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martedì 23 febbraio 2021

“Così Palamara spifferava notizie sulle indagini in corso”. - Antonio Massari

 

Corruzione in atti giudiziari - Si aggrava la posizione dell’ex pm.

Nuove accuse per Luca Palamara: corruzione in atti giudiziari. In questa sorta di elastico – le contestazioni sono già mutate tre volte – nell’inchiesta perugina prende un ruolo centrale Piero Amara, l’eminenza grigia delle maggiori inchieste per corruzione di magistrati degli ultimi anni.

Sentito a Perugia come persona informata sui fatti, Amara ha spiegato che riusciva a ottenere informazioni riservate sulle indagini che lo riguardavano a Roma e Messina. La sua fonte era l’imprenditore Fabrizio Centofanti, il quale prendeva notizie da Palamara che, a sua volta, da un lato le carpiva al pm di Roma, Stefano Fava – che indagava su Amara nella Capitale – e dall’altro attraverso l’attuale procuratore generale di Messina, all’epoca procuratore aggiunto, Vincenzo Barbaro. Quest’ultimo ieri ha precisato: “La rivelazione di notizie è palesemente insussistente, come potrà essere comprovato nelle competenti sedi con inoppugnabile produzione documentale, oltre che con la deposizione di tutti i soggetti che a vario titolo si sono occupati del processo. Preannuncio iniziative giudiziarie nei confronti dei responsabili”.

I pm di Perugia – Gemma Miliani e Mario Formisano, coordinati dal procuratore capo Raffaele Cantone – hanno cercato riscontri alla versione di Amara e sono convinti di averli trovati. Prima di passare ai riscontri, però, riordiniamo la matassa delle accuse e mettiamo a fuoco la figura di Amara e Centofanti. Amara – avvocato ed ex legale esterno di Eni – è da anni al centro di numerose inchieste in tutta Italia. È stato condannato a Messina per aver corrotto l’ex pm di Siracusa, Giancarlo Longo, affinché istruisse un fascicolo farlocco, quello sull’inesistente complotto per far cadere l’ad di Eni Claudio Descalzi e finalizzato a depistare il fascicolo in cui lo stesso Descalzi è accusato, a Milano, di corruzione internazionale per l’acquisto del giacimento nigeriano Opl 245 da parte del colosso petrolifero italiano. Per questo “depistaggio” è indagato a Milano. È stato accusato a Roma di aver corrotto magistrati amministrativi per pilotare sentenze.

Amara e Palamara hanno un amico in comune: l’imprenditore Fabrizio Centofanti. E proprio nell’inchiesta romana i finanzieri del Gico hanno individuato un giro di fatture sospette emesse da Amara e Centofanti. Quest’ultimo, a sua volta, è l’uomo che ha pagato a Palamara viaggi e soggiorni in hotel, nonché la ristrutturazione dell’appartamento di una donna all’epoca a lui vicina. In sostanza, secondo la procura di Perugia, Centofanti avrebbe corrotto Palamara. In cambio di cosa? Nella prospettazione iniziale era indagato a Perugia anche Amara: Palamara – fatto poi ritenuto insussistente dai pm – avrebbe incassato 40mila euro per interessarsi alla nomina di Longo (mai avvenuta) come capo della procura di Gela. Amara viene poi archiviato e i pm derubricano l’accusa, per Palamara, in corruzione per esercizio della funzione. Accusa nuovamente cambiata ieri perché, interrogando Amara il 4 febbraio (e non soltanto lui), emerge un fatto nuovo: Amara sostiene di aver avuto notizie sulle sue indagini da Centofanti – sia su Roma sia su Messina – attraverso Palamara che le carpisce in qualche modo a Fava e Barbaro (non indagati). Un primo riscontro può giungere dagli atti d’indagine: Barbaro, da procuratore aggiunto a Messina, partecipava al coordinamento delle indagini con Roma. Ma c’è di più. Il suo nome compare nelle chat con Palamara – al solito si discute di nomine – e, soprattutto, il 14 ottobre 2017 Barbaro scrive una relazione al procuratore capo di Messina sostenendo che l’ex presidente dell’Anm gli aveva dimostrato di conoscere elementi del fascicolo in cui era indagato un suo amico. L’amico – che nella relazione non è menzionato – potrebbe essere proprio Centofanti sul quale, in quel momento storico, non c’era atti ufficiali: era tutto coperto dal segreto istruttorio.

