domenica 2 febbraio 2020

Vitalizi, Di Nicola (M5s): “Commissione in conflitto d’interesse, se Casellati continua a non riconoscerlo, intervenga Mattarella.”

Vitalizi, Di Nicola (M5s): “Commissione in conflitto d’interesse, se Casellati continua a non riconoscerlo, intervenga Mattarella”

L'INTERVENTO - Riceviamo e pubblichiamo l'intervento dal senatore che già nella sua carriera di giornalista è stato impegnato per anni nella lotta ai privilegi della politica: "Se Casellati e Caliendo dovessero resistere e perseverare nella loro condotta, allora dimissioni dei membri dell'organismo contrari al ripristino del vitalizio". Poi l'appello al capo dello Stato, "per evitare altre polemiche e soprattutto che aumenti il discredito che da decenni investe la politica italiana."
Il parlamentare è intervenuto sulla vicenda dell’abolizione dei tagli ai vitalizi con una lettera inviata a ilfattoquotidiano.it. Di Nicola chiede lo scioglimento della Commissione che decide sul trattamento pensionistico degli eletti perché chi l’ha nominata (la Casellati) ha compiuto un errore nell’indicare come presidente un senatore in conflitto d’interesse (Caliendo). In caso contrario, auspica le dimissione dei membri che non sono d’accordo con il ripristino dei vitalizi e, come estrema ratio, l’intervento del presidente della Repubblica per “evitare che aumenti il discredito che da decenni investe la politica italiana”.
Inutile nascondere il fuoco sotto la cenere. La questione dei vitalizi, tornata con grande scandalo al centro del dibattito politico dopo le rivelazioni del Fatto Quotidiano, non è più solo una questione di lotta contro un privilegio, il più odioso che la Casta si è data e contro il quale i cittadini si sono sempre ribellati. Per le scelte sbagliate fatte da chi nomina la cosiddetta Commissione Contenziosa, l’organo chiamato a decidere sul trattamento pensionistico degli eletti, cioè la presidente Maria Elisabetta Alberti Casellati, è ormai diventata una questione istituzionale. Aver scelto per guidare quest’organo un senatore come Giacomo Caliendo, in palese conflitto di interessi, visto che sta ripristinando un trattamento vantaggioso di cui beneficerà direttamente, è un vero schiaffo al prestigio e alla credibilità del Senato. Dunque, di una delle istituzioni più alte della Repubblica.
Ho già detto che va stoppata immediatamente la delibera che il 20 febbraio dovrebbe abolire i tagli introdotti ai vitalizi. E che questa Commissione Contenziosa andrebbe sciolta immediatamente per evitare di gettare altre ombre sulle nostre istituzioni, magari nominando nuovi membri tra senatori eletti a partire dal 2013 e dunque nella condizione di decidere senza che ci siano sospetti di inammissibili interessi personali in gioco. Ciononostante, a leggere le dichiarazioni ufficiali, sia la presidente Casellati che il senatore Caliendo sembrano decisi ad andare avanti sulla loro sbagliatissima strada, trascurando le richieste avanzate dal M5s, sfidando lo sdegno dei cittadini che si è scatenato dopo le ultime rivelazioni, incuranti del danno che così arrecano alla imparzialità di un organo giurisdizionale di Palazzo Madama. A questo punto, per fermare una scelta così scriteriata, non resta altra via che cercare di bloccare e boicottare i lavori della commissione attraverso le dimissioni dei membri che non condividono il ripristino degli scandalosi vitalizi. E se Casellati e Caliendo dovessero resistere e perseverare nella loro condotta, appellarsi al custode supremo del buon funzionamento delle istituzioni, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il solo in grado di richiamare gli attori della sgangherata commedia a un minimo di rispetto della dignità del Senato. Per evitare altre polemiche e soprattutto che aumenti il discredito che da decenni investe la politica italiana.

Fisco verso il modello tedesco: ecco come potrebbe cambiare l’Irpef. - Marco Mobili, Gianni Trovati



Entro aprile dovrebbe arrivare la legge delega con l’identikit della nuova tassa sui redditi delle persone. Ecco come potrebbe essere.

