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lunedì 11 luglio 2022

Ungheria: “Conte, accuse false. E Amara si interessò di Renzi”. - Antonio Massari

 

PRESUNTA LOGGIA - I magistrati chiedono di archiviare. Ma qualcosa è riscontrato: “Il legale voleva pilotare un’indagine contabile” sul capo Iv.

La Loggia Ungheria descritta da Piero Amara non è mai esistita: la procura di Perugia chiede l’archiviazione per il reato di violazione della Legge Anselmi. L’inchiesta condotta dal procuratore Raffaele Cantone e dai sostituti Mario Formisano e Gemma Miliani ha il pregio di fare chiarezza su molti punti essenziali. Non è stata un’inchiesta semplice – “condizionata” in “modo indiscutibile” dalla “fuga di notizie” che l’hanno riguardata – e questa richiesta d’archiviazione, per certi aspetti, sembra una sentenza. Innanzitutto Amara non è un “invasato”, un “mitomane”, uno “sprovveduto faccendiere in cerca di notorietà”, ma non è stata provata l’esistenza dell’associazione segreta descritta dalla norma. Alcuni suoi racconti sono stati riscontrati altri erano fondati su fatti veri che ha incorniciato con una serie di falsità. Spargendo fango su personaggi importanti delle istituzioni. E bisognerebbe capire perché.

Nel dicembre 2019 Amara addita il premier Giuseppe Conte sostenendo di averlo raccomandato, in passato, per fargli affidare un incarico – pagato in modo sproporzionato – dalla società Acquamarcia spa. Incarico affidato attraverso un amico di Amara, Fabrizio Centofanti, e l’intervento dell’ex vice presidente del Csm Michele Vietti. Centofanti smentisce spiegando di averne “parlato con Amara soltanto dopo che Conte era già stato individuato”. Nega di “aver mai esternato lamentele” sull’operato di Conte e sulle sue parcelle e tanto meno di averlo individuato “quale garanzia del buon esito della procedura concorsuale avviata”. Ma perché Amara ha fatto queste dichiarazioni su Conte? “Non si comprende” scrive la procura “a meno di non voler ipotizzare che il riferimento a Conte, avvenuto mentre rivestiva la carica di presidente del Consiglio, non fosse un modo per accreditare la rilevanza del suo narrato”. Potremmo aggiungere che la “balla” di Amara su Conte avrebbe potuto produrre un ulteriore risultato (sempre che non l’abbia prodotto comunque, vista la circolazione dei verbali già nella primavera 2020): indebolire il governo in carica.

Dagli atti emerge piuttosto il rapporto tra Amara e l’ambiente renziano. In particolare con Luca Lotti per il tramite di Andrea Bacci. Le dichiarazioni su Lotti, per la procura, rappresentano un “dato distonico” in quanto “non avrebbe mai fatto parte di Ungheria”. C’è un’ulteriore distonia, a nostro avviso, che riguarda la tempistica dei racconti di Amara: nel dicembre 2019 fa il nome di Conte (dicendo balle) ma nulla dice di un “pizzino” potenzialmente utile a Matteo Renzi (dagli atti non risulta alcun suo coinvolgimento nella vicenda, ndr) che, invece, mette sul tavolo ben due anni dopo. Nell’ottobre 2021 mette la procura di Perugia nelle condizioni di dare un’occhiata a un foglietto sequestrato a Bacci nel 2017. Un “manoscritto redatto da Amara, a dire dello stesso Bacci (…) nel quale viene richiesto un incontro con Lotti, da parte di Raffaele De Dominicis, magistrato di vertice della Corte dei Conti in relazione a un fascicolo da lui trattato che avrebbe coinvolto l’allora presidente del consiglio Renzi, richiesta di cui si faceva portatore proprio Amara”. Una vicenda tutta da verificare e, fino a prova contraria, priva di rilievi penali che però, per la procura umbra, costituisce “un riscontro oggettivo delle dichiarazioni rese da Amara in merito ai suoi rapporti con Lotti, sia pure mediati da Bacci, e al suo essere al centro di un sistema di relazioni che si prefiggeva di ingerirsi nelle nomine degli apicali della magistratura”. Il “sistema Amara”, quindi, era tutt’altro che una barzelletta. La procura spiega che la faccenda del “pizzino” in questione “non va sottovalutata”: “Amara si fa latore di un messaggio che sembra venire dal Procuratore Generale della Corte dei conti per ‘concordare’ l’esito di un’indagine contabile che riguardava niente di meno che l’allora Presidente del Consiglio dei Ministri”.