La difesa di Palamara – sostenuta dagli avvocati Benedetto e Mariano Buratti e Roberto Rampioni – ha un’altra tesi. Le interlocuzioni con Barbaro riguardavano un procedimento disciplinare su Longo (che era appunto indagato a Messina): Palamara si informava per avere elementi utili alla decisione finale. Le conversazioni riguardavano anche la nomina da procuratore generale di Barbaro che infatti promette in chat di ringraziarlo con dei torroncini. Secondo Amara, il secondo canale informativo – ammesso che sia riuscito a carpirgli qualcosa, essendo noto il suo rigore – riguarda invece l’inconsapevole pm Fava. L’occasione – emerge da alcune chat con il poliziotto Renato Panvino – era rappresentata da alcuni incontri a tennis tra i due. Panvino ha confermato che, quando nelle chat citava le partite a tennis, intendeva riferirsi a incontri tra Palamara e Fava. Anche Amara ha fornito la stessa versione.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/23/cosi-palamara-spifferava-notizie-sulle-indagini-in-corso/6110365/

giovedì 20 giugno 2019

Accuse pretestuose sulla Raggi. Dopo tre anni i poteri forti rivogliono il Campidoglio. - Gaetano Pedullà



Il biglietto d’auguri più affettuoso gliel’ha recapitato Il Messaggero, il giornale di Roma che non l’ha mai amata, ma che da ieri è ufficialmente un organo d’informazione nemico della sindaca Virginia Raggi. A ricordarsi dei tre anni di amministrazione della sindaca più odiata dalla criminalità e dai comitati d’affari, sono stati però anche altri, a cominciare da Matteo Salvini ormai “sparatissimo” nella campagna elettorale per prendersi il Campidoglio, fino all’ex ministra di Forza Italia Mara Carfagna, primo proponente di un commissario di Governo per sfrattare topi e gabbiani, malgrado siano residenti fissi dai tempi di Romolo e Remo.

Accusata di inerzia e incapacità, la prima cittadina ha risposto su Facebook, squarciando il velo d’ipocrisia di chi se c’era dormiva quando la città affondava nel degrado, e per di più si creava un immenso debito senza nemmeno affrontare i problemi. Ora, come i nostri lettori sanno bene, La Notizia è un quotidiano che non ha editori con le mani in pasta nei business della città o che sono ancora offesi per il no alle Olimpiadi, e non deve sostenere scalate politiche. Per questo possiamo guardare senza preconcetti al lavoro di questi tre anni, e senza negare alcuni importanti errori non arriviamo affatto alle conclusioni del giornale di via del Tritone, forse non a caso ieri letteralmente sommerso dagli insulti sui social network. Sui rifiuti, i trasporti e il ripristino della legalità questi tre anni sono stati rivoluzionari.

Per chi non ha trovato traccia sull’edizione di ieri del Messaggero ricordiamo che prima avevamo un re incontrastato del trattamento dei rifiuti, il signor Manlio Cerroni, padrone di Malagrotta, la più grande discarica d’Europa, al quale proprio l’editore del giornale che attacca la Raggi, l’ingegner Franco Caltagirone, voleva contendere lo scandaloso monopolio, tanto da voler spingere verso il business dei rifiuti l’Acea di cui era diventato grande azionista. Poi Cerroni è finito in mezzo alle inchieste giudiziarie e Caltagirone ha dato via le sue azioni dell’utility capitolina, dove da qualche tempo – guarda la coincidenza! – ha cominciato a ricomprare titoli, evidentemente nella prospettiva di affari futuri.

La Raggi intanto che ha fatto? Ha imposto a Cerroni un contratto per la raccolta dei rifiuti e oggi – ma guarda che altra coincidenza! – dobbiamo tenere l’esercito a guardia dell’impianto di trattamento di Rocca Cencia, dopo due stranissimi incendi che hanno pregiudicato lo smaltimento della spazzatura, per non parlare di oltre 600 cassonetti bruciati.

