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venerdì 26 marzo 2021

Antitrust, multa da 5 milioni per Autostrade: “Non ha ridotto pedaggi sui tratti in condizioni critiche per gravi carenze nella gestione.”

 

Secondo l'authority questa pratica commerciale scorretta è stata attuata sulle autostrade A/16 Napoli-Canosa, A/14 Bologna-Taranto, A/26 Genova Voltri-Gravellona Toce e, per le parti di sua competenza, A/7 Milano-Serravalle-Genova, A/10 Genova-Savona-Ventimiglia e A/12 Genova-Rosignano. Rilievi sui "forti disservizi" causati dalla riduzione delle corsie di marcia e sulle informazioni "omissive, inadeguate, intempestive, insufficienti" date agli automobilisti.

L’Antitrust ha sanzionato con una multa da 5 milioni di euro Autostrade per l’Italia per pratica commerciale scorretta. Secondo l’Autorità, la società concessionaria a cui sono affidati oltre 3mila chilometri di rete autostradale “non ha adeguato né ridotto il pedaggio nei tratti in cui si registrano critiche e persistenti condizioni di fruibilità del servizio autostradale con lunghe code e tempi di percorrenza elevati, causati dalle gravi carenze da parte della società nella gestione e nella manutenzione delle infrastrutture che hanno richiesto interventi straordinari per la messa in sicurezza“. L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ritiene di aver accertato questa pratica commerciale scorretta sulle autostrade A/16 Napoli-CanosaA/14 Bologna-TarantoA/26 Genova Voltri-Gravellona Toce e, per le parti di sua competenza, A/7 Milano-Serravalle-GenovaA/10 Genova-Savona-Ventimiglia e A/12 Genova-Rosignano.

In particolare, l’Autorità ha appurato una consistente riduzione delle corsie di marcia e/o specifiche limitazioni – per lunghi tratti – della velocità massima consentita. Ciò ha comportato un notevole disservizio e un forte disagio ai consumatori in termini di code, di rallentamenti e quindi di tempi di percorrenza molto più elevati, senza prevedere un adeguamento o una riduzione dell’importo richiesto a titolo di pedaggio ai consumatori. L’Agcm ha poi rilevato che sono risultate inadeguate le modalità informative sulle eventuali procedure di rimborso, come emerso in relazione all’Autostrada A/14 Bologna-Taranto, allorché le informazioni fornite sono rivelate omissive, inadeguate, intempestive, insufficienti quanto al modo di diffusione e non idonee a compensare i disagi arrecati agli utenti.

I maggiori problemi si sono verificati nell’area ligure e abruzzese-marchigiana, determinando anche gravi danni all’economia, soprattutto nell’industria, nei servizi e per le imprese di trasporto, dati i maggiori tempi di percorrenza degli operatori e i riflessi sulle imprese destinatarie delle merci.

Per l’Antitrust tutto questi è pienamente ascrivibile alla responsabilità di Aspi e integra una pratica commerciale scorretta in violazione degli articoli 20, 22, 24 e 25 del Codice del Consumo. Per questo l’Autorità ha applicato una sanzione – pari al massimo edittale – di 5 milioni di euro. Autostrade per l’Italia dovrà anche pubblicare un estratto del provvedimento sul proprio sito internet e su uno dei quotidiani a maggiore tiratura nazionale.

IlFattoQuotidiano

martedì 9 marzo 2021

Recovery, stuolo di tecnici: ok al reclutamento-lampo. - Carlo Di Foggia

 

Centinaia di esperti nei ministeri (a tempo). Da Brunetta al Tesoro, chi comanderà.

Il Piano di ripresa e resilienza (Pnrr) sarà incardinato al Tesoro anche nella sua fase attuativa. A gestirlo arriverà uno stuolo di tecnici assunti con “procedure specifiche”, in sostanza senza concorso e per un tempo limitato (andranno poi stabilizzate). È la prima parte di un piano più ampio di riforma affidato al ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta, che lo illustrerà oggi. Per quegli strani giri del destino, l’uomo che, dallo stesso ruolo, dieci anni fa avviò la stagione dei tagli nel comparto pubblico, oggi è chiamato a risolvere la grana.

