venerdì 31 agosto 2018

Migranti, inchiesta choc sui centri di accoglienza a Firenze: sovraffollamento, cibo avariato e bagni mai disinfettati. - Giacomo Salvini

Migranti, inchiesta choc sui centri di accoglienza a Firenze: sovraffollamento, cibo avariato e bagni mai disinfettati

Operazione di carabinieri e Finanza a Lastra a Signa, indagati titolari e dirigenti di società e coop: due ai domiciliari. E al telefono c'era chi rideva: "Quanti ne hai messi?", "Ingegnere, pensi a un numero: di più". In qualche caso sono spariti anche i soldi destinati ai migranti come pocket money.

“Quanti ce ne ha messi?”. “Ingegnere lei pensi a un numero: di più!”. E giù risate. Al telefono Ottorino Stantetti, amministratore della Eurotravel bed&breakfast srl, non tratteneva l’allegria parlando con un ingegnere che gli chiedeva quanti migranti in più rispetto al dovuto avesse piazzato in una delle sette strutture di prima accoglienza a Lastra a Signa (Firenze). Ma nei centri adibiti all’accoglienza di migranti del Comune non c’era solo il problema del sovraffollamento: spesso i locali non erano a norma, il cibo era avariato o scaduto, i bagni non erano mai stati disinfettati e gli ospiti erano obbligati su minaccia a fare le pulizie. Di tutto questo la Procura di Firenze accusa 4 tra titolari e dirigenti di ditte e cooperative che nel 2014 si erano aggiudicate i bandi della Prefettura per l’accoglienza dei migranti. Si tratta dei due soci e amministratori di fatto della Eurotravel, che forniva le strutture per l’accoglienza, Ottorino Stantetti (84 anni) e il figlio Davide (56), ai domiciliari con l’accusa di frode in pubbliche forniture, e i presidenti delle coop che si erano aggiudicati i bandi, Matteo Conti (Cenacolo Onlus) e Lorenzo Terzani (Consorzio CO&So), per i quali è scattata l’interdizione da tutti gli incarichi societari. Oltre a loro risulta indagata anche Maria Grazia Scacciati, moglie di Stantetti e titolare della Eurotravel, che sottoscriveva le convenzioni degli alloggi con la coop Il Cenacolo.

L’inchiesta, condotta dal sostituto procuratore di Firenze Leopoldo De Gregorio, è partita nel 2014 dopo alcuni controlli dei carabinieri di Lastra a Signa nei centri di accoglienza: in quell’occasione erano stati proprio i migranti a denunciare le pessime condizioni in cui vivevano. C’era chi segnalava di non aver mai ricevuto il cosiddetto pocket money (i 2,50 euro settimanali che finiscono ai migranti) o chi raccontava che gli operatori portavano il cibo, spesso avariato, “una volta al giorno o addirittura una volta alla settimana” e che “il cambio delle lenzuola e delle coperte erano effettuate solo una volta in tre mesi”. E le pulizie? Quelle le facevano direttamente i migranti minacciati di essere trasferiti immediatamente in un altro centro sempre di Lastra a Signa: alcuni ospiti hanno anche raccontato agli investigatori che i locali non erano mai stati disinfettati e che “spesso le stanze erano pulite solo con l’acqua perché non vi erano detersivi”.