Semplificazione, alleggerimento della pressione fiscale e progressività. Con un orecchio attento ai contributi tecnici che arriveranno dagli studiosi e dalla società. Così il ministro dell’Economia Gualtieri ha rilanciato giovedì scorso nel suo intervento a Telefisco il cantiere della riforma Irpef che entro aprile dovrebbe produrre la legge delega con l’identikit della nuova tassa sui redditi delle persone. Sul tavolo stanno per arrivare le diverse proposte dei partiti, dalla riforma integrale ipotizzata da Italia Viva al modello a tre aliquote dei Cinque Stelle.

Ma nella girandola delle ipotesi sembra trovare uno spazio crescente il modello tedesco della progressività continua. Sul punto si è già spesa pubblicamente Leu, ma l’idea piace anche al Pd e in particolare ai suoi esponenti al ministero dell’Economia.

È ovvio però che su un tema così complesso, reso scivoloso dall’incrocio infinito di variabili che ha deformato l’Irpef attuale, il dibattito politico si deve appoggiare ai risultati delle analisi tecniche sugli effetti possibili dei diversi interventi. E sul modello tedesco dell’aliquota, che cambia in continuo a ogni modifica del reddito, la prima proposta puntuale arriva dal gruppo di lavoro Astrid sulla fiscalità.

L’analisi condotta da Ernesto Longobardi, Corrado Pollastri e Alberto Zanardi parte dalla situazione attuale, tiene conto dell’ultimo intervento sul cuneo fiscale, e offre una strada possibile per la nuova Irpef alla tedesca. Con una funzione che applicata al reddito lordo calcola direttamente l’imposta, cancellando le detrazioni legate alle varie tipologie di reddito. E con tre obiettivi: un’Irpef più semplice, senza i salti d’imposta e i paradossi che caratterizzano l’impianto attuale, più facile da leggere per il contribuente, che conoscerebbe l’aliquota effettiva applicata a ogni reddito in base alla formula. E specularmente più semplice da gestire per i governi, che potrebbero valutare senza troppe incognite l’impatto distributivo di ogni possibile modifica.

In pratica, il nuovo modello prevederebbe una corrispondenza continua, che a ogni livello di reddito associa una percentuale da applicare per ricavare l’imposta, ma senza superare l’attuale aliquota marginale massima, il 43%. Cancellando le detrazioni per tipologia di reddito, le curve Irpef sarebbero tre, differenziate per dipendenti, pensionati e autonomi. Per tener conto delle diverse spese di produzione del reddito (lorde per i dipendenti, determinate in via analitica per gli autonomi e assenti per i pensionati) che oggi sono gestite con le detrazioni.

I titoli azionari con alti dividendi che battono il BTp decennale
Su questi presupposti, Astrid propone un aggiustamento della curva Irpef congegnato per renderla regolare senza penalizzare contribuenti nel cambio di regime. Permetterebbe di offrire un vantaggio medio da 382 euro a quasi 10 dei 13,7 milioni di italiani con reddito prevalente da lavoro dipendente, e da 284 euro a 9,6 dei 13,2 milioni di pensionati. Costo: 3,7 miliardi per il lavoro dipendente, e 2,7 miliardi per i pensionati. E un effetto simile si otterrebbe anche per gli autonomi.

Ma il cambio di rotta sarebbe anche nella presentazione dell’imposta. Perché il nuovo sistema manderebbe in soffitta il sistema attuale degli scaglioni, che sono solo lontane parenti di quelle effettive, e indicherebbe chiarimenti al contribuente la percentuale reale di reddito lordo chiesta dal fisco. Un’aliquota, è facile capirlo, molto più attraente anche sul piano della comunicazione politica. Perché per quasi il 60% dei lavoratori dipendenti, quelli che dichiarano fino a 23.500 euro, l’aliquota reale sarebbe per esempio inferiore a quel 15% che ha dominato per più di un anno il dibattito fiscale ai tempi delle ipotesi di Flat Tax. Per i pensionati il livello sarebbe un po’ più alto (15,8% di aliquota reale a 19mila euro), e crescerebbe ulteriormente per gli autonomi (15,8% a 15.700 euro).