UNA FORESTA CHE CRESCE. Sul piano dei trasporti, l’azienda degli autobus, l’Atac, si portava dietro un debito superiore all’Alitalia. Si è avviato per la prima volta nella sua storia un concordato, cioè l’ultima e più faticosa azione per impedire all’azienda di non fallire, lasciando tutti a piedi, romani e turisti. Persino più compromessa era la legalità all’interno della gigantesca macchina comunale, dove ai fornitori servivano più che altro amici buoni, visto che gli affidamenti diretti andavano di moda, in attesa delle gare. Così la corruzione era diventata lo stile della casa, come ci ha fatto vedere chiaramente l’inchiesta su Mafia Capitale.

Le cose su cui si è agito, dunque, sono state profonde, alla base dei problemi che si trascinano da decenni. I romani possono essere contenti? No, perché gli effetti in superficie non si vedono, ma un’analisi priva di condizionamenti editoriali e politici non può ignorare che un albero che cade fa più rumore di una foresta che cresce, e mentre è facile fermarsi ad osservare quello che non funziona si perdono di vista i cambiamenti strutturali, quelli più ingrati ma senza i quali tra dieci anni saremo ancora qui a dirci che le strade hanno le buche e al Comune rubano tutti.

https://infosannio.wordpress.com/2019/06/20/accuse-pretestuose-sulla-raggi-dopo-tre-anni-i-poteri-forti-rivogliono-il-campidoglio/?fbclid=IwAR25njBGWUntulkqlXiINUcy_F8C3h3uKCrweroB22592WAUJ11VvFiVbuA

venerdì 30 marzo 2018

Soffiate in Consip, ancora guai per Lotti: confermate le accuse. - Marco Lillo e Valeria Pacelli

Due versioni – Luca Lotti,  fedelissimo di Matteo Renzi e deputato Pd.  – Ansa

Confronto con l’ex Ad Luigi Marroni che tira dritto: “Mi avvisò dell’inchiesta”. Il ministro indagato nega e ammette che ad agosto i due si incontrarono a Roma.