Passiamo al consigliere del Csm Sebastiano Ardita, definito da Amara vicino a Ungheria e tirato in ballo per una cena con altri presunti sodali della Loggia. Un’altra fandonia con “circostanze non secondarie oggettivamente smentite dai fatti”. Dopo la bufala che può mettere in crisi il governo Conte, arriva quindi la bufala su Ardita, che può devastare una parte del Csm, spaccare la corrente Autonomia&Indipendenza (determinante nell’imminente scelta del nuovo procuratore di Roma), distruggere il rapporto tra Ardita e Piercamillo Davigo e, dopo il caso Palamara, delegittimare ulteriormente la magistratura. Dopo le balle su Conte e Ardita c’è anche quella sul comandante generale della Guardia di Finanza Giuseppe Zafarana: sarebbe membro di Ungheria e gli avrebbe raccomandato di assumere, nel suo ufficio legale, l’avvocata Cristina Sgubin. Se la notizia fosse filtrata sarebbe crollato anche il vertice della Gdf. C’è qualcosa di vero? La procura parla di “assenza assoluta di ogni riscontro” a parte la “assoluta illogicità” per un generale della Finanza di “veicolare” la raccomandazione attraverso un “terzo estraneo” a un ulteriore “soggetto” che “fra l’altro avrebbe dovuto essere stato un suo sodale fratello” nella loggia in questione. Ma perché Amara tira in ballo Zafarana? È plausibile, spiega la procura, l’ipotesi di un “rapporto certamente non idilliaco fra Amara e la GdF” che aveva “condotto tutte le indagini” che hanno portato al suo arresto e alla sua condanna.

Altri racconti hanno però trovato riscontri che meritano ulteriori approfondimenti. La procura nazionale antimafia (coinvolta da Perugia) ha trovato riscontri, per esempio, su episodi che riguardano l’ex procuratore di Caltanissetta Giovanni Tinebra o vecchi processi siciliani che riguardavano Berlusconi (fu archiviato) nelle stragi mafiose del 1992: “In definitiva” scrive la procura di Perugia “si può affermare che alcune circostanze narrate da Amara sono almeno in parte riscontrate. Lo sono le ombre gettate sulla figura di Tinebra in relazione all’omicidio di Luigi Ilardo”. E ancora: “In merito all’esistenza di procedimenti nisseni che avevano coinvolto Berlusconi (e Dell’Utri, ndr) è stato citato il procedimento (…) chiuso con decreto di archiviazione del Gip del 3 maggio 2002 (…) dal riscontro citato tuttavia non emerge il nominativo del pm che avanzò richiesta di archiviazione (…)”. La procura sul punto conclude che queste dichiarazioni avrebbero dovuto “rappresentare l’incipit del racconto fatto (da Amara, ndr) a Milano”. E sottolineando le sue contraddizioni, spiega che, però, le “circostanze acclarate come vere non rappresentano la prova che Amara le abbia acquisite” grazie alla “sua intraneità alla loggia”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/07/09/ungheria-conte-accuse-false-e-amara-si-interesso-di-renzi/6655345/

