mercoledì 22 aprile 2015

De Luca, motivazioni della condanna: “Nominò il suo uomo per dargli più soldi”. - Vincenzo Iurillo

De Luca, motivazioni della condanna: “Nominò il suo uomo per dargli più soldi”

All'epoca della sentenza che gli infliggeva un anno di reclusione (pena sospesa) per aver promosso "in totale assenza di motivazione" il suo braccio destro Alberto Di Lorenzo, il sindaco commentò: "Condanna demenziale, per aver usato l'espressione project manager invece di coordinatore". Ma i giudici del Tribunale di Salerno sottolineano che lo scopo del primo cittadino era "attribuirgli una inventata posizione apicale, con conseguente riconoscimento di una più sostanziosa retribuzione". 

“Condanna demenziale, per aver usato l’espressione project manager invece di coordinatore“, commentò il sindaco all’epoca della condanna, lo scorso gennaio. Ma secondo i giudici della seconda sezione penale del Tribunale di Salerno che hanno condannato Vincenzo De Luca, la promozione di Alberto Di Lorenzo aveva come unico scopo quello di “attribuirgli una inventata posizione apicale, con conseguente riconoscimento di una più sostanziosa retribuzione“. La realizzazione del termovalorizzatore di Salerno, infatti, non poteva prevedere la figura del project manager, che peraltro non è contemplata dal codice degli appalti. E’ scritto nelle circa 140 pagine delle motivazioni della condanna per abuso d’ufficio a un anno di reclusione (pena sospesa) dell’ex sindaco di Salerno e candidato Pd alla Regione Campania. Le motivazioni sono state depositate stamane dalla seconda sezione penale del Tribunale di Salerno e sono state rese note dal M5S. De Luca è stato condannato in qualità di ex commissario straordinario di governo per la costruzione di un impianto di termodistruzione durante l’emergenza rifiuti in Campania. L’opera non è stata poi compiuta. Tra gli elementi di censura del collegio dei giudici (presidente Ubaldo Perrotta, giudici estensori Antonio Cantillo e Mariano Sorrentino), l’inutilità di nominare un project manager in presenza di un Responsabile Unico del Procedimento, sottolineata in aula dal pm Roberto Penna durante il dibattimento, che parlò di inutile duplicazione delle stesse funzioni.
In uno dei passaggi chiave delle motivazioni, i magistrati giudicanti sottolineano che “l’inesistenza della figura della nomina del project manager, la totale assenza di motivazione circa la necessità della nomina e la scelta della persona nominata; l’accertata falsità delle giustificazioni postume; la particolare qualificazione dei protagonisti della vicenda, i rapporti interpersonali strettissimi tra nominante e nominato Alberto Di Lorenzo, il capo staff dell’ex sindaco, geometra con laurea triennale in Scienza di Governo, anche lui condannato a un anno ndr); il successivo occultamento sul sito web,la presenza, all’interno del gruppo, di persone astrattamente più qualificate; la circostanza che l’opera svolta non risulta essersi concretizzata in attività di particolare complessità ed importanza; il fatto che Di Lorenzo, in prospettiva, avrebbe potuto guadagnare una somma ben maggiore di quella liquidatagli con il provvedimento del marzo del 2009 (circa 8000 euro al netto delle ritenute, ndr) sono tutti elementi dimostrativi del fatto che la nomina in contestazione, lungi dall’essere finalizzata a perseguire esclusivamente una finalità pubblica, aveva l’unico scopo di svincolare Di Lorenzo dal gruppo di lavoro e attribuirgli una inventata posizione apicale, con conseguente riconoscimento di una più sostanziosa retribuzione“.
De Luca, dopo 24 ore di silenzio, ha deciso di pubblicare la sentenza sul suo sito internet “in nome della trasparenza” e ha ripetuto la sua difesa: “Una sentenza che ribadisce che l’abuso d’ufficio consiste in un reato ‘linguistico’, cioè nell’aver nominato anziché un coordinatore del gruppo di lavoro un project manager, figura non presente nella normativa generale in materia di appalti”.


“Il Tribunale di Salerno, che lo ha condannato per abuso d’ufficio, ha detto chiaramente che la figura del project manager non è prevista nel codice degli appalti. Adesso il sindaco decaduto di Salerno, Vincenzo De Luca, la smetterà di parlare di reato linguistico”. A dirlo i parlamentari pentastellati Isabella AdinolfiAndrea CioffiSilvia GiordanoGirolamo Pisano ed Angelo Tofalo. “La motivazione della sentenza – rimarcano – finalmente smaschera venti anni di amministrazione ‘deluchiana’ improntata su leggi e norme completamente inventate per accrescere il consenso elettorale. Oggi è stato dimostrato che a Salerno non esiste la legge De Luca. Esiste la legge degli appalti che il candidato governatore del Pd non ha rispettato. Esiste la legge Severino che, sulla scia del patetico e fantomatico reato linguistico, Vincenzo De Luca e il Pd continuano a snobbare. Ed esiste il M5S che è riuscito a far rispettare la legge sull’incompatibilità del doppio incarico facendolo decadere da sindaco. Noi siamo per la legalità. Il folklore e le invenzioni linguistiche le lasciamo agli showman come De Luca”. “Queste motivazioni – spiega il legale dei parlamentari del Movimento 5 Stelle, Oreste Agosto – dimostrano dal punto di vista legale, l’illegalità dell’agire dell’amministrazione comunale e rafforza ancora di più il nostro pensiero giuridico sulla chiara incandidabilità di De Luca a governatore della Regione Campania”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/04/21/de-luca-motivazioni-condanna-nomino-braccio-destro-per-dargli-soldi/1610995/