Durante le indagini, carabinieri e guardia di finanza di Lastra a Signa si sono concentrati anche sui sei/sette immobili messi a disposizione dalla Eurotravel per accogliere i migranti. Scoprendo casi di sovraffollamento e soprattutto locali non in regola perché adibiti ad un uso solo ricreativo. C’era per esempio la struttura di Malmantile (vicino a Signa) dove alloggiavano fino a 30 migranti nonostante una disponibilità massima di 12-14, poi c’era quella di via Livornese a Lastra a Signa che ne ospitava 24 sebbene i posti letto fossero solo 9 e poi un altro immobile vicino che, scrive il gip Antonella Zatini nell’ordinanza di custodia cautelare, era “da considerarsi abusivo, poiché si trattava di locali con destinazione d’uso a circolo ricreativo e non a civile abitazione, dunque inidoneo ad essere adibito a luogo di dimora”. E come facevano i gestori dei locali a coprire queste irregolarità, lo racconta proprio uno dei migranti ospiti del centro agli investigatori: “Prima che arrivasse l’ispezione – si legge nell’ordinanza – arrivava una persona che toglieva un letto per camera e mandava via una persona per ogni stanza, sistemavano tutta la casa in modo da fare apparire che noi stiamo bene. Ai soggetti che vengono allontanati dicono di allontanarsi per qualche ora”. Poi, passati i controlli, li facevano rientrare.
Oltre agli alloggi, uno dei servizi previsti dai bandi della prefettura era quello del cosiddetto pocket money e delle ricariche telefoniche dal valore di 15 euro per migrante: molti degli ospiti dicono di non ricevere spesso né l’uno né l’altro oppure di ricevere ricariche di un valore più basso. Secondo i pm, per esempio, la coop Il Cenacolo spendeva solo 1.740 euro per le tessere telefoniche: una cifra che poteva al massimo coprire 116 dei 791 migranti che la coop aveva ospitato nel 2014. Oppure non forniva proprio il pocket money ai propri ospiti anche per periodi fino a sei mesi: “Nonostante la cooperativa il Cenacolo omettesse la consegna di pocket money a trecentotrentasei soggetti ospiti per impossibilità di identificazione – scrive il giudice – non stornava dalle fatture riepilogative mensili, emesse nei confronti della Prefettura, i relativi importi”. A questo proposito gli investigatori il 26 giugno 2015 ascoltano una telefonata in cui il presidente della cooperativa si lamenta: “In sé, la questione… E di nuovo veramente si sta parlando di quanto? Tremila euro? Tremilacinquecento euro? In un periodo assolutamente convulso… (incomprensibile)… Non c’eran indicazioni, disposizioni, però è veramente, cioè…”. Annota il gip: “colpisce in particolare, dal tenore della conversazione, la spregiudicatezza con la quale sia il Conti sia l’interlocutrice si riferivano all’utilizzo di denaro pubblico, destinato ai migranti in base agli accordi con la prefettura ma di fatto sottratto alla possibilità di ogni effettivo controllo, con il pretesto non meglio precisato e comunque del tutto inaccettabile di un periodo di confusione, o della notevole entità delle corresponsioni”.

lunedì 27 agosto 2018

Cancro, arriva in Europa terapia antitumorale con cellule del paziente.

Coltura di cellule in laboratorio (Ansa)

Via libera all'immunoterapia Car-T tisagenlecleucel che utilizza i linfociti T per combattere le neoplasie. Potrà essere usata per il trattamento di due forme di leucemia e linfoma, nel caso non funzionino le terapie tradizionali.

Roma, 27 agosto 2018 - Novità importante nel campo della cura di leucemie linfomi. La Commissione europea ha dato l'ok all'uso dell'immunoterapia Car-T tisagenlecleucel per il trattamento di bambini e giovani adulti fino ai 25 anni con leucemia linfoblastica acuta (Lla) a cellule B e per il trattamento di pazienti adulti con linfoma diffuso a grandi cellule B (Dlbcl) nei casi in cui la patologia non risponda alle tradizionali terapie (neoplasie recidivanti o refrattarie). E' la prima volta che la cura per i tumori chiamata 'Car T', che prevede l'uso delle cellule del paziente 'addestrate' a riconoscere quelle tumorali, arriva in Europa. Ad annunciarlo è la svizzera Novartis, che "continua a collaborare con le autorità competenti di tutta Europa - si legge in una nota - per definire un approccio economico equo e basato sul valore, ma che sia al contempo sostenibile per i servizi sanitari nazionali".
IN COSA CONSISTE LA CAR-T THERAPY- E' la stessa azienda a spiegare le potenzialià del nuovo farmaco sviluppato in collaborazione con l'università della Pennsylvania: "Tisagenlecleucel è un trattamento rivoluzionario cheutilizza i linfociti T del paziente per combattere il cancro". La Cart-t therapy consiste infatti nel prelevare i linfociti T del paziente, un tipo di cellule del sistema immunitario, modificandoli perché riconoscano le cellule tumorali e poi reinfondendoli dopo averli fatti replicare. E' anche "l'unica terapia con recettore antigenico chimerico delle cellule T (Car-T) che ha ricevuto l'approvazione regolatoria nella Ue per due distinte neoplasie a cellule B", nonché "è stato anche la prima terapia cellulare Car-T mai approvata dalla Fda statunitense".
IL SI' DELL'EMA - L'autorizzazione della Commissione è arrivata dopo il parere positivo del Chmp, il comitato dell'Ema (Agenzia europea per i medicinali) che si occupa dell'approvazione dei farmaci, a fine giugno. Per Liz Barrett, Ceo di Novartis Oncology, il via libera dell'Emarappresenta "una svolta trasformativa per i pazienti in Europa che hanno bisogno di nuove opzioni terapeutiche. Perseguendo tenacemente il suo obiettivo di ridisegnare la cura del cancro - aggiunge - Novartis sta realizzando un'infrastruttura globale per la fornitura di terapie cellulari Car-T, laddove prima non ne esisteva alcuna".