L’audizione del ministro dell’Economia Daniele Franco ieri alle Camere era attesa visto che il tecnico a cui Mario Draghi ha affidato la revisione del Piano ereditato dal governo Conte – che deve usare 191 miliardi di fondi Ue – doveva spiegare anche perché il ministero è ricorso all’aiuto del colosso della consulenza McKinsey (e dei big del settore, da Kpmg, a E&Y e Accenture). A grandi linee, Franco ha anticipato quel che è ormai evidente: a gestire i fondi non bastano le strutture ordinarie della P.A., fiaccata da anni di tagli, ma verranno create strutture ad hoc in tutti i ministeri, a partire dal suo.

Nella versione di Conte, la task force che doveva gestire il piano era incardinata a Palazzo Chigi, coordinata da due dicasteri (Economia e Sviluppo) e affidata a una “struttura di missione” con centinaia di tecnici guidati da 6 figure apicali. Con l’arrivo di Draghi, Franco ha affidato la revisione del piano (da consegnare entro aprile a Bruxelles) alla Ragioneria dello Stato – che nell’idea del governo giallorosa doveva solo “monitorare” le spese – dislocando 50 tra dirigenti e funzionari. Un contingente “che crescerà ancora”.

La governance del Pnrr sarà affidata a una “struttura centrale” al Tesoro che “supervisionerà l’attuazione, gestirà i flussi finanziari, controllerà la spesa, valuterà i risultati e deciderà le eventuali correzioni”. Sarà affiancata da “una unità di audit indipendente, responsabile delle verifiche sistemiche”, che avrà il compito di fare da garante con Bruxelles. La struttura di missione conterà centinaia di figure, e il Tesoro – ha detto Franco – ha chiesto agli altri ministeri di creare strutture ad hoc simili, anche se più piccole.

In sostanza la task force che doveva essere a Palazzo Chigi viene spostata al Tesoro e in parte, in altri ministeri, il grosso dei quali (Transizione ecologica, Digitale, Infrastrutture) è guidato da tecnici che rispondono a Draghi (e al Quirinale). Tradotto: per i partiti che reclamavano più collegialità nelle decisioni, i margini di intervento non aumentano di certo. Ai parlamentari preoccupati, il ministro ha spiegato che le Camere verranno coinvolte nella stesura. Come? Tenendo conto “delle risoluzioni che esprimeranno” sulla bozza del vecchio piano. Ma i tempi sono stretti e di fatto deciderà il governo.

Oggi Brunetta illustrerà le linee guida della riforma, che prevederà procedure specifiche per reclutare migliaia di tecnici specializzati per gestire il Pnrr; rivedere e sbloccare le procedure concorsuali (lo stato dell’arte lo leggete a destra).

Nella sua audizione, Franco ha poi chiarito che il piano lasciato da Conte “presenta molti elementi di solidità”, e che si faranno delle modifiche selettive. Sul ricorso a McKinsey&C. la riposta ha toccato vette quasi surreali. Il ministro si è giustificato spiegando che “le strutture pubbliche hanno spesso bisogno di input specialistici su determinati lavori, come ad esempio la presentazione di slide”. Eppure solo sabato il ministero aveva chiarito che il colosso avrà ruoli di “supporto tecnico di project management e monitoraggio” nella stesura del Piano. Molti colossi già lavorano con i ministeri, ma coinvolgerli nella fase decisiva è una scelta precisa (peraltro all’epoca esplicitamente esclusa dal governo Conte).

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/03/09/recovery-stuolo-di-tecnici-ok-al-reclutamento-lampo/6126965/

martedì 1 dicembre 2020

Conte litiga coi partiti sul Recovery. - Luca De Carolis e Wanda Marra

 

Palazzo Chigi insiste per farlo gestire a manager e (pochi) ministri.

Alle 20.30 di un lunedì Palazzo Chigi ammette con una nota che c’è una distanza politica tra Giuseppe Conte e i partiti sulla gestione del Recovery Fund. Perché Conte vuole affidarlo a un esercito di manager e funzionari e a pochissimi ministri fidati, con lui stesso, come premier, a dirigere. Ma i partiti temono di essere commissariati. E allora ci sono diversi nodi aperti.

