Tecnicamente sono simulazioni a tre dimensioni derivate da modelli magnetoidrodinamici di fenomeni astronomici, rigorosamente ottenute a partire da dati scientifici e destinate in prima battuta agli astrofisici. Ma a guardarle sembrano opere d’arte. Ne parliamo con lo scienziato alla guida del team che le ha prodotte, Salvatore Orlando dell’Inaf di Palermo.
Fotogrammi dalle sei visualizzazioni richieste dalla Nasa. Crediti: Inaf-Osservatorio astronomico di Palermo/Salvatore Orlando
Una protostella, una nova e vari resti di supernove. Tutte in 3D, tutte coloratissime. Sono le animazioni scientifiche selezionate la settimana scorsa dal team del telescopio Chandra e riprese in home page sul sito web della Nasa. Una più affascinante dell’altra, non sfigurerebbero come videoinstallazione in una galleria d’arte contempoanea. Portano tutte e sei la firma di un astrofisico dell’Inaf di Palermo, Salvatore Orlando, e dei suoi colleghi.
Cosa si prova a vedere le proprie opere in home page sul sito della Nasa? «Intanto vorrei precisare che i modelli sono stati sviluppati e pubblicati su riviste specializzate nel corso degli anni per studi riguardanti diversi fenomeni astronomici e sono frutto della collaborazione di ricercatori dell’Inaf – in particolare, dell’Osservatorio astronomico di Palermo – con colleghi di diversi istituti in Italia (tra cui l’Università di Palermo) e all’estero. Ovviamente fa sempre piacere quando qualcuno apprezza il tuo lavoro, chiunque esso sia. Certo la Nasa ci ha dato la possibilità di avere grande visibilità a livello internazionale. Per essere precisi, però, la Nasa ha ripreso dei modelli che noi abbiamo pubblicato negli scorsi mesi su Sketchfab, una piattaforma largamente utilizzata per la diffusione di modelli 3D per la realtà virtuale e la realtà aumentata».
Animazioni scientifiche ma al tempo stesso, in un certo senso, anche opere d’arte. Partiamo da questo secondo aspetto. Da dove emerge la notevole componente estetica di queste rappresentazioni? Solo dal codice, o è stato necessario un intervento umano? «I codici numerici che utilizziamo – tra cui vorrei menzionare il codice Pluto, sviluppato in Italia presso l’Università di Torino in collaborazione con l’Osservatorio astronomico di Torino – sono codici magnetoidrodinamici per plasmi astrofisici che forniscono le distribuzioni spaziali delle quantità fisiche: densità, temperatura, velocità, campi magnetici… Ultimate le simulazioni, si rende necessario l’intervento umano per rendere la visualizzazione di queste quantità efficace nella rappresentazione del fenomeno – utile per ottenere informazioni dai modelli (ricordiamoci che i modelli sono sviluppati per la ricerca scientifica) – e gradevole nel momento in cui si desidera avvicinare modelli che, in genere, sono per addetti ai lavori, alla portata di tutti.
In cosa consiste? «L’intervento umano consiste essenzialmente nel selezionare una scena rappresentativa del fenomeno che si intende descrivere, mettendo in risalto le componenti fisiche più importanti attraverso la scelta dei colori, delle trasparenze, e più in generale delle caratteristiche degli elementi che si visualizzano».
E le competenze artistiche da dove arrivano? Non tutte dal corso di laurea in fisica, immagino… «Credo che si acquisiscano nel corso degli anni, quando si preparano le figure o i filmati da inserire negli articoli scientifici e che devono veicolare in modo possibilmente semplice ed immediato le informazioni da comunicare al lettore. È chiaro che poi intervengono anche i gusti personali nella scelta dei colori, nel modo di miscelarli insieme, e nella selezione delle componenti fisiche per la rappresentazione dei modelli».