Peter Bader, capo della Divisione immunologia e trapianti di cellule staminali dell'University Hospital for Children and Adolescents di Francoforte, principal investigator dello studio 'Eliana' sul tisagenlecleucel, parla di "progresso senza precedenti del paradigma terapeutico". Il farmaco, evidenzia in particolare l'esperto, "costituisce una terapia salvavita per i giovani pazienti con Lla che non sono stati trattati con successo con le terapie esistenti e per i quali sono rimaste poche opzioni terapeutiche".

domenica 26 agosto 2018

Difesa, la spesa italiana crescerà anche nel 2018: alle armi 25 miliardi, il 4% in più rispetto al 2017. - Luisiana Gaita - 2 febbraio 2018

militare italiano con sniper

I dati dell'Osservatorio Milex: la spesa militare vale l'1,4% del Pil. Pesa, oltre ai bilanci di Difesa, l'aumento dell'importo destinato al ministero dello Sviluppo per l'acquisto di nuovi armamenti. E una quota è destinata al Nuclear Sharing, le spese di mantenimento dell'arsenale nucleare Usa dislocato in Italia.


Ammonta a 25 miliardi di euro la spesa militare italiana per il 2018, l’1,4 per cento del Pil, con un aumento del 4 per cento rispetto al 2017. Si tratta ormai di una tendenza di crescita avviata dal governo Renzi (con un 8,6 per cento in più rispetto al 2015) che non accenna a fermarsi. Nel 2018, infatti, crescono anche il bilancio del Ministero della Difesa (21 miliardi, il 3,4% in più rispetto al 2017) e i contributi del Ministero dello Sviluppo Economico all’acquisto di nuovi armamenti (3,5 miliardi di cui 427 milioni di costo mutui, ossia il 115% in più nelle ultime tre legislature). A rivelarlo è il Rapporto MIL€X 2018, a cura di Enrico Piovesana, cofondatore dell’osservatorio sulle spese militari italiane e di Francesco Vignarca della Rete italiana per il Disarmo. Il dossier è stato presentato oggi presso la sala stampa della Camera dei Deputati alla presenza di Daniel Högsta, coordinatore della campagna ICAN (International Campaign to Abolish Nuclear Weapons), premio Nobel per la Pace 2017. Il rapporto analizza i costi della ‘servitù nucleare’ legata alle spese di stoccaggio e sorveglianza delle testate atomiche tattiche americane B-61 nelle basi italiane e alle spese di stazionamento del personale militare USA addetto e di mantenimento in prontezza di aerei e piloti italiani dedicati al ‘nuclear strike’. “Questi dati – ha commentato Daniel Högsta – dimostrano come la presenza di armi nucleari abbia impatto negativo per i Paesi che le ospitano non solo dal punto di vista politico, ma anche della spesa pubblica. L’opinione pubblica dovrebbe rendersene conto”.