L’analisi è tecnica, e per sua natura non si addentra nel cuore delle scelte politiche. Che per esempio devono decidere quali redditi oggi esclusi dall’Irpef dovrebbero rientrare nell’imposta progressiva; e può valutare diverse forme di progressività (e di costi) ipotizzando curve meno “conservative” di quella elaborata da Astrid. Non mancano però gli spunti ulteriori, come la tassazione separata degli straordinari o un sistema misto per gli incrementi contrattuali.

https://www.ilsole24ore.com/art/riforma-fiscale-il-modello-tedesco-ecco-come-potrebbe-cambiare-l-irpef-AChO31FB

sabato 1 febbraio 2020



La protesta durante il discorso del magistrato al Palazzo di giustizia. Il presidente dell'Anm critica i "veti ad personam" dei penalisti. Ardita: "Inqualificabile atto di ostracismo, non abbiamo bisogno di censure". Nel suo intervento l'ex pm di Mani Pulite non ha parlato della prescrizione, casus belli dello scontro, ma ha affrontato il caso Palamara: "Fugare qualsiasi idea di giustizia domestica e indulgente". Sull'inchiesta di Perugia è intervenuto anche Di Matteo a Palermo: "Csm trasformato in centro di potere, serve una svolta etica."

Dopo aver chiesto di censurare Piercamillo Davigo, gli avvocati della Camera penale di Milano hanno deciso di contestarlo e non ascoltarlo: in protesta contro il consigliere del Csm ed ex pm di Mani Pulite, hanno lasciato l’aula del Palazzo di giustizia di Milano, dove si tiene l’inaugurazione dell’anno giudiziario, non appena ha preso la parola. I penalisti si erano rivolti al Csm per chiedere di “bloccare” la presenza di Davigo, rivendicata e sostenuta invece dai magistrati che hanno sottolineato il tentativo di bavaglio messo in atto dagli avvocati: “Volete sanzionare la libera manifestazione del pensiero“. I legali hanno deciso di protestare comunque, sventolando tra le mani cartelli con scritti gli articoli 24,27 e 111 della Costituzione, che a loro dire, sono stati violati dalla riforma della prescrizione che prevede il blocco dopo il primo grado di giudizio. Durante la protesta degli avvocati, dall’Aula Magna è partito l’urlo “Si levi il cappello e si vergogni” rivolto al legale Gianmarco Brenelli che si era alzato in piedi esponendo uno dei cartelli davanti a Davigo. Il presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Luca Poniz, ha definito la protesta “gravemente impropria” perché si tratta di “ostracismi preventivi e veti ad personam“. Da Catania è intervenuto anche il componente del Csm Sebastiano Ardita, parlando di un “irricevibile ed inqualificabile atto di ostracismo“. “La giustizia – ha aggiunto – ha bisogno di confronto, di dibattito” e non “di censure o di messe al bando“.

Dopo essere stato costretto a interrompere il suo intervento per via delle urla, Davigo ha proseguito e concluso il discorso senza fare alcun riferimento allo scontro di questi giorni con gli avvocati sulla prescrizione: l’ex pm di Mani Pulite è finito nel mirino dei penalisti dopo l’intervista rilasciata al Fatto Quotidiano sul tema della prescrizione e in generale sulla riforma della giustizia. Il blocco della prescrizione dopo il primo grado di giudizio entrato in vigore il primo gennaio è stato al centro degli interventi di molti presidenti di Corte d’Appello, dalla stessa Milano dove Marina Tavassi che ha sottolineato come la nuova norma avrà “una ricaduta contenuta nella nostra sede giudiziaria”. I presidenti di Corte d’Appello hanno in particolare sottolineato i rischi che potrebbe avere lo stop alla prescrizione senza un’adeguata riforma dei tempi del processo penale. Il vice presidente del Csm, David Ermini, parlando con i giornalisti a margine della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario a Perugia, ha sintetizzato i timori: “Credo sia stato un po’ un azzardo aver votato una norma senza avere la riforma pronta“. Nel suo discorso da Milano, Poniz ha però puntato il dito contro oggi “dal mondo della politica” pretende di impartire una “lezione di garantismo” dopo aver introdotto “le più irrazionali ed ingiuste riforme sostanziali e processuali”. Il numero uno del sindacato delle toghe ha accusato i “garantisti a la carte” e sottolineato: “Rifiutiamo è la contesa manichea, la prospettazione di scenari apocalittici e ancora peggio l’interessata strumentalizzazione politica di questa o quella posizione”.