Veniamo alla scienza. Sono rappresentazioni pensate anzitutto per gli astronomi, ci stava dicendo. A cosa possono servire? «Le rappresentazioni pubblicate sul sito di Sketchfab fanno parte di un progetto avviato circa un anno fa presso l’Osservatorio astronomico di Palermo che ha lo scopo di creare un ambiente di analisi e visualizzazione di simulazioni astrofisiche di modelli magnetoidrodinamici che si basa sulla realtà virtuale. Il progetto si chiama 3DMap-Vr ed è stato recentemente presentato su Rnaas (Research Notes of the American Astronomical Society). Il laboratorio di realtà virtuale che abbiamo realizzato consente ai ricercatori di analizzare e visualizzare le simulazioni scientifiche in modo immersivo, integrando in tal modo la tradizionale rappresentazione su schermo e consentendo ai ricercatori di navigare e interagire con i loro modelli. Allo stesso tempo, abbiamo compreso che lo stesso strumento può essere utilizzato con grande successo per la divulgazione scientifica, in quanto permette ai non addetti ai lavori di “vedere” ciò che non si può visualizzare senza strumenti adatti, come la radiazione emessa in diverse bande spettrali, i campi magnetici, oggetti astronomici che si trovano a grandi distanze da noi e che i nostri telescopi non riescono a risolvere».
Avete già avuto occasione di mostrarli in pubblico? «Sì, certo. Negli eventi dedicati alla divulgazione scientifica in cui abbiamo messo a disposizione i nostri apparati per la realtà virtuale e i nostri modelli, la risposta da parte delle persone è stata di grande entusiasmo. Il pubblico ha avuto la possibilità di esplorare strutture magnetiche della corona solare, di avvicinarsi a getti protostellari e dischi di accrescimento attorno a stelle giovani, ammirando il processo di formazione di una stella, di vedere da vicino drammatiche esplosioni di nove e supernove e di viaggiare attraverso il materiale stellare espulso a seguito di questi eventi e che interagisce con il mezzo circumstellare e interstellare per migliaia di anni. Grazie a questi strumenti, il pubblico ha potuto comprendere in modo semplice i modelli fisici sviluppati e, più in generale, i fenomeni astronomici studiati, ma anche il tipo di lavoro che viene svolto dai ricercatori».
I dati di partenza da quali telescopi e strumenti provengono? «I modelli si basano su osservazioni e dati raccolti da diversi strumenti astronomici operanti in varie bande spettrali. Abbiamo usato dati raccolti in banda radio, infrarosso, ottico, ultravioletto, X e gamma. Per esempio, giusto per menzionare qualche strumento che opera in banda X, oltre ai dati di Chandra abbiamo usato anche quelli di Xmm-Newton, ma anche di satelliti precedenti e non più operanti, come Rosat e Asca».
Chi volesse vedere la collezione completa, dove può cercare? «Come dicevo prima, in realtà i sei modelli che la Nasa ci ha richiesto sono già disponibili pubblicamente insieme a molti altri da noi sviluppati già da qualche mese sulla piattaforma Sketchfab. In particolare, abbiamo creato due gallerie di modelli accessibili pubblicamente da qualsiasi browser. La prima galleria – “Universe in hands” – si basa su modelli idrodinamici e magnetoidrodinamici sviluppati per ricerca scientifica e già pubblicati in riviste specializzate. La seconda – “The art of astrophysical phenomena” – è invece composta da “rappresentazioni artistiche” di vari fenomeni astronomici e, chiaramente, si basa molto sulla fantasia dello sviluppatore, sempre tenendo conto di ciò che sappiamo del fenomeno fisico rappresentato. In totale sono già disponibili 35 modelli e molti altri ne verranno aggiunti in futuro. I modelli possono essere visualizzati in modo tradizionale su schermo ma con la possibilità di interagire con essi, potendoli esplorare in tutti i modi. Se poi si ha a disposizione un equipaggiamento per la realtà virtuale, i modelli possono essere esplorati anche in modo immersivo, dando la possibilità al “cosmonauta virtuale” di viaggiare al loro interno».