Fratelli d’Itaglia: la bandiera dell’ipocrisia di un paese guerrafondaio che parla di pace. - Sergio Di Cori Modigliani


Com’erano contenti, il 20 Marzo del 2011, i nostri politici! Come una pasqua annunciata.
Com’erano contenti quando i primi tornado dell’aeronautica militare italiana, la notte tra il 20 e il 21, all’alba della primavera, partirono per andare a bombardare l’intero sistema idrico e di infrastrutture legate all’erogazione dell’acqua e dell’elettricità, nel sud della Libia, condannando la popolazione del Mali, centinaia di tribù di beduini e gli abitanti di almeno 200 piccole città alla sete perfida, al buio, alla fame e allo sterminio.
Erano felici e gongolanti, perché si trattava di un grosso business, iniziato con un atto di pirateria internazionale partito dalla city di Londra e attivato alla Borsa di Milano che è proprietà del London Stock Exchange: senza alcun avvertimento, violando ogni rispetto della Legge e facendo applicare il codice militare sulla base “di uno stato di guerra dichiarato” il governo di Londra, Washington e Roma, prosciugarono 146 conti correnti intestati a Gheddafi e a membri del suo governo per un controvalore corrispondente a circa 60 miliardi di euro. Si pagarono le spese militari in anticipo. Fatti i calcoli alla fine della guerra, all’Italia sono andati circa 14 miliardi di profitto netto di cui il paese aveva urgente bisogno per andare a coprire la falla spaventosa nei conti pubblici, provocata dalle politiche nefaste di Berlusconi e Tremonti, l’accoppiata che aveva messo in ginocchio il paese senza che la gente (ancora) si fosse accorta di ciò che stava accadendo. E i partiti hanno preso la loro quota parte, d’accordo con il sistema bancario nazionale, attraverso un altro meccanismo di pirateria legale: 1250 aziende statali libiche che operavano in Italia in joint venture con imprenditori italiani, sono state cancellate pigiando un pulsante sulla tastiera del computer. Quelle banche si sono presi i soldi che sono stati poi distribuiti dagli amministratori responsabili ai loro politici di riferimento. In totale si trattava di circa 12 miliardi di euro. Soprattutto nel Veneto, dove la Lega Nord aveva messo in piedi un centinaio di società miste finanziate da Gheddafi, per devastare i terreni agricoli, senza alcun rispetto per le condizioni idro-geologiche del territorio e costruire giganteschi centri commerciali nelle periferie di Vicenza, Verona, Padova con un aumento della cementificazione che, tra il 2001 e il 2011, è risultato superiore del 450% rispetto a quello tra il 1991 e il 2001.
Che bel business che è stato.
Che meraviglia, la guerra per gli italiani. Come la sanno far bene e quanto piace a questo paese andare in giro per il mondo a far la guerra. C’è ancora gente che osa prendersela quotidianamente con Obama o con Putin -a seconda della propria appartenenza politico-ideologica- denunciando il loro imperialismo militare, senza mai neppure menzionare quello nostrano, il peggiore in assoluto: perché è ipocrita, clandestino, nascosto, celato. Come del resto in Siria, dato che aziende italiane lombarde hanno avuto l’appalto per la gestione di tutti i sistemi di sicurezza e intelligence di Assad, e dopo la Russia, l’Italia è il più importante fornitore d’armi della Siria. Nei tre anni di guerra civile siriana che hanno provocato la morte di circa 250.000 persone (per lo più civili innocenti) e provocato la genesi di circa 2 milioni di profughi da quel paese, l’Italia ha incassato diverse decine di miliardi di euro.
Come nazione abbiamo sulla coscienza la vita di circa 2 milioni di persone, residenti nella zona meridionale della Libia, nel territorio di confine con il Niger e il Ciad, esseri umani che sono morti di sete in pochi mesi, perché i bombardamenti dei nostri aerei hanno completamente distrutto l’intero sistema di irrigazione e di fogne condannando la popolazione locale alla morte. Oltre ad aver distrutto l’intera produzione agricola di ben quattro paesi africani che godevano di acqua grazie a quelle infrastrutture. Adesso ci sono i francesi e l’Eni a lavorare per rimettere in piede la situazione. E tutti quei morti innocenti?
E’ bene sapere chi si è e che cosa si è fatto.
A differenza degli Usa, della Russia, della Gran Bretagna e della Francia, nazioni che quando decidono e scelgono di flettere i muscoli lo fanno, lo dicono, ed esibiscono pubblicamente il loro orgoglio macho, l’Italia, da sempre, finge di essere innocente o, ancora peggio, pacifista o comunque sia vittima inconsapevole di un sistema prodotto da altri, la Nato (per quelli anti-americani della sinistra stracciona) o Putin che era un loro alleato (per la cosiddetta destra liberale anti-russofila).
Non è così.
E l’unità che oggi viene chiesta a gran voce dall’intera classe politica dirigente, con la scusa del dover affrontare una crisi umanitaria, nel nome di un’idea nazione che non esiste, non è altro che l’anticamera per andare a fare un’altra guerra come la Repubblica Italiana sta facendo dal 2003 senza aver mai modificato di un millimetro la propria politica estera: siamo una nazione guerrafondaia, imperialista, dedita al banditismo internazionale.
L’importante è saperlo.
Cerchiamo di evolverci e di sottrarci all’ipocrisia di Stato di tutte le componenti politiche.
NO ALLA GUERRA!
russell