Nel suo discorso, Davigo ha invece ricordato un altro tema che ha segnato profondamente la giustizia nell’ultimo anno: “Le tristi vicende che hanno colpito il Consiglio superiore della magistratura” con il caso Palamara. Il magistrato ha citato il discorso del presidente della Repubblica Sergio Mattarella sulla vicenda, evidenziando la reazione dello stesso Csm e in particolare “della sezione disciplinare” per “fugare qualsiasi idea di giustizia domestica e indulgente“. Davigo ha quindi sottolineato che sono state cinque le rimozioni e 13 le sospensioni da incarichi e stipendi, tralasciando le sanzioni disciplinari minori. Questo è “un indice di fermezza” perché “l’indipendenza della magistratura implica un comportamento corretto“. Sull’inchiesta di Perugia è intervenuto anche Nino Di Matteo a Palermo: “Il Csm deve finalmente dimostrare con i fatti di voler cambiare pagina, abbandonando per sempre quelle logiche che lo hanno trasformato in un centro di potere“, ha detto Di Matteo. Che ha puntato il dito in particolare contro le “correnti che da ossatura della democrazia sono diventate ambiziose articolazioni di potere“.

“BLOCCO PRESCRIZIONE? A MILANO RICADUTE CONTENUTE” – A Milano è intervenuta anche la presidente della Corte d’Appello di Milano Marina Tavassi che in un passaggio del suo discorso ha invece affrontato il tema dello stop alla prescrizione: “Fra le numerose altre riforme del settore penale, vanno certamente prese in esame le problematiche connesse alla discussa riforma della prescrizione”, ha detto Tavassi, sottolineando però che “i temuti effetti del blocco o della sospensione della prescrizione avranno per la nostra sede giudiziaria una ricaduta contenuta in termini numerici e di possibile dilatazione dei tempi del giudizio”. “I dati statistici dei Tribunali e della Corte – ha proseguito Tavassi – testimoniano che il crescente miglioramento della funzionalità complessiva del sistema determina una costante diminuzione dei casi di prescrizione” che nel distretto giudiziario milanese ammontano al 2,91% del totale, una percentuale “di gran lunga inferiore al dato nazionale che è pari al 24%“. Tavassi ha però aggiunto: “Se la prescrizione rappresenta una patologia del sistema, al tempo stesso l’istituto della cosiddetta sospensione non può essere un rimedio all’irragionevole durata del processo, problema che deve essere risolto per altre vie”.

BONAFEDE: “MAI DETTO CHE PRESCRIZIONE RIDUCE TEMPI” – “Le critiche che oggi mi sono state sollevate in realtà sono argomentazioni che in parte condivido: l’idea che bisogna intervenire sui tempi del processo la condividiamo tutti. Semplicemente ritengo che la riforma del processo penale potrebbe ridurre quei tempi“, ha detto il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede in un passaggio del suo intervento in occasione dell’anno giudiziario a Milano. “Non ho mai detto che la prescrizione è un modo per ridurre i tempi – ha aggiunto – ho semplicemente un’impostazione differente e ritengo ingiusto che lo stato arrivi a un punto in cui, dopo aver speso soldi ed energie per portare avanti l’accertamento di alcuni fatti, a un certo punto quel lavoro debba essere gettato nel nulla a causa del tempo. La mia impostazione è che bisognerebbe lavorare sul tempo. Qualsiasi intervento sull’efficienza dei processi, qualsiasi riduzione del tempo dei processi porterà a far sì che la prescrizione diventi un problema marginale“, ha concluso Bonafede.

