ruba galline’ – dice Antonio Patella, dirigente del dipartimento acqua e rifiuti – perché avevamo l’impressione che fosse uno che si prendesse la tangente, però non si immaginava una cosa di questa portata…”. E quando l’ennesimo assessore, Mariella Lo Bello, decide di cacciare “160 dipendenti, sia quelli chiaccherati, che quelli che stavano nelle stanze dei chiaccherati’’ viene smentita da uno dei dirigenti, Giovanni Arnone: erano 100 i trasferiti, ha detto alla commissione, ma “non si parlò di chiacchierati! Chi erano questi chiacchierati? Di questo non è stata fatta assolutamente menzione, né in via formale, né in via informale. Completamente”.
Rifiuti come patate.
Per vigilare sulle scelte e sorvegliare le procedure a novembre del 2014 al vertice dell’assessorato Ambiente arriva un pm della Procura di PalermoVania Contraffatto. E al dirigente Domenico Armenio chiede i criteri di ripartizione dei rifiuti in discarica: “vado in Assessorato, lo chiamo immediatamente, lo convoco in stanza e gli dico ‘scusa, Armenio, me lo dici secondo quale criterio tu decidi che tot va in questa discarica, tot va in quell’altra discarica e gli altri invece se lo tengono a casa? Io avevo una busta davanti, prende questa busta, cioè un foglio A4, la gira dall’altra parte e con la penna inizia a dire ‘cinquecento vanno qua, quattrocento vanno qua, mille vanno qua…’. Io ho detto ‘scusa, ma stiamo parlando di patate? Non l’abbiamo un piano? Non c’era niente, Presidente, assolutamente niente. Questo dirigente gestiva improvvisando”.
Il pm a Crocetta: “Continua così e finirai in prigione”
In quel periodo, dice la Contraffatto alla commissione, “Crocetta (presidente della Regione, ndr) mi esautorò del tutto… veniva in assessorato e si andava a sedere al decimo piano nella stanza del dirigente generale e lì faceva le riunioni, come se fosse lui il dirigente generale”. Al punto che il suo nuovo dirigente, Maurizio Pirillo, era “uno che eseguiva quello che gli diceva Crocetta e basta, senza valutare se le cose si potevano fare, non si potevano fare… fino a quando poi alzavo il telefono, chiamavo Crocetta e gli dicevo che, continuando su questa strada, sarebbe andato a finire in prigione… e che venga arrestato un Presidente della Regione mentre ci sono io come suo assessore che quantomeno due cose di diritto le so e cerco di metterti in guardia…”.

venerdì 14 giugno 2019

Traffico rifiuti Latina-Roma, compost irregolare interrato nei campi: “Danni irrimediabili per ambiente e salute pubblica”. - Vincenzo Bisbiglia e Marco Pasciuti

Traffico rifiuti Latina-Roma, compost irregolare interrato nei campi: “Danni irrimediabili per ambiente e salute pubblica”

La Società Ecologica Pontina, al centro dell'inchiesta della Dda di Roma che vede indagate 23 persone, avrebbe venduto a cinque aziende agricole fertilizzante nel quale i rifiuti organici venivano triturati con scarti di ogni tipo: vetro, plastica, metalli vari. Perfino siringhe. E quelle lo interravano nei loro campi su cui sono coltivati "olivi e granturco e sono attigui ad altre piantagioni". Un sistema con il quale in 4 anni la società avrebbe smaltito 57mila tonnellate di rifiuti speciali.

Qua come c’è un po’ di caldo ci facciamo male”. Perché quella roba puzza, crea percolato nei capannoni e continua a “fumare”, anche quando viene trasportata e stesa sui terreni agricoli. Meglio interrarla nei campi, pagando i proprietari. Pazienza se si creano “danni irrimediabili e devastanti per l’ambiente e la salute pubblica”. Il problema, ai titolari del gruppo Sep srl, Società Ecologica Pontina, non interessa. Tanto da cedere a diverse aziende dell’Agro pontino il loro compost farlocco, certificato da analisi chimiche falsate, nel quale ai rifiuti organici venivano mischiati scarti di ogni tipo: vetro, plastica, metalli vari. Perfino siringhe. Pagando i proprietari perché se lo prendessero, per risparmiare sullo smaltimento. E i proprietari dei campi lo seppellivano e poi ci coltivavano “olivi e granturco”.