Tra gli ulteriori focus del dossier quelli sulle le spese italiane di supporto alle 59 basi USA in Italia (520 milioni l’anno) e di contribuzione ai bilanci Nato (192 milioni l’anno), sui costi nascosti (Mission Need Urgent Requirements) delle ‘infinite’ missioni militari all’estero (16 anni di presenza in Afghanistan e 14 anni in Iraq), il costo della base militare italiana a Gibuti intitolata all’eroe di guerra fascista Comandante Diavolo (43 milioni l’anno) e lo ‘scivolo d’oro’ dimenticato per gli alti ufficiali ma condannato dalla Corte dei Conti e l’onerosa situazione dei 200 cappellani militari ancora a carico dello Stato (15 milioni l’anno tra stipendi e pensioni).
LA CORSA ITALIANA ALLE ARMI – La corsa italiana agli armamenti è tutta nei dati. “Le spese per armamenti continuano ad aumentare – spiega Francesco Vignarca a ilfattoquotidiano.it – siamo a 5,7 miliardi nel 2018, l’88% in più nelle ultime tre legislature”. E si conferma la distorsione per cui essi sono possibili solo grazie ai contributi finanziari del Ministero dello Sviluppo Economico, anch’essi in aumento. “Finanziamenti sempre più ingenti e onerosi per la collettività e gravosi per il debito pubblico – spiega il rapporto – tenuto conto il sistematico ricorso del Mise a finanziare tali programmi richiedendo a istituti di credito (soprattutto IntesaBBVA e Cassa Depositi e Prestiti) prestiti bancari concessi a tassi improponibili (fino al 40% del finanziamento erogato)”. Il costo annuale degli interessi, riportato nei bilanci del Mise, è estremamente elevato: se nel 2017 è stato di 310 milioni, per il 2018 si pagheranno 427 milioni. “Tra i programmi di riarmo nazionale in corso i più ingenti – continua Vignarca – sono le nuove navi da guerra della Marina (tra cui la nuova portaerei Thaon di Revel), i nuovi carri armati ed elicotteri da attacco dell’Esercito e i nuovi aerei da guerra Typhoon e F-35”. Agli F-35 il rapporto dedica un approfondimento che analizza costi effettivi (50 miliardi con i costi operativi), reali ricadute industriali e occupazionali e “difetti strutturali – spiega il rapporto – che rischiano di mettere fuori servizio gli F-35 finora acquistati dall’Italia per 150 milioni l’uno e funzione strategica di questo sistema d’arma prettamente offensivo e intrinsecamente contrario all’articolo 11 della Costituzione Italiana e al Trattato di non Proliferazione Nucleare”.

LA PREVISIONE PER IL 2018 – I dati contenuti negli stati di previsione allegati alla Legge di Bilancio 2018, approvata dal Parlamento il 23 dicembre 2017, mostrano un incremento annuo del 3,4% (circa 700 milioni) del budget previsionale del Ministero della Difesa, che passa dai 20,3 miliardi del 2017 ai quasi 21 miliardi del 2018. Si tratta di un aumento che rafforza la tendenza di crescita avviata due leggi di Bilancio fa dal governo Renzi con circa 1,6 miliardi in più rispetto al bilancio Difesa del 2015 (l’ultimo a risentire degli effetti della spending review decisa nel 2012 dal governo Monti e applicata dal successivo governo Letta anche al ministero della Difesa). Siamo all’1,3% in più rispetto all’inizio dell’ultima legislatura e al 18% in più nelle ultime tre legislature.
PER ARMI E INFRASTRUTTURE 2,3 MILIARDI IN PIÙ –Analizzando il dettaglio delle voci di spesa previste per il 2018 spicca un aumento del 9,7% dei fondi ministeriali per gli investimenti in nuovi armamenti e infrastrutture (2,3 miliardi). In aumento del 4,6% anche la spesa per il personale di Esercito, Marina e Aeronautica (10,2 miliardi) nonostante la riduzione degli organici dettata dalla Riforma Di Paola, a causa degli aumenti stipendiali per gli ufficiali superiori previsti dal recente riordino delle carriere. Questo per quanto riguarda i fondi preventivi relativi al solo bilancio del Ministero della Difesa, anche se ormai da anni i bilanci consuntivi diffusi in seguito risultano mediamente superiori di circa 2 miliardi ai preventivi.