domenica 19 settembre 2021

Notizia: che fare? - Marco Travaglio


Fioccano le interpretazioni sulla decisione del Fatto di pubblicare i verbali dell’avvocato Piero Amara sulle decine di presunti affiliati alla presunta Loggia Ungheria. Una manina anonima ce li recapitò, senza firme in calce, il 29 ottobre 2020 e noi denunciammo subito quel reato alla Procura di Milano. Che ora accusa l’ex segretaria di Davigo di essere la titolare della manina. E ha depositato gran parte dei verbali a fine indagine. Noi 11 mesi fa non li avevamo pubblicati per tre motivi: Amara è un noto fabbricante di indagini fasulle e quei verbali senza firme potevano essere apocrifi o taroccati; anche se fossero stati autentici, non sapendo chi ce li inviava né perché, non volevamo farci usare in torbide manovre al buio; e comunque, senz’alcun riscontro sulla presunta loggia, ci saremmo esposti a una raffica di querele da parte dei personaggi citati. Ora invece li pubblichiamo perché s’è accertato che erano autentici; perché, col deposito, il segreto è caduto; perché 5 Procure hanno iniziato a separare il grano dal loglio; perché l’opinione pubblica, dopo averne sentito parlare per mesi, ha capito che si tratta delle parole di un soggetto ambiguissimo e nessuno le prende per oro colato; perché quel cadavere nel ripostiglio comincia a puzzare e a emettere miasmi, perfetti per ricatti e veleni, che si stroncano in un solo modo: pubblicando tutto. L’interesse della notizia ormai riguarda sia il vero sia il falso, visto che tutti gli accusati sono personaggi pubblici: se le accuse sono vere, bisogna conoscerle; se sono false, occorre domandarsi perché e per conto di chi sono state lanciate.

Così si ragiona in un giornale vero, che dà le notizie e per giunta si chiama Fatto. Di qui lo sgomento dei non-giornali. Sallusti titola su Libero: “Fango nel ventilatore”. E spiega che “ognuno tiene famiglia” (lui addirittura due: Berlusconi e Angelucci, mentre ci sfugge la nostra) e ora c’è una “faida tra famiglie rivali”. In basso, ma molto in basso, Filippo Chatouche Facci ci dà dei “passacarte” che “han messo nel ventilatore la peggior merda”. Poi volti pagina e scopri che Libero copia parola per parola la nostra “merda” e la mette nel suo ventilatore, con sopraffina coerenza (e coprofilia). Sul Riformatorio, il povero Sansonetti ha un attacco di labirintite: dopo averci accusati per mesi di non pubblicare, ora ci accusa di pubblicare per consumare “la vendetta di Davigo” contro Greco (mai citati, nessuno dei due, nei verbali). Poi, già che c’è, la consuma pure lui copiando paro paro il nostro scoop. L’unica cosa che non viene proprio in mente ai non-colleghi dei non-giornali è che il Fatto dia le notizie per dare le notizie: in tanti anni di onorate non-carriere, non ne hanno mai vista una.

ILFQ

martedì 23 febbraio 2021

“Così Palamara spifferava notizie sulle indagini in corso”. - Antonio Massari

 

Corruzione in atti giudiziari - Si aggrava la posizione dell’ex pm.

Nuove accuse per Luca Palamara: corruzione in atti giudiziari. In questa sorta di elastico – le contestazioni sono già mutate tre volte – nell’inchiesta perugina prende un ruolo centrale Piero Amara, l’eminenza grigia delle maggiori inchieste per corruzione di magistrati degli ultimi anni.

Sentito a Perugia come persona informata sui fatti, Amara ha spiegato che riusciva a ottenere informazioni riservate sulle indagini che lo riguardavano a Roma e Messina. La sua fonte era l’imprenditore Fabrizio Centofanti, il quale prendeva notizie da Palamara che, a sua volta, da un lato le carpiva al pm di Roma, Stefano Fava – che indagava su Amara nella Capitale – e dall’altro attraverso l’attuale procuratore generale di Messina, all’epoca procuratore aggiunto, Vincenzo Barbaro. Quest’ultimo ieri ha precisato: “La rivelazione di notizie è palesemente insussistente, come potrà essere comprovato nelle competenti sedi con inoppugnabile produzione documentale, oltre che con la deposizione di tutti i soggetti che a vario titolo si sono occupati del processo. Preannuncio iniziative giudiziarie nei confronti dei responsabili”.