Tranquillo e documentato, il grande accusatore conferma ma precisa le sue accuse contro Luca Lotti. L’ex amministratore di Consip, Luigi Marroni, si è presentato alle 17 alla caserma dei Carabinieri del Reparto Operativo in via Inselci a Roma con un taxi. Con sé aveva una cartellina piena di documenti e mail. Riguardavano anche un incontro che interessava ai pm romani, quello in cui Lotti gli avrebbe svelato le indagini su Consip. Ieri c’era la Procura al gran completo a sentire i due protagonisti del caso, uno di fronte all’altro. Davanti al procuratore Giuseppe Pignatone, al sostituto Mario Palazzi e all’aggiunto Paolo Ielo, nel confronto teso con l’accusato, Marroni ha ricostruito l’incontro nel quale Luca Lotti – a suo dire – gli avrebbe rivelato l’esistenza delle indagini e delle intercettazioni.
Marroni era pronto a tirare fuori le mail tra le rispettive segreterie per fissare l’appuntamento ma non è stato necessario depositarle perché l’appuntamento non è stato negato nemmeno da Lotti. L’incontro c’è stato dunque ed è avvenuto a Largo Chigi, negli uffici della presidenza del consiglio. Durante l’incontro però, secondo Lotti, non si parlò dell’inchiesta napoletana su Consip.
La prima volta che Marroni fa il nome dell’ex ministro è il 20 dicembre 2016: quel giorno gli investigatori partenopei entrano negli uffici Consip perché Marroni sta facendo togliere le microspie piazzate su ordine dei pm napoletani Henry John Woodcock e Celeste Carrano. Marroni viene interrogato prima dai carabinieri del Noe e poi dai pm napoletani. Ai carabinieri dice: “Ho appreso in quattro differenti occasioni da Filippo Vannoni (presidente della fiorentina Publiacqua, ndr), dal generale Emanuele Saltalamacchia, dal presidente di Consip Luigi Ferrara e da Luca Lotti di essere intercettato”. Ferrara a detta di Marroni, gli disse di averlo saputo dall’ex Comandante generale dei carabinieri Tullio Del Sette. Versione che Ferrara, sentito dai pm romani, non conferma e verrà indagato per false informazioni ai pm. Marroni poi disse ancora ai carabinieri del Noe: “A luglio 2016 durante un incontro Luca Lotti mi informò che si trattava di un’indagine che era nata sul mio predecessore Domenico Casalino e che riguardava anche l’imprenditore campano Romeo. Delle intercettazioni ambientali nel mio ufficio l’ho saputo non ricordo se da Lotti o da un suo stretto collaboratore”.
Ai pm Woodcock e Carrano, nella sera del 20 dicembre 2016, aggiunge ancora: “Confermo che nel luglio 2016 l’onorevole Luca Lotti, che io conosco, mi ha detto di stare attento perché aveva appreso che vi era una indagine della Autorità Giudiziaria sull’imprenditore Romeo di Napoli e sul mio predecessore Casalino, dicendomi espressamente che erano state espletate operazioni di intercettazioni telefoniche e anche ambientali, mettendomi in guardia”.
Quel verbale di Marroni è stato precisato poi nei successivi due esami come persona informata dei fatti, davanti ai pm di Roma, a giugno 2017 e a gennaio 2018. Marroni ha confermato di essere stato avvertito da Lotti e ha tenuto fermo che Lotti gli parlò delle intercettazioni. Però non ha confermato che Lotti gli parlò precisamente di intercettazioni ambientali. Ecco spiegata la nota diffusa in serata da ambienti vicini a Lotti: “Il ministro Lotti ha ribadito la sua totale estraneità. Inoltre Marroni non ha fatto riferimento a cimici”. Anche il tempo della soffiata è stato precisato. Marroni aveva sostenuto che fosse avvenuta a luglio e aveva escluso il mese di agosto perché ricordava di essere in ferie. Però già nei due precedenti interrogatori, aiutandosi con le mail, ha datato la soffiata ai primi giorni di agosto, probabilmente il 3 agosto 2016, prima di partire per le vacanze.
Lotti ieri ha confermato l’incontro, ma ha negato di aver mai rivelato a Marroni alcunchè. La versione del ministro è la stessa del 27 dicembre 2016, quando si precipitò in Procura a Roma dopo che Il Fatto rivelò la sua inscrizione nel registro degli indagati per rivelazione di segreto e favoreggiamento: nulla sapeva Lotti e nulla poteva dire a Marroni. Versione ribadita ieri guardando in faccia il suo accusatore.
Adesso sarà la Procura di Roma a decidere chi mente, con evidenti conseguenze penali. Lotti rischia un processo per favoreggiamento e rivelazione di segreto d’ufficio. Il manager rischierebbe l’accusa di calunnia.
L’ex senatore dell’Italia dei Valori Luigi Li Gotti è il legale che gli è stato vicino in questi momenti difficili. Marroni dopo le sue dichiarazioni è rimasto testimone ma ha perso il suo posto in Consip per mano del Pd. Li Gotti commenta: “Il tentativo di farlo passare come una persona mendace è radicalmente fallito. Marroni ha confermato quanto detto all’autorità giudiziaria ed è rimasto testimone”. E questa non è una buona notizia per l’indagato Luca Lotti.

mercoledì 2 luglio 2014

Sarkozy rilasciato, nessuna restrizione. Stasera la 'sua' verità in tv.