LE VOCI EXTRA-BILANCIO DELLA DIFESA – L’aumento delle spese italiane per la Difesa risulta ancor più consistente se si tiene conto di tutte le altre voci di spesa militare sostenute da altri Ministeri ed enti pubblici: “I 3,5 miliardi (+5% rispetto al 2017) dei contributi del Ministero dello Sviluppo Economico per l’acquisizione di nuovi armamenti made in Italy (contributi pari al 71,5% del budget totale del Mise 2018 per la competitività e lo sviluppo delle imprese italiane), i circa 1,3 miliardi di costo delle missioni militari all’estero sostenute dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, gli oltre 2 miliardi del costo del personale militare a riposo a carico dell’Inps e il mezzo miliardo di spese indirette per le basi USA in Italia”. Aggiungendo queste voci di spesa e sottraendo invece i costi non propriamente militari, il totale delle spese militari italiane per il 2018 sfiora i 25 miliardi: +4% rispetto al 2017 (un miliardo in più).
SPESE NATO, BASI USA E NUCLEARE – Anche essere membri della Nato ha un costo per l’Italia. “Non solo le spese per la partecipazione alle missioni militari dell’alleanza – spiega il rapporto – ma anche quelle per la contribuzione diretta pro-quota (ultimamente pari all’8,4%) al budget militare e civile della Nato e al Programma d’investimento per la sicurezza Nsip (Nato Security Investment Programme). Complessivamente ogni anno il contributo dell’Italia (per il 2018 ma anche per gli anni precedenti e fino al 2020) ammonta a 192 milioni di euro: circa 125 milioni destinati al budget Nato (oltre 100 milioni al budget militare, il resto al budget civile) e 66,6 milioni destinati agli investimenti infrastrutturali. A questi contributi diretti vanno poi aggiunti ‘i contributi indiretti alla difesa comune’, vale a dire i costi sostenuti dall’Italia a supporto delle 59 basi americane in Italia (il nostro Paese è il quinto avamposto statunitense nel mondo per numero d’installazioni militari, dopo Germania con 179 basi, Giapponecon 103, Afghanistan con 100 e Corea del Sud con 89). La cifra esatta non viene resa nota dal 2002, nonostante recenti interrogazioni parlamentari al riguardo. All’epoca il contributo italiano era calcolato dal Pentagono in 366,5 milioni di dollari, un terzo rispetto all’abbondante miliardo di dollari che veniva pagato a fine anni ’90.

Una particolare voce di spesa legata alla presenza militare USA in Italia, è quella relativa all’accordo di ‘condivisione nucleare’ (Nuclear Sharing) per cui il nostro Paese, fin dagli anni ’50, ospita una cinquantina di bombe atomiche americane B-61: una trentina nella base USA di Aviano e altre venti nella base italiana di Ghedi. Altre bombe erano custodite a Comiso fino al 1987 e a Rimini fino al 1993. “In definitiva – rileva il rapporto – la spesa direttamente riconducibile alla presenza di testate nucleari statunitensi sul suolo italiano ha un costo minimo di almeno 20 milioni annui, ma con tutti gli elementi coinvolti (anche per progetti straordinari di ammodernamento) potrebbe giungere anche ad essere stimata attorno ai 100 milioni di euro l’anno”.

sabato 25 agosto 2018

Ex ministri, senatori e amici. Così ha retto la rete Benetton. Da Cirino Pomicino fino a Mastrapasqua. Tutti hanno ancora ruoli nelle concessionarie. - Stefano Sansonetti

Benetton

Nel 1992, quando l’Iri venne trasformato in società per azioni, lui era ancora ministro del bilancio. Parliamo di quella stessa Iri che, qualche anno dopo, avrebbe inaugurato la cessione di Autostrade alla famiglia Benetton, oggi nel mirino per il crollo del Ponte Morandi sulla A10 e la sua pesantissima dote di 43 vittime. Ma ancora oggi, a 26 anni di distanza da quella trasformazione che fu la base per la grandi svendite di Stato, Paolo Cirino Pomicino è inseritissimo nelle rete di potere della famiglia di Ponzano Veneto. Per dire, non tutti sanno che l’ex andreottiano di ferro attualmente è presidente della Tangenziale di Napoli, la concessionaria dell’omonima infrastruttura controllata al 100% da Atlantia, holding dei Benetton. Così come a molti sembra sfuggire che lo stesso Cirino Pomicino è tutt’ora vicepresidente di Autostrade Meridionali, altra concessionaria che per il 58,9% fa capo alla famiglia e che gestisce l’A3 Napoli-Pompei-Salerno. 
E che dire della Società italiana per il traforo del Monte Bianco? Partecipata da Autostrade (51%), Anas (32,12%), Regione Valle d’Aosta (10,6%), Cantone e Città di Ginevra (6,24%), è presieduta nientemeno che dal notaio astigiano Aldo Scarabosio, ex senatore di Forza Italia prima e Pdl poi.
Gli altri – Ma nel Cda della stessa società è stato riciclato anche Marco Bonamico, ex Ad della società pubblica Sogei, all’epoca nelle grazie dell’ex ministro dell’economia, Giulio Tremonti, e del suo ex consigliere politico, Marco Milanese. Tornando poi alle Autostrade Meridionali, può essere di interesse svelare che nel collegio sindacale siede Antonio Mastrapasqua, un tempo molto vicino a Gianni Letta, ex presidente dell’Inps e già collezionista di una serie impressionante di poltrone. E il medesimo Mastrapasqua è inserito anche nel collegio sindacale di un’altra concessionaria della galassia Benetton, ovvero quella Società Autostrada Tirrenica che gestisce la A12 Livorno-Civitavecchia e che fa capo per il 99% ad Atlantia. Si tratta soltanto di alcuni esempi. Ma osservare come vecchi arnesi della prima repubblica ed ex manager pubblici siano stati recuperati nelle varie società satellite, aiuta a capire perché negli ultimi 20 anni i Benetton abbiano agito indisturbati con l’avallo del mondo politico. Un rapporto fatto di “do ut des”, come quando l’allora Governo guidato da Silvio Berlusconi nel 2008 si oppose alle cessione di Alitalia ad Air France-Klm coinvolgendo nel capitale l’armata Brancaleone dei cosiddetti “cavalieri bianchi”. In particolare fu l’allora Ad di Intesa Sanpaolo, il futuro ministro Corrado Passera, a mettere su il piano Fenice che portò all’ingresso nella compagnia dei vari Benetton, Riva (quelli dell’Ilva), Marcegaglia, Gavio (altri signori delle concessioni autostradali) e così via. Tutta gente che faceva e fa affari anche, se non soprattutto, con lo Stato. Ecco perché Benetton & Co., negli anni, hanno avuto tanta voce in capitolo. Ma ora la storia potrebbe cambiare.