Sono inquietanti i risvolti dell’indagine della Dda di Roma sulla società di smaltimento rifiuti – fra le principali del Lazio – secondo gli inquirenti gestita “in maniera occulta” anche dal dirigente della Regione Lazio, Luca Fegatelli. Una “condotta criminale” che, secondo quanto emerge dalla lettura del decreto di sequestro preventivo emanato dal Tribunale di Roma, “andava avanti da anni”.

La Sep è autorizzata da Provincia e Regione a gestire 50mila tonnellate l’anno di rifiuti per produrre quello che in gergo tecnico è definito “ammendante compostato misto“, materiale ricavato dalla lavorazione della frazione umida degli scarti urbani, degli avanzi dell’industria agroalimentare e dei fanghi di depurazione biologica (la parte solida contenuta nelle acque reflue), che in genere viene venduto alle aziende agricole e utilizzato come fertilizzante in campagna. Ma questo lavoro l’azienda di Pontinia lo fa male, non rispetta le leggi e nel compost, insieme all’umido che arriva dai Comuni della provincia, tritura plastica, vetri e metallo sminuzzando tutto in particelle superiori ai 2 millimetri. Producendo, cioè, una “sostanza qualificabile a tutti gli effetti come rifiuto” che andrebbe smaltita in discarica “e non certo idoneo (anzi nocivo) allo spargimento come fertilizzante sui terreni agricoli”.

Il che è proprio quello che fa la Sep che, secondo la Dda, cede il suo compost fuorilegge a cinque aziende agricole della zona. Siccome, però, sprigiona un “nauseabondo olezzo di spazzatura simile a quello proveniente dalle discariche ufficiali”, il materiale non può essere semplicemente sparso sui campi come falsamente attestato dai documenti di accompagnamento, ma va seppellito in buche profonde scavate con le pale meccaniche e ricoprendo tutto. Un lavoro di interramento svolto “in quantità tali da alterare morfologia, composizione e persino temperatura del terreno, con danni irrimediabili e devastanti per l’ambiente e la salute pubblica, atteso che tali appezzamenti sono poi destinati alla coltivazione”. 

Siti da bonificare, la mappa del Consorzio Italbiotec: “Oltre 12mila potenzialmente inquinati”. Gli interventi? Vanno a rilento. Danni di cui i titolari della Sep, indagati insieme ad altre 21 persone, sanno perfettamente. “Guardi, noi qui facciamo smaltimento illecito di rifiuti”, dice il 15 marzo 2018 il titolare intercettato nella sua auto, raccomandando al suo interlocutore, non identificato, “di stare attento a non parlare molto perché all’interno del veicolo potrebbero esserci delle microspie”, annotano i magistrati. Soprattutto erano compiacenti i tecnici di tre laboratori, uno di Napoli, uno di Pomezia e uno di Isola del Liri, nel frusinate, che falsificavano le analisi dichiarando la compatibilità di legge del compost nonostante questo avesse percentuali di “impurità” di gran lunga superiori al consentito.

Consapevoli, per i pm, sono anche i titolari delle cinque aziende agricole distribuite tra Sabaudia, Cori, Maenza, Pontinia e Roma. Perfettamente al corrente, secondo i magistrati, di ciò che veniva scaricato nei loro terreni, al punto che non solo non pagavano il compost ma venivano addirittura remunerati dalla Sep per prenderselo. Ed è proprio dall’odore sprigionato dai rifiuti interrati in un terreno tra Aprilia e Ardea è partita l’indagine della Dda, nata dall’accorpamento di altri sei procedimenti a carico della Sep, che ha portato alla luce un sistema tanto oliato al punto che, scrive il gip Claudio Carini, in quattro anni l’azienda ha sversato nei campi strappati alla palude negli anni ’30 del secolo scorso almeno 57mila tonnellate di rifiuti speciali classificati come non pericolosi. Anche in terreni su cui sono coltivati “olivi e granturco e sono attigui ad altre piantagioni – hanno specificato gli investigatori in conferenza stampa a Roma – il rischio che tramite le falde acquifere questo materiale possa aver inquinato le coltivazioni c’è ed è reale”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/06/14/traffico-rifiuti-latina-roma-compost-irregolare-interrato-nei-campi-danni-irrimediabili-per-ambiente-e-salute-pubblica/5253922/

mercoledì 12 giugno 2019

300mila euro per bloccare l’inchiesta di Fanpage: si è dimesso il consulente del ministero dell’Ambiente. - Luisiana Gaita e Giuseppe Pietrobelli

