mercoledì 4 aprile 2018

Palermo, “posti di lavoro in cambio di voti”: ai domiciliari due esponenti di Noi con Salvini in Sicilia.

Palermo, “posti di lavoro in cambio di voti”: ai domiciliari due esponenti di Noi con Salvini in Sicilia

L'ex parlamentare regionale Salvino Caputo è stato arrestato insieme al fratello Mario, candidato all'Ars con il Carroccio. Nel 2013 Salvino fu il primo parlamentare a decadere in conseguenza della legge Severino dopo la condanna per tentato abuso d'ufficio. Giorgetti: "Possibile che abbiamo fatto qualche errore". Vozza: "Classe dirigente sostituita con condannati".

Chiedevano voti in cambio di posti di lavoro. Con questa accusa è stato arrestato l’ex consigliere regionale ed ex sindaco di Monreale, Salvino Caputo, avvocato penalista e commissario straordinario per la  provincia di Palermo del movimento Noi con Salvini , la costola siciliana della Lega.  Ai domiciliari con lui anche il fratello Mario Caputo, candidato non eletto alle ultime elezioni regionali sempre con la Lega. Salvino Caputo nel 2013 era stato costretto a lasciare l’Ars dopo che nei suoi confronti era diventata definitiva una condanna a un anno e cinque mesi per tentato abuso d’ufficio. L’ex parlamentare – ex militante di An  – fu il primo in Italia a dover lasciare il proprio scranno in conseguenza della legge Severino.
“Un anno fa venni sostituito proprio da Salvino Caputo alla guida del movimento per volontà di Alessandro Pagano, che mi scaricò in malo modo”, ricorda Francesco Vozza, ex responsabile palermitano della Lega che contestò a lungo la nomina di Caputo voluta dal coordinatore della Sicilia Occidentale di Noi con Salvini. “Temo che sia giunta l’ora di dire le cose per come stanno: Pagano ha ucciso un’intera classe dirigente emergente per sostituirla con condannati, riciclati e persone che in generale non c’entrano nulla col progetto di Matteo Salvini“, ha dichiarato Vozza. “Pertanto (e credo di poter parlare a nome di tantissimi militanti), da oggi non accetteremo più la leadership dell’onorevole Pagano – ha aggiunto l’esponente leghista – La Sicilia non merita questo schifo e come Lega avremmo dovuto importare il modello Zaia, non certo questa vergogna che porta proprio il nome di Pagano”.

L’ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari con la nuova accusa di voto di scambio è stata emessa dal gip di Termini Imerese su richiesta della procura. I carabinieri hanno arrestato anche Benito Vercio, 62 anni, indicato dagli investigatori come “procacciatore di voti nel termitano”. Nel corso delle indagini, la Procura della Repubblica avrebbe accertato dodici episodi di compravendita di voti in cambio di promesse di posti di lavoro o altre utilità, commessi da due degli arrestati insieme ad altri indagati.
Giancarlo Giorgetti, capogruppo della Lega alla Camera, ha commentato dicendosi “deluso e amareggiato”. “La magistratura faccia il suo lavoro, se ci sono delle colpe si condanni pesantemente”, ha aggiunto, “ma non credo che in Sicilia siano gli unici sospettati per questo reato”. Alla domanda se la Lega abbia imbarcato al Sud troppi esponenti della vecchia politica locale, il capogruppo risponde “è possibile che in alcune zone sia stato commesso qualche errore, in un percorso di crescita in zone problematiche. Ma la Lega che compra voti in Sicilia mi sembra una ricostruzione fantasiosa”.