Migranti, Di Battista (M5S): "Da Renzi luoghi comuni. Lasci fare a chi ha onestà".



Grande DiBa!

martedì 21 aprile 2015

WASHINGTON CI UCCIDERA' TUTTI ? - Paul Craig Roberts



Lo sapevate che Washington possiede 450 ICBMs (InterContinental Ballistic Missile) in una situazione di “Hair-Trigger Allert” (cioè che i missili sono pronti per il lancio immediato in caso di allarme)?
Pensano che questo ci renda più sicuri. La ragione, se si può chiamare ragione, è che essendo capaci di lanciare missili in pochi minuti, nessuno cercherà di attaccare gli Stati Uniti con armi nucleari.

I missili statunitensi sono in grado di entrare in orbita prima che quelli dei nemici possano raggiungere gli Stati Uniti per distruggerli. Se questo vi fa sentire più sicuri, dovrete leggere il libro di Eric Schlosser “Command and Control”.

Il problema con il sistema “Hair-Trigger” è che commette dei lanci erronei, accidentali, non autorizzati con più probabilità rispetto ad altri missili.
Schlosser ci fornisce la storia di “quasi lanci” che avrebbero potuto portare l’Armageddon sulla terra.

In “Catalyst”, una pubblicazione dell’ “Union of Concerned Scientists”, Elliott Negins racconta la storia del Colonnello sovietico Stanislav Petrov. Appena dopo mezzanotte nel 1983 il sistema satellitare di allerta precoce sovietico fece partire  l’allarme riguardo al lancio di 5 ICBM degli USA indirizzati verso l’Unione Sovietica.

Il Colonnello Petrov avrebbe dovuto informare il leader sovietico, il quale avrebbe avuto 8-10 minuti per decidere se autorizzare un lancio di rappresaglia. Nessuno sa cosa avrebbe deciso, in quanto il Colonnello usò il proprio giudizio.

Non c’era ragione da parte degli USA di attaccare l’URSS, ed inoltre ragionò sul fatto che, se avessero voluto attaccare, avrebbero usato centinaia se non migliaia di ICBM; controllò dunque se il radar posto a terra avesse individuato degli ICBM in arrivo, ma non fu cosi. Dunque Petrov capì che si trattava di un falso allarme e lasciò perdere. Dopo poco venne fuori che il sistema di rilevamento precoce aveva confuso come missili un riflesso dei raggi solari sulle nuvole.
Negin riporta che “un errore nei chip del computer e un’installazione impropria della scheda di circuito” sono i colpevoli che possono iniziare una guerra nucleare. In poche parole, le fonti di falsi allarmi sono numerose.
Andando avanti veloce fino ad oggi, immagina un ufficiale degli Stati Uniti che sta monitorando il sistema di rilevamento precoce: questo ufficiale ha assistito a 15 anni di propaganda di guerra accompagnata dalle invasioni e i bombardamenti di ben 8 Paesi. Gli allarmi terroristici e gli avvisi di sicurezza abbondano, come richiamato dalla politica di USA e Israele per bombardare l’Iran; i media lo hanno convinto che la Russia abbia invaso l’Ucraina e sia sul punto di farlo con le Repubbliche Baltiche e la Polonia; i carri armati statunitensi e le truppe sono stati trasportati al confine con la Russia; si parla di armare l’Ucraina; Putin è pericoloso e sta minacciando di avviare una guerra nucleare, portando i suoi bombardieri strategici vicini ai confini americani e continuando a compiere esercitazioni nucleari.
L’ufficiale americano ha assistito ad un programma di Fox News che esponeva la volontà di uccidere i russi. I Repubblicani lo hanno convinto che Obama stia svendendo l’America all’Iran, con il senatore Tom Cotton che avverte riguardo alla possibilità di una guerra nucleare come conseguenza, “saremo tutti uccisi perché c’è un musulmano nella Casa Bianca”.
“Perché nessuno si alza in piedi per l’America?” si chiede l’ufficiale patriottico quando l’allarme arriva: ICBM in arrivo: sono russi o iraniani? Dopo tutto Israele aveva ragione? Si tratta di un programma nucleare iraniano segreto? O Putin ha forse deciso che gli Stati Uniti sono un ostacolo alla ricostruzione dell’ Impero sovietico, che i media americani affermano sia il suo scopo?
Non c’è spazio per il giudizio nella mente dell’ufficiale, essa è stata posta in uno stato di allerta a causa dell’ incessante propaganda che gli americani chiamano “notizie”.
Dunque egli trasmette l’allarme al Presidente: i membri neocon del National Security Advisor di Obama stanno urlando
“Non puoi permettere che Putin faccia questo” “Può essere un falso allarme” risponde il nervoso e agitato Presidente.
“Stupido liberale, non lo sai che Putin è pericoloso?! Premi il bottone!”