300mila euro per bloccare l’inchiesta di Fanpage: si è dimesso il consulente del ministero dell’Ambiente

Fabrizio Ghedin ha offerto soldi per depotenziare lo scoop di Biazzo sugli affari di un'azienda di compost. È anche lo spin doctor della sottosegretaria leghista Vannia Gava, che ha accettato subito il passo indietro. Da Forza Italia alla Lega, fino alle società che si occupano di ambiente: ecco chi è il comunicatore veneto.

A poche ore dalla pubblicazione dell’inchiesta condotta dal team Backstair di Fanpage.it sulla Sesa, la società dei rifiuti del Comune di Este, Fabrizio Ghedin, che per la società in questione è responsabile delle relazioni esterne, si è dimesso dal suo incarico istituzionale di consulente per la comunicazione del governo in materia ambientale. Ghedin era infatti lo spin doctor della sottosegretaria leghista Vannia Gava. Le sue dimissioni sono state accettata dalla sottosegretaria, che ha chiesto al capo gabinetto del ministero di revocare la collaborazione con effetto immediato.

300MILA EURO PER FERMARE L’INCHIESTA – Una inchiesta nell’inchiesta quella di Fanpage.it che stava già lavorando a un servizio sul business del compost in Veneto, quando la direzione del giornale si è vista avanzare una proposta dallo stesso Ghedin. L’ex consulente del governo aveva proposto un investimento pubblicitario da 300mila euro (100mila all’anno) in cambio della possibilità di poter visionare l’inchiesta prima che fosse pubblicata e di “completarla” insieme. E commentando: “L’importante è che non ci rompete troppo le palle, capito?”. È accaduto nel corso di un incontro al quale Fanpage.it si è presentata con le telecamere nascoste. Come sottolineato dal giornale, inoltre, l’incarico istituzionale di Ghedin “da 40mila euro di soldi pubblici” gli era stato affidato “anche in considerazione di una attestazione di assenza di conflitto di interessi che aveva dovuto presentare al Ministero“.
LE SOCIETÀ E LA LEGA – All’incontro con la direzione del giornale aveva partecipato anche il socio privato di SesaAngelo Mandato, al capo di diverse società attive nel settore dei rifiuti, guidate dalla holding Finam. E l’inchiesta mostra alcuni collegamenti tra queste società e la Lega di Matteo Salvini. Della Bionam di Pordenone, ad esempio, che produce energia pulita tramite il recupero dei rifiuti che arrivano dalla differenziata è stato vicepresidente fino a qualche settimana prima delle elezioni europee il senatore trevigiano della Lega Gianpaolo Vallardi, oggi presidente della Commissione agricoltura del Senato. E poi c’è la Biogreen, un’azienda agricola che produce biomasse in Veneto (tramite la ‘Vallette’ Mandato ne detiene l’80%) e che nell’inverno del 2018 ha donato alla Lega 30mila euro.
IL COMMENTO DI MORRA – Sul caso è intervenuto anche Nicola Morra, presidente della Commissione Antimafia. “Parliamo tanto di corruzione in procedure pubbliche, ma poco di corruzione nei confronti di giornalisti per bloccare inchieste scomode” ha detto, sottolineando che “i giornalisti di Fanpage non solo hanno realizzato un reportage necessario, ma dimostrato e documentato la loro integrità morale”.
CHI È FABRIZIO GHEDIN. Tornando all’inchiesta di Fanpage.it, c’è da dire che il dimissionario Fabrizio Ghedin ha un lungo curriculum come addetto stampa e alla comunicazione per parlamentari, sindaci e consiglieri comunali veneti, attività svolta prima di buttarsi a capofitto nel settore ambientale. Per inquadrare l’attività del personaggio bisogna sfogliare un album politico, tutto rigorosamente di centrodestra, che comincia una dozzina di anni fa. Nato a Monselice nel 1971, è in possesso della maturità scientifica, è iscritto all’Ordine dei giornalisti del Veneto e ha allenato la squadra di pallamano del Malo che ha militato in Serie A1. Dopo