Chi è Salvino Caputo – Caputo è un politico di lungo corso che ha militato sempre nelle fila del centrodestra. Ex attivista del Msi, per due volte sindaco di Monreale, è stato per quattro legislature deputato regionale eletto con An e Forza Italia prima e con il Pdl poi. Nella primavera scorsa, infine, l’approdo alla Lega con la nomina a commissario straordinario del movimento Noi con Salvini per i comuni della provincia di Palermo. Nel 2013 è decaduto da parlamentare dell’Ars: primo politico colpito dalla Severino. L’ex deputato cercò, secondo i giudici, di fare annullare alcune multe che i vigili urbani avevano contestato all’allora arcivescovo Salvatore Cassisa e ad alcuni suoi ex assessori quando era sindaco di Monreale. Fu la commissione Verifica dei poteri a sancire la decadenza di Caputo e nel 2015 la Corte d’appello confermò in via definitiva l’esclusione dall’Ars.
Anche a causa di questi precedenti, la nomina di Caputo da parte del coordinatore della Sicilia Occidentale Pagano, era stata appunto duramente contestata dal suo predecessore Vozza. “Non condivido la scelta di Pagano né nel metodo né nel merito. Se è normale nominare commissario un condannato in via definitiva per abuso d’ufficio, decaduto dall’Ars, allora smetto di fare politica. Ho avviato delle consultazioni con i vertici della Lega Nord per capire se Matteo Salvini è al corrente di questa nomina. Per quanto mi riguarda c’è un problema politico grande quanto una casa”, disse allora Vozza. Secca fu la replica di Pagano: “Tutto il movimento si stringerà attorno a Caputo con grande impegno, al fine di portare avanti il nostro progetto insieme a Salvini in tutto il territorio siciliano. Nella provincia di Palermo sarà il nostro punto di riferimento a livello organizzativo nei comuni che hanno imminenti scadenze elettorali”.
E fu così che la politica peggiore si appropriò dell'unica possibile risorsa di vita per avvantaggiarsene.
Il lavoro, pertanto, è un bene concesso, discrezionalmente, da pochi corruttori a pochi corrotti.
Per noi, pedine private di ogni diritto, è solo la conferma di ciò che già sospettavamo.
Ma è così viene interpretata ed applicata la democrazia in Italia.
(Se non sbaglio, però, il primo articolo della Costituzione non dice che la nostra è una Repubblica democratica fondata sul lavoro offerto dai partiti.....)

venerdì 30 marzo 2018

Soffiate in Consip, ancora guai per Lotti: confermate le accuse. - Marco Lillo e Valeria Pacelli

Due versioni – Luca Lotti,  fedelissimo di Matteo Renzi e deputato Pd.  – Ansa

Confronto con l’ex Ad Luigi Marroni che tira dritto: “Mi avvisò dell’inchiesta”. Il ministro indagato nega e ammette che ad agosto i due si incontrarono a Roma.

Tranquillo e documentato, il grande accusatore conferma ma precisa le sue accuse contro Luca Lotti. L’ex amministratore di Consip, Luigi Marroni, si è presentato alle 17 alla caserma dei Carabinieri del Reparto Operativo in via Inselci a Roma con un taxi. Con sé aveva una cartellina piena di documenti e mail. Riguardavano anche un incontro che interessava ai pm romani, quello in cui Lotti gli avrebbe svelato le indagini su Consip. Ieri c’era la Procura al gran completo a sentire i due protagonisti del caso, uno di fronte all’altro. Davanti al procuratore Giuseppe Pignatone, al sostituto Mario Palazzi e all’aggiunto Paolo Ielo, nel confronto teso con l’accusato, Marroni ha ricostruito l’incontro nel quale Luca Lotti – a suo dire – gli avrebbe rivelato l’esistenza delle indagini e delle intercettazioni.
Marroni era pronto a tirare fuori le mail tra le rispettive segreterie per fissare l’appuntamento ma non è stato necessario depositarle perché l’appuntamento non è stato negato nemmeno da Lotti. L’incontro c’è stato dunque ed è avvenuto a Largo Chigi, negli uffici della presidenza del consiglio. Durante l’incontro però, secondo Lotti, non si parlò dell’inchiesta napoletana su Consip.
La prima volta che Marroni fa il nome dell’ex ministro è il 20 dicembre 2016: quel giorno gli investigatori partenopei entrano negli uffici Consip perché Marroni sta facendo togliere le microspie piazzate su ordine dei pm napoletani Henry John Woodcock e Celeste Carrano. Marroni viene interrogato prima dai carabinieri del Noe e poi dai pm napoletani. Ai carabinieri dice: “Ho appreso in quattro differenti occasioni da Filippo Vannoni (presidente della fiorentina Publiacqua, ndr), dal generale Emanuele Saltalamacchia, dal presidente di Consip Luigi Ferrara e da Luca Lotti di essere intercettato”. Ferrara a detta di Marroni, gli disse di averlo saputo dall’ex Comandante generale dei carabinieri Tullio Del Sette. Versione che Ferrara, sentito dai pm romani, non conferma e verrà indagato per false informazioni ai pm. Marroni poi disse ancora ai carabinieri del Noe: “A luglio 2016 durante un incontro Luca Lotti mi informò che si trattava di un’indagine che era nata sul mio predecessore Domenico Casalino e che riguardava anche l’imprenditore campano Romeo. Delle intercettazioni ambientali nel mio ufficio l’ho saputo non ricordo se da Lotti o da un suo stretto collaboratore”.
Ai pm Woodcock e Carrano, nella sera del 20 dicembre 2016, aggiunge ancora: “Confermo che nel luglio 2016 l’onorevole Luca Lotti, che io conosco, mi ha detto di stare attento perché aveva appreso che vi era una indagine della Autorità Giudiziaria sull’imprenditore Romeo di Napoli e sul mio predecessore Casalino, dicendomi espressamente che erano state espletate operazioni di intercettazioni telefoniche e anche ambientali, mettendomi in guardia”.
Quel verbale di Marroni è stato precisato poi nei successivi due esami come persona informata dei fatti, davanti ai pm di Roma, a giugno 2017 e a gennaio 2018. Marroni ha confermato di essere stato avvertito da Lotti e ha tenuto fermo che Lotti gli parlò delle intercettazioni. Però non ha confermato che Lotti gli parlò precisamente di intercettazioni ambientali. Ecco spiegata la nota diffusa in serata da ambienti vicini a Lotti: “Il ministro Lotti ha ribadito la sua totale estraneità. Inoltre Marroni non ha fatto riferimento a cimici”. Anche il tempo della soffiata è stato precisato. Marroni aveva sostenuto che fosse avvenuta a luglio e aveva escluso il mese di agosto perché ricordava di essere in ferie. Però già nei due precedenti interrogatori, aiutandosi con le mail, ha datato la soffiata ai primi giorni di agosto, probabilmente il 3 agosto 2016, prima di partire per le vacanze.
Lotti ieri ha confermato l’incontro, ma ha negato di aver mai rivelato a Marroni alcunchè. La versione del ministro è la stessa del 27 dicembre 2016, quando si precipitò in Procura a Roma dopo che Il Fatto rivelò la sua inscrizione nel registro degli indagati per rivelazione di segreto e favoreggiamento: nulla sapeva Lotti e nulla poteva dire a Marroni. Versione ribadita ieri guardando in faccia il suo accusatore.
Adesso sarà la Procura di Roma a decidere chi mente, con evidenti conseguenze penali. Lotti rischia un processo per favoreggiamento e rivelazione di segreto d’ufficio. Il manager rischierebbe l’accusa di calunnia.
L’ex senatore dell’Italia dei Valori Luigi Li Gotti è il legale che gli è stato vicino in questi momenti difficili. Marroni dopo le sue dichiarazioni è rimasto testimone ma ha perso il suo posto in Consip per mano del Pd. Li Gotti commenta: “Il tentativo di farlo passare come una persona mendace è radicalmente fallito. Marroni ha confermato quanto detto all’autorità giudiziaria ed è rimasto testimone”. E questa non è una buona notizia per l’indagato Luca Lotti.