E in questo modo il mondo finisce.

Considerando l’estrema russofobia creata tra gli americani  dal Ministero della Propaganda, la demonizzazione di Vladimir Putin – considerato il “nuovo Hitler” o “Vlad l’Impalatore”  – la propagandistica creazione della “minaccia russa”, il folle desiderio neocon per l’egemonia mondiale degli Stati Uniti, l’odio verso la Russia e la Cina in quanto rivali capaci di esercitare politiche indipendenti, la perdita  dell’ unipolarismo statunitense e della relativa capacità di agire unilateralmente.
Nel mezzo di queste emozioni e pensieri dimostrati non dai fatti ma dalla propaganda, dall’ insolenza e dall’ideologia, c’è una grande possibilità che la risposta di Washington ad un falso allarme possa portare all’estinzione della vita sulla Terra.
Quanta fiducia riponete nel Governo degli Stati Uniti? Quante volte Washington – specialmente i folli neocon – erano in errore? 


Ricordate la “passeggiata” di 3 settimane in Iraq costata 70 miliardi di dollari che sarebbe stata pagata dai ricavi del petrolio iracheno? 
Ora il costo è di 3000 miliardi di dollari e cresce, e dopo 12 anni i radicali dello “Stato Islamico” controllano metà del Paese.

Per finanziare le guerre i Repubblicani vogliono privatizzare, vale a dire togliere di mezzo la previdenza sociale e il sistema sanitario statale. 

Ricordate “Missione Compiuta” in Afghanistan? 12 anni dopo i talebani controllano nuovamente il territorio e l’esercito USA (dopo aver ucciso donne, bambini, anziani dei villaggi durante i funerali, matrimoni,  …) è stato cacciato da poche migliaia di talebani armati in maniera leggera.
La frustrazione di queste sconfitte è montata a Washington e nell’esercito. Il mito a cui si ricorre è quello secondo il quale non hanno utilizzato tutta la loro potenza a causa dell’intimidazione dell’opinione pubblica, delle proteste dei “dannati studenti”, oppure a causa di un Presidente senza fegato e descritto come un “gattino liberale”: per l’ala destra del Congresso la rabbia è una ragione di vita.
I neocon’s sono fermamente convinti del fatto che la Storia li abbia designati come padroni del mondo e invece vengono sconfitti da guerriglieri vietnamiti, tribali afghani, fondamentalisti islamici e ora Putin ha mandato i suoi missili a finire il lavoro. Chiunque sia lo stolto che guida la Casa Bianca, spingerebbe quel bottone.

La situazione sta peggiorando, non migliorando: i russi, sperando in qualche segno di intelligenza in Europa, contraddicono le bugie russofobiche di Washington che ha ordinato al “Broadcasting Board Governors” (un’agenzia degli Stati Uniti guidata da Andrew Lack, ex presidente di NBC news) di neutralizzare un presunto, ma inesistente, esercito di “troll della rete” del Cremlino che sta silurando le prostitute occidentali e perpetuando il dialogo pro-Russia su internet.
Nel caso non ve lo ricordiate, Lack è quell’idiota che dichiarò che RT (Russia Today) è un’organizzazione terroristica; in poche parole, chi racconta i fatti reali è, secondo Andrew Lack, un terrorista.

Lack incarna bene il punto di vista di Washington per quanto riguarda il riportare la verità: se non serve alla propaganda USA, si tratta di terrorismo!
Per agire contro una Russia revanscista e il suo esercito di “Internet Trollers”, l’amministrazione Obama ha stanziato un budget di 15.400.000$ al folle Lack, da usare per screditare ogni sentenza veritiera che emerge dalla versione in lingua inglese del portale russo.
Questa quantità, certamente, crescerà drammaticamente: presto si tradurrà in miliardi di dollari, mentre i cittadini americani saranno sfrattati dalle loro case o mandati in prigione per i loro debiti. Lack (il quale sembra non avere alcun segno di umanità, intelligenza, integrità, e moralità) giustifica la richiesta, che sarà concessa, di avere il denaro (ottenuto con il duro lavoro dei cittadini, che hanno uno standard di vita sempre più basso) con la furiosa affermazione che la Russia “minaccia i suoi vicini e per estensione gli Stati Uniti e gli alleati occidentali”.
Lack promette di fare molto altro: “i media internazionali degli Stati Uniti sono in questo momento posti a confutare la propaganda russa e la sua influenza nelle menti dei russi e dei russofoni nei territori della ex Unione Sovietica, dell’ Europa e in qualsiasi parte della Terra”. In poche parole Lack sta iniziando a fare propaganda contro la Russia all’interno della Russia stessa!
Certamente, le organizzazioni della CIA – il NED (National Endowment for Democracy), Radio Free Europe e Radio Liberty – saranno arricchite da queste campagne di propaganda anti-Russia e le supporteranno con tutto il cuore.
Dunque una risposta positiva alla richiesta dell’ “Union of Concerned Scientists” di collaborare con la Russia in modo da eliminare il sistema “Hair-Trigger” togliendo gli ICBM è improbabile che si verifichi. Come possono affievolirsi le tensioni nucleari quando Washington sta costruendo tensioni il più velocemente possibile?  