aver collaborato con alcuni quotidiani, dal 2004 al 2008 è stato addetto stampa del Comune di Monselice, quando il sindaco era il pediatra Fabio Conte di Forza Italia. Inoltre, dal 2001 al 2010 è stato addetto stampa del coordinamento regionale di Forza Italia, quando ancora regnava il doge Giancarlo Galan e il partito aveva in mano le leve del potere in Veneto. Questa scelta di campo lo ha portato, di conseguenza, ad occuparsi, dal 2006 al 2008, di comunicazione per l’onorevole Lorenza Milanato, che partendo dall’attività nello staff di Galan, è stata per cinque legislature deputata di Forza Italia e del Popolo della libertà. Ghedin nello stesso biennio è stato collaboratore per la comunicazione dell’Ufficio di presidenza della Camera. Per quattro anni, dal 2006 al 2009, ha fatto l’addetto stampa di Giustina Mistrello Destro, forzista convinta, amica di Silvio Berlusconi, imprenditrice, sindaco di Padova (1999-2004) e deputato dal 2006 al 2013.
DA FORZA ITALIA ALLA LEGA: LA MIGRAZIONE DEL COMUNICATORE. In corso d’opera ecco il viraggio verso la Lega. È stato infatti addetto stampa dell’onorevole Paola Goisis, che nel 2008 venne eletta deputato per il Carroccio e che poi tentò inutilmente di diventare sindaco di Este. Ma nel frattempo, si era occupato della campagna elettorale di Marco Marin, che nel 2009 si candidò per fare il sindaco di Padova, fu sconfitto, ma in seguito divenne parlamentare per due legislature (ora è senatore in carica) e coordinatore regionale di Forza Italia. Ulteriore viraggio nel 2012, quando si occupò come addetto stampa della deputata padovana Gessica Rostellato, eletta alla Camera per i Cinquestelle, poi uscita dal movimento assieme a un gruppetto che fondò il gruppo Alternativa Libera, quindi approdata addirittura al Partito Democratico, votando nel 2015 la fiducia al governo Renzi. Uomo capace di tenere relazioni nel mondo politico padovano, Ghedin si occupa nel 2014 della campagna elettorale di Maurizio Saia, che viene dalla destra ed è stato deputato e senatore per Alleanza Nazionale e il centrodestra, fino a candidarsi a sindaco di Padova nel 2014. Allora Saia prese solo il 10 per cento, ma poi entrò nella giunta del leghista Massimo Bitonci, attuale sottosegretario all’economia e presidente della Liga Veneta – Lega Nord. Ghedin, nel curriculum vitae, scrive anche di essere stato “collaboratore nella campagna elettorale per MassimoBitonci”.
NEL 2015 IL PASSAGGIO ALLE SOCIETA’ CHE SI OCCUPANO DI AMBIENTE. Dal 2015 è passato dalla politica in senso stretto, alle società che si occupano di ambiente e gestione delle risorse. Cura comunicazione e relazioni con enti istituzionali per BiomanSnuaGestione Ambiente scarl (gestore del servizio di igiene urbana per il consorzio Padova Sud) e Sesa (controllata per il 51 per cento dal Comune di Este). L’ultimo impegno che ha assunto è quello di consulente di Vannia Gava, leghista di Pordenone che dal giugno 2018 è sottosegretario all’Ambiente. Ed è proprio da questo incarico (retribuito con 40 mila euro all’anno) che si è dimesso. Ma la sua mail, fino a ieri, era quella di … @minambiente.it.

domenica 25 novembre 2018

Veneto, sequestrate 2 cave con 280mila tonnellate di rifiuti: “Erano contaminati, li miscelavano per fare lavori stradali”. - Giuseppe Pietrobelli

Veneto, sequestrate 2 cave con 280mila tonnellate di rifiuti: “Erano contaminati, li miscelavano per fare lavori stradali”

Secondo la Dda di Venezia, dopo anni di indagini condotte dalla Guardia di finanza e dai carabinieri forestali, le società che gestivano i siti 'depuravano' l'immondizia contaminata da metalli pesanti e amianto grazie alla miscelazione con altri rifiuti. E invece di smaltirla, la utilizzavano poi nell'edilizia o nelle grandi opere stradali. L'accusa è traffico illecito di rifiuti.