I pm di Perugia – Gemma Miliani e Mario Formisano, coordinati dal procuratore capo Raffaele Cantone – hanno cercato riscontri alla versione di Amara e sono convinti di averli trovati. Prima di passare ai riscontri, però, riordiniamo la matassa delle accuse e mettiamo a fuoco la figura di Amara e Centofanti. Amara – avvocato ed ex legale esterno di Eni – è da anni al centro di numerose inchieste in tutta Italia. È stato condannato a Messina per aver corrotto l’ex pm di Siracusa, Giancarlo Longo, affinché istruisse un fascicolo farlocco, quello sull’inesistente complotto per far cadere l’ad di Eni Claudio Descalzi e finalizzato a depistare il fascicolo in cui lo stesso Descalzi è accusato, a Milano, di corruzione internazionale per l’acquisto del giacimento nigeriano Opl 245 da parte del colosso petrolifero italiano. Per questo “depistaggio” è indagato a Milano. È stato accusato a Roma di aver corrotto magistrati amministrativi per pilotare sentenze.

Amara e Palamara hanno un amico in comune: l’imprenditore Fabrizio Centofanti. E proprio nell’inchiesta romana i finanzieri del Gico hanno individuato un giro di fatture sospette emesse da Amara e Centofanti. Quest’ultimo, a sua volta, è l’uomo che ha pagato a Palamara viaggi e soggiorni in hotel, nonché la ristrutturazione dell’appartamento di una donna all’epoca a lui vicina. In sostanza, secondo la procura di Perugia, Centofanti avrebbe corrotto Palamara. In cambio di cosa? Nella prospettazione iniziale era indagato a Perugia anche Amara: Palamara – fatto poi ritenuto insussistente dai pm – avrebbe incassato 40mila euro per interessarsi alla nomina di Longo (mai avvenuta) come capo della procura di Gela. Amara viene poi archiviato e i pm derubricano l’accusa, per Palamara, in corruzione per esercizio della funzione. Accusa nuovamente cambiata ieri perché, interrogando Amara il 4 febbraio (e non soltanto lui), emerge un fatto nuovo: Amara sostiene di aver avuto notizie sulle sue indagini da Centofanti – sia su Roma sia su Messina – attraverso Palamara che le carpisce in qualche modo a Fava e Barbaro (non indagati). Un primo riscontro può giungere dagli atti d’indagine: Barbaro, da procuratore aggiunto a Messina, partecipava al coordinamento delle indagini con Roma. Ma c’è di più. Il suo nome compare nelle chat con Palamara – al solito si discute di nomine – e, soprattutto, il 14 ottobre 2017 Barbaro scrive una relazione al procuratore capo di Messina sostenendo che l’ex presidente dell’Anm gli aveva dimostrato di conoscere elementi del fascicolo in cui era indagato un suo amico. L’amico – che nella relazione non è menzionato – potrebbe essere proprio Centofanti sul quale, in quel momento storico, non c’era atti ufficiali: era tutto coperto dal segreto istruttorio.

La difesa di Palamara – sostenuta dagli avvocati Benedetto e Mariano Buratti e Roberto Rampioni – ha un’altra tesi. Le interlocuzioni con Barbaro riguardavano un procedimento disciplinare su Longo (che era appunto indagato a Messina): Palamara si informava per avere elementi utili alla decisione finale. Le conversazioni riguardavano anche la nomina da procuratore generale di Barbaro che infatti promette in chat di ringraziarlo con dei torroncini. Secondo Amara, il secondo canale informativo – ammesso che sia riuscito a carpirgli qualcosa, essendo noto il suo rigore – riguarda invece l’inconsapevole pm Fava. L’occasione – emerge da alcune chat con il poliziotto Renato Panvino – era rappresentata da alcuni incontri a tennis tra i due. Panvino ha confermato che, quando nelle chat citava le partite a tennis, intendeva riferirsi a incontri tra Palamara e Fava. Anche Amara ha fornito la stessa versione.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/23/cosi-palamara-spifferava-notizie-sulle-indagini-in-corso/6110365/