Il primo è la creazione di un supercommissario che dovrebbe coordinare i sei manager responsabili dei sei programmi del Recovery Plan italiano. Conte ha affidato a se stesso la regia, il Pd pensa alla gestione di una società controllata dal Tesoro. Secondo nodo: i poteri da attribuire ai manager e ai 300 componenti della futura task force, che sono da definire e potrebbero sovrapporsi a quelli non solo dei ministeri, ma anche degli enti locali. La nota di Chigi, diffusa per stemperare il clima, assicura che la “struttura avrà compiti di coordinamento, di monitoraggio e solo in casi estremi poteri sostitutivi”. Terzo problema aperto: la scelta dei ministri coinvolti nella cabina di regia politica. Sarebbero previsti solo Gualtieri e il grillino Stefano Patuanelli (Mise) oltre a Enzo Amendola (Affari europei), delegato ai rapporti con Bruxelles. Una rosa che non soddisfa a pieno i 5Stelle e non è accettabile dal Pd. Per i dem dovrebbero esserci dentro anche i titolari delle Infrastrutture e del Mezzogiorno. Mentre Palazzo Chigi assicura che il “comitato esecutivo non ha poteri decisori, ma di vigilanza politica”.

Punti da chiarire anche nella capidelegazione di governo, ieri saltata. Ufficialmente perché Roberto Gualtieri, ministro del Tesoro, era impegnato con l’Eurogruppo, ma di fatto anche per far abbassare i toni della polemica politica e permettere agli sherpa di Pd e M5S di fare un punto. L’accusa sibilata nei confronti di Conte è sempre quella: eccessivo accentramento. Inoltre, non c’è solo la politica a voler decidere. Nella struttura di missione, che dovrebbe essere a Palazzo Chigi, dovrebbero sedere i principali amministratori delegati delle società controllate dallo Stato (la trattativa è già in corso): promette di diventare una sorta di governo ombra, come denuncia Ettore Rosato (Iv). Resta tra le ipotesi quella di creare un ministero proprio per la gestione del Recovery Fund.

Nell’attesa, arrivano le stilettare fuori microfono. Per esempio da fonti a 5Stelle: “È bene che non si finisca con qualcosa che ricordi il piano Colao”. Ossia il supertecnico che ha vergato un “piano per il rilancio” assieme a una folla di esperti, stritolato dall’insofferenza dei partiti che lo vivevano come un invasore. Incertezze che si aggiungono alle tensioni politiche: Luigi Di Maio non ha per nulla gradito le indiscrezioni rilanciate dal Corsera secondo cui Conte lo vedrebbe tra i fautori di un rimpasto. E Palazzo Chigi ha dovuto smentire.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/01/conte-litiga-coi-partiti-sul-recovery/6022223/

venerdì 7 agosto 2020

Incompetenza e omissioni, in Sicilia la gestione dei rifiuti sembra la “Disneyland” della mafia. - Giuseppe Lo Bianco

Incompetenza e omissioni, in Sicilia la gestione dei rifiuti sembra la “Disneyland” della mafia