ARDITA A CATANIA: “INQUALIFICABILE OSTRACISMO CONTRO DAVIGO” – “Abbiamo il dovere della chiarezza, della denuncia, della nettezza delle posizioni, senza il timore di apparire irriverenti se diciamo che la Giustizia non funziona, che il re è nudo. Non si tratta affatto di ricercare soluzioni che conculchino diritti o impongano sanzioni ingiuste, ma solo di garantire un risultato minimo: la fisiologica celebrazione dei giudizi”. Lo ha affermato il componente del Csm Sebastiano Ardita, a Catania, sottolineando che “per questo appare irricevibile ed inqualificabile l’atto di ostracismo che giunge dalla Camera Penale di Milano nei confronti di Piercamillo Davigo ed altrettanto incomprensibili le prese di distanze che arrivano anche dall’interno o gli inviti alla moderazione che sanno di vecchio regime consociativo”. “La giustizia – ha aggiunto – soffre per la presenza di corporazioni e di potentati – non solo esterni ma anche interni alla magistratura – abbiamo bisogno di confronto, di dibattito, di fresco profumo di libertà, non di censure o di messe al bando“.

DI MATTEO A PALERMO – A parlare dello scandalo che ha colpito il Csm, come Davigo a Milano, è stato anche il consigliere togato Nino Di Matteo, durante il suo intervento all’inagurazione dell’anno giudiziario nel palazzo di giustizia di Palermo. “Il Csm deve finalmente dimostrare con i fatti di voler cambiare pagina, abbandonando per sempre quelle logiche che lo hanno trasformato in un centro di potere lontano, quando addirittura non ostile ai magistrati più liberi, indipendenti e coraggiosi“, ha detto Di Matteo. Che ha puntato il dito in particolare contro i “magistrati impegnati in una folle corsa verso incarichi direttivi” e contro le “correnti che da ossatura della democrazia sono diventate ambiziose articolazioni di potere“. Quanto venuto alla luce con l’inchiesta di Perugia, secondo l’ex pm, ha generato “un generale discredito nei confronti della magistratura”, ma “è anche l’occasione per ripartire prima che altri cambino le regole comprimendo valori come quello dell’indipendenza”. Ma per voltare pagina, secondo il magistrato, non bastano nuove norme, ma serve “una svolta etica individuale e di corpo“.

ERMINI A PERUGIA – Si è soffermato sulle “vicende dolorosissime per il Consiglio superiore” della magistratura, venute alla luce nel corso di indagini condotte dalla procura di Perugia, il vice presidente del Csm David Ermini intervenuto all’inaugurazione dell’anno giudiziario proprio dal capoluogo umbro. Per Ermini “durissimo è stato il colpo al prestigio, alla credibilità e alla autorevolezza del Consiglio e dell’intero ordine giudiziario”. “Gravissima – ha sottolineato – la lesione della legittimazione dell’uno e dell’altro agli occhi dei cittadini. Nondimeno, oggi, a distanza di alcuni mesi da quelle drammatiche settimane e guardando al lavoro nel frattempo compiuto, sono lieto di potere affermare che l’istituzione, non solo ha trovato la forza per continuare a svolgere le sue funzioni con assoluta regolarità, ma è riuscita a conseguire risultati importanti“. “Sia – ha concluso Ermini – nel dialogo virtuoso con le altre figure istituzionali sia nella cosiddetta ‘amministrazione della giurisdizione'”.

A ROMA PRESCRITTO UN PROCESSO SU DUE – Nel 2019 nel distretto del Lazio “i processi prescritti sono stati 19.500 su un totale di 125mila, pari al 15%. Di questi 48% in appello (7.743) e 10% al Gip-Gup (7.300), 12% al dibattimento monocratico (4.300), 118 al collegiale (5%). La prescrizione colpisce maggiormente nei processi per cui c’è condanna in primo grado e quindi quasi uno su due a Roma in Appello“. Lo afferma il presidente della Corte d’Appello di Roma, Luciano Panzani, nel corso del suo intervento all’inaugurazione dell’anno giudiziario. “L’elevato numero delle prescrizioni – aggiunge Panzani – è stato determinato dal notevole ritardo nell’arrivo del fascicolo in Corte dopo la proposizione dell’atto di appello, cui si è aggiunto il tempo necessario per l’instaurazione del rapporto processuale, spesso condizionato da vizi di notifica“. Per Panzani “questo però è il risultato del collo di bottiglia a cui si è ridotto l’appello. Il Ministero ha finalmente previsto l’aumento delle piante organiche delle Corti di appello: nove consiglieri in più a Roma e a Napoli. Per Roma significa 2mila sentenze penali in più all’anno. Un progresso, non la soluzione del problema, anche se Roma in pochi anni è passata dalle 10mila sentenze penali all’anno del 2014-2015 alle 16mila del 2019, con un aumento, al netto delle sentenze di prescrizione, di 3mila sentenze penali all’anno”.