Putin è davvero colpevole? Qualcosa proprio non torna nel caso Skripal. - Marcello Foà

caso Skripal

Siamo sicuri che ad avvelenare l’ex spia Skripal e sua figlia siano stati i russi? Ecco i dubbi dall'esame attento delle notizie uscite finora. Tanti punti che non tornano.

Siamo proprio sicuri che ad avvelenare l’ex spia Skripal e sua figlia siano stati i russi? Permettetemi di avanzare più di un dubbio esaminando con attenzione le notizie uscite finora. I punti che non tornano sono questi:

Primo. Qual è il movente? Quale l’interesse per Putin? Mi spiego: tutti riconoscono al presidente russo grande sagacia nel calibrare le sue mosse. Eccelle sia nella strategia che nella tattica. Da tempo sappiamo che gli Stati Uniti (i quali trainano l’Europa) sono impegnati in un’operazione di logoramento del Cremlino volto a ottenerne un riallinamento su posizioni filoamericane, che potrà essere ottenuto con certezza solo attraverso un cambio di regime ovvero con l’uscita di scena di Putin. Siccome una rivolta colorata è inattuabile, lo scenario è quello di rendere insostenibile il peso delle sanzioni e dell’isolamento internazionale, inducendo le élite russe a ribellarsi al presidente appena rieletto.

In questo contesto, ogni pretesto viene sfruttato per innervosire o indebolire Putin. Conoscendo l’obiettivo finale, bisogna chiedersi: ma che interesse aveva il presidente russo a tentare di eliminare un’ex spia, peraltro fuori dai giochi, ricorrendo al più spettacolare dei tentativi di omicidio, l’unico che – dopo la vicenda del polonio – tutto il mondo avrebbe attribuito al Cremlino? Ne converrete: non ha senso. Diplomaticamente sarebbe stato un suicidio, perché avrebbe offerto all’Occidente lo spunto per un’ulteriore campagna antirussa, che infatti si è puntualmente verificata, fino all’ultimo atto, l’espulsione coordinata dei diplomatici, a cui l’Italia dell’uscente Gentiloni si è accodata benchè  avrebbe potuto – e proceduralmente dovuto – astenersi. No, Putin non è leader da commettere questi errori.