Il Ministero della Propaganda sta dipingendo Putin come il nuovo Osama Bin Laden, il nuovo Saddam Hussein, figure demonizzate, spauracchi che evocano paura nelle menti delle pecore americane che hanno subito il lavaggio del cervello. La Russia viene trasformata in al-Qaeda, bramando di attaccare nuovamente il Wolrd Trade Center e di far scorrazzare l’Armata Rossa (molti americani credono che la Russia sia ancora comunista) per tutta l’Europa.

Gorbachev era un trucco, ha illuso il vecchio attore di film. Gli americani ingannati sono bersagli, e qui entrano in gioco gli ICBM; il folle punto di vista dei politici, militari e del popolo statunitense non è in grado di comprendere la verità o di riconoscere la realtà. I media propagandistici made in USA e i pazzi “neoconservatori” stanno portando l’umanità nella via della distruzione.
L’ “Union of Concerned Scientists”, della quale io faccio parte, hanno bisogno della ragione: è impossibile lavorare per una riduzione nella mincaccia nucleare dal momento in cui una delle due parti cerca di demonizzare l’altra. La demonizzazione della Russia e del suo leader da parte del New York Times, Washington Post, CNN, Fox News e il resto del Ministero della Propaganda USA, da parte della quasi totalità del Senato e del Congresso americano e della Casa Bianca, rende la riduzione della minaccia nucleare una cosa impensabile.
Il popolo americano e la gente di tutto il mondo devono capire che la minaccia alla vita sulla Terra risiede a Washington e che fino a che Washington non sarà totalmente e fondamentalmente cambiata a partire dalle sue radici, questa minaccia rimarrà tale da essere la peggiore minaccia della vita sulla Terra. Il riscaldamento globale può scomparire istantaneamente in un “Inverno nucleare”.

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=14944

lunedì 20 aprile 2015

Commercio mondiale, le trattative Usa-Ue per il Ttip tra incognite, ombre e risultati elettorali. - Felice Meoli

Commercio mondiale, le trattative Usa-Ue per il Ttip tra incognite, ombre e risultati elettorali



I negoziati sul trattato di libero scambio che prevede la rimozione dei dazi ma soprattutto l'armonizzazione di normative e regolamenti, proseguono nell'ombra. In Europa c'è il timore che possa annacquare le protezioni per i consumatori e aumentare il potere delle aziende nei confronti delle istituzioni. E la vittoria elettorale degli euroscettici in molti Paesi mette a rischio la firma. Il semestre che vedrà l'Italia guidare il Consiglio Ue potrebbe essere decisivo.