La commissione antimafia della regione segnala una lunga lista di omertà, disattenzioni e sottovalutazioni da parte di politici e tecnici. L'assessorato all'Ambiente in mano a dirigenti incompetenti pilotati dagli interessi dei proprietari delle discariche. "Gestione approssimativa e improvvisata, senza alcuna pianificazione".
Rossana Interlandi, Giuseppe Sorbello e Mario Milone si sono alternati al vertice dell’assessorato siciliano Ambiente, ma le variazioni miliardarie di cubatura dei rifiuti che hanno riempito le tasche dei ras delle discariche siciliane decise in quelle stanze, i primi due le hanno apprese dai giornali, il terzo “non l’ha ritenuto importante’’. Il direttore Gaetano Gullo, morto due anni fa, ha ammesso la propria totale incompetenza (“sono stato nominato d’emblée, sono arrivato nel 2013 al dipartimento Ambiente, materia che peraltro non avevo mai affrontato e alquanto complessa. Il codice è di 650 pagine. Riuscire a digerirlo richiede tempo”). Un altro direttore, Sergio Gelardi, ha preferito dare di sé l’immagine di un’Alice nel Paese delle Meraviglie della gestione rifiuti: “Non ero adeguato ed ero stato messo lì in quanto soggetto inadeguato – ha detto – però non ho avuto mai impressione che ci fossero degli affairs sul tema rifiuti’’. E quando Fava gli ha replicato che non era credibile che non si fosse accorto di nulla, Gelardi ha candidamente replicato: “la sincerità mi porta anche a denigrare la mia intelligenza”.
Il governatore Nello Musumeci ha definito nei giorni scorsi i dipendenti regionali per l’80 per cento “gratta pancia”, ma dalle 170 pagine della relazione della commissione regionale antimafia presieduta da Fava sui rifiuti viene fuori un campionario di omertà, distrazioni, omissioni e sottovalutazioni di politici e burocrati regionali preposti alla gestione dei rifiuti con il risultato di far evaporare ogni responsabilità che hanno fatto scrivere a Fava: “per anni i processi decisionali del governo regionale sono stati dettati da una sorta di regia esterna, nonostante la presenza in giunta di nomi autorevoli sul fronte della legalità. Si è, inoltre, provveduto a gestire un settore strategico come quello dei rifiuti senza attuare alcuna pianificazione, ma in maniera del tutto approssimativa ed improvvisata, con evidenti ripercussioni negative su tutto il territorio”.
Una sorta di Disneyland (come l’ha definita lo stesso Fava) siciliana del controllo burocratico sulla raccolta indifferenziata infiltrata dalla mafia, dove da oltre vent’anni, oltre dieci dei quali in regime commissariale, va in scena l’emergenza rifiuti che inghiotte miliardi di euro, tra costi esorbitanti, impianti rimasti incompiuti, differenziata decollata in ritardo, scelte mai adottate, rischi pesantissimi di inquinamento ambientale e nuove voragini nei conti pubblici. Tra il 2009 e il 2011, ha accertato la commissione Fava, il governo autonomista di Raffaele Lombardo amplia cinque discariche: una pubblica, a Bellolampo, sopra Palermo, le altre quattro private: a Siculiana (Agrigento), gestita dalla famiglia Catanzaro, a Lentini (Siracusa) della famiglia Leonardi (Sicula Trasporti), nel catanese, tra Misterbianco e Motta della famiglia Proto (Oikos) e a Mazzarrà Sant’Andrea, nel messinese, già di proprietà della società in liquidazione Tirreno Ambiente.
Autorizzazioni per circa un miliardo e 200 milioni di euro gestite, ha raccontato Sergio Gelardi, senza porsi il problema dell’impatto ambientale, senza alcuna valutazione strategica, “apponendo una firmetta”: “facevo passare quello che vedevo firmato da Zuccarello (Natale, ingegnere responsabile del servizio Via/Vas, ndr), poi l’ho saputo dopo che di fatto Zuccarello faceva passare tutto quello che gli portava Cannova”. Quest’ultimo, condannato a 9 anni per corruzione insieme con uno dei proprietari della Oikos, destinatario “di regalie (spese di viaggio e di soggiorno per lui e la famiglia in hotel) e somme di denaro e in più di un’occasione anche all’organizzazione di incontri con prostitute”, era definito dai colleghi un “ruba galline”: “Lo definivamo ‘ruba galline’ – dice Antonio Patella, dirigente del dipartimento acqua e rifiuti – perché avevamo l’impressione che fosse uno che si prendesse la tangente, però non si immaginava una cosa di questa portata…”. E quando l’ennesimo assessore, Mariella Lo Bello, decide di cacciare “160 dipendenti, sia quelli chiaccherati, che quelli che stavano nelle stanze dei chiaccherati’’ viene smentita da uno dei dirigenti, Giovanni Arnone: erano 100 i trasferiti, ha detto alla commissione, ma “non si parlò di chiacchierati! Chi erano questi chiacchierati? Di questo non è stata fatta assolutamente menzione, né in via formale, né in via informale. Completamente”.
Rifiuti come patate.
Per vigilare sulle scelte e sorvegliare le procedure a novembre del 2014 al vertice dell’assessorato Ambiente arriva un pm della Procura di PalermoVania Contraffatto. E al dirigente Domenico Armenio chiede i criteri di ripartizione dei rifiuti in discarica: “vado in Assessorato, lo chiamo immediatamente, lo convoco in stanza e gli dico ‘scusa, Armenio, me lo dici secondo quale criterio tu decidi che tot va in questa discarica, tot va in quell’altra discarica e gli altri invece se lo tengono a casa? Io avevo una busta davanti, prende questa busta, cioè un foglio A4, la gira dall’altra parte e con la penna inizia a dire ‘cinquecento vanno qua, quattrocento vanno qua, mille vanno qua…’. Io ho detto ‘scusa, ma stiamo parlando di patate? Non l’abbiamo un piano? Non c’era niente, Presidente, assolutamente niente. Questo dirigente gestiva improvvisando”.
Il pm a Crocetta: “Continua così e finirai in prigione”
In quel periodo, dice la Contraffatto alla commissione, “Crocetta (presidente della Regione, ndr) mi esautorò del tutto… veniva in assessorato e si andava a sedere al decimo piano nella stanza del dirigente generale e lì faceva le riunioni, come se fosse lui il dirigente generale”. Al punto che il suo nuovo dirigente, Maurizio Pirillo, era “uno che eseguiva quello che gli diceva Crocetta e basta, senza valutare se le cose si potevano fare, non si potevano fare… fino a quando poi alzavo il telefono, chiamavo Crocetta e gli dicevo che, continuando su questa strada, sarebbe andato a finire in prigione… e che venga arrestato un Presidente della Regione mentre ci sono io come suo assessore che quantomeno due cose di diritto le so e cerco di metterti in guardia…”.