E veniamo al secondo punto, che riguarda il rumore mediatico e il furore delle accuse.  Non dimentichiamolo, la comunicazione è uno strumento fondamentale nell’ambito delle guerre asimmetriche (tra l’altro è il tema che tratto nel mio ultimo saggio “Gli stregoni della notizia. Atto secondo“). Quando il rumore mediatico è assordante, univoco, esasperato, le possibilità sono due: le prove sono incontrovertibili (ad esempio l’invasione irachena del Kuwait) o non lo sono ma chi accusa ha interesse a sfruttarle politicamente, il che può avvenire solo se le fonti supreme – ovvero i governi – affermano la stessa cosa e con toni talmente urlati e assoluti da inibire qualunque riflessione critica, pena il rischio di esporsi all’accusa di essere “amici del dittatore Putin”.

Se analizziamo attentamente le dichiarazioni del governo britannico, notiamo come la stessa premier May continui a dire che “è altamente probabile” che l’attentato sia stato sponsorizzato dal Cremlino. Altamente probabile non significa sicuro, perché per esserne certi bisognerebbe provare l’origine del gas, cosa che è impossibile in tempi brevi. E nel comunicato congiunto diffuso ieri da Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Germania si ribadisce che si tratta di «agente nervino di tipo militare sviluppato dalla Russia», che farebbe parte di un gruppo di gas noto come Novichok concepito dai sovietici negli anni Settanta. Ma sviluppato non significa prodotto in Russia. Se non è stato usato questo verbo – o un sinonimo, come fabbricato – significa che gli stessi esperti britannici non hanno prove concrete a sostegno della tesi della responsabilità russa, che pertanto andrebbe considerata come un’ipotesi investigativa. Non come un verdetto. Anche la semantica, in frammenti ad alta emotività come questi, è indicatrice e dovrebbe allertare la stampa, che invece non mostra esitazioni.

Eppure di ragioni per mostrarsi più cauti ce ne sono molte. Vogliamo ricordare le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein? Ma esempi in tempi recenti non mancano.  L’isteria accusatoria di queste ore ricorda quella delle “prove incontrovertibili” del 2013, secondo cui Assad aveva sterminato col gas 1300 civili, fra cui molti bambini. Scoprimmo in seguito che a usare il gas furono i ribelli per provocare un intervento della Nato. O, sempre in Siria, nel 2017 quando Amnesty e il Dipartimento di Stato denunciarono l’esistenza di un forno crematorio in cui venivano bruciati i ribelli, rivelazione che indignò giustamente il mondo ma che venne smentita dopo un paio di settimane dallo stesso governo americano.

Sia chiaro: nessuno sa chi abbia attentato alla vita di Skipal e di sua figlia e nessuna ipotesi può essere esclusa. Ma la propaganda è davvero assordante e i precedenti, nonché l’esperienza, suggeriscono maggior cautela. E un sano scetticismo: perché Putin sarà, per la grande stampa, “cattivo” ma di certo stupido non è. 

Dal Piemonte alla Sicilia, ecco la mappa dei depositi nucleari. - Jacopo Giliberto

(Reuters)


In Italia ci sono depositi radioattivi dappertutto, dal Piemonte alla Sicilia, con una concentrazione più alta di stoccaggi di scorie nucleari nel Vercellese, nell'Alessandrino, a Milano e attorno a Roma. 
Perfino in zone densamente abitate come Milano, che ospita un vecchio reattore atomico sperimentale fra le case di Città studi e un deposito di materiali radioattivi vicino a via Mecenate. 
Sono una ventina gli stoccaggi nucleari di dimensioni più rilevanti dispersi per l'Italia, ma sono centinaia i microstoccaggi provvisori di dimensioni minime, per esempio negli ospedali e nelle acciaierie, dove in attesa del ritiro vengono depositati i materiali radioattivi che vengono prodotti dalle attività ospedaliere (come la medicina nucleare e i sistemi diagnostici) e dalle attività industriali (per esempio le radiografie industriali oppure i dispositivi contenenti elementi radioattivi come i parafulmini o i rilevatori di fumo).
Bisogna togliere questi depositi temporanei e riunire i materiali in sicurezza in un deposito unico: dopo anni di tentennamenti e di paure, il Governo uscente potrebbe finalmente rendere pubblica la carta segreta dei circa 60-70 luoghi tecnicamente adatti a ospitare il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi. La carta è pronta da anni ma non viene pubblicata per il timore che insorgano i cittadini che non vogliono ospitare nel futuro deposito nazionale i rifiuti atomici che oggi si trovano dispersi vicino a casa di molte altre persone. I trattati internazionali impongono all'Italia di dare una collocazione unica e sicura a 78mila metri cubi di rifiuti a bassa e media radioattività oggi distribuiti in una ventina di depositi. Ecco la mappa interattiva dei principali depositi di scorie radioattive in Italia.
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