La commissione antimafia della regione segnala una lunga lista di omertà, disattenzioni e sottovalutazioni da parte di politici e tecnici. L'assessorato all'Ambiente in mano a dirigenti incompetenti pilotati dagli interessi dei proprietari delle discariche. "Gestione approssimativa e improvvisata, senza alcuna pianificazione".
Rossana Interlandi, Giuseppe Sorbello e Mario Milone si sono alternati al vertice dell’assessorato siciliano Ambiente, ma le variazioni miliardarie di cubatura dei rifiuti che hanno riempito le tasche dei ras delle discariche siciliane decise in quelle stanze, i primi due le hanno apprese dai giornali, il terzo “non l’ha ritenuto importante’’. Il direttore Gaetano Gullo, morto due anni fa, ha ammesso la propria totale incompetenza (“sono stato nominato d’emblée, sono arrivato nel 2013 al dipartimento Ambiente, materia che peraltro non avevo mai affrontato e alquanto complessa. Il codice è di 650 pagine. Riuscire a digerirlo richiede tempo”). Un altro direttore, Sergio Gelardi, ha preferito dare di sé l’immagine di un’Alice nel Paese delle Meraviglie della gestione rifiuti: “Non ero adeguato ed ero stato messo lì in quanto soggetto inadeguato – ha detto – però non ho avuto mai impressione che ci fossero degli affairs sul tema rifiuti’’. E quando Fava gli ha replicato che non era credibile che non si fosse accorto di nulla, Gelardi ha candidamente replicato: “la sincerità mi porta anche a denigrare la mia intelligenza”.
Il governatore Nello Musumeci ha definito nei giorni scorsi i dipendenti regionali per l’80 per cento “gratta pancia”, ma dalle 170 pagine della relazione della commissione regionale antimafia presieduta da Fava sui rifiuti viene fuori un campionario di omertà, distrazioni, omissioni e sottovalutazioni di politici e burocrati regionali preposti alla gestione dei rifiuti con il risultato di far evaporare ogni responsabilità che hanno fatto scrivere a Fava: “per anni i processi decisionali del governo regionale sono stati dettati da una sorta di regia esterna, nonostante la presenza in giunta di nomi autorevoli sul fronte della legalità. Si è, inoltre, provveduto a gestire un settore strategico come quello dei rifiuti senza attuare alcuna pianificazione, ma in maniera del tutto approssimativa ed improvvisata, con evidenti ripercussioni negative su tutto il territorio”.
Una sorta di Disneyland (come l’ha definita lo stesso Fava) siciliana del controllo burocratico sulla raccolta indifferenziata infiltrata dalla mafia, dove da oltre vent’anni, oltre dieci dei quali in regime commissariale, va in scena l’emergenza rifiuti che inghiotte miliardi di euro, tra costi esorbitanti, impianti rimasti incompiuti, differenziata decollata in ritardo, scelte mai adottate, rischi pesantissimi di inquinamento ambientale e nuove voragini nei conti pubblici. Tra il 2009 e il 2011, ha accertato la commissione Fava, il governo autonomista di Raffaele Lombardo amplia cinque discariche: una pubblica, a Bellolampo, sopra Palermo, le altre quattro private: a Siculiana (Agrigento), gestita dalla famiglia Catanzaro, a Lentini (Siracusa) della famiglia Leonardi (Sicula Trasporti), nel catanese, tra Misterbianco e Motta della famiglia Proto (Oikos) e a Mazzarrà Sant’Andrea, nel messinese, già di proprietà della società in liquidazione Tirreno Ambiente.
Autorizzazioni per circa un miliardo e 200 milioni di euro gestite, ha raccontato Sergio Gelardi, senza porsi il problema dell’impatto ambientale, senza alcuna valutazione strategica, “apponendo una firmetta”: “facevo passare quello che vedevo firmato da Zuccarello (Natale, ingegnere responsabile del servizio Via/Vas, ndr), poi l’ho saputo dopo che di fatto Zuccarello faceva passare tutto quello che gli portava Cannova”. Quest’ultimo, condannato a 9 anni per corruzione insieme con uno dei proprietari della Oikos, destinatario “di regalie (spese di viaggio e di soggiorno per lui e la famiglia in hotel) e somme di denaro e in più di un’occasione anche all’organizzazione di incontri con prostitute”, era definito dai colleghi un “ruba galline”: “Lo definivamo ‘ruba galline’ – dice Antonio Patella, dirigente del dipartimento acqua e rifiuti – perché avevamo l’impressione che fosse uno che si prendesse la tangente, però non si immaginava una cosa di questa portata…”. E quando l’ennesimo assessore, Mariella Lo Bello, decide di cacciare “160 dipendenti, sia quelli chiaccherati, che quelli che stavano nelle stanze dei chiaccherati’’ viene smentita da uno dei dirigenti, Giovanni Arnone: erano 100 i trasferiti, ha detto alla commissione, ma “non si parlò di chiacchierati! Chi erano questi chiacchierati? Di questo non è stata fatta assolutamente menzione, né in via formale, né in via informale. Completamente”.
Rifiuti come patate.
Per vigilare sulle scelte e sorvegliare le procedure a novembre del 2014 al vertice dell’assessorato Ambiente arriva un pm della Procura di Palermo, Vania Contraffatto. E al dirigente Domenico Armenio chiede i criteri di ripartizione dei rifiuti in discarica: “vado in Assessorato, lo chiamo immediatamente, lo convoco in stanza e gli dico ‘scusa, Armenio, me lo dici secondo quale criterio tu decidi che tot va in questa discarica, tot va in quell’altra discarica e gli altri invece se lo tengono a casa? Io avevo una busta davanti, prende questa busta, cioè un foglio A4, la gira dall’altra parte e con la penna inizia a dire ‘cinquecento vanno qua, quattrocento vanno qua, mille vanno qua…’. Io ho detto ‘scusa, ma stiamo parlando di patate? Non l’abbiamo un piano? Non c’era niente, Presidente, assolutamente niente. Questo dirigente gestiva improvvisando”.
Il pm a Crocetta: “Continua così e finirai in prigione”
In quel periodo, dice la Contraffatto alla commissione, “Crocetta (presidente della Regione, ndr) mi esautorò del tutto… veniva in assessorato e si andava a sedere al decimo piano nella stanza del dirigente generale e lì faceva le riunioni, come se fosse lui il dirigente generale”. Al punto che il suo nuovo dirigente, Maurizio Pirillo, era “uno che eseguiva quello che gli diceva Crocetta e basta, senza valutare se le cose si potevano fare, non si potevano fare… fino a quando poi alzavo il telefono, chiamavo Crocetta e gli dicevo che, continuando su questa strada, sarebbe andato a finire in prigione… e che venga arrestato un Presidente della Regione mentre ci sono io come suo assessore che quantomeno due cose di diritto le so e cerco di metterti in guardia…”.