sabato 21 marzo 2020

Coronavirus, Von der Leyen: 'Lo stop al patto per gestire la crisi'.


Ursula Von Der Leyen.


L'Italia potrà mettere nell'economia tanto denaro quanto serve.

La sospensione del patto di stabilità per gestire meglio la crisi dell'emergenza coronavirus, l'Italia potrà mettere nell'economia tanto denaro quanto serve, e i fondi strutturali inutilizzati potranno essere usati in tutti i settori prioritari. Lo spiega al Corriere la presidente della commissione Ue Ursula Von der Leyen, che ribadisce: nessuno stato membro può fronteggiare la minaccia da solo e ogni strumento utile sarà messo sul tavolo, si valuta anche l'opzione coronavirus bond. L'Italia? Un esempio meraviglioso per l'Ue per come affronta questa crisi.
"Il Patto è sospeso, ora il bilancio italiano può gestire la crisi. Fine degli egoismi". Così la presidente della commissione Ue Ursula von der Leyen sul Corriere della sera, dicendo che non permetterà mai che gli interessi dei singoli Stati prevalgano; e che si farà "tutto quanto è possibile per aiutare l'Italia. Siamo profondamente colpiti da come state affrontando questa crisi. Siete un esempio meraviglioso per il resto d'Europa. Lo ripeto: siamo tutti italiani". "Quello che tutti abbiamo capito - dice - è che nessuno Stato membro può fronteggiare questa minaccia da solo, dobbiamo lavorare insieme e aiutarci reciprocamente. Il virus non ha confini e l'Unione europea è più forte quando mostriamo piena solidarietà". Quanto ai coronavirus bond, "ogni strumento utile sarà messo sul tavolo. Sì, stiamo valutando l'opzione dei coronavirus bond. La Commissione concederà la massima flessibilità sugli aiuti di Stato e sul Patto di stabilità così il governo italiano potrà aiutare le imprese e il mercato del lavoro, e investire nel settore della sanità. Per la prima volta nella storia ho attivato la clausola di sospensione del Patto di stabilità. Significa che il governo italiano potrà mettere nell'economia tanto denaro quanto serve". Poi, prosegue, "abbiamo un'iniziativa per gli investimenti. Soldi che vengono dai fondi strutturali inutilizzati, che l'Italia non potrebbe più usare e che invece noi le lasciamo. I fondi potranno essere usati in tutti i settori considerati prioritari: sono 11 miliardi. In più attraverso la Banca europea per gli investimenti forniremo 8 miliardi di garanzie a livello europeo per i prestiti che le Pmi possono usare". Divisioni europee? "Non lo permetterò mai; dobbiamo tenere il mercato unico il più possibile operativo e fluido. Alcuni Stati membri hanno chiuso i confini interni: noi abbiamo immediatamente messo sul tavolo delle Linee guida per corridoi dedicati al trasporto delle merci essenziali e del materiale sanitario". "L'Unione europea è tutti noi - afferma - le crisi come questa ci fanno capire quanto preziosa sia la famiglia europea. È meraviglioso vedere la solidarietà tra i cittadini europei. Io credo che l'Unione europea ne uscirà più forte".

martedì 5 marzo 2019

Arrestata Ida Marandola, direttore del Consiglio ricerca in Agricoltura. Sequestri per 8 milioni.