Mamma di Neanderthal, padre di Denisova: trovata l'erede dei due gruppi di ominidi. - Maria Francesca Fortunato

Mamma di Neanderthal, padre di Denisova: trovata l'erede dei due gruppi di ominidi
Il frammento di osso trovato nel 2012 a Denisova e che rappresenta la figlia di una donna di Neandertal e un uomo di Denisova (Credit T. Higham, University of Oxford) 

Partendo da un piccolo frammento di osso ritrovato nel 2012 in Russia i ricercatori del Max Planck Institute hanno sequenziato il genoma di Denny, scoprendo il primo "ibrido". La ricerca è stata pubblicata su Nature.

I CONTATTI tra l'uomo di Neanderthal e quello di Denisova - i nostri più vicini parenti estinti - sono stati già documentati in passato. Il primo, dalle regioni più occidentali d'Europa, si era spinto parecchio a est nelle sue migrazioni, fino in Uzbekistan e Siberia centrale, lì dove è localizzata la cava di Denisova in cui furono trovati i resti dell'ominide che da quella grotta prese il nome. Ora gli studiosi hanno trovato l'erede dei due gruppi, una ragazza di circa 13 anni, morta 90mila anni fa e ribattezzata dai ricercatori Denny.

Il team di ricercatori del Max Planck Institute  for Evolutionary Anthropology dall'analisi del genoma ha ricostruito "l'albero geneologico" dell'ibrido Denny, partendo da un piccolo frammento di osso recuperato in Russia nel 2012 in mezzo ad altri 2mila resti non identificati, e ha scoperto che si trattava della figlia di una donna di Neandertal e di un uomo di Denisova. Una circostanza piuttosto fortunata per i ricercatori. "L'aspetto interessante di questo genoma - spiega Fabrizio Mafessoni, uno degli autori dello studio pubblicato su Nature- è che ci permette di imparare nuove cose su entrambe le popolazioni". Si è scoperto ad esempio che il padre denisoviano doveva aver avuto almeno un antenato di Neanderthal e che il quadro dei rapporti tra i due gruppi poteva essere più complesso.

La madre, invece, era molto più vicina ai neanderthaliani trovati in Croazia, rispetto a quelli già trovati a meno di un metro dalla stessa cava russa che custodiva i resti di Denny. I Neanderthal croati sono scomparsi circa 55mila anni fa, molto tempo dopo rispetto a Denny, mentre quelli ritrovati in Russia avevano circa 120mila anni. Le ipotesi formulate dai ricercatori sono due: un gruppo di neanderthaliani può essere migrato da ovest verso i monti Altai, e quindi Denisova, poco prima della nascita di Denny oppure essere andati via da lì e tornati in Europa poco dopo.