Nicolas Sarkozy (foto: ANSA )

Era stato fermato e messo in stato d'accusa per corruzione, abuso d'ufficio e violazione del segreto istruttorio.
Rilasciato in piena notte, dopo 15 ore di fermo, Nicolas Sarkozy si è visto notificare l'apertura di un'indagine per reati pesantissimi. Ma senza nessun provvedimento restrittivo della libertà. L'ex presidente si esprimerà stasera in diretta tv alle 20 sulla tv privata TF1 e per la radio Europe 1.
Il fermo, scattato ieri mattina alle 8, è durato fin quasi alla mezzanotte, ora in cui l'ex presidente francese è stato portato dagli uffici della polizia di Nanterre a quelli del pool finanziario di Parigi.
Le ipotesi di reato nei suoi confronti sono pesantissime: corruzione attiva di un giudice, complicità in violazione del segreto istruttorio e "traffico di influenze". Questo reato è tipico del diritto francese, dove è stato introdotto già alla fine dell'Ottocento, ma è estraneo alla tradizione italiana. E' stato inserito nel nostro codice penale solo nel 2012, all'articolo 346 bis, a seguito dell'adesione dell'Italia a convenzioni internazionali dell'Onu e del Consiglio d'Europa. Il "traffico di influenze" consiste nella mediazione illecita volta al compimento di atti contrari al dovere d'ufficio di un pubblico ufficiale. 
In piena notte, i giudici gli hanno notificato l'apertura dell'inchiesta, stessa sorte toccata pochi minuti prima di lui all'avvocato di fiducia,Thierry Herzog, e al magistrato di Cassazione, Gilbert Azibert.
Quest'ultimo sarebbe stato corrotto da Sarkozy, che gli avrebbe promesso il posto desiderato nel Principato di Monaco in cambio di preziose informazioni sull'andamento dei suoi affari giudiziari in Cassazione. Non indagato e rimesso in libertà il secondo magistrato coinvolto, Patrick Sassoust. La corruzione in atti giudiziari e la violazione del segreto istruttorio sono reati passibili di pene fino a 10 anni di carcere.
Accuse gravissime anche se tutte ancora da dimostrare, come afferma la difesa degli imputati, che punta soprattutto sulla illegalità delle intercettazioni. Particolarmente controverse quelle effettuate sui colloqui fra un indagato (Sarkozy) e il suo avvocato (Herzog), o di quest'ultimo con i suoi colleghi. L'UMP, il partito di destra del quale Sarkozy avrebbe ripreso il controllo come prima tappa verso la ricandidatura, ha difeso ieri l'ex presidente ma in modo piuttosto tiepido.
Con il passare delle ore, i leader si sono defilati e l'atteggiamento si è fatto piuttosto attendista.
Il giudice Azibert, dal canto suo, è accusato di ricettazione della violazione del segreto professionale, traffico di influenze passivo e corruzione passiva. Per l'avvocato Herzog l'accusa è invece di violazione del segreto professionale, ricettazione della violazione del segreto professionale, corruzione attiva e traffico di influenze attivo.
Ex-premier Fillon, urgente fare piena luce - ''E' urgente che sia fatta piena luce'' sul dossier giudiziario legato all'ex presidente Nicolas Sarkozy: lo scrive sul suo blog Francois Fillon, che durante il quinquennio di Sarkozy all'Eliseo è stato suo primo ministro. ''Indagato, Nicolas Sarkozy è presunto innocente. E' urgente che piena luce sia fatta per l'uomo che attraversa una prova dolorosa come per il Paese che si affossa nella crisi di fiducia'', afferma Fillon. ''Ex-presidente della Repubblica, ha diritto al rispetto'', ha continuato Fillon, che intende presentarsi alle primarie dell'Ump, il grande partito francese di centrodestra, nel 2016, in vista del voto presidenziale del 2017.
Popolarità Hollande risale di cinque punti - Risale di cinque punti, anche se resta comunque bassissimo, l'indice di popolarità del presidente francese, Francois Hollande, secondo quanto emerge dall'ultimo studio realizzato dall'Ifop per Paris-Match. Il tasso di consenso di Hollande passa dal 18% di giugno (un record negativo) al 23% di luglio (+5 punti). E' soprattutto come difensore degli "interessi della Francia all'estero" che il presidente più impopolare della Quinta Repubblica guadagna terreno: + 10 punti (dal 41% al 51% degli intervistati). Mentre l'ex presidente, Nicolas Sarkozy, affonda nello scandalo legato alla presunta corruzione dei magistrati, cresce anche la popolarità del premier, Manuel Valls, che guadagna un punto di approvazione, dal 52% al 53% in un mese.