Non è facile immaginare 280mila tonnellate di materiale. E neppure diecimila tir, allineati uno dietro all’altro, necessari per trasportare montagne di rifiuti. La Direzione distrettuale antimafia di Venezia, dopo due anni di indagini coordinate dal pubblico ministero Giorgio Gava e condotte dalla Guardia di finanza e dai carabinieri forestali, ha chiesto e ottenuto il sequestro di due cave, riempite di immondizia. Si trovano a Noale, in provincia di Venezia, e a Paese, in provincia di Treviso.
In quest’ultima località il territorio comunale è stato trasformato in un autentico gruviera dallo scavo di cave nel corso dei decenni. Una di queste ospita una delle due discariche finite sotto sequestro perché il materiale contaminato da metalli pesanti e da amianto, sarebbe stato utilizzato per sottofondi stradali. Una procedura che avrebbe dovuto prevedere la pulizia. Invece, grazie alla miscelazione con altri rifiuti provenienti dal Veneto e dalle regioni vicine, vi sarebbe stato l’utilizzo per lavori stradali.
La competenza della procura distrettuale è scattata a causa dei reati ambientali connessi al traffico illecito di rifiuti. Le due discariche sono utilizzate dalla società Cosmo Ambiente di Noale, che è specializzata nel recupero e nello smaltimento di rifiuti speciali pericolosi nonché nella realizzazione di discariche e manufatti in calcestruzzo. I responsabili della società risultano indagati da un anno. A suo tempo vennero effettuate perquisizioni che sono servite ad acquisire i documenti riguardanti la movimentazione dei rifiuti e il loro eventuale utilizzo per lavori stradali.
Sono poi stati eseguiti campionamenti e verifiche sulla composizione dei rifiuti. E così si è chiuso il cerchio attorno a un impianto di trattamento a Noale, dove sono stoccate circa 80mila tonnellate, e alla cava Campagnole in località Padernello di Paese, dove si trova il quantitativo più imponente, circa 200mila tonnellate. Questa cava è di proprietà della ditta Canzian, ma è stata data in concessione alla Cosmo. Sono centinaia le aziende del Nord Est – e non solo – che vi trasportano rifiuti inquinati e contaminati.
Secondo gli investigatori – hanno operato anche i tecnici dell’Arpav – non sarebbe stato rispettato l’obbligo di trattare i rifiuti, eliminando amianto e metalli pesanti come rame, nichel, piombo e selenio. Vi sarebbe stata una semplice miscelazione con altri rifiuti, meno inquinati, così da ridurre la percentuale di contaminazione. Sarebbero stati poi aggiunti calce e cemento per produrre un amalgama da utilizzare nell’edilizia o nelle grandi opere stradali. Il provvedimento di sequestro è stato firmato dal gip Luca Marini. Le inchieste proseguono per verificare quale sia stato e dove sia avvenuto l’utilizzo del materiale.
Il gruppo Cosmo è il frutto dell’evoluzione di un’impresa familiare fondata più di cinquant’anni fa da Gino Cosmo. Oltre a Cosmo Ambiente, comprende Cosmo Scavi e Cosmo Servizi Ambientali. Tra i lavori effettuati, vi sono il Passante di Mestre, il casello autostradale di Noventa di Piave, l’aeroporto Marco Polo di Venezia e il parco San Giuliano di Mestre.
Mentre la sede centrale è a Noale, la discarica di Paese si trova in provincia di Treviso. Quest’ultima località conta la bellezza di 29 cave, che ne fanno il Comune più scavato della Marca. In una decina di casi le cave sarebbero a diretto contatto con la falda, in una zona ambientale particolarmente sensibile, perché a pochi chilometri vi sono le sorgenti del fiume Sile, costituite da risorgive, in un’area di grande bellezza naturalistica.
Fonte: ilfattoquotidiano del 23 novembre 2018