La relazione del procuratore generale facente funzioni della Corte d’appello di Roma, Federico De Siervo, ha invece posto l’accento sull’aumento del “numero di iscrizioni per corruzione (da 45 a 71 a noti e da 11 a 10 ignoti), così come è confermato il trend in aumento delle iscrizioni per corruzioni in atti giudiziari che, benché costituito da numeri ridotti, è pari al doppio dell’anno precedente, dove pure si era registrato un consistente aumento (passano a noti da 13 a 25 e a ignoti da 1 a 4)”, afferma De Siervo. Che poi ha anche spiegato come a Roma sia “confermata la presenza di un significativo numero di organizzazioni criminali qualificabili ai sensi dell’art. 416 bis del codice penale, secondo lo schema interpretativo delle piccole mafie, elaborato dalla Corte di Cassazione negli ultimi anni. Quello che negli anni scorsi era apparso come un fenomeno criminale assolutamente innovativo, ma ancora in fase iniziale ha trovato nell’ultimo periodo plurime importanti conferme, sia a livello investigativo che processuale“, ha detto De Siervo.

PROTESTE ANCHE A NAPOLI E ANCONA – Sono entrati in manette contro la riforma della prescrizione i membri dell’Ordine degli Avvocati di Napoli, presieduto da Antonio Tafuri, durante l’inaugurazione dell’Anno giudiziario. Gli avvocati, in toga, sono entrati ammanettati nella Sala dei Baroni, nel Maschio Angioino, dove si svolge la cerimonia, in aperta polemica con la riforma Bonafede. Sit-in con striscione degli avvocati della Camera penale anche ad Ancona. Protestano contro le “gravi carenze del sistema giustizia” che impediscono di “garantire la difesa dei diritti dei cittadini costituzionalmente previsti”.

A VENEZIA: “RISCHIO PROCESSI NEL LIMBO” – La nuova disciplina sulla prescrizione “rischierà di confinare i processi in una sorta di eterno limbo, di violare il dettato costituzionale che ne impone invece la ragionevole durata, di far ricadere sul cittadino, (imputato, o vittima) le conseguenze dell’inefficienza della giustizia, e sullo Stato la relativa responsabilità risarcitoria”. È la posizione espressa dalla presidente della Corte d’Appello di Venezia, Ines Maria Luisa Marini, nella relazione all’apertura dell’Anno giudiziario per il distretto veneto. La legge, ha precisato Marini “è apprezzabile perché è finalizzata a ‘salvaguardare‘ l’attività svolta dall’intera ‘filiera e a scoraggiare strategie dilatorie. Dovrà però essere contestualmente accompagnata dall’aumento delle ‘forze lavoro‘ (di magistrati e di personale amministrativo), dalla riforma delle procedure e da una intensa depenalizzazione. Diversamente avrà effetti dirompenti su gran parte degli Uffici Giudiziari, e tra essi, sulla Corte di Venezia, perché l’impossibilità di continuare a beneficiare di migliaia di definizioni de plano per prescrizione causerà l’aumento esponenziale delle pendenze, rendendole ingestibili”, ha concluso Marini.