Ida Marandola

Le misure cautelari riguardano anche altre quattro persone. Le accuse sono di peculato, abuso d'ufficio e falso.


Ida Marandola, direttore generale del Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l'analisi dell'economia agraria (Crea), è stata arrestata dalla Guardia di Finanza nell'ambito di un'indagine della procura di Roma che ha portato alla luce "gravi irregolarità" nella gestione dell'ente.
Le misure cautelari riguardano anche altre 4 persone, accusate a vario titolo di peculato, abuso d'ufficio e falso. Il Gip ha anche disposto il sequestro di beni per 8 milioni.
Le irregolarità nella gestione del Crea - che stando al sito istituzionale è "il principale ente di ricerca italiano dedicato alle filiere agroalimentari, vigilato dal Ministero delle politiche agricole" - riguardano, secondo quanto sostiene la Gdf, innanzitutto la scelta della nuova sede.
Il Dg avrebbe indicato un numero di dipendenti superiore a quello reale e così facendo avrebbe avuto la possibilità di selezionare l'immobile sul mercato e non di ricorrere a quelli demaniali a disposizione ma non in grado di soddisfare le richieste. Le irregolarità avrebbero interessato anche il procedimento amministrativo che è scaturito dalla scelta della nuova sede: nell'affidare i servizi di trasloco e facchinaggio, i contratti sono stati "artificiosamente frazionati" in modo da non superare la soglia oltre la quale è necessario ricorrere a gare pubbliche, in modo da poter scegliere le ditte che avrebbero poi effettuato i servizi.
Agli indagati viene inoltre contestato di non aver ridotto, come previsto dalla legge sulla spending review, del 15% il canone d'affitto di 2 immobili, che avrebbe consentito un risparmio per lo Stato di 700mila euro. Ed infine, dicono ancora inquirenti ed investigatori, sono stati commessi abusi sia nella procedura di stabilizzazione di alcuni precari del Consiglio sia nel pagamento di prestazioni professionali a due collaboratori che, in realtà, non hanno svolto alcuna attività lavorativa.
Oltre a Marandola, nei cui confronti sono stati disposti i domiciliari, la misura cautelare è scattata anche per un altro funzionario che si trova attualmente all'estero mentre per il dirigente dell'ufficio bilancio, il dirigente e un dipendente dell'ufficio gare e appalti è scattato l'obbligo di presentazione all'autorità giudiziaria.

giovedì 10 marzo 2016

Popolare Vicenza, un milione a Zonin nell’annus horribilis della banca. - Mario Gerevini

Gianni Zonin

Il compenso 2015 all’ex presidente per il lavoro fatto nell’anno più disastroso nella storia dell’istituto. I soci perdevano in media 42 mila euro a testa. Passata ai figli la quota di maggioranza della casa vinicola.

Un milione. L’ex presidente Gianni Zonin, dimessosi il 23 novembre scorso, indagato dalla procura vicentina per presunti reati nella gestione della Banca Popolare di Vicenza, incassa un milione di euro di compenso (in linea con il 2014) per il lavoro fatto nell’anno più disastroso nella storia dell’istituto. Quello in cui i soci hanno visto letteralmente sparire 5 miliardi di risparmi (42mila euro a testa), famiglie rovinate, aziende distrutte, la banca tramortita, la reputazione ai minimi termini e un drastico piano di salvataggio, appena approvato.