“Nel mondo, meglio soli o bene accompagnati?” chiede ai telespettatori l’ultimo spot di Rai Europa, che in un minuto e mezzo, “per informare, non influenzare” come recita in chiusura, intende spiegare agli italiani quello che è il più grande accordo commerciale mai negoziato dall’Unione: il Ttip. La sigla sta per Transatlantic trade and investment partnership, vale a dire un trattato di libero scambio che vede protagonisti Usa e Unione europea per creare una “free zone” di merci e servizi, non solo rimuovendo i dazi doganali (che sono già bassi, nell’ordine del 2-3%) ma anche superando le cosiddette “barriere non tariffarie”, cioè regolamenti e normative divergenti tra le due sponde dell’Atlantico. In pratica un’armonizzazione per interi settori economici come sicurezza e sanità, servizi pubblici, agricoltura, proprietà intellettuale, energia e materie prime.
Secondo il Centre for economic policy research di Londra, che ha prodotto lo scorso anno per Bruxelles una ricerca che giustifica l’adozione del trattato, l’accordo dovrebbe determinare una crescita di 90 miliardi di euro per l’economia Usa e di 120 miliardi – pari allo 0,5% del Pil – per quella europea. Tuttavia pochi giorni fa Alan Winters, professore dell’Università di Sussex e collaboratore dello stesso istituto di ricerca, ha dichiarato che stime più “plausibili” fanno pensare a un incremento dello 0,025% del prodotto interno continentale.
Le trattative sono partite in sordina un anno fa, quando i capi di governo dei ventotto Paesi dell’Unione hanno concesso l’autorizzazione alla Commissione Europea, e tuttora si cerca di mantenerle nell’ombra. Secondo quanto riportato da The Nation la senatrice democrat Elizabeth Warren, critica nei confronti della poca trasparenza del negoziato, ha affermato che “Wall Street, aziende farmaceutiche, telecom, grandi inquinatori stanno sbavando” davanti a questa opportunità, che sta passando sottotraccia per le grandi opposizioni che troverebbe se diventasse di dominio pubblico. Lo dimostrano precedenti come quello del Nafta: l’accordo per il libero scambio stipulato tra Usa, Canada e Messico nel 1992, la cui impostazione si avvicina a quella studiata per il Ttip, non gode di grande popolarità, avendo in vent’anni provocato diversi squilibri per i Paesi coinvolti, tra maggiore concentrazione della ricchezza e riduzione degli stipendi per i lavoratori fino al 20% in alcuni settori. 
I rischi del Ttip per l’Unione non sono però solo di carattere economico. Da una parte, in Europa c’è il timore che si riducano le protezioni per i cittadini garantite dall’architettura regolamentare che ha permesso di limitare problemi come quelli legati agli ormoni nelle carni, ai pesticidi nel cibo o agli ftalati nei giocattoli. Dall’altra c’è la preoccupazione di aumentare il potere delle aziende nei confronti delle istituzioni. Uno dei punti più dibattuti, per il quale la Germania ha imposto alla Commissione una consultazione pubblica online, riguarda infatti l’Investor-state dispute settlement (Isds), un arbitrato internazionale per le controversie tra Stati e aziende che in altri casi ha portato queste ultime a citare in giudizio interi Paesi e governi. La consultazione, per il commissario Ue per il Commercio Karel De Gucht, serve a capire “se l’approccio proposto dall’Ue per la Tttip realizza il giusto equilibrio tra la tutela degli investitori e la salvaguardia del diritto sovrano dei governi dell’Ue e della loro capacità di legiferare nell’interesse pubblico”, un terreno senza dubbio scivoloso.
Secondo alcune ricostruzioni, fino ad aprile si erano tenuti 130 incontri nella direzione del Commercio Ue sul tema, di cui almeno 119 erano con imprese o lobbisti. Le negoziazioni intanto sono oggi giunte al quinto round, che si è tenuto ad Arlington (Virginia) tra il 19 e il 23 maggio. Il prossimo sarà a luglio. “A che punto è il negoziato da uno a dieci? Cinque”, ha dichiarato in conferenza stampa Dan Mullaney, capo negoziatore americano e portavoce della US Trade Representative. Mullaney, secondo indiscrezioni, guida una delegazione di oltre 600 consulenti, che negozia con un ristretto team europeo di 6-7 persone alla cui testa c’è Ignacio Garcia Bercero, che guida la direzione generale del Commercio Ue.
Barack Obama, durante le sue ultime visite nel nostro continente, ha ricevuto rassicurazioni in merito alla chiusura degli accordi. Le ultime elezioni, però, hanno visto la crescita dei partiti euroscettici, un rischio per il proseguimento delle trattative. Così non è stato in Italia. E di sicuro un ruolo chiave lo avranno Roma, che si appresta a entrare nel suo semestre di presidenza e il premier Matteo Renzi, appena legittimato dal voto popolare.
Gli Stati Uniti intanto spingono. E parallelamente portano avanti un altro progetto di “free zone” per il quale è stato già siglato un protocollo di intesa e che fa riferimento invece all’altra sponda oceanica, quella pacifica. E’ stato battezzato Tpp, cioè Trans pacific partnership, e coinvolge, oltre agli Usa, Australia, Brunei, Canada, Cile, Indonesia, Messico, Nuova Zelanda, Peru,Singapore e Vietnam. Ttip e Tpp riguardano economie che superano complessivamente la metà del Pil mondiale. E se approvati avranno l’effetto di uno tsunami nel commercio internazionale. Il primo a farne le spese, con ogni probabilità, sarà il “vecchio” Wto, l’organizzazione mondiale del commercio. 

NAUFRAGHI, IL RACCONTO. - Raffaele Vescera


Nella foto, Le statue dell'artista danese Nikolaj Bendix Skyum Larsen immerse nel mare di Pizzo Calabro (Vibo Valentia) – Ph. Jason deCaires Taylor.

In memoria dei 700 migranti morti oggi nel nostro mare.

Il caicco andava a vela spinto a rinforzo dal diesel di un vecchio tir, sballottava sotto i colpi del mare a libeccio sferzato dagli scossoni delle onde, sembrava andare a rovescio, la terra era lì, in vista, ma irraggiungibile alla folla ammassata. Sui bordi gli uomini, al centro donne e figli. Erano cento su un legno di dodici metri. Piangevano, urlavano, aiutateci, nella lingua pietosa comune agli umani, aiutateci, che qui moriremo tutti, e le donne si rannicchiavano ancora e i bambini cercavano le braccia più forti dei padri che guardavano i figli, le donne, il mare e i marinai impotenti.