A TORINO: “MIGLIORARE RAPPORTO MEDIA-GIUSTIZIA” – Si è aperto con una critica al mondo dell’informazione l’intervento di Edoardo Barelli Innocenti, presidente della Corte di Appello di Torino, facendo riferimento a due vicende. La prima è l’omicidio di Stefano Leo, il giovane torinese ucciso con una coltellata alla gola sul lungo Po da un 27enne già condannato con una sentenza che in un primo momento era stata considerata irrevocabile. Le cronache su quanto accaduto hanno “messo in evidenza ancora una volta – ha detto – quello che a mio parere è uno dei problemi della società contemporanea italiana: il rapporto tra giustizia e informazione. Troppo spesso si dà credito a voce di corridoio, vere o presunte che siano, e si grida allo scandalo prima ancora di sapere come sono avvenuti realmente i fatti, il cui concreto svolgimento deve essere approfondito nelle sedi competenti”. Un problema che secondo Barelli Innocenti emerge anche dai resoconti sulla vicenda delle nomine al Csm della scorsa primavera: “non si possono accomunare i colloqui e gli eventuali accordi di alcuni componenti del Csm con un inquinamento generale del funzionamento di una importante istituzione di garanzia quale è il Consiglio Superiore della Magistratura, istituzione che ha retto l’onda mediatica proprio grazie al comportamento e all’operato della maggioranza dei suoi componenti e in particolare del Presidente della Repubblica e del vicepresidente Ermini, ai quali deve andare il nostro riconoscimento per aver mantenuto salda la direzione”. Secondo il magistrato “serve più sobrietà e più professionalità nella racconto dell’attività giudiziaria”.

Crac Pop Bari: «Vieni con una copia pulita, c'è un socio che deve vedere il bilancio.»

Il tribunale di Bari: stop all'assemblea della Pop-Bari

Azionisti irrimediabilmente prigionieri delle condizioni della banca.

BARI - «Vedi di venire con una copia pulita che c'ho quella... che c'è un socio che deve vedere il bilancio e quindi portala...». E’ il contenuto di una intercettazione tra due dirigenti della Banca Popolare di Bari, Gianni Milella e Elia Circelli, entrambi indagati e il secondo arrestato ieri con gli ex amministratori Marco e Gianluca Jacobini nell’ambito dell’indagine della Procura sul dissesto dell’istituto di credito barese. 

Dalle indagini sul dissesto della Banca Popolare di Bari, che ieri ha portato anche all’arresto dell’ex patron della banca Marco Jacobini, del figlio Gianluca, e all’interdizione dell’ex ad Vincenzo De Bustis Figarola, emerge «la volontà del Cda della BpB di escludere del tutto la liquidazione delle azioni in favore dei soci recedenti con fondi propri, lasciandoli irrimediabilmente prigionieri dei loro titoli clamorosamente svalutati». E’ quanto è scritto nell’ordinanza di custodia cautelare.

Nel provvedimento cautelare si evidenzia che gli stessi azionisti erano prigionieri anche "delle condizioni economiche della Banca Popolare di Bari che, stando alle indicazioni contabili, non sarebbe stata in grado di fare fronte alle richieste di recesso e liquidazione delle azioni se non pregiudicando la stessa stabilità patrimoniale». Tutto ciò accadeva - si evidenzia - «nella piena consapevolezza del Consiglio di Amministrazione» già nel 2016.

«La bufera giudiziaria che ha travolto i vertici della Banca Popolare di Bari apre nuovi fronti di tutela per i risparmiatori coinvolti in questa ennesima vicenda di risparmio tradito». Lo dichiara l’avvocato Emilio Graziuso, responsabile del Coordinamento istituito dalla Confconsumatori e dall’Associazione Nazionale 'Dalla Parte del Consumatorè che assiste alcuni risparmiatori e azionisti dell’istituto di credito barese, commissariato a dicembre.

Per il legale, i reati contestati dalla Procura, «sono molto importanti ed avranno una notevole ricaduta anche sui processi civili instaurati e da instaurare» nei confronti della banca e, "qualora accertati, confermerebbe la tesi dell’assoluta inconsapevolezza dei risparmiatori, e non certo per loro responsabilità, al momento dell’acquisto dei titoli, circa la situazione economica, sulla solvibilità e solidità della banca e, di conseguenza, in merito all’affidabilità dei titoli, alla natura ed al rischio degli stessi ed al recupero delle somme investite».