I dettagli degli stipendi saranno resi noti nell’assemblea di bilancio convocata ieri dal consiglio per il 26 marzo. 
Ma il milione a Zonin, come tutti gli emolumenti del vertice, è già contabilizzato. Sempre ieri si è saputo che l’Antitrust ha aperto un procedimento contro la Popolare, ora spa, per presunta pratica commerciale scorretta, cioè l’aver condizionato, in passato, l’erogazione di prestiti all’acquisto di azioni. Subito dopo le dimissioni, Zonin, con una manovra sulle sue holding, ha assicurato il controllo del gruppo vinicolo ai tre figli. Tre bonifici per un totale di 2,5 milioni sono arrivati nel conto dell’accomandita «Gianni Zonin Vineyards» alla sede storica della Popolare in Contrà Porti. Denaro per ricapitalizzare la sas, retta da un intreccio di titoli in proprietà e usufrutto tra il capostipite e i figli. L’aumento, però, viene sottoscritto solo dai figli che salgono così al 50,02% garantendosi, a cascata, il controllo del gruppo. 

Forse era previsto o forse è un’operazione dettata dalla prudenza: con l’aria che tira non si sa mai che un ipotetico sequestro vada a toccare la Casa Vinicola Zonin.
Il vertice della banca, tuttavia, si muove con grande prudenza. Del resto è noto che gran parte del consiglio (13 su 18) è tuttora espressione della vecchia gestione. Si può chiedere, per esempio, a Marino Breganze (68 anni) di agire eventualmente contro sé stesso o contro chi gli ha garantito la poltrona di vicepresidente per 16 anni, di consigliere per 29, 590mila euro di stipendio, compreso quello da attuale presidente di Banca Nuova? 
E il segretario del consiglio Giorgio Tibaldo (66) che è lì esattamente da 30 anni, e prende 220mila euro? Di uomini cresciuti fianco a fianco con Zonin è pieno il cda. «Io non parlo e lei non mi citi — dice al telefono uno dei nomi nuovi al vertice — ma ho visto cose che voi umani ...».
E il collegio sindacale, che avrebbe titolo per avviare autonomamente azioni di responsabilità? Due su tre sono professionisti di fiducia di Zonin. Il numero uno, Giovanni Zamberlan (in servizio da 28 anni, 200mila euro di emolumenti, quasi il doppio dei sindaci Eni), è ben conosciuto anche dal nuovo presidente della banca, Stefano Dolcetta che lo ritrova alla guida del collegio della «sua» Fiamm e di altre 6 aziende del gruppo. All’assemblea del 26 solo il bilancio è all’ordine del giorno. Nessun ricambio nel consiglio. E la Fondazione Cassa di Prato, che ha fatto un bagno di sangue con azioni di Vicenza, preannuncia battaglia.

martedì 18 agosto 2015

Grecia, tedesca Fraport gestirà oltre 10 aeroporti regionali.

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ATENE/FRANCOFORTE (Reuters) - La Grecia ha confermato che darà in gestione oltre una decina di aeroporti regionali alla tedesca Fraport e un funzionario ha reso noto che l'accordo da 1,2 miliardi di euro, che era stato congelato, verrà finalizzato nelle prossime settimane.
Un accordo preliminare era infatti stato raggiunto nel 2014, ma poi bloccato dopo l'elezione a gennaio del primo ministro Alexis Tsipras, che ne aveva annunciato una revisione.
Oggi, un funzionario del governo greco ha spiegato che la pubblicazione della decisione sulla gazzetta ufficiale conferma l'impegno del governo a procedere coi termini già fissati in precedenza, anche in base agli accordi per ottenere l'ultimo bailout.
Una volta ratificato, l'accordo rappresenterà la prima privatizzazione completata dal governo Tsipras, che si è a lungo opposto alla vendita di asset strategici statali, ma che ha dovuto dare l'ok all'implementazione delle privatizzazioni in cambio di nuovi fondi.
"Si apre la strada per un accordo definitivo nelle prossime settimane", ha spiegato il funzionario, parlando coperto dall'anomiato, aggiungendo che restano ancora aperte alcune questioni tecniche e legali.
Un portavoce di Fraport ha detto che la decisione del governo è "la base per ulteriori negoziati", ma che non è stato ancora firmato alcun contratto.
Fraport e la greca Copelouzos si erano accordati con l'agenzia ellenica per le privatizzazioni nel 2014 per la gestione di 14 aeroporti in diverse destinazioni turistiche, tra cui Corfù.
In base all'accordo, il nuovo gruppo dovrebbe spendere circa 330 milioni di euro nei primi quattro anni per migliorare gli aeroporti, che resterebbero in gestione per 40 anni.