Il viaggio era partito sereno, i marinai a prendere il sole, sorridenti, guardavano un branco di delfini acrobatici e sfottenti. Era solo una passeggiata, dicevano, sarebbero arrivati dall’altra parte del mare stretto prima di sera, e tutti avrebbero mangiato i maccaroni, dicevano ridendo, e la folla di imbarcati ammassati come sull’arca di Noé, ridevano con loro sognando il piatto di maccaroni caldi che li avrebbe saziati dopo i giorni passati a mangiare pane secco e formaggio duro tra steppe e montagne per raggiungere il mare della ricchezza, l’acqua che avrebbe purificato le loro esistenze miserabili, portandoli sulla terra dell’abbondanza dove in un giorno di lavoro solo si buscava come in un mese.
Gli uomini parlavano tra loro dei futuri guadagni. Le donne, finalmente sedute, parlavano delle case a venire. I bambini, composti e seri, come fanno i figli dei poveri, non parlavano, se non a bassa voce e per cose importanti.

Era un’umanità umile, dai sentimenti forti, che si affacciava sulle rive di un’altra umanità, gente che, tempo prima, era stata anch’essa educata ai sentimenti forti e ad esagerati valori etici. Poi la ricchezza aveva cambiato quella gente in poco tempo. I loro bambini avevano imparato a pretendere, a piangere, a fare capricci, gli uomini a divertirsi più che a faticare. Ma nel mondo c’era ancora un mare di uomini disposti a rimpiazzarli nella condizione di ultimi della società. Così, finalmente i penultimi si sarebbero sentiti migliori di qualcun altro.
Il sole splendeva ancora caldo sul basso Mediterraneo ad ottobre. Sin dall’alba, i suoi raggi avevano benedetto la partenza dei profughi, dando loro un’illusione di benevolenza, il mare cheto, appena increspato da un venticello di brezza, la loro aria quieta come il mare in vista della terra promessa. Al massimo tra un’ora, dicevano loro i marinai, tra un’ora ci siamo. Giusto per il tramonto. Così al buio lo sbarco sarà invisibile. A terra, chi vorrà troverà la macchina che lo porterà in città, pagando altri cinquanta dollari, perché mille dollari danno diritto solo al giro sull’acqua. E chi non ha i soldi per la macchina si arrangi e aspetti gli italiani, che quelli sono belli e fessi, e vi daranno un letto, un piatto di spaghetti e pomodoro, ma non vi aspettate la carne buona, che lì fa schifo, è tutta roba chimica.

L’aria calda arrivava a zaffate sempre più forti, più che una sera d’ottobre s’apprestava a diventarne una d’agosto. I marinai si guardavano perplessi, sapevano il gioco dei venti e temevano a ragione il libeccio in arrivo, forte e costante e poi turbinoso spingeva dall’Africa svegliando il mare e i passeggeri di quel guscio che osava sfidarlo. Non c’era bisogno di scomodare il dio col tridente per sballottarlo, spingerlo indietro, spezzare l’albero che si schiantava in un colpo solo a mare volando sulle teste terrorizzate dei naviganti. “Recuperiamo l’albero a bordo”, urlavano i marinai, sapendo che a mare l’albero avrebbe squilibrato il barcone affondandolo. Tira e tira le corde, cento braccia ce la faranno, che fortuna avervi a bordo, passeggeri, altrimenti non ce l’avremmo mai fatta noi quattro mezze seghe di mezzi mozzi, perché i marittimi buoni questi viaggi della morte non li fanno e li lasciano a noi, marinai d’acqua dolce.

Dove sono i salvagente, dove sono? Non bastano per tutti, dateli a chi non sa nuotare, ma qui nessuno sa nuotare, gente del deserto, allora dateli alle donne e ai bambini e state tranquilli che ci resta il motore per andare a riva. Ma il motore picchiava in testa, aveva portato con onore il peso di un tir a rimorchio per un milione di kilometri per le strade del mondo prima di andare al mare su quel barcone, ma lui, povero vecchio diesel, come avrebbe potuto farcela da solo contro le onde del Mediterraneo? Come avrebbe portato in salvo cento persone? Almeno prima, con l’aiuto della vela, faceva la sua figura, ma ora che l’avevano messo a manetta, sbuffava, sudava, spruzzava olio nero, non ce la faceva a vincere la tempesta e così avanti sarebbe morto, prima di tutta quella povera gente affidata alle poche forze di un vecchio diesel.

I marinai, tra mille imprecazioni ai loro santi stranieri, schiaffeggiavano la radio che non voleva saperne di funzionare e di mandare SOS. Una radio d’epoca si direbbe ridendo nel Paese di Bengodi, eppure dovrebbe funzionare, così gli avevano detto, ma non voleva saperne di svegliarsi dal sonno di chissà quanti anni passati.