Le dichiarazioni di De Bustis.
C'è un’intercettazione dalla quale emerge che l’allora Dg di BpB, Vincenzo De Bustis Figarola, sapeva che i dati della banca erano truccati. E’ del 13 novembre 2013. De Bustis parla con Luca Sabetta, dirigente assunto il 21 ottobre 2013. «In un’azienda come questa - dice De Bustis - dove tutto è truccato, i dati delle filiali sono truccati, cioè, io mi sono fatto portare..., avevo capito, mi sono messo a analizzarli, sono truccati, è stato tutto inutile, allora le filiali fanno più commissioni del totale dell’istituto!».

https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/bari/1202636/crac-pop-bari-vieni-con-una-copia-pulita-c-e-un-socio-che-deve-vedere-il-bilancio.html

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venerdì 31 gennaio 2020

La bioedilizia ora si fa con la canapa.


Risultato immagini per case costruite con la canapa"


La canapa è una materia prima dalle mille risorse, utilizzata soprattutto in bioedilizia: versatile, è anche semplice da coltivare.

La canapa è un materiale sempre più utilizzato nel mondo della bioedilizia: costruire con fibre vegetali resistenti comporta infatti vantaggi ambientali, ma anche sociali ed economici. La canapa è infatti fra quelli che offre i risultati migliori: è una coltivazione semplice, ha una crescita rapida e proficua con un basso consumo di acqua e rari attacchi di parassiti. Una volta lavorata, la canapa è ottima per sostituire legno, vetro e inerti per la composizione di diversi materiali, in quanto refrattaria a muffe e insetti. È anche resistente al fuoco, leggero e ricco di silice, ma è soprattutto un materiale “carbon negative“, che sintetizza il carbonio e riduce le emissioni di CO2 nell’atmosfera, rendendo gli ambienti più salubri e abbattendo le emissioni inquinanti. Grazie al suo impiego, si risparmia il 90% dell’acqua utilizzata per il cemento ed è utile anche come materiale antisismico, tanto che l’ENEA ha in progetto un kit antisismico composto da pannelli in fibra di canapa, in grado di contenere il crollo provocato dalle scosse. Oltre ad essere ecologica ed etica, è anche versatile: da un miscuglio industriale di acqua e canapa, nascono mattoniintonacimassetticappotti e isolanti  per edifici vecchi e di nuova costruzione. A differenza dei mattoni tradizionali, i mattoni in canapa si posano a secco e vengono smaltiti con maggiore facilità. Tuttavia l’utilizzo della canapa nell’edilizia non è scoperta recente: già Leon Battista Alberti ne aveva scritto l’utilità in quanto, aggiunta alle malte, ne migliorava le qualità, mentre il suo maggiore uso nel corso degli anni ha riguardato il settore tessile, poi entrato in crisi. Solo dieci anni fa l’Unione Europea ha attivato finanziamenti destinati alla reintroduzione della canapa da fibra e alla costruzione di filiere di prodotti derivati. Mentre in Germania la canapa è stata inserita nel settore automobilistico, come materiale per fibroresine, plastiche e imbottiture, in Francia è stata concentrata nell’edilizia, così come in Italia.
Bioedilizia canapa
Risultato immagini per case costruite con la canapa"
La bioedilizia a base di canapa si sta sempre più evolvendo, anche in risposta agli obiettivi del pacchetto per il clima e l’energia 2020 promosso dalla Commissione Europea. Nell’edilizia i prodotti a base di canapa vengono ricavati sia dal fiore sia dal fusto. Oltre ai prodotti più conosciuti, in Italia è in fase di certificazione un brevetto per la realizzazione di blocchi a base di canapulo, la parte più legnosa dello stelo. Il mattone essiccato diventa rigido e leggero e può essere utilizzato anche nella ristrutturazione di edifici. In Italia il leader nel settore della bioedilizia a base di canapa è Röfix, che opera da più di 30 anni. L’azienda è stata tra i primi ad industrializzare “CalceClima Canapa“, intonaco e finitura a base di canapulo e calce naturale. I prodotti hanno ottenuto il marchio di qualità Natureplus, che certifica l’eco-compatibilità e l’assenza di additivi. La calce naturale regola in modo naturale l’umidità e assorbe le sostanze nocive nell’aria. In Italia, le coltivazioni di canapa si concentrano in particolare in Alto Adige , ma si stanno sviluppando anche in altre aree d’Italia. La bioedilizia a base di canapa si sta sempre più evolvendo, anche in risposta agli obiettivi del pacchetto per il clima e l’energia 2020 promosso dalla Commissione Europea.