"È incredibile aver trovato un figlio di Neandertal/Denisova nel gruppetto di antichi individui i cui genomi sono stati sequenziati - commenta Svante Paabo, direttore del dipartimento di Genetica evolutiva del Max Planck - Neandertaliani e Denisoviani potrebbero non aver avuto molte occasioni di incontrarsi, ma quando lo hanno fatto devono essersi accoppiati spesso. Molto più di quanto ipotizzato finora".


http://www.repubblica.it/scienze/2018/08/22/news/mamma_di_neandertal_padre_di_denisova_trovato_un_erede_dei_due_gruppi_di_ominidi-204677699/

venerdì 24 agosto 2018

Diciotti, sequestro, migranti. - Io la penso così

Risultati immagini per nave stipata di migranti

Mi domando 🤔: E' possibile accusare uno stato di aver commeso reato di sequestro di persona se i sequestrati non sono provvisti di documenti? Che trascrivono nella denuncia: sequestro di ignoti stipati in una nave che, illegalmente, li ha presi in mare e li ha trasportati in un porto senza aver ricevuto il permesso di attracco? Non so a voi, ma a me questa storia sa di irreale. Che i profughi vadano soccorsi è innegabile, e la Diciotti, che nel caso in questione è la soccorrente, deve, in ogni caso, assumersi la responsabilità di un'adeguata successiva sistemazione degli stessi previa accordi intrapresi preventivamente con il destinatario della sistemazione. Non risulta, però, che la Diciotti abbia intrapreso alcun accordo con l'Italia per la successiva definitiva sistemazione, decidendo autonomamente di trasportarli sulle nostre coste; è, pertanto, la Diciotti ad essere passibile di ogni denuncia possibile, non lo stato che rifiuta lo sbarco dei migranti. In sintesi, senza una corretta intesa che pianifichi legalmente e logicamente una questione alquanto ostica e difficile da gestire, non si otterranno risultati efficaci e soddisfacenti. In ogni caso, teniamolo a mente, chi ha bisogno va aiutato, ma con la collaborazione di tutti, nessuno escluso. In ogni ostica situazione è l'unione che fa la forza e, in medio stat virtus recitavano gli antichi; tutti sono colpevoli se il delitto è commesso da tutti, non ci può essere, secondo giustizia, un capro espiatorio come intendono fare quelli che si scrollano le responsabilità dalle spalle addossando la colpa al più debole e più esposto. Io la penso così.

giovedì 23 agosto 2018

Procuratore di Agrigento sulla Diciotti: s'indaga per sequestro di persona.

Procuratore di Agrigento sulla Diciotti: s'indaga per sequestro di persona

Il procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio, è salito a bordo della nave Diciotti a Catania. Il magistrato è titolare dell’inchiesta sul trattenimento dei profughi a bordo della Diciotti. L’inchiesta, che potrebbe ipotizzare anche il sequestro di persona, è ancora a carico di ignoti: qualora fossero individuate responsabilità da parte di esponenti del Governo la palla passerebbe al tribunale dei ministri.

https://www.lasicilia.it/news/cronaca/183052/procuratore-di-agrigento-sulla-diciotti-s-indaga-per-sequestro-di-persona.html



- Il sequestro di persona, in diritto penale, è il delitto previsto dall'art. 605 del Codice Penale che recita:
« Chiunque priva taluno della libertà personale è punito con la reclusione da sei mesi a otto anni.
La pena è della reclusione da uno a dieci anni, se il fatto è commesso:
in danno di un ascendente, di un discendente o del coniuge
da un pubblico ufficiale con abuso dei poteri inerenti alle sue funzioni »
È prevista un'ipotesi delittuosa speciale, qualora tale fattispecie di reato venga effettuata al fine di averne un profitto: il sequestro di persona a scopo di estorsione.-
Non mi pare che nel caso in questione si possa procedere con un'accusa di sequestro di persona. La Diciotti, che ha recuperato i passeggeri di sua sponte pretendendo di farli sbarcare sulle coste italiane è, semmai, responsabile del sequestro.
Sono, semmai, i "tenutari" dei centri di accoglienza ad essere passibili di condanna per sequestro di persona quando lucrano sulle spalle dei migranti, come lo sono i caporali che li ingaggiano per lavori forzati pagati una miseria.
A prescindere dalla situazione in essere, e in ogni caso,  l'accoglienza è innegabile e ritengo che sia un dovere di ogni essere umano aiutare chi è in difficoltà.