Allora ci sono i razzi, bisogna spararne per forza qualcuno, sennò sono cazzi. Ma questi razzi sanno dell’altra guerra, e come funzionano? Le istruzioni sono scritte in cinese e allora che fare nella notte in arrivo? La notte arrivò presto con l’aria fredda d’autunno, perché il libeccio africano era stato spodestato dal levante balcanico e siberiano e poveri loro che si stringevano l’uno all’altro rassegnati sul guscio di legno fradicio che sollevato dalle onde si girava sulla pancia ed era lì per rovesciarsi, portandoseli su e giù. Con il mare che sbattendo gli inzuppava i vestiti e la pelle ed entrava dentro le ossa. Guai ai naufraghi. Si salutarono al buio, le mogli e i mariti con l’ultimo bacio, le ultime raccomandazioni in caso di sopravvivenza e le ultime volontà in caso di morte.
L’alba arrivò rosea, ma rosso al mattino maltempo è vicino, dicono i naviganti, la notte aveva mangiato la tempesta portando il barcone chissà dove. Non c’era terra in vista, non c’erano isole, navi, aerei, niente, solo un mare sconfinato. 


Sul caicco alla deriva la folla tramortita, i meno forti avevano già lasciato il mondo delle speranze fatue e della fatica esagerata per quello senza ambizioni dell’eterno riposo. I sopravvissuti storditi, pochi avevano le forze per alzarsi, fare qualcosa. Molti restavano fermi ancora abbracciati gli uni agli altri. Acqua e cibo non ne avevano più. Il motore aveva smesso di balbettare colto da collasso anticipato. Erano cento, giovani e forti, avevano venduto tutto, case, terre, mobili e tappeti, erano fuggiti da guerre e miserie in cambio di un biglietto per il paradiso. Arrivò la pioggia gelida col vento di tramontana. Pregavano Dio di salvarli, oppure di dare loro una morte veloce, forse il paese della cuccagna l’avrebbero trovato nell’altro mondo. Piovve tutto il giorno fino alla notte, comandata dalla morte che li aspettava in agguato prendendoseli uno alla volta. 

Passavano le ore sul mare padrone, chissà quante, pochi respiravano ancora, riparati dalla coltre dei cadaveri, i morti proteggevano i vivi. Nessuno di loro vide la veloce nave militare che li avvicinava, nessuno si accorse che uomini forti e attrezzati salivano a bordo per salvare il salvabile, nessuno capì che l’odissea era finita. Si svegliarono negli ospedali con la flebo, per i maccaroni dovevano aspettare ancora due giorni. 

La corvetta della marina avvistò il barcone nel punto segnalato dagli elicotteri. Il relitto fu abbordato e arrembato poiché alle invocazioni dei megafoni non rispondeva nessuno. Lo spettacolo terrificante suscitò vomiti e malori nei bravi ragazzi armati di pietà che, sì, un mese prima erano accorsi a recuperare i cadaveri galleggianti sparsi di un boat affondato vicino alla costa, che sì avevano soccorso i clandestini sopravvissuti aggrappati agli scogli dell’ultima spiaggia, straziati nel corpo come il naufrago partito dall’isola di Calypso. Ma mai avevano visto i morti mischiati ai vivi, gli uni sugli altri poiché sotto quei cadaveri si udivano ancora flebili lamenti umani. 

Dal racconto Naufraghi di Raffaelle Vescera, antologia I Fuggiaschi, ed. Stilo Bari.

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Scoperta eccezionale in Sicilia: a Selinunte emerge la più grande fabbrica di ceramiche greche del mondo antico.

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Sicilia – Scorcio dell’industria di ceramiche greche scoperta a Selinunte (Trapani) – Ph. Martin Bentz

Durante la sessione estiva di scavi affidata all’Istituto archeologico germanico di Roma e dell’Università di Bonn, guidato dal professoreMartin Bentz, all’interno del parco archeologico siciliano di Selinunte è stato compiuto uno dei più eccezionali ritrovamenti mai effettuati nell’area mediterranea. Ad essere tornata alla luce – con le sue ottanta fornaci, un’estensione di 1.250 metri quadrati nella valle del fiume Cottone, ed una lunghezza di 80 metri – è l’industria di produzione di terrecotte e ceramiche più grande del mondo antico mai ritrovata finora.
Il rinvenimento è stato effettuato durante uno degli scavi estivi che puntualmente si ripetono dal 2010 e che in virtù dei finanziamenti dell’Istituto germanico di Roma potranno proseguire per altri due anni. Lo scavo, effettuato utilizzando stavolta anche il georadar, ha riguardato tre sezioni dell’area, con esiti che hanno permesso di ricostruire il quartiere industriale dell’antica colonia greca.
I reperti ritrovati sono stati datati al V secolo avanti Cristo. E’ probabile che la fornace più grande servisse per la produzione di tegole in terracotta mentre le più piccole fossero destinate alla realizzazione di vasi, statue e altre suppellettili. Già nel 2013 era venuta alla luce un’area ancora molto ben conservata, pavimentata con tegole in terracotta e munita di un pozzo profondo dal quale, molto probabilmente, veniva prelevata l’acqua necessaria a lavorare l’argilla. In quell’occasione era emersa anche una zona più arcaica del quartiere, con ceramiche e terrecotte figurate prodotte sul posto.
Il direttore del parco archeologico di Selinunte e delle Cave di Cusa Giovanni Leto Barone ha dichiarato che proprio in previsione della prosecuzione degli scavi per altri due anni c’è da aspettarsi con certezza che l’area riservi ancora molte sorprese.